Perché gli economisti hanno ragione: aspettative razionali e principio di indeterminatezza in economia (parte II)

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“L'essenza profonda di ogni decisione individuale rimane sconosciuta agli occhi di un osservatore esterno – spesso, d'altronde, ciò accade anche allo stesso decisore.”  - John Kennedy (1963)

Nel mio post precedente ho discusso i motivi per i quali le crisi non sono prevedibili, e per quali ragioni le teorie non basate su aspettative razionali non possono essere affidabili nello stesso momento in cui sono note a tutti. Le aspettative razionali, infatti, sono il nucleo del principio di incertezza in economia: il nostro comportamento dipende dal modello che abbiamo in mente. In questo post cercherò di procedere oltre, sulla linea dello stesso ragionamento. 

Un esempio relativamente semplice può essere utile per illustrare il rapporto tra le aspettative razionali e il principio di indeterminazione. Nel racconto di Conan Doyle intitolato “L'ultima avventura” e scritto nel 1893, Sherlock Holmes è incalzato dal geniale e malvagio professor Mariarty: se riesce a scappare fino in Francia vince la scommessa, mentre la perde se viene raggiunto dal suo nemico. Il finale vede Holmes su un treno diretto verso Dover e Moriarty all'inseguimento su un altro treno, con unica fermata intermedia Canterbury. Se entrambi scendono alla stessa fermata, Moriarty raggiunge Holmes e quindi si aggiudica la sfida. Viceversa, la vittoria va ad Holmes.  

Ora: nonostante la notoria arguzia di Holmes e l'intelligenza di Moriarty, il loro creatore Conan Doyle non aveva colto il funzionamento delle aspettative razionali – nella storia, Holmes ipotizza che Moriarty pensi che lui andrà a Dover, quindi scende a Canterbury, mentre Moriarty continua verso Dover e perde la scommessa. Ma per quale motivo il genio matematico Moriarty non dovrebbe comportarsi come Holmes, prevedendo il suo comportamento, e quindi scendendo a sua volta a Canterbury? E perché Holmes non prevede a sua volta questa mossa, scendendo a Dover?

Nonostante sia possibile ripetere questo ragionamento, ricorsivamente, all'infinito, esiste un equilibrio secondo le aspettative razionali – richiede però che i giocatori formulino ipotesi probabilistiche e non deterministiche. Se ciascuno crede che l'altro abbia una chance pari al 50% di scendere a Canterbury o Dover, allora i due giocatori hanno uguali chances di vincere la partita indipendentemente da quel che fanno – e finiranno per decidere a caso, ad esempio lanciando una monetina.

Ho iniziato l'articolo citando Kennedy. La frase in apertura ha ispirato un libro del noto politologo Graham Allison, intitolato “L'essenza della Decisione” - un libro pesantemente critico della teoria della scelta razionale. Ironicamente, è proprio nell'essenza della decisione razionale che la scelta più profonda rimanga sconosciuta e impenetrabile – anche, appunto, allo stesso decisore.

Nessuno che io conosca dubita della possibilità di ingannare un numero limitato di individui per un periodo limitato di tempo: se si mettono in pratica regolamenti e politiche complessi e difficili da interpretare, serve a poco agitare lo striscione con scritto “aspettative razionali”, nell'attesa che ciascuno risponda nel modo più appropriato – all'istante.

Anche qualora si accetti l'idea che gli individui aggiustino razionalmente il loro comportamento, in accordo al loro graduale miglioramento nella comprensione della realtà, invece di ripetere gli stessi errori volta per volta, ha senso chiedersi quanto velocemente ciò accada. In esperimenti di laboratorio si possono richiedere 10, 50 o anche 500 ripetizioni prima che un equilibrio da aspettative razionali sia raggiunto. Quanto tempo ci vorrà nel mondo reale, che è immensamente più complesso? Anni? Decenni? In pratica, l'aggiustamento può essere sorprendentemente più veloce di quanto sia lecito aspettarsi. Un esempio illuminante è offerto dagli episodi successivi agli attentati dell'undici Settembre 2001.

Se nel decennio 1988-1987 si sono verificati, più o meno, 18 sequestri aerei per anno, la grande maggioranza si è conclusa senza danni significativi a cose e persone, e l'esperienza raccolta andava nella direzione di far ritenere che tempi di sequestro più lunghi corrispondessero a maggiori chances di un finale pacifico. Come conseguenza di ciò, razionalmente, piloti e assistenti di volo furono addestrati  secondo una strategia precisa, che richiedeva l'accoglimento delle richieste dei sequestratori, un atterraggio sicuro appena possibile, e un intervento delle forze di sicurezza. Ai passeggeri era consigliato di rimanere seduti e in silenzio, consiglio esteso anche al personale di volo: in nessun caso era consigliato esporre gli altri a rischi agendo da “eroi”. Si è trattato, dopotutto, di una strategia ben congegnata, razionale, e di successo , almeno stando a decenni di esperienza consolidata.

La realtà cambiò bruscamente l'11 Settembre del 2001, quando i sequestratori, invece di aspettare che l'aereo atterrasse per presentare le loro richieste, usarono l'aereo come strumento per attacchi suicidi su obiettivi a terra. La risposta ottimale, ovviamente, non era più la strategia passiva adottata in precedenza, ma quella di resistere ad ogni costo. Dunque, successivamente all'attacco alle Torri Gemelle, passeggeri e personale di volo – che raramente avevano reagito in precedenza – cominciarono a reagire molto meno raramente. Basta una ricerca su Google con parole chiave “passeggeri soggiogano sequestratori” per ottenere decine di risultati solo relativi all'ultimo anno.

