Un appello per l'università

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In riferimento alla proposta di legge sulla riforma dell'università, giaampiamente discussa su questo sito, segnaliamo un appello che ci sembra meritevole di ampia diffusione. La lista dei firmatari la potete trovare all'indirizzo http://www.meritonella133.tk/ e le adesioni vanno inviate via email all'indirizzo adesioni@meritonella133.tkindicando: nome e cognome, posizione ricoperta, dipartimento e università o istituto di ricerca.

Una università più meritocratica


La recente approvazione dellalegge n.133, 6 Agosto 2008, ha riportato l'attenzione del Paese sullo stato dell'Università. Da molti anni esiste un consenso internazionale sul fatto che l'Università italiana soffra di vari e gravi mali che ne impediscono un corretto funzionamento. Le insufficienze sono forse più platealmente evidenti nel campo della ricerca, ma anche sul versante della didattica vi sono evidenti problemi riguardo al numero di fuoricorso, al ridotto numero di laureati rispetto agli iscritti, all'inadeguatezza della formazione universitaria per il mercato del lavoro. In ambito internazionale esiste anche un diffuso consenso secondo cui gran parte di questi mali troverebbe soluzione se si adottasse un sistema di merito che premi le università virtuose ed emargini quelle mediocri. Qualifichiamo come "internazionale" la natura del consenso perché fuori d'Italia nessuno dubita che tale sia il problema, mentre all'interno del Paese, ed all'interno del mondo universitario italiano, ancora poche sono le voci francamente critiche, mentre ancora troppi sono coloro che sostengono che tutto va bene o che i pochi problemi derivano soltanto da scarsità di risorse. Negli ultimi quattro mesi ci hanno rinfrancato le frequenti dichiarazioni in cui il ministro Gelmini affermava di essere consapevole dell'importanza di una riforma meritocratica del settore.


Il contenuto effettivo della legge 133, per la parte che attiene al settore universitario, ci ha purtroppo delusi. Nonostante le buone intenzioni, trattasi di un'occasione perduta che, di fatto, potrebbe danneggiare ulteriormente il sistema universitario. Nella parte che qui interessa, la legge 133 prevede: (1) la limitazione del turnover al 20% dei pensionamenti, con proporzionale riduzione del finanziamento ordinario; (2) la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni senza scopo di lucro per raccogliere finanziamenti e donazioni dei privati.


Non discutiamo qui se sia appropriato, da un punto di vista macroeconomico e di politica di bilancio, ridurre i fondi destinati all'università e alla ricerca per sé, ma dubitiamo fortemente che si tratti di una buona idea. Assumiamo, quindi, la necessità di tagliare i fondi universitari purché questo sia fatto razionalmente, nell'interesse del Paese. La creazione di fondazioni è invece un'operazione che trova il nostro consenso in quanto permetterebbe alle università italiane di raggiungere quell'autonomia patrimoniale, operativa e didattica che tanto loro manca e che è il presupposto necessario alla valutazione dei risultati in sede di assegnazione di risorse pubbliche. Ma queste riforme vanno fatte bene, la qual cosa questa legge non fa.


Non lo fa perché il potenziale meritocratico insito nella trasformazione in fondazioni viene fortemente ridotto, se non totalmente eliminato, laddove la legge 133 (art. 16, comma 9) indica che i fondi pubblici verranno utilizzati per "perequare" (ossia, bilanciare) i fondi privati: ai più meritevoli, in grado di raccogliere finanziamenti privati, arriveranno meno finanziamenti pubblici che fluiranno quindi, in maggiore quantità, ai meno meritevoli. Questo è l'opposto della meritocrazia tante volte invocata: in molti Paesi vige il principio esattamente opposto al comma 9, in base al quale lo Stato premia le università in proporzione ai fondi privati da esse raccolti, anziché punirle, fornendo oltre al finanziamento ordinario specifici fondi aggiuntivi (matching grants, con espressione inglese). In questo modo lo Stato concorrerebbe a premiare i meritevoli e punire i fannulloni, come contiamo il ministro Gelmini e l'intero Governo intendano fare. Consigliamo pertanto di eliminare l'anti-meritocratico criterio "perequativo" dal testo di legge e dalle finalità del finanziamento pubblico per l'università e di adottare il sistema dei matching grants.


Ulteriori passi avanti si potrebbero compiere ampliando sia l'autonomia gestionale che le responsabilità degli atenei, una volta costituiti in fondazioni: (1) commisurando i finanziamenti statali alla produzione scientifica e ai risultati didattici in termini di numero e qualità dei laureati; (2) consentendo agli atenei maggiore autonomia contrattuale in materia di reclutamento dei docenti in modo tale da accedere al mercato del lavoro accademico internazionale mediante rapporti di tipo privatistico; (3) concedendo l'opportunità di fissare le tasse di iscrizione anche oltre l'attuale limite del 20% sul totale dei fondi spesi.


I tagli al finanziamento dell'Università potrebbero diventare, nonostante la scarsa lungimiranza che li sottende, uno strumento per introdurre la meritocrazia: basta farli adeguatamente. Chiediamo, dunque, che i tagli di spesa siano accompagnati ora e subito da una seria riforma meritocratica. Chiediamo che le università italiane, i dipartimenti, i docenti e i ricercatori possano ricevere fondi dallo Stato solo a fronte di una periodica, imparziale e trasparente valutazione effettuata dalla comunità scientifica internazionale, come già accade nel resto delle istituzioni accademiche del mondo avanzato. In Italia, è necessario compiere tale esame in maniera generalizzata. Sulla base dei risultati si potranno poi allocare in modo equamente meritocratico i tagli desiderati, oltre che i premi di ricerca.


In particolare, è opinione comune tra politici e commentatori che in mezzo ad un malcostume dilagante di nepotismi ed incompetenze, l'università italiana conosca ancora alcuni focolai di eccellenza che ne tengono alto il nome nel mondo con ricerche all'avanguardia ed altrettanto notevole insegnamento. Tali focolai d'eccellenza vanno alimentati e premiati. Chiediamo quindi che queste realtà vengano chiaramente identificate dalla comunità scientifica internazionale con i criteri obiettivi e trasparenti del peer reviewing condotto da scienziati esterni al sistema italiano.


