Il benessere degli italiani

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E’ finalmente uscito un libro sulla storia d’Italia negli ultimi centocinquant’anni che vale la pena leggere.

Il centocinquantenario dell’Unità d’Italia ha prodotto qualche libro tossico (un titolo per tutti “Terroni” di Pino Aprile), molta carta inutile, ridicoli processi storici a Cavour e Garibaldi ma anche qualche buona ricerca. Fra queste, spicca il lavoro co-ordinato da Giovanni Vecchi (Università di Tor Vergata), che ha riassunto i risultati in un volume dal titolo “In ricchezza ed in povertà. Il benessere degli italiani dall’ Unità ad oggi”.

Dichiaro subito il mio conflitto di interesse. Il libro usa, per piccola parte, i risultati di alcuni miei lavori e, soprattutto, Giovanni Vecchi è un mio amico. Ciò detto,  credetemi: Il libro è molto bello ed interessante. Esorto tutti coloro che vogliono informarsi sul serio sulla nostra storia a comperarlo e leggerlo. Fra l’altro è anche scritto bene: l’autore ha fatto un lodevole sforzo per rendere comprensibile e attraente un soggetto non esattamente semplice per lettori non specialisti, riducendo al minimo il gergo tecnico e aggiungendo aneddoti e citazioni da opere letterarie per alleggerire la descrizione.

Vecchi e i suoi co-autori considerano l’andamento del reddito pro-capite (più esattamente del Valore Aggiunto pro-capita) e di altri otto indicatori del benessere: nutrizione, altezza, salute, lavoro minorile, istruzione, distribuzione del reddito, povertà e vulnerabilità. L’evoluzione di ciascuno di questi parametri è descritta con indicatori quantitativi, se possibile su base regionale. Inoltre, gli autori ricordano gli elementi essenziali della legislazione.

Riassumere in dettaglio un libro di 400 pagine è difficile, e comunque un riassunto troppo dettagliato renderebbe inutile l’acquisto. Mi limiterò a ricordare i risultati principali

  • il PIL pro-capite (stimato da un gruppo di lavoro della Banca d’Italia, ISTAT e studiosi indipendenti) è aumentato di 13 volte, più della media europea, da 2022 euro (a prezzi attuali) a 25668 euro. Soffermiamoci  un attimo sul valore iniziale – circa 5 euro al giorno. L’Italia era un paese terribilmente povero. Il reddito medio ha superato i 6000 euro annui  (500 euro al mese) nel 1956 ed i 12000 nel 1969.
  • La disponibilità media pro-capite di cibo in termini di calorie era già sufficiente nel 1861, ma la distribuzione del reddito lasciava crca il 40% degli italiani sottonutriti, con una composizione dell’alimentazione fortemente squilibrata verso i carboidrati e le proteine vegetali. Da allora ad oggi la quantità di calorie è aumentata, mentre il fabbisogno calava e la composizione è molto migliorata.
  • L’altezza alla visita di leva è aumentata in maniera costante, da una media di 162,9 centimetri per i nati nel 1861 a una media di 174,6 per i nati nel 1980. L’altezza è un parametro di benessere generale, di particolare interesse in quanto misurato su tutta la popolazione maschile con tecniche uniformi.  Il massimo raggiungibile da ciascun individuo è determinato alla nascita dal suo patrimonio genetico, ma l’altezza effettvia dipende dall’alimentazione, dallo lo sforzo fisico e dalle condizioni igienico-sanitarie. Centocinquant’anni sono un periodo troppo breve per registrare significative variazioni del patrimonio genetico e quindi l’incremento riflette esclusivamente il miglioramento del benessere.
  • La speranza di vita alla nascita, un indice delle condizioni igienico-sanitarie, è aumentata da 30 a 82 anni, la quarta più elevata (dopo Giappone, Svizzera ed Australia). Il miglioramento riflette più i progressi della medicina e dell’organizzazione sanitaria che l’aumento del reddito. In particolare, deriva dal calo della mortalità infantile, soprattutto derivante dalle malattie infettive.
  • Nel 1861, circa l’80%  dei bambini e la metà delle bambine fra i 9 ed i 14 anni lavorava. Da allora il calo è stato costante fino al 10% nel 1961. Il lavoro infantile è ufficialmente proibito (e quindi non rilevato) dal 1967, ma le stime parlano di un 3-5% della classe di età corrispondente che lavora, almeno part-time.
  • Al momento dell’Unità solo un italiano su quattro sapeva leggere e scrivere e uno su dieci non sapeva indicare la propria età (un indice minimo di familiarità con i numeri). La frequenza di almeno quattro anni di scuola elementare era obbligatoria dal 1859, ma l’obbligo venne eluso da una percentuale consistente di bambini almeno fino all’inizio del XX secolo. La percentuale di analfabeti secondo i censimenti è scesa sotto il 5% solo nel 1981, ma ricerche di studiosi indipendenti stimano valori molto più alti per il cosidetto analfabetismo di ritorno (persone che hanno perso le capacità apprese a scuola). Il numero medio di anni di scuola (10) è il più basso di tutti i paesi avanzati.
  • Gli autori misurano la distribuzione del reddito familiare con l’indice di Gini, che varia da 1 (totale concentrazione) a 0 (perfetta eguaglianza). L’indice è diminuito da 0.5 (un livello abbastanza elevato) nel 1861 a 0.30 nel 1981 (un livello relativamente basso), per rimanere poi stabile o aumentare lievemente negli ultimi  trent’anni. Fino al 1970, la redistribuzione ha beneficiato soprattutto i ceti  medi, dopo i più poveri.
  • La percentuale di poveri (cioè persone non in grado di raggiungere una soglia minima di consumi, crescente con l’aumento del reddito) è diminuita dal 45% del 1861 al 5% dopo il 1980. La percentuale dei poveri cosidetti estremi (non in grado di acquistare neppure il cibo), pari al 25% nel 1861 ed al 7% nel 1971 si è praticamente azzerata.
  • Infine è diminuita anche la vulnerabilità, cioè il rischio di finire in miseria a seguito di eventi negativi imprevisti, soprattutto grazie allo sviluppo dell’intervento statale (assistenza, pensioni etc.)  oltre che dell’aumento del risparmio.