Quanto tempo è passato prima che la regola precedente venisse messa da parte? La cronologia degli eventi è istruttiva. Alle nove meno un quarto dell'undici Settembre, 2001, il volo 93 della United Airlines decolla. Una prima notizia del cambiamento di regime si ha quattro minuti dopo, quando il volo 11 di American Airlines si schianta sulla Torre Nord del World Trade Center. Diciassette minuti dopo, il volo 175 di United Flight abbatte la Torre Sud. Venticinque minuti dopo, ormai le nove e mezza, viene sequestrato il volo 93 di United Airlines. Nove minuti ancora, e il volo 77 di American Airlines si abbatte sul lato Ovest del Pentagono. Servono solo venti minuti ancora ai passeggeri e al personale di volo del volo per cambiare modello di comportamento: alle 9.57 i sequestratori del volo 93 vengono assaliti. Il cambiamento è avvenuto dopo un'ora dalla prima novità, ed si è verificato su un aereo già in volo, e sulla base di informazioni limitate e parziali, ottenute per via telefonica. Eppure, non si è trattato di un aggiustamento da poco, ma di una reazione drammatica e pericolosa. I passeggeri hanno rischiato – e perso – la vita.

Nella nostra vita di ogni giorno, e nelle situazioni familiari e quotidiane, non è molto sorprendente pensare al nostro comportamento come razionale – e neanche economisti comportamentali e psicologi obiettano, in questo caso. Piuttosto, preferiscono concentrarsi su eventi sensazionali – come crolli del mercato azionario e traders in preda al panico – come prova empirica dell'importanza dell'irrazionalità. Eppure l'esperienza del volo 93 mostra l'opposto: una decisione attenta, deliberata e supremamente razionale è stata presa di fronte a una situazione inattesa e completamente nuova. E l'esperienza sui crolli di borsa, oltretutto, non dice granché: d'altra parte, chi può negare che quando il mercato va male, sia perfettamente razionale vendere, e alla svelta?

Ancora: è certamente vero che politiche e regolamenti complicati non saranno compresi immediatamente; d'altra parte, sembra essere una caratteristica di ogni impianto regolatorio, e di ogni agenzia a ciò preposta, di funzionare meglio all'inizio, prima che gli interessati abbiano occasione di farsi un'idea sulle falle del sistema e prima che le imprese abbiano occasione di cimentarsi nel diffuso sport della “cattura del regolatore”. Può sembrare, addirittura, che l'alternativa migliore sia mettere in pratica politiche che confondano la gente per un po'. Ma se è così, si sappia che sono destinate al fallimento. Le uniche politiche – e istituzioni – solide, ossia in grado di sopravvivere alla prova del tempo, sono quelle basate sulla aspettative razionali: cioè quelle istituzioni che, anche una volta comprese per intero, continuano a funzionare.

In conclusione, se c'è qualcosa su cui tutti gli economisti mainstream possono concordare con gli economisti comportamentali, questo è contenuto in un editoriale pubblicato nel 2010 dal New York Times, a firma di due economisti comportamentali:

Man mano che i politici la utilizzano per sviluppare dei progetti, diventa sempre più chiaro che all'economia comportamentale è richiesto di risolvere problemi per i quali non è stata concepita. Sembra che in alcuni casi essa sia utilizzata come un espediente politico per permettere al governo di evitare soluzioni dolorose, ma più efficaci, basate su ciò che è tradizionalmente noto in economia.

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Commenti

Ci sono 81 commenti

No parallel between electrons (or apples, 'cos quantum probability is NOT the point, here) and men, I'm sorry.

 

‘E’ come se la caduta a terra della mela dipendesse dalle motivazioni della mela, se vale la pena di cadere a terra, se la terra volesse la caduta della mela, e dai calcoli errati da parte della mela su quanto distasse dal centro della Terra’

(Keynes a Harrod, 1938)

Beninteso, non intendo dire che Levine non conosca codesto, diverso, parere.

RR

 

Ci sono tante cose che mi vengono da dire, nessuna delle quali prevedo sara' molto popolare. Ne scelgo due.

La prima e' che i paragoni con la fisica quantistica rientrano in un filone di letteratura che include Deepak Chopra; il film "What The Bleep Do We Know?"; e l'ignoto autore dell'espressione "quantum leap" nel gergo aziendale (Geoffrey Moore? Michael Porter?), per dire i primi che mi vengono in mente. Ora anche il buon Mr. Cochrane si puo' fregiare di aver lasciato il suo contributo, come sempre al di sopra della media.

La seconda e' che secondo me l'intero dibattito su "la crisi si sarebbe dovuta prevedere" e' un "uomo di paglia", un argomento specioso - ciascuno mal rappresenta la tesi dell'altro e la distrugge. L'esempio del mercato delle azioni e' sbagliato. Qui non si dice "gli economisti avrebbero dovuto predire un crollo del mercato delle azioni". Quello che la gente comune si chiede, per quel che sembra a me, e' perche' gli economisti non si sono accorti di nessuna delle enormi avvisaglie che qualcosa non andava per il verso giusto nell'economia reale, che ha un'inerzia considerevole.

