Come noto il governo ha manifestato l'intenzione di rimborsare i piccoli risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate delle quattro banche oggetto degli interventi del 22 novembre 2015. Tali obbligazioni (alcuni sostengono) vennero vendute in modo opaco a investitori ignari di quanto acquistavano e divennero rapidamente titoli spazzatura, trasformando gli ignari investitori in vittime di una truffa. Questa del rimborso è una prima toppa, che abbiamo già commentato ampiamente in questo articolo redazionale. Nulla è mutato da allora e qui vorremmo solo insistere che, a distanza d'un mese e dopo mille dibattiti e polemiche, rimane cospicuamente assente ogni logica che giustifichi un tale intervento. Fatta salva, ovviamente, quella della politica dell'acquisto di voti o di "pace pubblica" (che e' poi la stessa cosa) attraverso l'utilizzo del pubblico denaro.
I risparmiatori che acquistarono le obbligazioni in questione forse vennero truffati o forse no. Con molta probabilità alcuni vennero truffati mentre altri si presero dei rischi allettati dall'idea che sarebbe andata loro bene perché sono furbi. Capita. Non riusciamo, ad oggi, nemmeno ad escludere che vi siano responsabilità (non penali, ma politiche: ossia aver svolto malamente il proprio ruolo) da parte di Consob e Banca d'Italia. Ma tutto questo non basta, neanche lontanamente, a rendere giustificato e logico un rimborso, fosse anche parziale, con denaro pubblico. L'Italia, come tutti i paesi, è purtroppo piena di gente che fa cattivi affari e perde ingenti somme acquistando attività reali o finanziarie. Questo succede o perché questa gente è poco cauta o perché viene truffata e ci dispiace molto (piu' per i secondi). Ma ci pare che in questi casi gli strumenti di tutela dei risparmiatori debbano essere altri. Se c'è stata una truffa allora si devono perseguire i responsabili e condannarli a risarcire il danno inflitto. Per esempio, è notizia del 3 gennaio 2016 che la Nuova Banca Etruria (la "good bank") sta per intentare azione legale contro i vecchi amministratori. Quella ci pare la strada, in uno stato di diritto. Se lo stato dovesse rimborsare tutti i truffati avremmo un serio problema di finanza pubblica. Dovremmo infatti iniziare con gli obbligaziosti subordinati delle banche fallite e poi continuare con chi è stato truffato acquistando un'auto (anche a lui il concessionario aveva detto che era un vero affare), o un appartamento sovrapprezzo all'apice della bolla immobiliare (anche a lui il costruttore e l'agente immobiliare avevano detto che non c'era alcun rischio di scoppio della bolla), eccetera, eccetera. Quantomeno, il piano di rimborso è arbitrario: perché alcuni sì e tutti gli altri no? Per quanto ci riguarda la questione "rimborsare i truffati" si esaurisce qui, il resto è solo acquisto di consenso.
Ma c'è un aspetto più sottile e ben più grave, perché sistemico, che il piano di rimborso mette in luce: la generalizzazione politica del moral hazard. Sembra che nessuno più, da alcuna parte, sia disposto ad assumersi in proprio i rischi, e le conseguenti perdite, della propria attività economica. Lo stato è, nella cultura politica e sociale diffusa, l'assicuratore di ultima istanza di tutti e per tutto, dalle banche alle imprese che chiudono, dagli obbligazionisti subordinati a quelli a cui la tromba d'aria scoperchia la casa. L'assicurazione privata (quando non vi siano esternalità che giustifichino l'assicurazione pubblica, come è ad esempio il caso dell'assicurazione contro la disoccupazione o delle vaccinazioni contro malattie infettive) ed il rischio/beneficio privato non esistono più. La toppa che il governo si appresta a mettere mediante i "rimborsi" rivela questo squarcio nel tessuto economico del paese, e non fa che peggiorarlo perché conferma l'aspettativa che lo "stato", al momento opportuno e con il sufficiente can-can mediatico, agirà da assicuratore di ultima istanza. Questo tema è ovviamente molto più complesso di quanto questo breve paragrafo possa comunicare, ma ci pare rilevantissimo notarlo qui perché è un processo in corso in tutto il mondo occidentale, non solo in Italia. L'Italia, forse, è più "avanti" di altri e, da noi, siamo già arrivati a situazioni che altrove sono considerate paradossali. Ma, se si vuole capire il ruolo che lo stato (quindi la politica) vanno assumendo in questi anni ed assumeranno nei decenni a venire, la generalizzazione politica del moral hazard è cruciale e va messa in conti. L'analogia con il processo di logrolling, come definito dalla letteratura di scienze politiche, crediamo possa essere un buon punto di partenza: siamo di fronte ad un logrolling sociale, di gruppi d'interesse che appoggiano le reciproche richieste l'uno con l'altro. Tu mi dai una mano ad avere il mio rimborso ed io ti presto la mia per ricevere il tuo, tanto paga Pantalone. Ci fermiamo qui ma varrebbe la pena ritornarci con maggiore attenzione e tempo.
