1. Il problema dell'identificazione
In che modo possiamo valutare empiricamente gli effetti della protezione legale dell’occupazione? Idealmente, dovremmo eseguire un esperimento controllato simile a questo: prendere molti mercati del lavoro identici ma non comunicanti, proteggere l’occupazione in meta’ di essi (scelti a caso), e non proteggerla nell’altra meta’. Poiche’ i due gruppi di mercati sono identici in tutto e per tutto eccetto che nella protezione dell’occupazione (si noti un aspetto cruciale: non essendo questi mercati comunicanti i lavoratori non possono spostarsi dal gruppo non protetto a quello protetto e viceversa dopo l’inizio dell’esperimento) ogni differenza che osserviamo tra i due gruppi deve essere dovuta alla protezione dell’occupazione. Cosi' procedono ad esempio i ricercatori in medicina quando vogliono testare gli effetti di un nuovo composto chimico.
Esperimenti di questo tipo (si chiamano esperimenti controllati) sono generalmente difficili in economia, se non ricorrendo ad ardite finzioni in "laboratori" reali o artificiali (gli scienziati sociali, ahinoi, non sono fortunati come gli scienziati naturali). Ultimamente si fa qualcosa di simile in economia dello sviluppo, ad esempio cambiando il programma scolastico nelle scuole di meta' dei villaggi di una regione e non nell'altra meta', per poi vedere l'effetto che fa. Per quanto riguarda l'economia del lavoro, che ci interessa qui, in principio si potrebbe generare una variazione sperimentale della policy in alcune aree di un paese al fine di valutarne gli effetti localmente prima di decidere se estendere il regime sotto sperimentazione all'intera economia. Ad esempio, in Italia Pietro Ichino insiste da anni sulla necessita' di sperimentare localmente il modello di "flexsecurity" di cui lui e altri senatori sono promotori in parlamento. Ma sembrano esistere barriere culturali (per ora) insormontabili che rendono impossibili sperimentazioni di questo tipo.
Questa impossibilita’ illustra bene il problema che fronteggiamo quando cerchiamo di isolare l’effetto causale della protezione dell’occupazione sulla performance del mercato del lavoro: la protezione legale non e’ mai stabilita arbitrariamente; c'e' sempre una ragione. Per esempio, un governo potrebbe essere indotto a proteggere l’occupazione quando questa si sta riducendo a causa di una contrazione dell’attivita’ economica. In questo caso non sarebbe la protezione a causare minore occupazione ma il contrario. La possibilita’ di causalita’ inversa genera quello che gli economisti chiamano il problema della “identificazione”. Isolare l’effetto causale di una politica (come la protezione dell’occupazione) significa “identificare” questo effetto. E identificarlo, senza esperimenti controllati, e' operazione difficile e ogni tanto un po' arbitraria. Questo non significa che dobbiamo necessariamente disperarci.
A volte il contesto istituzionale di una riforma genera involontariamente qualcosa di simile a un esperimento, come quando si stabilisce una soglia (15 dipendenti, per esempio) al di sopra della quale la protezione si applica mentre al di sotto non si applica. L'idea e' di sfruttare il fatto che il numero 15 e' stato scelto arbitrariamente, che le imprese di 15 dipendenti sono, in media, molto simili alle imprese di 16 dipendenti, salvo il diverso regime legislativo. Questo, in teoria, puo' generare dati simili a quelli ottenibili con un esperimento controllato. Il lavoro di Pica e Leonardi riassunto nel loro post e’ un esempio di ricerca che sfrutta “esperimenti naturali” di questo tipo.
2. Breve riassunto dell'evidenza empirica
Un’ottima rassegna recentemente scritta da Per Skedinger riassume tutto quello che di rilevante abbiamo imparato dall’analisi empirica durante gli ultimi 20 anni circa gli effetti sull'occupazione della protezione legale del posto di lavoro. Procediamo qui in maniera ben poco originale facendo il riassunto del riassunto (senza citare i singoli studi, il lettore interessato puo’ consultare la bibliografia della rassegna di Skedinger).
La prima generazione di studi ha utilizzato dati aggregati per paesi diversi (tipicamente paesi OCSE), ripetuti nel tempo. L’utilita’ di questi dati e’ limitata perche’ oltre ai problemi di misurazione (esprimere in una metrica comune legislazioni talvolta non del tutto confrontabili) c’e’ poca variabilita’ temporale dei regimi di protezione legale dell’occupazione all’interno dei paesi OCSE. I risultati sono spesso contrastanti da uno studio all’altro. Quelli che sembrano robusti sono i seguenti:
(a) In presenza di protezione dell’occupazione i flussi da occupazione a disoccupazione e viceversa sono minori.
(b) In presenza di protezione dell’occupazione, le donne e i giovani fanno peggio degli altri gruppi in termini sia di occupazione (piu’ bassa) sia di disoccupazione (piu’ alta)
Entrambe queste regolarita’ empiriche sono in linea con quanto predetto dalla teoria. Questo e' di per se' rassicurante, ma gli studi che le fanno emergere non risolvono in maniera chiara il problema della “identificazione”. Potremmo quindi essere in presenza di relazione spurie, non causali.