Per esempio, nel dicembre 2008 l'economista medio potrebbe aver detto "credo che saremo in una recessione almeno fino al 2010", e in effetti il PIL sarebbe continuato a crescere a stento (o decrescere) fino al 2010. Mi sembra che questo rientri nella definizione data di "aspettative razionali". [Nel mio Novo Dizionario del Piccolo Economista leggo che "aspettative razionali" vuol dire, in realta', che in media sono giuste; non che se uno ci crede il sogno si avvera; quello suona piu' come "aspettative di Walt Disney"].

Nessuno avrebbe potuto prevedere la data della bancarotta di Lehman Brothers, ma gia' nel 2006 un sacco di gente (purtroppo non gli economisti) fosse al corrente del livello pantagruelico di frode nel mercato dei mutui USA. Per quanto sia impossibile prevedere se e quando un fenomeno del genere porti a una caduta improvvisa del valore di un determinato titolo, e' sorprendente che pochissimi economisti fossero al corrente di un fenomeno corrente di portata macroeconomica, sicuramente foriero di cattive notizie ("frode"), probabilmente perche' tutti intenti a trovare un modo di modellare il risparmio precauzionale senza dover ricorrere alla derivata terza della funzione di utilita' (o quel che l'e').

Il problema non e' che nel mondo magico dell'economia non si puo' mai prevedere nulla. Il problema e' che i mutui non erano interessanti dal punto di vista teorico e quindi (quasi) nessuno ci prestava attenzione. Successo il patatrac, ora in ogni Dipartimento di Economia USA ci sono persone che ti sanno recitare a memoria la differenza tra l'indice dei prezzi delle case OFHEO e quello di Case-Shiller, e parteggiano per l'uno o per l'altro con veemenza. Probabilmente qualche altra catastrofe o miracolo sta mettendo radici in un angolo poco "hot" dell'economia reale, ma ci presteremo attenzione soltanto dopo che ne ha parlato il New York Times.

Per concludere con un bel paragone alla carlona, e' come se un asteroide avesse centrato la terra e nessuno se lo aspettava perche' gli astronomi erano troppo impegnati a discutere se la materia oscura e' o non e' la causa della rotazione anomala delle galassie.

Landoni, l'articolo e' stato scritto da David K. Levine, non da John C. 

Il resto di quanto scrivi ha lo stesso livello di aderenza ai fatti. In particolare, quando hai un attimo prendi un appuntamento di un'oretta con Paolo e fatti spiegare la teoria delle aspettative razionali, specialmente quando applicata a mondi con mercati finanziari incompleti.

Poi se ne riparla.

P.S. GT, se il buon giorno si vede dal mattino, io direi che oggi grandina ... hai un telo da stendere? Io vado a nanna.

Quello che la gente comune si chiede, per quel che sembra a me, e' perche' gli economisti non si sono accorti di nessuna delle enormi avvisaglie che qualcosa non andava per il verso giusto nell'economia reale, che ha un'inerzia considerevole.

Guarda caso, uno dei migliori indicatori del futuro stato di salute dell'economia reale è proprio il mercato delle azioni, se non altro perché le aspettative sullo stato futuro dell'economia sono un fattore di variazione sistematica, e ad oggi non abbiamo mercati futures che scommettano direttamente sul PIL o su altri indici macroeconomici.

perche' gli economisti non si sono accorti di nessuna delle enormi avvisaglie che qualcosa non andava per il verso giusto nell'economia reale, che ha un'inerzia considerevole. Per esempio, nel dicembre 2008 l'economista medio potrebbe aver detto "credo che saremo in una recessione almeno fino al 2010"

In realtà nel dicembre 2008 il mercato delle azioni è crollato, proprio perché gli operatori si sono convinti che la Fed non sarebbe riuscita ad evitare una lunga recessione.  Da allora si è proceduto a fasi alterne, tra interventi espansivi (QE/QE2/Twist) e nuove docce fredde.  Un tipico caso di regime uncertainty.  Non vedo cosa si sarebbe potuto chiedere di più ai mercati.

Per quanto concerne i problemi a cui lei fa riferimento, fino al 2008 tali problemi erano effettivamente limitati al mercato delle case.  La fase di bolla era finita da alcuni anni e stava venendo riassorbita, senza problemi di sorta per l'economia in generale.  La crisi del 2008 deve essere attribuita a cause molto diverse.

PS.  va detto che quello di cui si parla qui ha più a che fare con efficient markets; i modelli ratexp sono una cosa alquanto diversa.  Ma forse nel senso comune si tendono a confondere le due cose.

Siccome e' solo un onere evitero' di ripetermi.

Rubele, una volta ancora hai provato di non aver capito NULLA dell'articolo che cerchi di dibattere.

Perche', tesoruccio di mamma, il punto di DKL e' PROPRIO quello. Le mele economiche "decidono" di cadere e, in quel decidere, alterano il sistema che l'osservatore (fra qui loro stesse) cercano di misurare, eccetera. 

That problem is exactly the problem the theory of rational expectations tries to handle.

End of the onere. 