In sostanza, una storia con molte luci (in particolare la sanità) e qualche ombra (soprattutto l’istruzione), ma di grande successo. Il periodo di maggiori successi coincide con il miracolo economico (1951-1971), mentre negli ultimi anni si registrano pochi progressi, pur partendo da livelli abbastanza elevati di benessere.

A conclusione, vorrei ritornare sul problema dei divari regionali al 1861 che sembra interessare molto i lettori di nfA.  Come detto, il gruppo di ricerca si è posto l’obiettivo di stimare dati per regioni e macro-aree solo per alcuni indicatori. Nella colonna PIL è il reddito pro-capite. Come già anticipato nei miei post con Boldrin ([1] e [2]) i dati mostrano un divario significativo fra Nord e Sud, dell’ordine del 15-20% in termini nominali. Il divario era molto maggiore per le singole regioni. Ignorando il Lazio (un caso anomalo per il ruolo di capitale di Roma), il reddito della più ricca regione del Nord, la Liguria, era doppio di quello della Basilicata, la più povera regione della penisola. Si potrebbe obiettare che i dati del 1871 non sono rappresentativi della situazione al 1861, in quanto già risentono dei (pretesi) disastri economici dell’unificazione. Ma il divario è confermato anche dalle altre colonne. È piccolo per la speranza di vita alla nascita, che risente del clima peggiore del Nord, mentre è enorme per il livello di alfabetizzazione (e anche di iscrizione alle scuole). Il dato più significativo è quello delle altezze: il Sud avrebbe raggiunto il livello che il Nord aveva nel 1861 solo nel 1931. Nel complesso, la ricerca conferma la visione tradizionale di un Sud molto più arretrato del Nord (anch’esso povero e arretrato) e non porta alcun elemento di sostegno alle nostalgie neo-borboniche.