L'attuale riforma punisce senza distinzioni tutto il mondo accademico italiano e questo non è né utile né saggio, aggravando situazioni già compromessei ricercatori seriamente motivati. Nessun criterio meritocratico viene introdotto, nessun trasferimento di risorse da chi non fa a chi fa viene attuato o anche solo incentivato. La legge 133 prescrive di qui al 2013 una riduzione del 13% del finanziamento ordinario all'università senza però intervenire al suo interno e prefigurando quindi un sistema identico al precedente, con tutti i suoi difetti e le sue distorsioni, solo rimpicciolito. Dubitiamo che questo possa essere utile al Paese. Anche se fosse vero che l'unico obiettivo consiste nel risparmiare (e ci auguriamo che non lo sia, perché ne va del futuro del Paese), allora si risparmi tagliando impietosamente laddove non si insegna, non si fa ricerca, non si produce cultura, innovazione ed educazione di qualità, lasciando che le risorse fluiscano laddove si fa l'opposto. Anzi, si creino le condizioni legislative e gli incentivi materiali perché le risorse, siano esse private o pubbliche, se ne vadano da laddove sono male utilizzate e si dirigano laddove possono essere meglio utilizzate. Questa è la meritocrazia, quando funziona e quando la si vuol fare funzionare. Chiediamo al ministro Gelmini di far seguire i fatti alle dichiarazioni in favore della meritocrazia da ella frequentemente rilasciate. Ora è il momento, ora si può fare, basta averne la volontà politica.



L'elenco dei firmatari, aggiornato periodicamente, si trova all'indirizzo http://www.meritonella133.tk/


 

 

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Commenti

Ci sono 45 commenti

OTTIMO. Se non ricordo male, l'idea era partita da Giorgio Gilestro, che quindi ringrazio particolarmente per l'iniziativa. Sono curisoso di vedere chi lo firma (in italia) :)

 

Aspettavo

da un po' un articolo a proposito della scuola pubblica ... ma visto

che l'Università sempre scuola è ...  io mi permetto brutalmente (e mi scuso) di postare qui

un appello.


Mercoledì 15/10 ho partecipato all'assemblea

organizzata dalla scuola elementare di mio figlio per "chiarire le

idee" sul Dl Gemini e tutto ciò che ci gira intorno. Ho ascoltato

attentamente i tre interventi in programma e ho cominciato seriamente a

preoccuparmi del futuro della nostra scuola pubblica. La prima domanda

da parte di noi genitori è stata "Ma cosa possiamo fare concretamente

noi genitori per aiutare?" La risposta, visto l'allarmante

disinformazione che circonda l'argomento, veniva da sé: "informate!".

Io non sono una giornalista e la divulgazione non è il mio mestiere, ma

nel mio piccolo volevo cercare di dare il mio contributo cercando un

modo per provare ad uscire da questa semplicistica comunicazione basata

sugli slogan.


Ho creato un blog, "Viva la scuola"

vivalascuolainfo.blogspot.com con l'idea che potesse essere un

mezzo per informare e anche un punto di aggregazione e e di confronto.

Ovviamente ho bisogno della collaborazione di tutti, prima di tutto per

diffondere l'indirizzo web del blog, poi proprio in modo diretto

postando commenti, le vostre opinioni, articoli (citandone le fonti) ,

foto o quant'altro si pensi sia utile alla comunità, mandando il

materiale da pubblicare all'indirizzo -mail che ho creato appositamente

vivalascuolainfo@libero.it .

Questa è un'iniziativa

mia personale che spero venga accolta positivamente da tutte le persone

che hanno a cuore il futuro dei nostri figli.



Ringrazio in anticipo tutte le persone che daranno un contributo anche solo a diffondere una piccola informazione.


Donatella D'angelo

(mamma di un bambino che frequenta la scuola elementare L. Galvani a Milano)

 

Grazie, Donatella, delle informazioni. Vorremmo occuparci di piu' anche di scuola primaria e secondaria, ovviamente abbiamo un vantaggio comparato ad occuparci di universita', cercheremo di rimediare al piu' presto.

L'articolo seguente (del Manifesto) dona una chiara idea di come nessuno, tranne appunto il baronato accademico, capisca perche' sia desiderabile ridurre a zero il sistema di ammissione degli studenti e del personale all'universita' italiana. Notasi come l'idea medesima che si possa cambiare una cosa e che i mutamenti non producano soluzioni cosidette ottime, e' indicazione pressante per non cambiare assolutamente nulla.

Il genio assoluto del baronato accademico italiano e' mantenere lo status quo, andando poi a Yale in biblioteca nei casi -ahime' non troppo frequenti- in cui chiunque decida di far un qualche lavoro utile.

L'autore e' il Sig. Vecchi che ringrazio e spero non si irriti ad esser citato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'Università DISMESSA - AL LIBERO MERCATO DEI CENTRI DI ECCELLENZA

Meritocrazia, prestito d'onore, deregulation nelle assunzioni, fondazioni per gli investimenti privati. La ricetta liberista per l'università letta attraverso le pratiche culturali di resistenza negli atenei