Io sono un fisico e capisco pochissimo di economia. Dato che ne capisco pochissimo cerco di parlarne il meno possibile. Soprattutto in pubblico (le chiacchierate con gli amici non fanno testo). E siccome ne capisco pochissimo vengo su nFA per cercare di imparare qualcosa.

Ecco, io sono sicuro che tutto quello che scrive mr. (dr.? prof.?) Levine riguardo all'economia sia giustissimo e sacrosanto. Qualche passaggio risulta logico persino per me.

Avrei solo un modesto consiglio per gli economisti: evitate di prendere i vostri esempi dalla meccanica quantistica. Non la conoscete e parlandone fate gli stessi grossolani errori che farei io se discutessi di economia. E la mia reazione a leggere certe cose non è diversa da quella che potrebbero avere i curatori di questo sito leggendo certi commenti (penso ad esempio alle reazioni di Boldrin).

Il principio di indeterminazione poi è un campo minato dove anche gli specialisti rischiano di saltare in aria. Statene alla larga.

Qui di seguito un paio di osservazioni tecniche sugli esempi "fisici" fatti nell'articolo. Sentitevi liberi di esserne annoiati.

* "Il principio di indeterminazione di Heisenberg deriva dal fatto che l'osservatore interferisce con il sistema." No. Si tratta di un misunderstanding molto comune ma è falso. L'osservatore interagisce col sistema anche nella fisica classica e lì non c'è alcun principio di indeterminazione. Il principio di indeterminazione proviene dal fatto che gli operatori hamiltoniani che descrivono il sistema non commutano. E dubito fortemente che questo abbia un parallelo con l'economia.

* "la teoria della gravità risultò inizialmente alquanto controversa quando fu proposta" Impreciso. La teoria della gravità celeste (come si muovono stelle e pianeti) era controversa perché cozzava contro i modelli aristotelici. La teoria della gravità terrestre (come si muovono i colpi di artiglieria) non trovo praticamente nessuna  resistenza fra gli studiosi dell'epoca. Notare come all'epoca non fosse ovvio per niente che le stesse regole valessero sulla terra e nello spazio. Anzi, si era abbastanza sicuri che non fosse così.

Potrei andare avanti ma capisco di essere pesantemente off-topic. L'argomento del post non è la fisica e tanto meno la meccanica quantistica. Ma forse sarebbe risultato più convincente se avesse lasciato questi argomenti fuori dalla porta.

Jacopo, capisco il tono scocciato - e' molta piu' la gente che parla a vanvera di economia che di fiscia e quindi mi capita di soffrire la tua stessa scocciatura molto frequentemente. Detto questo, naturalmente me ne dispiaccio. Pero' lascia che difenda David (che si, e' un professore di economia e tra i migliori al mondo). 

1. David non parla di fisica - ma invece usa una metafora dalla meccanica quantistica per aiutare a spiegare un punto molto sottile di economia (le implicazioni di apsettative razionali). 

2. In questo senso, la metafora deve poter illuminare il lettore - e' quindi normale che utiulizzi una interpretazione "comune" (come tu stesso ammetti) del principio di indeterminazione - che lui sappia o meno che questa interpretazione non e' corretta e' meno rilevante.  

3. Il dire, da parte tua,  che il principio di indeterminazione "proviene dal fatto che gli operatori hamiltoniani che descrivono il sistema non commutano" e' un trucco retorico poco utile: anche David avrebbe potuto dire che apsettative razionali non sono che un punto fisso in certi spazi di sequenze - sarebbe stato preciso ma nessuno avrebbe capito - come nessuno ha capito da cosa deriva realmente il principio di indeterminazione dopo aver letto il tuo commento. 

Detto questo, nulla aspettiamo di meglio che un articolo divulgativo sul principio di indeterminazione - scritto in modo che anche un povero economista possa comprendere. 

Mi permetto di ribardire i punti sollevati da Bartoletti, che inficiano in realta' gran parte dei ragionamenti dell'autore.

In breve la meccanica quantistica si applica al micro, cioe' dato il singolo elettrone non si puo' conoscere con esattezza, contemporaneamente, posizione e velocita'.

In breve si puo' avere una conoscenza solo probabilitica della sua traiettoria - la faccio semplice.

Tuttavia alivello macro la fisica classica funziona benissimo, tant'e che tranquillamente spediamo satelliti in orbita.

E' evidente che se invochiamo l'analogia particella=individuo poi si dovrebbe proseguire con massa di individui = missile, le cui traiettorie sono assolutamente prevedibili

Anche il discorso sui dirottamenti e' errato, nel senso che tra il prima e il dopo 11/9 c'e' un cambio di paradigma. Prima infatti i dirottatori avevano un obiettivo che si raggiungeva con una trattativa (scambio di prigionieri, ecc.) dopo l'obiettivo e' diventato la distruzione dell'avversario. Ergo e'  chiaro che le logiche sottese cambiano.

D'altra parte questi tentativi di inquadrare l'economia con la fisica non sono nuovi. Mi ricordo di aver letto un testo francese di inizio novecento in cui l'autore provava da applicare le tecniche della meccanica razionale agli individui che si muovevano in uno spazio sociale mossi da forze economiceh, politiche ecc.

