Un esempio relativamente semplice può essere utile per illustrare il rapporto tra le aspettative razionali e il principio di indeterminazione. Nel racconto di Conan Doyle intitolato “L'ultima avventura” e scritto nel 1893, Sherlock Holmes è incalzato dal geniale e malvagio professor Mariarty: se riesce a scappare fino in Francia vince la scommessa, mentre la perde se viene raggiunto dal suo nemico. Il finale vede Holmes su un treno diretto verso Dover e Moriarty all'inseguimento su un altro treno, con unica fermata intermedia Canterbury. Se entrambi scendono alla stessa fermata, Moriarty raggiunge Holmes e quindi si aggiudica la sfida. Viceversa, la vittoria va ad Holmes.
Ora: nonostante la notoria arguzia di Holmes e l'intelligenza di Moriarty, il loro creatore Conan Doyle non aveva colto il funzionamento delle aspettative razionali – nella storia, Holmes ipotizza che Moriarty pensi che lui andrà a Dover, quindi scende a Canterbury, mentre Moriarty continua verso Dover e perde la scommessa. Ma per quale motivo il genio matematico Moriarty non dovrebbe comportarsi come Holmes, prevedendo il suo comportamento, e quindi scendendo a sua volta a Canterbury? E perché Holmes non prevede a sua volta questa mossa, scendendo a Dover?
Nonostante sia possibile ripetere questo ragionamento, ricorsivamente, all'infinito, esiste un equilibrio secondo le aspettative razionali – richiede però che i giocatori formulino ipotesi probabilistiche e non deterministiche. Se ciascuno crede che l'altro abbia una chance pari al 50% di scendere a Canterbury o Dover, allora i due giocatori hanno uguali chances di vincere la partita indipendentemente da quel che fanno – e finiranno per decidere a caso, ad esempio lanciando una monetina.
Ho iniziato l'articolo citando Kennedy. La frase in apertura ha ispirato un libro del noto politologo Graham Allison, intitolato “L'essenza della Decisione” - un libro pesantemente critico della teoria della scelta razionale. Ironicamente, è proprio nell'essenza della decisione razionale che la scelta più profonda rimanga sconosciuta e impenetrabile – anche, appunto, allo stesso decisore.
Nessuno che io conosca dubita della possibilità di ingannare un numero limitato di individui per un periodo limitato di tempo: se si mettono in pratica regolamenti e politiche complessi e difficili da interpretare, serve a poco agitare lo striscione con scritto “aspettative razionali”, nell'attesa che ciascuno risponda nel modo più appropriato – all'istante.
Anche qualora si accetti l'idea che gli individui aggiustino razionalmente il loro comportamento, in accordo al loro graduale miglioramento nella comprensione della realtà, invece di ripetere gli stessi errori volta per volta, ha senso chiedersi quanto velocemente ciò accada. In esperimenti di laboratorio si possono richiedere 10, 50 o anche 500 ripetizioni prima che un equilibrio da aspettative razionali sia raggiunto. Quanto tempo ci vorrà nel mondo reale, che è immensamente più complesso? Anni? Decenni? In pratica, l'aggiustamento può essere sorprendentemente più veloce di quanto sia lecito aspettarsi. Un esempio illuminante è offerto dagli episodi successivi agli attentati dell'undici Settembre 2001.
Se nel decennio 1988-1987 si sono verificati, più o meno, 18 sequestri aerei per anno, la grande maggioranza si è conclusa senza danni significativi a cose e persone, e l'esperienza raccolta andava nella direzione di far ritenere che tempi di sequestro più lunghi corrispondessero a maggiori chances di un finale pacifico. Come conseguenza di ciò, razionalmente, piloti e assistenti di volo furono addestrati secondo una strategia precisa, che richiedeva l'accoglimento delle richieste dei sequestratori, un atterraggio sicuro appena possibile, e un intervento delle forze di sicurezza. Ai passeggeri era consigliato di rimanere seduti e in silenzio, consiglio esteso anche al personale di volo: in nessun caso era consigliato esporre gli altri a rischi agendo da “eroi”. Si è trattato, dopotutto, di una strategia ben congegnata, razionale, e di successo , almeno stando a decenni di esperienza consolidata.