 

 

 
 

Altezze

 
 

Alfabetismo

 
 

Speranza vita alla

nascita

 
 

PIL

 
 

(cm)

 
 

(% pop. >15 anni)

 
 

(anni)

 
 

(euro 2010)

 
 

1861

 
 

1861

 
 

1861

 
 

1871

 
 

Nord-Ovest

 
 

163.7

 
 

47.9

 
 

32.9

 
 

2328

 
 

Nord-Est

 
 

165.2

 
 

24.1

 
 

32

 
 

2060

 
 

Centro

 
 

163.7

 
 

23.9

 
 

32.6

 
 

2251

 
 

Sud

 
 

160.9

 
 

15

 
 

31.2

 
 

1876

 
 

Isole

 
 

160.8

 
 

12.3

 
 

33.7

 
 

1905

 
 

 

 
 

Centro-Nord

 
 

164.1

 
 

37.1

 
 

32.6

 
 

2230

 
 

Sud

 
 

160.9

 
 

14.2

 
 

32

 
 

1884

 
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Commenti

Ci sono 55 commenti

ottimo grazie, cerco di recuperarlo quanto prima!

mi interessa, in particolare, la questione sanitaria, cioè capire se si riesce ad evidenziare il ruolo della tecnologia, sia nei suoi aspetti "positivi" (ad esempio la diffusione del frigorifero per la conservazione degli alimenti) che "negativi" (inquinamento)

 

Centocinquant’anni sono un periodo troppo breve per registrare significative variazioni del patrimonio genetico e quindi l’incremento riflette esclusivamente il miglioramento del benessere.

 

Solo se non ci sono flussi migratori rilevanti, il che è vero in Italia fino agli anni '80 o giu di li (c'erano in uscita ma dovrebbero essere abbastanza neutrali) e le distribuzioni dei geni sono relativamente stabili (vedi sotto).

 

Il dato più significativo è quello delle altezze: il Sud avrebbe raggiunto il livello che il Nord aveva nel 1861 solo nel 1931.

 

Qui però si perde un po' l' uniformità genetica: probabilmente i sardi non l'hanno raggiunta nemmeno ora, ed i pugliesi un po' prima.

E' certamente vero che in un sistema chiuso il pool di geni cambia lentamente, ma il pool dei milanesi del 1980 probabilmente contiene più meridionali/veneti/altri lombardi che non milanesi originari. E poi ci sono differenze significative all' interno del paese: se non sbaglio i sardi sono i più bassi ed i friulani i più alti, e la natalità / propensione ad emigrare potrebbe essere abbastanza diversa da cambiare il mix in poche generazioni.

Oggi il livello di alimentazione è più che sufficente per il 99% degli italiani da nord a sud (forse anche eccessivo) quindi le differenze d'altezza media fra le varie regioni penso rispecchino il pool genetico delle popolazioni del posto.

Quindi per logica la frase: Il dato più significativo è quello delle altezze: il Sud avrebbe raggiunto il livello che il Nord aveva nel 1861 solo nel 1931non è corretta perchè il pool genetico del sud sarà sempre deficitario rispetto al nord. 

L'aumento % delle altezze nel tempo penso sia più sensato.

Si potrebbe sapere se nello stesso periodo sono migliorati con percentuali simili anche gli altri paesi europei?

In sostanza, è l'unità o far parte dell'occidente il principale driver?

 

Faccio una domanda che forse era gia' stata posta nei commenti ai post precedenti su questo tema.

Il libro nota che il pil pro capite e' cresciuto negli ultimi 150 anni di piu' della media europea. Che ruolo puo' aver avuto l'emigrazione dall'Italia (specie a fine '800 e negli anni '50), sicuramente piu' elevata della media europea. Se la parte piu' povera se ne va dovrebbe avere un impatto positivo sul reddito medio senza pero' essere un merito.

Forse una misura piu' precisa per paragonare l'aumento di benessere in ITA rispetto all'europa e' l'altezza. Forse anche in altezza sono cresciuti di piu' della media europea.

Le rimesse degli emigranti furono una prima ciambella poi nel secondo dopoguerra la ricostruzione fu avviata ricordo ancor prima del famoso progetto con l'introduzione delle Amlire. 

 

Il libro nota che il pil pro capite e' cresciuto negli ultimi 150 anni di piu' della media europea. Che ruolo puo' aver avuto l'emigrazione dall'Italia

 

Ritengo che la crescita del PIL pro-capite sia stata superiore alla media europea primariamente perche' l'Italia nel 1861 era piu' povera della media europea, in seguito c'e' stato un processo di convergenza.