Probabilmente sarebbe' piu' onesto dire che al momento non abbiamo modelli previsionali sufficentemente elaborati per prevedere gli andamenti economici piuttosto che rifugiarsi nella scusa della "profezia autoavverante"

E BTW se proprio l'autore volesse continuare nelle analogie economia/fisica probabilmente farebbe meglio a rivolgersi alle teorie del caos (effetto farfalla: un americano non paga un mutuo e crollano le borse mondiali) o alla metereologia dove qualche modello decente di ssistemi complessi comincia a vedersi 

Aggiungo poi un altro punto di merito: il dire che il sistema non e' prevedibile perche' e' influenzato dall'osservato e' gia' di per se una previsione.

Infatti se tutti gli analisti dicono che il 29 febbraio ci sara' un crollo del mercato gia' si puo' prevedere che il crollo avverra' il giorno prima. 

D'altronde la sfida, in fisica, e' proprio quella: ottenere risultati sensati nonostante l'osservatore. E, guarda caso, ci si riesce

Avendo appena riscontrato che passare dall'economia alla fisica senza attrezzatura è pericoloso, forse le rational expectations del fisico dovrebbero suggerirgli che anche il salto opposto potrebbe richiedere del materiale.

Tanto più se ci si muove con l'intento di dar consigli a quelli dall'altra parte, che dovrebbero studiare farfalle e previsioni del tempo.

Quando poi il tutto si conclude con

Infatti se tutti gli analisti dicono che il 29 febbraio ci sara' un crollo del mercato gia' si puo' prevedere che il crollo avverra' il giorno prima.

forse il meglio sarebbe di rileggere il pezzo saltando il primo paragrafo, che la rabbia fa brutti scherzi all'intendimento.

Ma è necessario tirare in ballo rational expectationas nell'esempio di sherlock holmes?

Il tentativo di usare modelli (e analogie) mutuati dalla fisica non è nuovo in economia. Risale quantomeno a Walras...

Esiste tutto un filone (forse era un filoncino) di letteratura più recente che spinge perchè l'economia tragga i suoi modelli dalla fisica piuttosto che dalla matematica. Il libro di Philip Mirowski: "More heat than light" ne è l'esempio piu famoso ( :-(  vedi qua .

E' stato definito, "...a major contribution to twentieth century literature in economic thought. It is destined to become a classic and must be read and reread." Southern Economic Journal...

Mi sa che anche stavolta gli economisti hanno sbagliato le previsioni...

Io lo lessi all'università perchè dal titolo mi sembrava contenesse la spiegazione del come mai nelle bollette si pagava "piu riscaldamento che luce"... Non l'ho riletto, ma devo confessare di aver letto un suo antesignano scritto da tale Prof Palomba di Napoli che inanellava tutta una serie di spiegazioni su come la fisica, in particolare alcuni modelli, servisse a illuminare le varie teorie economiche... Ora ho letto questo post e chissà perchè mi sono ritornati alla mente queste due pubblicazioni lette un ventennio fa...

o almeno quelli che scrivono sui giornali a grandi tirature, visto che presentano sempre facili e sicure ricette per prevenire la prossima crisi e risolvere la situazione della Grecia/Sub-Prime/Italia etc.

... tempo fa avevo segnalato questo libro in Biblioteka. 
Dove si parla anche di aspettative razionali.

".. tempo fa avevo segnalato questo libro in Biblioteka. Dove si parla anche di aspettative razionali."

L'ho letto distrattamente qualche anno fa, però mi sembrava non fosse malaccio.

Esiste sull'argomento anche questo (che però non mi sono ancora avventurato a leggere)

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La mia impressione è la seguente: l’autore tratta il problema della “previsione delle crisi” più o meno come se si discutesse di fare previsioni sull’esito di una mano di poker… ne deduco che stia riferendosi essenzialmente alla possibilità di stabilire con elevata precisione ed in anticipo i crolli borsistici (una forma estesa di poker) o cose simili, cioè che il suo interesse sia la predeterminazione delle grosse fluttuazioni finanziarie (fluttuazione borsistica = “crisi”)<o:p>&lt;/o:p&gt;</o:p>

Con questa limitazione il suo discorso mi pare sensato.<o:p></o:p>

Eviterei però di definirlo un discorso sull’ “ECONOMIA” a meno che non si voglia ridurre alquanto il significato di tale vocabolo.<o:p></o:p>

Trovo il pezzo assolutamente fantastico. Qualsiasi fisico o matematico che avesse intenzione di lavorare in finanza dovrebbe leggerlo per capire di cosa si parla. Concordo coi vari Michele, Alberto, Andrea e Giulio (ho dimenticato qualcuno?) che le polemiche dei fisici nei commenti (incluse quelle in buona fede, s'intende) non colgono il punto. Suggerirei di rileggere il pezzo facendo uno sforzo d'umiltà - che per inciso sto provando a fare da anni - perché ne vale davvero la pena. 

Nell'ottobre del 2009 NfA ha pubblicato un pezzo nel quale si sosteneva, sulla base dei dati sulla crescita del PIL, che la Grecia aveva ormai sorpassato l'Italia. Questo sorpasso non sembrava coerente con la mia esperienza diretta e pertanto ho scritto il commento che segue.