BENEDETTO VECCHI


L'obiettivo, che fa capolino pagina dopo pagina, senza però mai essere dichiarato è la costruzione di una «università degli eccellenti», che prende il posto di quella, clientelare e sprecona, «di massa». E dunque, spazio al merito, alla concorrenza tra atenei per attrarre docenti e ricercatori di qualità, attraverso la liberalizzazione delle assunzioni. Oltre a questo, aumento delle tasse, prestito d'onore per gli studenti, valutazione della qualità delle ricerche svolte, possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni per attirare finanziamenti privati. Questo ultimo aspetto prevede una gerarchia tra le università, che dovrebbe spaziare, dai centri d'eccellenza all'equivalente italiano dei community college noti negli Stati Uniti per la bassa qualità dell'insegnamento e per essere il ripiego di chi non può permettersi, per soldi, un college degno di questo nome.
Sono questi i temi trattati nel pamphlet di Roberto Perotti L'università truccata (Einaudi, pp. 178, euro 16), che non nasconde l'ambizione di presentarsi come una feroce critica dei «baroni» e, al tempo stesso, come una proposta organica di modernizzazione dell'università italiana all'insegna di una vision aziendalista della formazione, all'interno della quale la diffusione della cultura e della conoscenza sono equiparate alla produzione di una qualsiasi merce. Elemento, quest'ultimo, che ricorre nelle reiterate esemplificazioni dell'autore, quando invita a comparare i comportamenti di un consumatore di fronte alla scelta di quale automobile acquistare a quelli di uno studente che deve decidere a quale università scriversi.
Un sistema feudale
Non è la prima volta che Roberto Perotti affronta lo «stato di salute» dell'università italiana. Alcuni anni fa, assieme a Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, aveva contribuito a stilare un Manifesto per l'università (Rizzoli editore); poi ha continuato a monitorare la formazione universitaria con contributi al sito lavoce.info e con la newsletter sui concorsi elaborata dall'«Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research» dell'Università Bocconi di Milano, polo universitario privato dove insegna dopo una docenza alla Columbia University di New York. È dunque un economista, a cui forse non dispiacerebbe la qualifica, resa nota da Giavazzi, di «liberista di sinistra». Ma non è questione di etichette, quanto di un ordine del discorso che nonostante gli insuccessi - la riforma dell'università di Letizia Moratti è state fatta in nome del libero mercato - e le critiche che ha incontrato continua a autoalimentarsi in nome di una superiorità del mercato che l'attuale crisi finanziaria sta mettendo a nudo come una ideologia poggiata oramai su una montagna di inesigibili titoli di borsa. 
C'è però nel volume di Perotti un punto forte. È quello in cui viene denunciato il potere dei baroni, che manipolano i concorsi al solo fine di mantenere inalterato il loro potere, al punto che la documentazione fornita dall'autore rappresenta il loro operato alla stessa stregua di un clan mafioso o di una lobby economica su base familiare. Ordinari e presidi che fanno vincere i concorsi a figli, figlie, mogli, fidanzate; oppure scambi di favore tra «clan universitari» al fine di consolidare la propria posizione e così partecipare al banchetto dei finanziamenti pubblici. Un repertorio di ordinario saccheggio che rendono i «baroni» il maggior centro di potere dell'università. E poco serve ricordare che la maggioranza dei ricercatori e dei docenti sono persone oneste. Il problema, semmai, è che il marchio di fabbrica impresso all'università è proprio quel sistema di potere che i baroni hanno sviluppato in questi decenni. 
I baroni, va da sé, sono stati sempre presenti nelle università italiana, condizionando l'accesso alla docenza e alla ricerca. Ma solo da pochi decenni il potere viene esercito non in nome di una «scuola di pensiero» che vuole diventare egemone, quanto per condizionare la redistribuzione del reddito e dei privilegi. Insomma, una casta come molte altre presenti in Italia. E che andrebbe smantellata, sostiene Perotti, attraverso l'abolizione dei concorsi con gli atenei che chiamano il docente che vuole e che contrattano individualmente il compenso. 
L'autore propone inoltre di introdurre anche in Italia il sistema dei peer review, cioè quel giudizio tra pari che consente la pubblicazione di articoli su prestigiose riviste internazionali. Con una omissione: la feroce critica al funzionamento delle peer review maturata nell'accademia statunitense, laddove è stata individuata un'inflazione di mediocri articoli inviati per essere pubblicati e quindi fare «titolo», una scarsa attenzione nella loro valutazione, e il fatto che la peer review serve per consolidare il flusso di finanziamenti pubblici ai centri di ricerca seppur privati e, per gli atenei scientifici, di poter sfruttare la rendita di posizione per brevetti di nessun valore. Un sistema di questo tipo significherebbe per l'Italia una novità, perché introduce per la prima volta il principio della valutazione, ma significa solo innovare il dispositivo attraverso il quale i baroni divenuti «dotti» esercitano sempre lo stesso potere. La sanzione verrebbe dal mercato: se un ateneo è ritenuto un centro di eccellenza lo rimarrà, chi non lo è proverà a diventarlo, cercando di accaparrarsi a colpi di assegni con molti zeri le «migliori menti». Ma il potere di definire la qualità spetta sempre ai «dotti», senza nessuna possibilità di dissentire.
Macerie da rimuovere
Il nodo da sciogliere per Perotti è come razionalizzare le risorse destinate all'università. Anche in questo caso, l'autore parte da un dato di fatto: l'università italiana sarà anche di massa, ma chi arriva alla laurea è spesso figlio o figlia di una famiglia «ricca». Che l'università italiana sia un'università di classe è indubbio, ma il tanto deprecato Sessantotto aveva introdotto un fattore che costituiva una vivente contraddizione: l'accesso al sapere e alla conoscenza come un diritti sociale per tutti. L'autore, che ama presentarsi come un uomo che si è fatto da solo, e vista la sua giovane età, dovrebbe forse tenere presente che le sue possibilità di andare all'università, spostarsi negli Stati Uniti sono dovute, oltre che ai suoi meriti, anche a quel principio del Sessantotto che affermava l'accesso al sapere come espressione di una piena cittadinanza. Ora Perotti sostiene che innalzando le tasse universitarie affluirebbero risorse che possono essere investite nel creare centri di eccellenza. Così come l'uso delle fondazioni, come invoca anche la collega d'università, la bocconiana e ministro Mariastella Gelmini. Le famiglie saranno bramose di pagare tasse più onerose, così come sarebbero felici gli studenti di accedere al «prestito d'onore», cioè quei debiti che possono essere estinti una volta entrati nel mercato del lavoro. Bisognerebbe chiederlo a quel signore che negli Stati Uniti innalzava un cartello, nel quale affermava che si era indebitato fino al collo e che mai avrebbe potuto pagare il prestito d'onore contratto con l'università per conseguire la laurea.
Sotto il tallone dell'impresa
L'ordine del discorso di Roberto Perotti ha due parole chiave per decifrarlo: mercato e imprese. Due realtà che godono di pessima salute. E che vanno a comporre quel puzzle con il quale si è cercato di immaginare l'università dopo la sua privatizzazione. I privati, però, non hanno quasi mai investito nell'università (quelle private esistenti funzionano come ogni altra imprese che vuol fare profitti, attraverso anche le congrue rette). Il fatto vero è la dismissione in atto dell'università, attraverso la riduzione dei finanziamenti e il patto luciferino e bipartisan tra baroni e sistema politico per spartirsi una torta sempre più piccola. I centri d'eccellenza che sorgeranno sulle ceneri dell'università renderanno contente chi salirà sul carro della necessaria trasformazione del sapere in forza produttiva sottomessa alle imprese. 
All'ordine del discorso di Perotti ne andrebbe contrapposto un altro. Quello sostiene che ogni uomo e donna possa partecipare alla produzione e alla trasmissione del sapere. Che i docenti non sono titolari di nessuna eccellenza, né titolari di un potere speciale perché «sanno», ma che sono uomini e donne che vogliono condividere ciò che hanno appreso e coltivato nella loro vita. E che il loro lavoro non sian sottoposto al regime del lavoro salariato. Che la formazione deve essere permanente. Che la logica del mercato inibisce l'innovazione, come dimostrano la decennale discussione statunitense sulla perdita di autonomia del sapere dall'imprese. Che l'università è un bene comune da difendere e che deve eccellere sempre. Perché un'università che risponde all'ordine del discorso sviluppato in questo saggio è un'università truccata, tanto quanto quella che l'autore vorrebbe criticare.