L'aumento italiano (1.07 cm al decennio) è più o meno nella media dell'Europa occidentae

cf Hatton & Bray LOng run trend in heights of European men Economics and Human Biology 2010

C'è anche da dire che per quello che so le fonti ufficiali sulle emigrazioni e rimpatri fino al dopoguerra fanno abbastanza schifo; in alcuni anni registrano espatri altri emigrazioni e con metodologie incostanti. Con campioni incostanti sia come fasce di popolazione che come distribuzione delle tecnologie di trasporto utilizzate.

 

Il libro nota che il pil pro capite e' cresciuto negli ultimi 150 anni di piu' della media europea. Che ruolo puo' aver avuto l'emigrazione dall'Italia (specie a fine '800 e negli anni '50), sicuramente piu' elevata della media europea. Se la parte piu' povera se ne va dovrebbe avere un impatto positivo sul reddito medio senza pero' essere un merito.

Forse una misura piu' precisa per paragonare l'aumento di benessere in ITA rispetto all'europa e' l'altezza. Forse anche in altezza sono cresciuti di piu' della media europea.

 

Se esiste una relazione tra crescita della ricchezza procapite e crescita dell'altezza (da dimostrare ma tutto sommato verosimile) l'emigrazione dei poveri comporta un miglioramento del paese di uscita ed un peggioramento dei paesi di immigrazione (peggioramento sia di reddito sia di altezza media).

Non so se sia possibile fare analisi precise in questo senso, perché anche l'europa ha visto una forte emigrazione (non solo italiana) verso le americhe ed altre terre di frontiera. Quindi molti poveri polacchi, tedeschi, francesi, irlandesi hanno abbandonato i loro paesi.

Per quanto riguarda il rimescolamento in Italia, i marker genetici oggi possono mostrare quanta parte della popolazione, per esempio di Milano, ha origini meridionali-mediorientali e quanta ha origini celtiche. Permettendo quindi di calcolare (volendo) le altezze medie delle relative popolazioni. Queste cose pero' si possono in teoria fare oggi (Cavalli Sforza è stato il precursore) ma non 100 anni fa e quindi non credo possano esserci studi comparativi nel tempo.

 

Le rimesse degli emigranti furono una vera e propria ciambella.

Il PIL pro capite in Montenegro ha raggiunto ultimamente i 4000 EUR annui, di contro l'altezza media tra gli uomini è di 1,85m ...

Ed infatti il post di Giovanni Federico parla di differenza tra la statura del secolo scroso e quella odierna, il cui risultato non è affetto dalla variabile genetica.

Non guardare al valore nominale del reddito (4000 euro), ma al potere d'acquisto. Quanto e quale cibo compri con quel reddito procapite ? Considera poi che l'altezza media è anche influenzata dalla distribuzione d'eta della popolazione: tendenzialmente, grazie all'agricoltura intensiva, la quantità di cibo procapite dovrebbe essere sensibilmente aumentata praticamente ovunque in Europa negli ultima 50 anni. Probabilmente potresti trovare che la popolazione più anziana, in media è più bassa di quella più giovane, che ha potuto beneficiare fin dall'infanzia della migliore qualita/quantità di cibo e forse anche di migliori servizi sanitari. Di conseguenze in popolazioni più anziane potresti trovare altezze medie minori che in popolazioni più giovani, ceteris paribus.

Uno dei cavalli di battaglia dei neomeridionalisti pinoaprilizzati è la mortalità infantile che era inferiore nel Regno delle due Sicilie. Forse è per questo che la speranza di vita non è in linea con gli altri indicatori?

A proposito segnalo questo interessante studio (LA MORTALITÀ INFANTILE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO. LA SARDEGNA NEL PANORAMA ITALIANO).

La tab. 2 mostra qualcosa di molto interessante: nel primo anno di vita i neonati sardi hanno meno probabilità di morire rispetto al nord. E questo vale anche per le altre regioni meridionali.

Negli anni seguenti di vita, fino a 4-5 anni, la statistica si capovolge completamente. La studiosa da anche una spiegazione del fenomeno:

-clima mite

-scarsa partecipazione della donna sarda al lavoro extra domestico
-cura del parto

Poi

Con l'inizio della
deambulazione e lo svezzamento con cibi inappropriati
subentravano nuovi fattori di rischio di morte, primi fra tutti le
affezioni gastrointestinali, che riducevano drasticamente i vantaggi
iniziali.