3/10/2009

Mi fa molto piacere che il visibile grande progresso della Grecia negli ultimi 40 anni sia documentabile attraverso la crescita del PIL. E' un paese al quale sono legato affettivamente quasi quanto sono legato all'Italia e perfino di più di quanto mi senta legato agli SU. Tuttavia mi sembra che non si possa parlare propriamente di sorpasso della Grecia sull'Italia. Forse semplicemente perché la Grecia è un paese troppo piccolo per essere paragonato all'Italia. Ecco comunque alcuni sintomi che mi rendono difficile credere ad un "sorpasso": la prima vera autostrada greca (la via Egnatia) è stata inaugurata meno di un anno fa, ma è così poco frequentata che c'è difficoltà a piazzarvi delle stazioni di rifornimento e rifocillamento adeguate, si teme che non abbiano sufficienti clienti. Manca totalmente una rete ferroviaria decente. Il sistema di esazione delle imposte sembra talmente primitivo da far supporre una evasione generalizzata e tollerata. Ad esempio i contributi EKA (l'INPS greca) agli operai edili si pagano a forfait, e non nominativamente, sulla base, dei lavori conseguenti ad una licenza edilizia; per le compravendite  immobiliari il compratore deve giustificare la provenienza dei soldi (sono sempre bene accetti is soldi di cui si documenta la provenienza estera) e il venditore deve esibile un certificato fiscale che dimostra che non ha pendenze con il fisco. Trionfa il lavoro nero, specialmente degli albanesi. Si regola tutto abitualmente in contanti (letteralmente mazzi di banconote). Gli operai vengono pagati (in nero) a giornata, con una "giornata" diversa per gli uomini e per le donne. D'altra parte i luoghi di villeggiatura sono sempre più pieni di villeggianti greci, di cui non vi era traccia solo venti anni fa, un ovvio sintomo di crescita economica, crescono pure i turisti greci all'estero. Che dire poi del sistema universitario? Nelle mie discipline l'esodo dei cervelli greci è assolutamente generalizzato, nessun confronto con il modesto e recente fenomeno italiano (nella mia disciplina), anche perché i migliori laureati vanno a studiare all'estero per il PhD ed il sistema di reclutamento, basato sulle file di attesa rende difficile il ritorno dei migliori (o di coloro che non ritengono di dover prendere l'ultimo posto della fila). Aggiungo che si dice comunemente che i medici del sistema sanitario pubblico accettano apertamente regali in contanti per prestazioni dovute. Naturalmente tutte queste sono mie impressioni, basate in parte su chiacchiere e lamentele dei greci (che su questo non sono da meno degli italiani). Non direi che queste osservazioni possono contraddire i dati sul PIL. Piuttosto mi fanno dubitare che i dati del PIL forniscano un confronto significativo tra paesi di così diverse dimensioni.

 (fine del commento del 2009)

Non era la diversa dimensione dei due paesi che rendeva poco significativo il conftonto tra Italia e Grecia, ma piuttosto l'inaffidabilità dei dati del PIL greco.

Ma quante volte i poveri economisti si trovano a disporre solo di dati mal raccolti e/o falsificati? (così erano ad esempio i dati sulla mortalità, e in genere sulla salute,  in Unione Sovietica).

Avevi ragione tu, Alessandro, non c'e' dubbio. Ho cercato in fretta perche'  il nuovo formato ha reso molto complicato muoversi seguendo le date degli articoli pero' ho trovato questo, di Andrea Moro, del novembre 2009, in cui la Grecia e' ancora sotto all'Italia. 


Mi dai il link? 

No problem, trovato.  Si', ironico effettivamente anche se, quasi tre anni dopo, il paragono con il Sud vale paradossalmente ancora e nonostante l'immane casino in cui i greci son riusciti ad infilarsi in questi tre anni. Istruttiva l'intera discussione, con l'aggiunta del 2010 quando la crisi del debito era scoppiata e la falsita' dei dati rivelata. Quelli che avevano visto giusto, ossia che la Grecia avrebbe generato un casino infernale non tanto per la sua grandezza quanto perche' avrebbe preso tutti in giro, sono stati Antonio Mele e Giorgio Gilestro. Io ero fra gli scioccamente ottimisti convinti che i greci avrebbero fatto il loro dovere e tedeschi e francesi ci avrebbero messo i soldi. 

Oltre al principio di indeterminazione, che riassumendo afferma che la nostra azione influisce sulla realtà, cambiandola, e quindi sulla nosta stessa previsione, ci sono altri motivi che rendono imprevedibili certi avvenimenti.

Prima di affrontarli, approfittando dell'influenza e della febbre che mi tengono a casa, direi che la previsione delle crisi è solo un aspetto del piu' generale problema di previsione. Vorremmo prevedere le crisi perché sono momenti in cui rapidamente si possono perdere molti investimenti, ma naturalmente è anche importante saper prevedere le cose quando vanno bene. I momenti "non di crisi" sono di solito periodi molto piu' lunghi e quando le cose vanno bene direi che sostanzialmente le previsioni fatte rispecchiano la realtà. Quindi è implicito che quando le cose procedono normalmente, le capacità di previsione di economisti, analisti o semplici attori del mercato non sono messe in discussione.

Perché invece le crisi sono imprevedibili? Per me per quattro motivi.

Due interni e due esterni al mercato. Se poi ne esistono altri, ben vengano.