La realtà cambiò bruscamente l'11 Settembre del 2001, quando i sequestratori, invece di aspettare che l'aereo atterrasse per presentare le loro richieste, usarono l'aereo come strumento per attacchi suicidi su obiettivi a terra. La risposta ottimale, ovviamente, non era più la strategia passiva adottata in precedenza, ma quella di resistere ad ogni costo. Dunque, successivamente all'attacco alle Torri Gemelle, passeggeri e personale di volo – che raramente avevano reagito in precedenza – cominciarono a reagire molto meno raramente. Basta una ricerca su Google con parole chiave “passeggeri soggiogano sequestratori” per ottenere decine di risultati solo relativi all'ultimo anno.
Quanto tempo è passato prima che la regola precedente venisse messa da parte? La cronologia degli eventi è istruttiva. Alle nove meno un quarto dell'undici Settembre, 2001, il volo 93 della United Airlines decolla. Una prima notizia del cambiamento di regime si ha quattro minuti dopo, quando il volo 11 di American Airlines si schianta sulla Torre Nord del World Trade Center. Diciassette minuti dopo, il volo 175 di United Flight abbatte la Torre Sud. Venticinque minuti dopo, ormai le nove e mezza, viene sequestrato il volo 93 di United Airlines. Nove minuti ancora, e il volo 77 di American Airlines si abbatte sul lato Ovest del Pentagono. Servono solo venti minuti ancora ai passeggeri e al personale di volo del volo per cambiare modello di comportamento: alle 9.57 i sequestratori del volo 93 vengono assaliti. Il cambiamento è avvenuto dopo un'ora dalla prima novità, ed si è verificato su un aereo già in volo, e sulla base di informazioni limitate e parziali, ottenute per via telefonica. Eppure, non si è trattato di un aggiustamento da poco, ma di una reazione drammatica e pericolosa. I passeggeri hanno rischiato – e perso – la vita.
Nella nostra vita di ogni giorno, e nelle situazioni familiari e quotidiane, non è molto sorprendente pensare al nostro comportamento come razionale – e neanche economisti comportamentali e psicologi obiettano, in questo caso. Piuttosto, preferiscono concentrarsi su eventi sensazionali – come crolli del mercato azionario e traders in preda al panico – come prova empirica dell'importanza dell'irrazionalità. Eppure l'esperienza del volo 93 mostra l'opposto: una decisione attenta, deliberata e supremamente razionale è stata presa di fronte a una situazione inattesa e completamente nuova. E l'esperienza sui crolli di borsa, oltretutto, non dice granché: d'altra parte, chi può negare che quando il mercato va male, sia perfettamente razionale vendere, e alla svelta?
Ancora: è certamente vero che politiche e regolamenti complicati non saranno compresi immediatamente; d'altra parte, sembra essere una caratteristica di ogni impianto regolatorio, e di ogni agenzia a ciò preposta, di funzionare meglio all'inizio, prima che gli interessati abbiano occasione di farsi un'idea sulle falle del sistema e prima che le imprese abbiano occasione di cimentarsi nel diffuso sport della “cattura del regolatore”. Può sembrare, addirittura, che l'alternativa migliore sia mettere in pratica politiche che confondano la gente per un po'. Ma se è così, si sappia che sono destinate al fallimento. Le uniche politiche – e istituzioni – solide, ossia in grado di sopravvivere alla prova del tempo, sono quelle basate sulla aspettative razionali: cioè quelle istituzioni che, anche una volta comprese per intero, continuano a funzionare.
In conclusione, se c'è qualcosa su cui tutti gli economisti mainstream possono concordare con gli economisti comportamentali, questo è contenuto in un editoriale pubblicato nel 2010 dal New York Times, a firma di due economisti comportamentali:
Man mano che i politici la utilizzano per sviluppare dei progetti, diventa sempre più chiaro che all'economia comportamentale è richiesto di risolvere problemi per i quali non è stata concepita. Sembra che in alcuni casi essa sia utilizzata come un espediente politico per permettere al governo di evitare soluzioni dolorose, ma più efficaci, basate su ciò che è tradizionalmente noto in economia.
No parallel between electrons (or apples, 'cos quantum probability is NOT the point, here) and men, I'm sorry.
Beninteso, non intendo dire che Levine non conosca codesto, diverso, parere.
RR