Una seconda generazione di studi empirici ha utilizzato dati per paesi diversi ripetuti nel tempo e disaggregati a livello di impresa per studiare effetti che vanno oltre quelli sui livelli aggregati di occupazione e disoccupazione. Da questi studi emergono ulteriori risultati di interesse:
(c) In presenza di protezione dell’occupazione la creazione e la distruzione di posti di lavoro sono entrambi piu’ lenti. Si riduce cioe’ la velocita’ di riallocazione dei lavoratori. Anche questa evidenza e’ in linea con la teoria.
(d) Tutti i precedenti effetti (a, b, c) sono piu’ forti in presenza di contrattazione collettiva, cioe’ quando i salari fanno piu’ difficolta’ ad aggiustarsi.
(e) In presenza di protezione dell’occupazione le imprese diventano piu’ selettive e assumono con maggiore probabilita’ lavoratori piu’ istruiti.
Anche in questo tipo di studi, l'identificazione e' un po' traballante. Ma un’ultima generazione di studi empirici ha utilizzato dati di singoli paesi, sfruttando tutte quelle riforme che, influenzando un gruppo ma non un altro, generano involontariamente una situazione che assomiglia a un esperimento controllato come illustrato sopra. L'identificazione e' quindi piu' solida. E' importante allora che questi studi confermano i precedenti risultati circa l’effetto negativo della protezione sulla dinamica del mercato del lavoro (transizioni da occupazione a disoccupazione e viceversa, e riallocazione dei lavoratori; punti a, b, c) e circa l’effetto sulla selettivita’ delle imprese (punto e). In aggiunta, da questi studi sappiamo che:
(f) Quando si riduce la protezione dell’occupazione le imprese iniziano a sostituire contratti temporanei con contratti permanenti. Cioe’ piu’ persone vengono assunte con contratti a tempo indeterminato.
Empiricamente ci sono poi effetti su altre variabili, come i salari e i tassi di investimento (mentre e' ormai assodato che in Italia non sembrano esserci effetti rilevanti sul tasso di crescita delle imprese). Di questi altri effetti hanno gia' parlato Pica e Leonardi.
3. Conclusione
Cosa dovremmo aspettarci se quest’anno il governo riuscisse ad allentare il regime di protezione dell’occupazione attualmente vigente in Italia? La teoria economica predice che il mercato del lavoro diventerebbe piu’ dinamico: piu’ lavoratori perderebbero il lavoro ma piu’ persone ne troverebbero uno. La durata della disoccupazione si ridurrebbe e aumenterebbe la produttivita’ dell’economia a causa della maggiore efficienza del processo di riallocazione di lavoro e capitale. L'aumento di produttivita' indurrebbe un aumento dei salari. Inoltre, i gruppi piu’ marginali nel mercato del lavoro (giovani e donne, in particolare) avrebbero solo da guadagnare: per essi (come gruppo) la teoria prevede maggiore occupazione e minore durata della disoccupazione. Infine, i contratti a tempo determinato inizierebbero ad essere sostituiti con quelli a tempo indeterminato (meno “precari”). L’evidenza empirica disponibile (sebbene parte di essa vada presa con cautela perche’ non e’ chiaro fino a che punto il problema dell’identificazione e’ risolto) conferma tutti questi risultati teorici e suggerisce che gli effetti sono tanto piu’ forti quanto piu’ e’ importante la contrattazione collettiva (che in Italia, come sappiamo, e’ molto importante). Infine, migliorerebbero anche le prospettive dei lavoratori meno istruiti e meno qualificati.
L’effetto di un allentamento del regime di protezione dell’occupazione creerebbe quindi, come ogni riforma controversa, vincenti e perdenti. La maggiore dinamicita’ del mercato del lavoro che ne risulterebbe suggerisce di procedere con una riforma complementare degli armortizzatori sociali, che oggi in Italia sono del tutto inadeguati a un ipotetico mercato in cui la riallocazione del lavoro e’ frequente, anche se rapida (nel senso di una minore durata della disoccupazione). Questa riforma complementare potrebbe ridurre i costi per i lavoratori associati alla riduzione delle protezioni. Alla domanda “ma da dove prendiamo le risorse per un serio sistema di assicurazione contro la disoccupazione?” rispondiamo cosi’: a conti fatti (li ha fatti Andrea Moro alle giornate nFA 2011 a Siena), un sistema di assicurazione contro la disoccupazione alla danese non costerebbe, a regime, molto piu’ del sistema di ammortizzatori sociali per i lavoratori oggi in vigore in Italia. E sarebbe per tutti, non per pochi.
Ma ci fermiamo qui. La partita sembra essere soprattutto politica, insomma. Si creerebbero, dicevamo, vincenti e perdenti. Sputtanare (suvvia, siamo stati bravi, noiosi, precisi, e accademici fino a qui, ci siamo trattenuti, fateci divertire almeno alla fine) chi racconta il contrario con sicumera e’ il nostro sogno di primavera (e abbiamo fatto pure la rima).
Molto bello ed educativo come sempre. Una domanda - sareste in grado di darmi un'idea generale della magnitudine degli effetti trovati dagli studi senza che io, pigro lettore ignorante di labor economics, debba andare a leggermeli...? :-)
Inoltre, frequentemente vi e' un compromesso tra solidita' dell'identificazione e generalizzabilita' dei risultati - quanto sono sensibili a questa critica i risultati piu' recenti? Per esempio, poniamo che si trova un effetto significativo per imprese di 16 lavoratori, cio' non vuol dire che tale effetto ci sia anche per imprese di 100. (Dico solo a titolo di esempio: non so niente di questi studi).