  1. 1) Se la crisi è dovuta ad una grossa innovazione tecnologica che sposta rapidamente risorse da settori ora obsoleti (e prima floridi) verso nuove attività, essa non è assolutamente prevedibile proprio perché l'innovazione stessa è imprevedibile. Non possiamo sapere cosa verrà inventato tra 6 mesi. Queste crisi pero' sono abbastanza lente nello svilupparsi (prendiamo per esempio i computer, la rete e la fotografia digitale).

  2. 2) Se la crisi è legata a bolle, che prima o poi scoppiano, prevedere l'esatto momento in cui scoppieranno non è facile, perché ci sono milioni di informazioni che potrebbero effetto scatenante non lo sono. Prima o poi tuttavia una serie di notizie accumulate e di fatti già avvenuti ci forniranno i motivi ex-post dello scoppio. Qui tra l'altro il termine "bolla" ci mette ancora in analogia con la fisica (e lo studio delle tensioni superficiali delle bolle di sapone) ed è veramente difficile prevedere quando scoppieranno le 100 bolle che abbiamo appena prodotto con il classico giocattolino. E se cerchiamo di interagire per scoprirlo, facile che la bolla scoppi appena la tocchiamo.

  3. 3) Se la crisi è dovuta a cause esterne al mercato (un buon esempio puo' essere 11/9) è ovvio che il momento esatto non puo' essere previsto. Come fai a prevedere che da un giorno all'altro crollano le azioni delle compagnie aeree e delle società di assicurazione e riassicurazione. Poi un evento esterno come 11/9 puo' essere la causa che fa scoppiare bolle che erano pronte a farlo da li' a qualche mese.

  4. 4) Ultimo fattore, esterno, assolutamente imprevedibile è la politica. La quale, in nome del noto "primato della politica" decide spesso alla cinofallica cose che turbano il mercato, mettendolo in una posizione di crisi. E anche perché i debiti sovrani sono un peso enorme nel mercato e perché se cambia velocemente la valutazione del rischio connesso ad alcuni debiti pubblici, la crisi è inevitabile e inarrestabile. Mi sembra, corregetemi se sbaglio, che in base alle precedenti versioni degli accordi di Basilea i debiti sovrani erano praticamente risk free e non servivano particolari accantonamenti, da parte delle banche. Oggi invece se capisco bene con Basilea III le cose sono cambiate (l'accantonamento è in base al rating?) e non dovrebbe stupire se di colpo il debito di certi stati vale meno della classica pizza di fango del Camerun.

Chiaro che poi se una cosa pur  non prevedibile, può essere però "annunciata" ma l'esatta prevevisione ricade nel principio già ricordato da david k. levine . Se prevedo e annuncio che la crisi ci sarà il 28, il crollo avverrà prima (se gli attori ritengono la previsione credibile) ma credo che potrei essere denunciato per "turbativa di mercato", perché ho causato il crollo ed ho pure sbagliato la data. 

In the article I do not reason by metaphor or by analogy: I explain the economic reason why the interaction between the analyst and the analyzed leads to rational expectations theory. Whether the stochastic nature of quantum mechanics is due to the observer collapsing the wave function as physicists once thought, or if it is because the Hamiltonian does not commute - if that is what they think now - is entirely besides the point.

Many of the comments have the form "You argue correctly that economists should be criticized for X. But my complaint is Y" where Y is the commentators pet peeve about economics. It is true I don't discuss every possible criticism of economics, so I can only reply to those comments: since you agree with me that economists should not be criticized for X I have done my job.

One particular pet peeve Y that is worth discussing is that economists did not correctly predict the depth of the crisis. That is true. Unfortunately several things went wrong at once. A nuclear engineer can say "if there is a tsunami and an asteroid hits at the same time it would be really bad" but nobody expects him to predict that both will happen at the same time. Similarly economists have long said that if several negative shocks happen at once it will be bad - but neither could we easily foresee that several would happen at once.

One of the bad things that happened is that oil production has proven expensive to increase in the face of increased demand, raising prices by a factor of three. Of course some people will say that they warned us about "peak oil" and that they knew that this was going to happen. Unfortunately these are the same people that have been incorrectly warning us that oil would "peak" every year for the last three decades.

One consequence of the other bad things that happened is that it impossible for some borrowers to repay their debts. Unfortunately governments in the United States and Europe elected to follow the failed Japanese model of papering over the problem rather than the successful Chilean/Swedish model of acting decisively to allocate the losses. This has paralyzed the financial sector and has led to a deeper and more prolonged crisis than if sensible policies had been followed. As pretty much all economists warned about the danger of papering over the problem please write to your elected representatives to complain and not to me.

scusate le imprecisioni, non ho molto tempo

Nell'articolo non ragione per metafora o analogia: spiego le ragioni economiche per cui l'interazione fra l'analista e l'analizzato conducono alla teoria delle aspettative razionali. Se la natura stocastica della meccanica quantistica sia dvouta all'osservatore che collassa la wave function come una volta pensavano i fisici, o se sia perche' l'hamiltoniano non commuta, se e' quello che pensano ora, non c'entra granche'.

Molti dei commenti sono nella forma "tu argomenti correttamente che gli economisti debbano essere criticati per X. Ma la mia lamentela e' Y", dove Y e' la lamentela personale del commentatore riguardo l'economia. E' vero che non discuto ogni possibile critica all'economia, quindi posso solo replicare a quei commenti quanto segue: poiche' sei d'accordo con me che l'economia non puo' essere criticata per X, ho svolto adeguatamente il mio lavoro. 