 

 

PS. palma che scrive qui, chiedo scusa al redattorato e al pubblico, Chrome mi ha fatto uno scherzo ed invece di inserire un linking ha riprodotto un webpage. Lascio le cose come stanno, l'articolo almeno e' breve e chiaro. 


 


 

 

come invoca anche la collega d'università, la bocconiana e ministro Mariastella Gelmini.

 

Che io sappia la Gelmini è laureata in giurisprudenza (a Brescia, credo) e non è bocconiana.

P.S. La qualità del resto dell'articolo è dello stesso livello delle informazioni date sulla Gelmini.

 

 

 

E poco serve ricordare che la maggioranza dei ricercatori e dei docenti sono persone oneste

 

Questi articoli non servono a granche'. Danno l'impressione al grande pubblico che ci sia una cupola mafiosi di baroni potentissimi che rovina tutto nonostante gli sforzi di molti onesti. In realta' non e' cosi' e chi c'e' dentro lo sa. E' piu' una situazione simile a quella del nero in ricevuta in Italia, solo ancora piu' diffusa. Quanti hanno mai pagato una visita dal medico o una riparazione in casa in nero? Credo di poter dire tutti. Ha senso parlare di onesta' o disonesta' in questi contesti? Non credo. Certo c'e' chi lo fa con piacere perche' risparmia le 200 euro d'iva; c'e' chi lo fa a malincuore; c'e' chi si puo' permettere, anche economicamente, di insistere per pagare l'iva e c'e' chi no. Il punto e' che l'universita' e' cosi'. Una disonesta' talmente radicata nel sistema che ha perso qualsiasi connotazione morale: per questo fanno tanto scalpore i casi di parentele, perche' quelli hanno ancora quella patina di immoralita' che gli altri clientelismi hanno perso. E cosi' come il legislatore SA BENISSIMO quali sono le cause, le conseguenze e le soluzioni per l'evasione fiscale in Italia, altrettanto bene sanno quali sono le cause le conseguenze e le soluzioni per il clientelismo nell'universita'. Semplicemente se ne sbatte altamente la fava.

Una cosa che sanno fare bene, pero', e' assicurarsi di non fare mai un pasticcio alla volta. Anche in questo caso, come sempre avviene, la riforma interessa l'universita', la ricerca, le scuole primarie, i precari eccetera. Cosi' si scatena un malcontento generale, in alcuni punti una guerra tra proveri, tutti scioperano (ognuno per buoni motivi) ma nessuno capisce piu' perche'. Insomma un baillame, fatto apposta per diluire le voci di protesta.

 

Ormai siamo fuori tempo massimo per aggiungere qualcosa all'appello, ma desidero ugualmente segnalare un punto che sarebbe opportuno includere. Prendo il discorso un po' alla larga.

Una caratteristica importante dell'educazione universitaria e' il tasso di partecipazione e ancora piu' la facilita' di accesso ai meritevoli anche se indigenti. Secondo il pensiero dominante in Italia solo l'universita' statale con basse tasse di iscrizione puo' garantire partecipazione e facilita' di accesso, e quindi la possibilita' di trasformazione in fondazioni e di aumentare le tasse di iscrizioni vengono frequentemente condannati come nocivi all'accesso e alla partecipazione, o in maniera piu' politicamente faziosa come "attacchi al diritto di studio".

L'appello supporta fondazioni e tasse piu' alte, quindi, secondo le convinzioni nettamente prevalenti in Italia - almeno dentro l'universita' statale - nuoce alla partecipazione e alla facilita' di accesso all'universita'. Ovviamente e' importante e opportuno che partecipazione e facilita' di accesso all'universita' siano elevati e che il Governo li promuova. Contrariamente alle credenze diffuse in Italia il modello di universita' (statale o meno) con basse tasse di iscrizione appare dai dati internazionali disponibili (rapporto OCSE "Education at a glance 2008", pag. 266-278) irrilevante a promuovere partecipazione e facilita' di accesso all'universita', mentre invece svolge a questi fini un ruolo determinante il sistema di supporto agli studenti, indipendentemente dal livello delle tasse universitarie.  Ovviamente l'Italia appartiene al gruppo di Stati dove il sistema di supporto agli studenti e' meno sviluppato e quindi a dispetto delle basse tasse universitarie caratterizzato dai piu' bassi tassi di partecipazione tra i paesi OCSE.

Per chiarire questi punti sarebbe opportuno aggiungere al paragrafo dove c'e' scritto "ulteriori passi avanti":

 

I dati internazional disponibil indicano che la partecipazione e la facilita' di accesso per i meritevoli all'educazione universitaria sono favorite non tanto dalle basse tasse di iscrizione ma piuttosto da uno sviluppato sistema di supporto degli studenti universitari, le cui scelte potrebbero anche servire come ulteriore incentivo a premiare gli Atenei migliori. L'Italia secondo i rapporti OCSE (es. Education at a glance 2008) appartiene al gruppo di Stati con basso supporto agli studenti e basse tasse universitarie: in questi paesi il tasso di partecipazione (48%) e' allo stesso livello dei paesi per lo piu' asiatici con basso supporto e alte tasse universitarie, e inferiore ai paesi con elevato supporto agli studenti, sia quelli con alte tasse di iscrizione (paesi anglosassoni, partecipazione al 67%) sia quelli con basse tasse (paesi scandinavi, partecipazione al 71%). Contrariamente a radicate quanto infondate credenze diffuse in Italia, universita' statale e basse tasse di iscrizione appaiono essere un elemento irrilevante alla facilita' di accesso e alla partecipazione all'istruzione universitaria, mentre per questo scopo ha un ruolo fondamentale il sistema di supporto agli studenti. Invituiamo dunque il Governo a spostare risorse dal finanziamento a pioggia svincolato dal merito alle sedi universitarie al supporto agli studenti meritevoli le cui scelte siano un ulteriore elemento che incentivi gli Atenei a provvedere didattica e ricerca di qualita'.

 

Nel nostro piccolo noi ricercatori precari di Firenze un appello (diverso ma non troppo rispetto a quello di nFA) lo avevamo messo qui. Allo stato attuale abbiamo superato le mille firme (per quello che serve).

 

Salve,

non riesco proprio a capire come alzando le tasse si aumenterebbe il tasso di partecipazione. Sicuramente si perderebbero tutti i fuori corso.