C'è poi una seconda questione, e corrispondente toppa, portata a piena luce dalla vicenda delle obbligazioni subordinate. Questa ha reso chiaro che le nuove norme europee sul bail-in (piu' presisamente, la Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD) renderebbero tutti gli obbligazionisti (subordinati e non, ad eccezione di quelli garantiti) a rischio di detenzione di titoli altamente rischiosi (si rimanda al sempre ottimo Phastidio per una sintesi delle norme sul bail-in). Se il prestito obbligazionario ad una banca diventa maggiormente rischioso ne conseguirà un aumento del costo delle risorse così ottenute dalle banche. Questo implica, a sua volta, un aumento del costo del credito concesso dalle banche ai propri clienti. In quei paesi (come l'Italia) dove il sistema bancario raccoglie una quantità sostanziale di risorse "a rischio" (quindi, si noti, non i depositi assicurati, sino a 100mila euro) attraverso la vendita di obbligazioni questo effetto può essere particolarmente rilevante. Si noti che gli investitori istituzionali (per ipotesi "ben informati") che acquistano tali obbligazioni hanno probabilmente messo in conto da tempo questo aumento della rischiosità dei titoli da loro acquisiti: della direttiva si discute da tempo e che diventasse effettiva a partire da quest'anno era ben noto. Costoro, insomma, hanno già incluso il rischio addizionale nei tassi da loro richiesti e quell'aumento è già stato, nel gergo, "prezzato". Questo non è avvenuto, alcuni sostengono, laddove le obbligazioni in questione vengono collocate direttamente presso i piccoli risparmiatori, per ipotesi "non ben informati" e quindi ignari, sino a qualche settimana fa, dell'aumentata rischiosità dei titoli in cui investivano.
Per questo motivo, Luigi Guiso e Luigi Zingales hanno suggerito in un articolo apparso sul Sole 24 Ore, che il governo dovrebbe chiedere una moratoria sull'applicazione della BRRD al nostro paese. Siccome, sostengono i due colleghi, l'Italia è un caso "speciale" (perche' le obbligazioni bancarie da noi sono state vendute primariamente ai piccoli risparmiatori) rispetto al resto dell'Europa (dove le obbligazioni bancarie sono detenute primariamente da grandi investitori istituzionali) allora diventa ragionevole, anzi doveroso, richiedere per il nostro paese un trattamento speciale. Per qualche anno la direttiva sul bail-in non dovrebbe applicarsi all'Italia o dovrebbe applicarsi in maniera parziale. Se si applicassero subito le nuove regole europee, sostengono Guiso e Zingales, il costo del credito bancario in Italia aumenterebbe in modo fatale per la debole ripresa perché nessun piccolo risparmiatore acquisterebbe più obbligazioni e quindi le banche italiane avrebbero difficoltà di approvvigionamento. Questa moratoria temporanea delle regole europee è una seconda toppa che si suggerisce al governo di applicare. Sia Guiso che Zingales hanno scritto, in passato, cose interessanti sul sistema bancario, italiano e non, ma in questo specifico caso facciamo molta fatica a concordare con loro, per due ordini di ragioni.