 

A me sarebbe piaciuta vedere qualche tabellina "scremata" in senso temporale, per esempio: il nostro PIL è cresciuto dall'Unità ad oggi di 13 volte ma in proporzione quale periodo storico ha contribuito di più e quale di meno?dall'Unità alla WWI?il Ventennio?dal dopoguerra alla fine del boom (1968-70)?dal 1970 al 1990?negli ultimi 20 anni?sarebbe stato molto più interessante.

Per quanto riguarda l'aspettativa di vita credo il dato sia facilmente equivocabile perchè rappresenta la longevità media e non la modale, nel senso che tiene conto dell'alta mortalità infantile, dei morti in guerra, omicidi etc ma non penso che, passati i primi anni di vita e scampata una guerra, si morisse "in media" subito dopo i 30 anni dai...

altra cosa da segnalare sui divari Nord-Sud, se è vero che il NordOvest aveva un tasso di alfabetismo molto maggiore rispetto a tutte le altre regioni d'Italia (e qui penso si voglia sottolineare con il Sud Italia) non è detto che tale dato sia proporzionato al PIL...

negli stessi anni la Germania mostrava tassi di alfabetizzazione maggiori di quelli britannici eppure l'Inghilterra era un paese più ricco ed industrializzato della Prussia-Germania.

Sono modelli di sviluppo differenti, continuo a pensare che al tempo il Regno delle Due Sicilie avesse manifatture più avanzate (tipo i cantieri di Castellamare letteralmente smontati e portati a Genova per creare l'Ansaldo) e più numerose che non il Piemonte.

Ultimissima cosa, bello sarebbe se nel libro si segnalasse l'immane fenomeno migratorio, che alla lunga si è rivelato utilissimo per liberare manodopera in eccesso, devianza sociale e povertà, trasferendola all'estero, quello che per esempio non riescono a fare paesi come il Pakistan o il Bangladesh, che seppure vedono il PIL aumentare di qualche punto, il fortissimo aumento di natalità lo azzera quasi del tutto, malthusianamente parlando.

 

 

Tutte queste informazioni sono nel libro, liberamente in vendita in libreria o in rete :-)

 

 

Sono modelli di sviluppo differenti, continuo a pensare che al tempo il Regno delle Due Sicilie avesse manifatture più avanzate (tipo i cantieri di Castellamare letteralmente smontati e portati a Genova per creare l'Ansaldo) e più numerose che non il Piemonte.

 

Questa è una puttanata informazione irrelevante. Le cosidette industrie moderne del Sud erano piccole e sopravvivevano solo grazie ai sussidi. I poveri contadini lavoravano per arricchire pochi speculatori (spesso stranieri) amici del re.

La percentuale di poveri (cioè persone non in grado di raggiungere una soglia minima di consumi, crescente con l’aumento del reddito) è diminuita dal 45% del 1861 al 5% dopo il 1980.

Secondo l'Istat sono 3milioni (circa 5%) in poverta' assoluta oggi. Praticamente gli stessi di 30 anni fa, quindi (se la definizione e' la stessa, come pare).

Vecchi et al usano una metodologia e fonti diverse (bilanci Bankitalia) ma i risultati coincidono bene - 4.7% vs 4% ISTAT per il 2007 [p.300] Secondo loro, la povertà è rimasta bassa per tutti gli anni Ottanta, è aumentata negli anni Novanta ed è ritornata ai livelli degli anni Ottanta negli anni più recenti

Ciao,

sono un pò di più, nell'82 gli italiani erano circa 55 milioni, ora sono 60 milioni, quindi sono un poco aumentati in valore assoluto.

Non avrò accesso ad internet per una settimana. Risponderò ad eventuali commenti o domande al mio ritorno

finalmente un libro sulla storia d'italia che sento di poter leggere.

Se tutto ciò è accaduto, non sarà che le classi dirigenti italiche, spesso vituperate su codesto sito, abbiano avuto qualche merito (almeno nell'era pre-berlusconiana)?