 Vi riporto le riflessioni del Presidente del Consiglo degli Studenti dell'Università Ca' Foscari di Venezia:

Attualmente le Università sono finanziate da un Fondo di FinanziamentoOrdinario(FFO) dato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università  e della Ricerca. Questo fondo viene utilizzatoquasi totalmente (circa il 90%) per pagare gli stipendi dei docenti e delpersonale tecnico-amministrativo e per il rimanente 10% per coprire le spese difunzionamento delle strutture (facoltà, dipartimenti, biblioteche elaboratori). Oltre che con l'FFO le Università si finanziano raccogliendo letasse imposte agli studenti. Talvolta riescono a raccogliere ulteriorifinanziamenti da altri enti pubblici o aziende private.

Per gli studenti dell'Università Ca' Foscari le tasse universitarie possonosingolarmente raggiungere il massimo importo di 1.454,62€; Ma si possonousufruire di copiosi sconti se si possiedono i requisiti minimi di merito ed unmedio-basso reddito familiare. Infine, si può essere totalmente esonerati dalpagamento se si è vincitori (o solo idonei) alle borse per il diritto allostudio (solo se ISEE inferiore a circa 15.000).[a1] L’ISEE è l’indice della situazione economica della famiglia diappartenenza.

La somma delle tasse pagate annualmente da tutti gli studenti è chiamata“contribuzione studentesca”. Esiste, per legge, un tetto massimo allacontribuzione studentesca, pari al 20% del FFO. Questo meccanismo lega, quindi,la contribuzione studentesca al fondo ottenuto dal Ministero. Se il Ministeroaumenta il fondo, l'Università può alzare la contribuzione studentesca, se ilfondo ministeriale diminuisce, l'Università è costretta ad abbassare lacontribuzione studentesca.

La recente legge varata dal Governo implica, con ogni probabilita’, unabbassamento dell'FFO.

Infatti, l'art.66 della Legge 133/2008 limita la possibilità di effettuareil turn-over. Sarà possibile assumere una nuova unità di personale nel limitedel 20% rispetto alle unità di personale cessate l'anno precedente.Sostanzialmente sarà possibile assumere un nuovo docente solo previa lacessazione(per pensionamento o trasferimento) di 5 docenti. Conseguentemente ilMinistero tratterrà la quota di finanziamento non più necessaria e restituiràall'Università solo il 20%.

Con l'abbassamento dell'FFO anche la contribuzione studentesca teoricamentedovrebbe calare.

Di quanto dovrà calare è difficile a dirsi. Dipende innanzitutto dallastruttura anagrafica del personale docente. Se ci saranno molti pensionamentil'FFO (e quindi anche la contribuzione studentesca) calerà velocemente,altrimenti non calerà.

Per capire se le tasse universitarie caleranno veramente è peronecessario tener conto di altri fattori.

Prima di tutto del fatto che attualmente molte università (con lacomplicità del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca edella Corte dei Conti) non rispettano il limite di legge (compresa l'UniversitàCa' Foscari di Venezia) attestandosi di pochi punti percentuali al di sopra del20%. Poi bisogna tener conto del fatto che non è facile capire se il numerototale di studenti si modificherà; questo dipende innanzitutto dalla quantità edalla qualità dell'offerta formativa che ogni Ateneo riuscirà a sostenere.

Alcuni Corsi di Laurea, con la mancata sostituzione dei docenti di ruoloche andranno in pensione, potrebbero non rispettare più i requisiti minimi didocenza e quindi essere accorpati fra loro o addirittura chiudere.

E' prevedibile che ci saranno degli scontri fra facoltà e dipartimentiall'interno della stessa università ed è prevedibile che qualche corso diLaurea verrà chiuso o inglobato da altri.

Chi dovrebbe vincere questa battaglia tra Corsi di Laurea e Dipartimenti?

Se gli studenti vogliono che anche le tasse universitarie restinoinvariate o per lo meno non aumentino devono:

  1. innanzitutto tenere sotto controllo il rapporto contribuzione studentesca/FFO per evitare che le Università superino i limiti di legge:
  2. chiedere che vengano tenuti in vita quei corsi di Laurea che riescono ad attrarre il maggior numero di studenti per qualità dell'offerta formativa
  3. chiedere che i tagli siano concentrati lì dove i dipartimenti sono poco produttivi nell'attività di ricerca

 


Non vorrei sollevaredirettamene la questione di quante tasse universitarie è giusto pagare InItalia. Vorrei solo concentrarmi sugli effetti che provoca il taglio dei fondisulle tasse universitarie. 

Vorrei comunque ricordare agli esimi economisti che, essendo la pressione fiscale in Italia del 43% ci si aspetta che lo Stato fornisca determinati servizi ad un costo contenuto per quelle famiglie che già pagano le imposte generali. 

 

 

Personalmente sarei a favore di un aumento delle tasse universitarie a opatto che:

1 ) Venissero aumentate e ben differenziate le fasce di reddito. Allo stato attuale delle cose ci vuol poco a finire nella fascia più alta emntre una percentuale tutt'altro che trascurabile di chi si trova nelle fasce più basse è figlio di evasori (o elusori) fiscali.

2 ) Venisse creata una struttura seria di borse di studio date per merito.

 

 

non riesco proprio a capire come alzando le tasse si aumenterebbe il tasso di partecipazione. Sicuramente si perderebbero tutti i fuori corso

 

logicamente alzando le tasse e lasciando il resto invariato la partecipazione diminuisce, per quanto i dati OCSE disponibili che confrontano Stati diversi indicano che ai fini di aumentare la partecipazione all'universita' il livello delle tasse universitarie e' irrilevante e hanno maggiore partecipazione paesi con tasse universitarie elevate ma con sistemi sviluppati di supporto economico agli studenti.


Riguardo ai fuoricorso, il loro numero e' una evidente e patologica anomalia italiana, evidente responsabilita' dello scadente sistema universitario esistente, tra cui probabilmente l'insufficiente penalizzazione economica per gli studenti e le istituzioni universitarie coinvolti nel fenomeno.


 

Vorrei comunque ricordare agli esimi economisti che, essendo la pressione fiscale in Italia del 43% ci si aspetta che lo Stato fornisca determinati servizi ad un costo contenuto per quelle famiglie che già pagano le imposte generali.

 

Su questo sono piu' che d'accordo. Data la pressione fiscale, e data la spesa per l'universita' in Italia, lo Stato dovrebbe spendere piu' e soprattutto spendere meglio. Non sarebbe accettabile che lo Stato si limiti a spostare il costo dulle famiglie, se le tasse universitarie aumentano deve aumentare anche il supporto dello Stato agli studenti.  E' bene comunque sottolineare che le tasse esistenti sono una parte modesta del costo reale per gli studenti composto da vitto e alloggio e mancati guadagni perche' non lavorano.