Una particolare lamentela personale Y che merita discussione e' che l'economia non ha previsto correttamente la profondita' della crisi. E' vero. Sfortunatamete, molte cose non sono andate per il verso giusto contemporanemente. Un ingegnere nucleare puo' dire "se c'e' uno tsunami e un asteroide colpise allo stesso tempo, le cose andranno veramente male", ma nessuno si aspetta che possa predire che i due eventi avverranno contemporaneamente. 

Una delle cose che sono andate male e' che la produzione di petrolio si e' rivelata costosa da aumentare di fronte all'aumento della domanda, triplicandone i prezzi. Naturalmente qualcuno puo' dire che ci avvertirono di un "picco del petrolio" e che sapevano che questo sarebbe successo. Sfortunatamente, sono le stesse persone che ci avvertirono che il picco del petrolio sarebbe arrivato ogni anno negli ultimi trent'anni.

Una delle conseguense delle altre cose che sono andate male e' che e' impossibile per alcuni debitori ripagare i loro debiti. Sfortunatamente, i governi europei e degli Stati Uniti hanno scelto di seguire il modello fallimentare giapponese di stampare carta sul  problema piuttosto che il modello cileno/svedese di agire con decisione per distribuire le perdite. Questo ha paralizzato il sistema finanziario e ha condotto ad una crisi piu' profonda e prolungata che se politiche coerenti fossero state seguite. Siccome praticamente tutti gli economisti hanno avvertito dei pericoli dello stampare carta sul problema, per favore lamentatevi scrivendo ai vostri rappresentanti e non a me. 

What it means practically for "the successful Chilean / Swedish model of acting decisively to allocate the losses. "?

I am genuinely interested.

Edoardo Perez

Early 1980s in Chile, early to middle 1990s in Sweden.

Banks were seriously bankrupt. They got nationalized, management was fired (in Chile someone ended even in jail), recapitalized, re-organized with splitting and merging, and then put again on the market and privatized as new clean institutions. Losses were partly borne by government (i.e. taxpayers) part by creditors and lenders to banks.

You can find plenty documents about this on the web.  

Here is the Swedish case.

Tutto dipende da quanto veloci sono gli agenti nell' adattare le proprie regole di comportamento. Questa e' in fondo la dividing line fra DKL e i gli economisti behavioural .

Nel secondo post DKL evidenzia questo punto chiaramente e fa l'esempio, quello di 9/11, che lui ritiene il piu' convincente per dimostrare la propria tesi che gli agenti si adattano in fretta. Un economista behavioural invece noterebbe che in migliaia di anni non siamo riusciti a superare le limitazioni cognitive che ci fanno commettere errori sistematici nelle deduzioni logiche, nel calcolo delle probabilita', nella valutazione degli obiettivi, eccetera. (Una recente casistica di queste limitazioni cognitive e' in Kahneman, "Thinking: Fast and Slow", uno showstopper o un doorstopper a seconda di come la si vede...). Per questo sarebbe piu' ottimista sull' efficacia di politiche economiche che prendono queste limitazioni cognitive come date, anche se magari fra un centinaio di migliaia di anni saranno superate.

Una domanda che mi pongo e': se e' giusto assumere che gli agenti dei modelli economici capiscono (eventually) il modello stesso, dobbiamo assumere che le indicazioni di politica economica di Paul Krugman, che come tutti gli altri capisce il modello, sono valide?

Nel secondo post DKL evidenzia questo punto chiaramente e fa l'esempio, quello di 9/11, che lui ritiene il piu' convincente per dimostrare la propria tesi che gli agenti si adattano in fretta. Un economista behavioural invece noterebbe che in migliaia di anni non siamo riusciti a superare le limitazioni cognitive che ci fanno commettere errori sistematici nelle deduzioni logiche, nel calcolo delle probabilita', nella valutazione degli obiettivi, eccetera.

Mi sembrano due cose diverse. Per motivi abbastanza ovvi di selezione naturale possiamo essere molto veloci ad imparare da una crisi improvvisa (11/9) e molto piu' lenti nel superare le citate limitazioni cognitive, perché limitazioni a parte ci hanno comunque permesso di arrivare all'oggi. Evidentemente quelle limitazioni hanno pregi su altri fronti, anche se a caldo non saprei dire quali.

.. ho imparato a tacere quando le questioni sul tavolo erano fuori dalla mia portata. Ho l'impressione che molti (autorevoli, per carità) commentatori abbiano fatto un pò di casini e non abbiano centrato il vaso. Lo dico così, a naso.

Personalmente non seguo le evoluzioni della teoria economica, ne sono fuori dai tempi della laurea, ma faccio un mio riassunto di quel che ho capito:

1. Le teorie NON basate sulle aspettative razionali sono sbagliate. (fuori 1)

2. La teoria sulle aspettative razionali è corretta, ma i comportamenti dei soggetti economici mutano molto rapidamente, più rapidamente di quanto ci si attenda in alcuni modelli. (fuori 2).

3. I politici hanno usato l'economia comportamentale per fare quello che hanno sempre fatto: i fatti loro, senza pagar dazio (fuori 3).

Tutto il resto me lo evito, e non ho mai letto "Gödel, Escher, Bach " di un tipo che doveva aver mangiato troppi wurstel.