No, almeno in senso relativo ed in media.

La ragione è banale: altrove è accaduto lo stesso ma è accaduto prima, ha fatto di più ed ha dato un miglior risultato (prova: prendere la A14, continuare sulla A22 e tirare dritto: basta guardare dal finestrino).

Vale inoltre la pena notare che, ancora all'inizio del 1600, l'Italia era il paese più ricco d'Europa (ossia del mondo, con buona pace delle teorie prive di dati di Pomeranz&Co), non il più povero. Se dalla fine dell'800 in poi ha dovuto spendere un secolo e passa per recuperare parzialmente il terreno perduto e che ora sta perdendo di nuovo, qualche ragione forse c'è, o no?

A dirti la verità, io vedo solo un merito qui: aver accettato supinamente l'occupazione USA (più che altro per paura dei comunisti) ed aver obbedito (negli affari economico-sociali) all'ambasciata che sta a Via Veneto per tre decenni circa. Controllerò i dati esatti sul testo appena riesco a metterci le mani sopra (finché ero in Italia era introvabile) ma a naso direi che 2/3 del catching up è avvenuto fra 1946 e 1976.

P.S. Ovviamente, se uno cerca attentamente, può trovare delle classi dirigenti che, almeno sino alla recente transizione democratica (ma è troppo presto per dire, sono passati solo 33 anni) han fatto peggio. Quelle spagnole. E qui s'apre un bel dibattito, dal quale m'astengo, sui destini del Sud d'Italia ...

Mi permetto di dire che non di rado si perde la prospettiva delle cose. Le definite nostalgie neo-borboniche non esistono neanche nei sogni più romantici dell'ultimo discendente dell'ultimo dei borbonici arresosi a Gaeta. Non è affatto in discussione l'idea che l'Italia doveva essere unificata ed anzi che il processo avrebbe dovuto fin dal principio coinvolgere lo Stato Pontificio (come, è tutto un altro discorso). Il punto è che quella realizzata è stata una vera e propria invasione (da parte di uno Stato amico, addirittura imparentato per matrimonio tra una Savoia - Maria Sofia, se non ricordo male e Francesco II). La rilettura storica va vista in questa prospettiva. Anche colui che a mio modo di vedere è il più critico (e lucido) analista della c.d. unificazione (il Giornalista e Storico Angelo Manna, scomparso nel 2001) in uno dei suoi scritti in materia (Briganti furono loro, quegli assassini dei Fratelli d'Italia) afferma che l'Italia andava sì unita, ma non in quel modo e con le conseguenze che ancora oggi paghiamo.

 

Mi permetto di dire che non di rado si perde la prospettiva delle cose...Il punto è che quella realizzata è stata una vera e propria invasione...'Italia andava sì unita, ma non in quel modo e con le conseguenze che ancora oggi paghiamo.

 

giusto per non perdere la prospettiva, la guerra civile (o di secessione) americana combattutta negli stessi anni e con tecnologia militare simile è stata molto più sanguinosa, violenta e dannosa delle scaramucce tra piemontesi e meridionali. Eppure in Virginia o Carolina (sud e nord) non lamentano a 150 anni di distanza le conseguenze di una guerra. anche lì si celebra il 150esimo.

Non paghiamo nessuna conseguenza. Nel 1861, il Sud era più arretrato, e aveva meno possibilità di sviluppo - più lontano dall'Europa, meno risorse idriche, più analfabetismo. Si è sviluppato, anche se meno del Nord (di quasi dieci volte vs di 14 volte). Punto. Avrebbe potuto svilupparsi di più con una politica diversa? Può darsi, ma può essere anche vero il contrario.

La volete piantare con il piagnisteo neo-borbonico supportato da analisi fantasiose di storici dilettanti?

Mi ha molto colpito la questione benessere-statuto, e in particolare i dati della Tab.2.1 che riporta la statura media degli iscritti alla leva per regione.

Perchè il Nord-Est "parte" (dal 1861 per Veneto e Friuli VG e dal 1931 per il Trentino AA) in condizioni di maggiore benessere?