 

dica133.wordpress.com

 

è un apetizione partita dai ricercatori del polo delle scienze sociali di firenze ...contro la 133 firma la petizione

 

grazie e diffondete la notizia !!!!

 

(non solo scienze sociali!)

Comunque l'avevo già linkata sopra ;-)

 

dal test dell'appello

 

3) Il governo ha abbandonato nello stesso modo il regolamento-Mussi sui

concorsi per ricercatore (anch'esso fermato mesi fa dal Consiglio di

Stato per gli stessi motivi). Si trattava di un regolamento che – pur

perfettibile – introduceva notevoli elementi di trasparenza rispetto

all'attuale meccanismo di concorso.

 

dove si può trovare questo regolamento Mussi sui concorsi?

 

Invece al governo (e forse anche, riteniamo, ad altre forze politiche)

sembra stare a cuore la possibilità per gli atenei di trasformarsi in

enti di diritto privato.

 

qualcuno può spiegare chiaramente la faccenda "fondazioni private"? tempo fa avevo postato un link contenente delle valutazioni sull'argomento che riporto (visto che si tratta di un .ppt)

 

CONCLUSIONI (PROVVISORIE …) 

un passo fatto solo a metà


Non resta quindi che:


- ragionare di una soggettività “privatistica” meramente “formale”, ma sempre pubblica nella sostanza; il che renderebbe inutile la trasformazione;


- tentare di sopperire – con la delibera del Senato – alle lacune del Decreto, nell’incertezza più radicale (anche in ordine a possibili sviluppi della normativa in esame) e con l’assunzione di importanti responsabilità di ordine amministrativo e finanziario.


In entrambe le ipotesi è necessario confrontarsi con la ……

 

Definizione comunitaria di “organismo di diritto pubblico”


Mentre lo Stato italiano privatizzava, al fine di garantire la concorrenza nel mercato dei lavori pubblici e delle pubbliche forniture, la Comunità europea pubblicizzava, imponendo agli Stati membri la figura giuridica dell’organismo di diritto pubblico (Direttive 89/440; 36 e 37 del 1993 e direttiva sui servizi 92/50).

 

Definizione comunitaria di “organismo di diritto pubblico”


Per la Comunità Europea se la disciplina speciale prevista per una fondazione  “privatizzata”  contiene anche uno soltanto dei seguenti indici sintomatici: la gestione è soggetta a controllo da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico; l’attività è finanziata in modo maggioritario da questi ultimi; gli organi di amministrazione direzione o vigilanti sono costituiti da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, non si tratta di una fondazione di diritto privato, bensì di un ente pubblico, qualunque sia il nomen usato dal legislatore (Merusi).

 

 

 

L'appello è quasi del tutto condivisibile, al punto che se non avessi l'abitudine di firmare solo le cose che scrivo io, sarei disposto a firmarlo. Avrei però alcune osservazioni.

1) Non credo che cambiamenti nell'involucro dell'università (fondazione piuttosto che ente pubblico) diano necessariamente luogo a cambiamenti di sostanza. L'unica sostanza contenuta nell'art. 16 della Legge 133, è la previsione che contributi e liberalità nei confronti delle fondazioni universitarie diano luogo a consistenti benefici fiscali. Purtroppo questa importante novità è bilanciata dalla prevista "perequazione". Inoltre il fatto che lo statuto della fondazione debba essere approvato a maggioranza assoluta del senato accademico e dal ministero, mi fa dubitare che esso possa dar luogo a regole più semplici ed efficaci di quelle attuali, per non parlare dell'incerto significato della clausola "nel rispetto delle norme vigenti". Vorrei vedere  invece il sorgere ex novo di una fondazione universitaria innovativa che serva da modello, ed abbia il sostegno di privati. Ad esempio un vero MIT italiano, cioè un politecnico in cui ingegneri e scienziati siano veramente formati assieme, fin dall'inizio, come avviene allo MIT di Cambridge Mass.

2) Sono molto diffidente dell'uso della parola "eccellenza" che ha dato luogo in Italia a centri di eccellenza mafiosa (eccellenza per decreto) o autoproclamata. In molti ambiti l'Italia ha bisogno di raggiungere l'ordinaria mediocrità internazionale, prima che si parli di eccellenza. In ogni caso la vera eccellenza in ambito scientifico si verifica a distanza di decenni dallo svolgimento delle ricerche. Comunque, data la situazione storica italiana, le differenze di merito scientifico non sono localizzate in alcune sedi universitarie, ma distribuite disomogeneamente in varie sedi. Per fare un esempio al mio dipartimento afferiscono 130 docenti, i migliori 13 potrebbero facilmente paragonarsi a docenti delle stesse discipline che si trovano nei migliori dieci dipartimenti americani, i "peggiori" 13 forse non raggiungerebbero le qualificazioni necessarie per insegnare in un campus delle "california state universities". Diversificare il finanziamento delle sedi sulla base del merito scientifico richiede un algoritmo che tenga conto di situazioni difficilmente modificabili come quella da me descritta.

3) Sono d'accordo in ogni caso che se il governo ritiene di poter sottrarre il 10% del finanziamento ordinario alle università avrebbe l'obbligo di restituirlo al sistema sotto forma di incentivi e premi basati su meccanismi analoghi a quelli dei Research Assessmen Exercises inglesi. Che questo si possa fare anche in Italia è stato dimostrato dall'esperimento della VTR2003-2006.

4) Considero prioritari i problemi dell'organizzazione didattica, ed in particolare una diversificazione dell'offerta didattica per rispondere ad una domanda estremamente diversificata, la riorganizzazione dell'insegnamento evitando le rigidità connesse ai corsi di laurea (se fosse possibile abolirei anche le facoltà), l'attenuazione del valore legale dei titoli accademici, che dovrebbe essere agganciato ai crediti e non ai corsi di laurea (da sopprimere).

4) E' indispensabile una revisione della scala stipendiale dei docenti che renda possibile il reclutamento di personale esterno all'università italiana a stipendi ragionevoli. E' anche indispensabile riformare il sistema di reclutamento ai primi livelli (ricercatore o comunque l'equivalente di maitre de conference). Può essere che nel lontano futuro questi problemi siano risolti da un sistema di incentivi e disincentivi che indirizzino e regolino una pronunciata autonomia. Ma i problemi sono urgenti e non possono aspettare questo lontano futuro. Quel che penso sull'attuale sistema di reclutamento dei ricercatori (a partire dalla scelta della tesi di laurea) è detto nell'articolo qui riportato:

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=GBL4T

 

 

 

Non credo che cambiamenti nell'involucro dell'università (fondazione

piuttosto che ente pubblico) diano necessariamente luogo a cambiamenti

di sostanza.