Esistono, anzitutto, due aspetti di illogicità (o di assunzioni implicite che non cogliamo) nel legame "mezzi-fini" della proposta in questione.
- Se il rischio che si vuole evitare è quello di un rapido aumento dei costi del credito allora è necessario assumere che anche i risparmiatori italiani siano attenti abbastanza alle conseguenze della BRRD e si apprestino a chiedere (o abbiano, più probabilmente, già chiesto) maggiori interessi sulle obbligazioni che acquistano. Questo implica che non sono così ingenui come si assume e la "speciale" condizione italiana viene a cadere: chi investe in obbligazioni bancarie in Italia non è meno sveglio di chi lo fa nel resto d'Europa.
- Se l'aumento del costo del credito italiano deriva da un problema strutturale di fonti di approvvigionamento delle banche italiane, in qual modo un periodo di transizione potrebbe risolverlo? Delle due l’una: o i piccoli risparmiatori non sono abbastanza sofisticati da rendersi conto dei rischi, come sembrano ritenere Guiso e Zingales – e allora si ritorna a quanto detto al punto 1. Oppure lo sono, e quindi chiederanno un tasso di interesse maggiore e/o utilizzeranno il periodo di transizione per riallocare il proprio portafoglio verso impieghi più sicuri. Sicuramente gli investitori istituzionali sono sofisticati (dopo tutto, son gli stessi che investono nel resto d'Europa) e quindi chiederanno comunque tassi di interesse più alti. Perché mai dovrebbero accontentarsi, loro che il rischio lo capiscono, dei più bassi tassi che i piccoli risparmiatori prima accettavano, in quanto inconsapevoli, ma che ora, pienamente coscienti del rischio, non sono più disposti ad accettare? Certo, attraverso la moratoria abbiamo forse permesso ai piccoli risparmiatori italiani di mettersi al sicuro (se è questo il fine della proposta, esso non ci sembra dichiarato) però il problema per il costo del credito resta tale e quale: le banche devono fare roll-over dei debiti obbligazionari (se avessero a disposizione altre fonti, infatti, le avrebbero già usate) e quindi siamo punto ed a capo.
Vi sono poi due osservazioni più di fondo, sostanzialmente politiche e strategiche.
Primo, le regole sul bail-in sono già state sottoscritte e sono appena (1 gennaio 2016) entrate in vigore. È molto difficile pensare di poterle rinegoziare adesso, dopo anni di discussione: oltre al danno di immagine e credibilità che ne deriverebbe per il governo italiano c'è un problema pratico legato al fatto che un processo di rinegoziazione di questo tipo può durare mesi se non anni. Anche qui c'è un aspetto sistemico, che in questo caso è il rapporto schizofrenico delle elite italiane, anche le meglio intenzionate, con l'Europa e le sue regole. Davvero vogliamo insistere su questa strada? Che noi in Europa ci "siamo" e vogliamo "contare come i tedeschi", però ogni qual volta dobbiamo adeguarci alle regole comunemente decise, siano esse le quote latte o il bail-in, chiediamo agli altri di concederci una moratoria perche' siamo un caso speciale?
Secondo, ma non meno importante, viene l'aspetto concorrenza. Da anni, anzi decenni, si insiste sulla centralità di un mercato bancario europeo il quale, fra le altre, ha una condizione necessaria: che le banche europee operino in ogni paese su un piede di parità, senza distinzione fra banche "nazionali" ed "estere". Bene: se è vero che negli altri paesi le implicazioni della BRRD sono già state assimilate e quelle banche non devono affrontare la subitanea crescita nel costo del credito che, suppostamente, le banche italiane dovrebbero affrontare, e se questo si deve ad un vantaggio strutturale delle banche non italiane sulle italiane, cosa c'è di male nel lasciare che la concorrenza faccia il proprio corso e le strutturalmente inefficienti banche italiane vengano disciplinate da quelle estere pronte ad offrire anche ai loro clienti italiani credito a condizioni migliori? Insomma, cosa c'è di male a risolvere il problema (ammesso e non concesso che un problema esista) favorendo l'entrata delle banche estere nel mercato italiano, con riduzione dei costi del credito per imprese e famiglie italiane? Qualche, inefficiente, banca italiana dovrà ridimensionarsi, chiudere, farsi acquistare o ricapitalizzarsi. Qualche "azionista strategico", magari qualche fondazione bancaria, dovrà mettersela via e perdere parte del potere che esercita sul sistema economico italiano attraverso il suo controllo del sistema creditizio. Cosa c'è di male in tutto questo? Niente, noi crediamo, anzi sarebbe una spinta al cambiamento dell'altamente inefficiente sistema di governance delle banche italiane, che in tutto questo ci pare il problema di fondo. Per ricordarsene, rimandiamo al riassunto del convegno sulle fondazioni bancarie organizzato da nFA a Firenze tre anni fa.
Una ragione spesso addotta per giustificare interventi così pesanti (rimborsare alcuni che hanno perso denaro privato con denaro pubblico mediante decreti ad-hoc, rinegoziare regole europee concordate da tempo senza altra buona ragione dal solito "siamo diversi e speciali e ci siamo anche svegliati in ritardo") è la necessità di scongiurare il panico nei mercati finanziari e quindi la possibilità di "crisi finanziaria", "contagio", e fenomeni simili, che possiamo ricondurre in ultima istanza ad una "corsa agli sportelli" (bank run) dalle imprevedibili conseguenze. In realtà a noi pare che le regole europee sul bail-in siano buone regole che mirano esattamente a rimuovere uno dei fondamenti chiave del fenomeno dei runs. Come ripete da anni John Cochrane, il sistema finanziario si isola dai runs rendendo tutti coloro che prestano denaro alle banche (ad eccezione dei depositanti ordinari, naturalmente, i quali infatti già godono di un'assicurazione sino a 100mila euro) responsabili in solido: se le cose vanno male, porteranno a casa una perdita, ma portano a casa anche un rendimento atteso corrispondentemente più alto a causa del maggior rischio (sempre che non vengano truffati, nel qual caso vale quanto detto all'inizio di questo articolo). In ogni caso, non potranno far collassare il sistema bancario correndo in banca a riprendersi i propri soldi. Questo è esattamente quello che succede nel caso del bail-in che la BRRD ha reso effettivo da tre giorni. A noi sembra un gran passo avanti. Tardivo ma avanti: perché mai dovremmo ritardarlo ulteriormente?
La richiesta di rimborso da parte degli investitori si porta dietro un aspetto in più rispetto a quanto giustamente detto, ed è il fatto che in Italia i responsabili non pagano mai per le proprie colpe.
L'approccio, che rimane ancora quello del paese feudale, in cui il signorotto concede "grazia sua" una briciola del suo (denaro, potere o altro), fa sì che l'acquisto di azioni e/o obbligazioni sia fatto con lo stesso spirito di acquisto dei titoli di stato: compra perché io ti permetto di accedere a qualcosa di privilegiato.
Se ci fosse stato (o ci fosse nel breve) una azione di responsabilità sorretta politicamente, il rimborso avrebbe il solo scopo elettoral-mammone sopra descritto.
In mancanza, al servo della gleba non rimane che rivolgersi al principe sperando nella sua bontà.
Perche' i responsabili paghino le proprie colpe e' NECESSARIO (non sufficiente) che i "truffati" compiano i seguenti atti, individuali
1) Denuncino di essere stati truffati. Sia chiaro che per denunciare occorre individuare il o i responsabili, con nome, cognome ed indirizzo. E denunciarli per davvero, non a chiacchiere.
2) Provare la truffa.
Facciano questo, poi vediamo. Qualsiasi altro comportamento, letteralmente qualsiasi altro, prova che si e' servi della gleba dentro, anzitutto. E che come tali ci si pone di fronte al signore. Inutile lamentarsi, poi, se il signore agisca come tale.