 

Sono d'accordo, nell'appello ho cercato di contribuire a chiarire che la trasformazione in fondazione dovrebbe permettere che le universita' da un lato abbiano maggiore autonomia e dall'altro possano essere piu' facilmente valutate e selettivamente finanziate secondo i risultati. Se la trasformazione in fondazione non serve a questi scopi ma magari serve a qualche furfante per arricchirsi coi beni del demanio svenduti da qualche compare all'interno dell'universita' allora e' meglio mantenere la struttura statale.


 

data la situazione storica italiana, le differenze di merito

scientifico non sono localizzate in alcune sedi universitarie, ma

distribuite disomogeneamente in varie sedi. [...] Diversificare il

finanziamento delle sedi sulla base del merito scientifico richiede un

algoritmo che tenga conto di situazioni difficilmente modificabili come

quella da me descritta.

 

Sono sostanzialemnte d'accordo.  Forse sarebbe stato opportuno chiarirlo nell'appello. Secondo me il principio stesso di finanziare sedi universitarie secondo merito collettivo e' fondalmentalmente sbagliato, perche' dopo all'interno la spartizione interna tenderebbe ad essere a pioggia, perche' questa e' la situazione di equilibrio ottimale dato il principio un voto per persona che vige per eleggere gli organi accademici.

Invece dovrebbero essere finanziati i progetti di ricerca o meglio sede per sede i coordinatori dei progetti.  Ogni docente e ricercatore dovrebbe concorrere per i fondi in maniera competitiva all'interno della sua disciplina presso un ente finanziatore quanto piu' possibile separato dalla comunita' di chi chiede e gestisce i fondi. Questo secondo me dovrebbe essere il modo di far fluire le risorse ai chi le merita. Allo stesso tempo, seguendo il principio USA ma non solo di devolvere il 20% dei fondi individuali ai dipartimenti, la comunita' dei docenti di ogni dipartimento avrebbe interesse comune a reclutare i migliori.

 

E' indispensabile una revisione della scala stipendiale dei docenti che

renda possibile il reclutamento di personale esterno all'università

italiana a stipendi ragionevoli. E' anche indispensabile riformare il

sistema di reclutamento ai primi livelli (ricercatore o comunque

l'equivalente di maitre de conference).

 

Concordo che sia indispensabile rivedere la progressione dei salari, si tratta di un problema fondamentale non solo nella ricerca. I salari sono infimi all'assunzione e poi aumentano solo per anzianita' fino a raggiungere e superare i salari medi di Stati anche piu' ricchi dell'Italia. Anche ad es. in Francia ci sono progressioni per anzianita' ma in Italia le differenze tra inizio e fine carriera sono significativamente maggiori. La progressione per anzianita' dovrebbe essere ridotta al livello tipico della media OCSE o anche eliminata del tutto, a parita' di spesa, questo consentirebbe di dare stipendi maggiori a inizio carriera, e anche ai precari.

Un ulteriore problema della progressione per anzianita' riguarda proprio i "precari", che sono considerati inferiori ai dipendenti fissi, per cui hanno stipendi calibrati su quelli dei dipendenti fissi a inizio carriera, quindi miserabili.  Seguendo gli stessi meccanismi sono tipicamente miserabili anche gli stipendi che possiamo offrire a ricercatori esteri di qualita' che vogliamo impiegare a termine in Italia o anche assumere come dipendenti fissi.

 

 

 

... se non avessi l'abitudine di firmare solo le cose che scrivo io, sarei disposto a firmarlo.

 

Vorresti dire che non hai mai firmato nessun appello e/o che solo le cose che scrivi tu ti sembrano giuste?

Per quanto riguarda i commenti.

1) Dice esattamente quello che l'appello sostiene, eccezion fatta per l'affermazione

 

Non credo che cambiamenti nell'involucro dell'università (fondazione

piuttosto che ente pubblico) diano necessariamente luogo a cambiamenti

di sostanza

 

che contraddice l'affermazione seguente

 

vorrei vedere invece il sorgere ex novo di una fondazione universitaria

innovativa che serva da modello, ed abbia il sostegno di privati.

 

2) Tralasciando il fatto che trattasi di critica vuota (sì: premiare per via amministrativa e centralizzata chi fa meglio è complicato; per questo molti di noi sostengono che occorra lasciarlo fare al "mercato" ...), avresti qualche criterio positivo da proporre? Noi suggeriamo che i rankings vengano fatti da studiosi non coinvolti nei risultati dei rankings stessi, ossia studiosi che lavorano stabilmente all'estero. Hai un'idea migliore?

3) Questo dice che sei d'accordo, quindi ... non si capisce cosa ci faccia in questo elenco.

4) Non mi sembra abbia nulla a che fare con la questione di cui l'appello si occupa. Questo è il riassunto della riforma universitaria che tu faresti, quando ti fanno ministro. Buono a sapersi, ma l'appello non intende proprio suggerire un'intera riforma. Non siamo così ambiziosi.

4), che sarebbe 5), well, di nuovo, questo è esattamente quello che diciamo noi. L'appello indica anche criteri da adottare per rivedere gli stipendi. I tuoi, quali sono? Visto che, da sempre, il mercato non ti sembra la soluzione, ci spieghi come determineresti gli stipendi "ragionevoli"?

 

 

 

Chiediamo, dunque, che i tagli di spesa siano accompagnati ora e subito da una seria riforma meritocratica. Chiediamo che le università italiane, i dipartimenti, i docenti e i ricercatori possano ricevere fondi dallo Stato solo a fronte di una periodica, imparziale e trasparente valutazione effettuata dalla comunità scientifica internazionale, come già accade nel resto delle istituzioni accademiche del mondo avanzato. In Italia, è necessario compiere tale esame in maniera generalizzata. Sulla base dei risultati si potranno poi allocare in modo equamente meritocratico i tagli desiderati, oltre che i premi di ricerca.

 

Mi perito di fornire qualche spunto per analizzare il multifunzionale uso del termine "valutazione" (e "allocare in modo meritocratico") che di solito si fa in casi come questi, e in effetti un po' troppo all'ingrosso.

Una istituzione universitaria, le sue strutture didattiche, quelle di ricerca, i suoi corsi di studio, i suoi programmi di ricerca e i singoli progetti, il personale docente e ricercatore: sono tutte entità passibili di valutazione, per rapporto a qualche criterio, fissato da agenti di altrettanta multiforme natura - istituzioni pubbliche, imprese, famiglie, le università stesse o i loro studenti, ecc. - e con in mente certe finalità. Se la complessità va ridotta e amministrata, bisognerà districarsi con abilità e circospezione.

Vi sono alcune grandi direttrici ed opzioni da tenere presenti. La valutazione dell'offerta formativa sarà diversa dalla valutazione delle attività di ricerca. La valutazione potrà essere interna, cioè effettuata a cura della stessa istituzione accademica (ed eventualmente coinvolgere gli stessi attori-responsabili dell'erogazione del servizio) oppure esterna, effettuata da una parte terza (rispetto all'istituzione e ai beneficiari del servizio). Si potrà valutare il servizio a livello di istituzione universitaria, o i singoli corsi (o programmi di ricerca). Si valuta con il fine di rendere conto del servizio reso oppure con intenti conoscitivi e migliorativi. Si possono valutare singoli progetti di ricerca in maniera comparativa per decidere in merito al loro finanziamento o valutare interi dipartimenti o enti di ricerca o facoltà senza comparazione alcuna con altre unità simili, ma solo per rapporto ai propri obiettivi istituzionali.

Gli interessati potranno forse approfondire qualche idea o indicazione qui.

Renzino l'Europeo

 

 

"L'università rischia di finire come l'Alitalia"

http://www.corriere.it/politica/08_ottobre_18/gelmini_assunzioni_universita_22ca10d4-9d39-11dd-951d-00144f02aabc.shtml

 

Commentando sul Sole 24 Ore l'ottima politica universitaria della Francia di Sarkozy.

RR

 

Segnalo il resoconto che da' Repubblica su cosa sta elaborando MS Gelmini per un'universita' piu' meritocratica e per derogare dai limiti del 20% per le assunzioni dei ricercatori.  Si tratta di voci (riportate anche dal Corriere della Sera in modo simile) sul contenuto un documento riservato, quindi vanno prese con le pinze.

 

Evitiamo di commentare lo stile dell'articolo, che si perde in mille innuendo negativi sprecando spazio prezioso che avrebbe potuto utilizzare per informare. Pessimo giornalismo di parte come al solito.

 

Noto invece, con disappunto, che anche quanto MS Gelmini stava elaborando come piano di più lunga durata sembra puramente basato su criteri contabili e che l'elemento "meritrocrazia" non vi appare.

A meno che non si voglia considerare "merito" il fatto di non essersi indebitati sino al collo e di non spendere più del 90% del budget in salari. Perché l'assenza di colpa, permettetemi, non è merito in una società normale. È semplicemente un atto dovuto, la sufficienza per così dire. Il merito richiede fare un pelino meglio di ciò che è dovuto, se non proprio arrivare al 10, almeno all'8. E di questo, per il momento, non vedo neanche l'ombra.

 

Segnalo che anche da sinistra arrivano critiche ai rettori (Corriere della Sera del 8/11/2008):

 

I prodiani - scrive Italia oggi - non cavalcano la protesta dei

rettori. A farlo capire una lettera firmata da Giulio Santagata,

responsabile della cosiddetta Fabbrica del programma nell' ultimo

governo di centrosinistra, secondo cui la «giusta lotta per le risorse

trova la sua legittimazione nella qualità del loro impiego». Nella

lettera Santagata punta il dito contro le «logiche familistiche» e

anche sulla «qualità dei docenti, la continuità del loro impiego e la

loro dedizione alla professione». E scrive: «Voi avete una grande

responsabilità per le prestazioni deludenti delle università italiane».

Al fianco degli atenei, dunque, ma non sempre di chi le guida: non

sempre d' accordo con il partito dei rettori.

 

L'articolo riporta anche le reazioni al decreto recente del governo, in cui finalmente c'e' un minimo di principi meritocratici, positivi Decleva (Milano) e Frati (Roma) che possono assumere perche' non spendono oltre il 90% del FFO, recriminazioni e riserve da Firenze, Pisa e Napoli orientale che sfondano il 90% e non potranno assumere.

 

Avevate visto le linee guida del governo per l'universita'? Spro che si vada oltre alla buone intenzioni.

blog.maxbruschi.it/wp-content/uploads/linee-guida-universita2.pdf

 (non mi vanno i link automatici)

 

Provvedo io un link html migliore alle linee guida del governo per l'universita'.

Mi sembrano complessivamente buoni propositi, anche se viziati dalla tipica impostazione statalista- centralista.  Non apprezzo gli interventi per decreto, tra cui i molteplici interventi - con annessi ritardi sull'iter di svolgimento - sui concorsi gia' banditi, che sono tipici del modus operandi delle Repubbliche delle Banane, comunque almeno il decreto piu' recente appare motivato da reali preoccupazioni di correggere la mala-gestione dell'universita' in Italia e promuovere efficienza e merito.

Noto che si prescrive che le tasse universitarie rimangano invariate anche se l'universita' si trasformasse in fondazione.  Temo che per la mentalita' prevalente in Italia, sia praticamente l'unica opzione praticabile per non avere 1.8M di studenti mobilitati permanentemente contro il governo.

 

 

Leggo in un articolo di Lippi e Peracchi (Rivista italiana degli economisti, 2, agosto 2007) che:

È certamente vero che risulta difficile trovare un articolo non-mainstream su una delle principali riviste mainstream. È però vero che esistono varie riviste su cui i punti di vista non-mainstream hanno ampia possibilità di accesso. Alcune di esse, quali il Cambridge Journal of Economics o Structural Change and Economic Dynamics, hanno anche IF di tutto rispetto. Nonostante l’esistenza di queste riviste, gli studiosi italiani che perseguono punti di vista nonmainstream tendono in realtà a pubblicare poco e troppo spesso su questioni di storia del pensiero economico.

Voi che state in America che ne pensate?

Vi segnalo che sul sito http://www.letteraapertavalutazionericerca.it/ è comparsa una lettera di alcuni economisti italiani che mi sembra in contrasto con gli obbiettivi di fondo dell'appello apparso su nFA.

Non mi pare che sia in contrasto, tant'è che nFA ha pubblicato pure contributi di tenore non difforme, e.g.questo.

Anzi, per quello che vale (pokissimo) mi dichiaro pienamente d'accordo con l'appello in oggetto.

RR