Mi vengono due tentativi di risposta. Il primo riguarda il fatto che le condizioni di vita erano migliori in quelle zone, forse per l'influenza dell'Impero Austo Ungarico; se vogliamo questa ipotesi segue il ragionamento di Boldrin sulla prova dell'A22.. Ma la cosa mi convince poco; queste terre sono state nell'800 terre di emigrazione per povertà diffusa. Il secondo tentativo di risposta è quindi legato all'emigrazione: non tanto perchè sono emigrati i più poveri (molto probabilmente sono emigrati i più coraggiosi)ma per il vantaggio lasciato a chi è rimasto.

Aspetto aiuto..

grazie!

 

Mi ha molto colpito la questione benessere-statuto, e in particolare i dati della Tab.2.1 che riporta la statura media degli iscritti alla leva per regione.

Perchè il Nord-Est "parte" (dal 1861 per Veneto e Friuli VG e dal 1931 per il Trentino AA) in condizioni di maggiore benessere?

Mi vengono due tentativi di risposta. Il primo riguarda il fatto che le condizioni di vita erano migliori in quelle zone, forse per l'influenza dell'Impero Austo Ungarico; se vogliamo questa ipotesi segue il ragionamento di Boldrin sulla prova dell'A22.. Ma la cosa mi convince poco; queste terre sono state nell'800 terre di emigrazione per povertà diffusa. Il secondo tentativo di risposta è quindi legato all'emigrazione: non tanto perchè sono emigrati i più poveri (molto probabilmente sono emigrati i più coraggiosi)ma per il vantaggio lasciato a chi è rimasto.

 

L'aumento dell'altezza media in un determinato territorio o meglio in una determinata popolazione significa con buona attendibilita' miglioramento delle condizioni di nutrizione e quindi aumento di benessere/PIL. Il confronto tra altezze medie di diverse aree geografiche o popolazioni e' molto meno significativo: aree diverse possono avere popolazioni diverse caratterizzate da altezze medie diverse.

Credo che dai tempi dei romani ad oggi l'altezza media tedesca sia maggiore di 5-10cm di quella italiana per esempio. Oggi i morti per obesita' superano i morti di fame e la percentuale di obesi e' maggiore nel Sud Italia rispetto al Nord, tuttavia l'altezza media nel Nord-Est supera quella delle altre regioni: cio' significa probabilmente che le popolazioni del Nord Est hanno diversa origine e sono mediamente piu' alte. Forse poi contano anche altri elementi come il tipo di alimentazione e il clima, indipendentemente dal benessere/PIL.

Riguardo le condizioni del Nord Est al tempo dell'unificazione italiana, le stime del PIL pro-capite - che hanno una grande incertezza come accennato negli articoli di G.Federico - sono significativamente inferiori alla media del Centro-Nord. Tuttavia altri indicatori come l'alfabetizzazione e aggiungo io la sopravvivenza infantile da 1 a 12 mesi (in genere correlata col benessere) erano di buon livello. Non mi sembra invece che possa essere ritenuta indicatore di benessere la maggiore altezza media.

Se si volesse combinare in un unico indice i dati sul PIL, quelli sulla sanita' e quelli sull'istruzione si potrebbe usare l'indice di sviluppo umano, compilato dall'ONU.

 

 

 

Il primo riguarda il fatto che le condizioni di vita erano migliori in quelle zone, forse per l'influenza dell'Impero Austo Ungarico

 

Non è proprio così. La cosa è già stata (furiosamente) discussa nei commenti a questo post, dove si cercava di "calcolare" il capitale sociale del triveneto.

Caspita! mi rendo conto che il tema è scottante, e il rischio di scottarsi - tornandoci su - è elevato..

Ma da quello che ho capito (non ho purtroppo avuto il tempo di legere tutto), all'unificazione il Nord-Est era povero. Però la statura media era elevata.

Come si spiega? Si tratta forse di un indicatore non eccessivamente fine e quindi non sempre funziona? (scusate, questo è un apsetto che si potrebbe controllare ma non ho il tempo; se qualcuno l'ha fatto e ha la bontà di rispondermi lo ringrazio).

La butto in scherzo: forse altre variabili intervengono, oltre alla ricchezza... a meno che i Watussi non ci nascondano qualcosa :-)

 

Non so se avete già visto questo lavoro di Stefano Fenoaltea  (anche lui di Tor Vergata) pubblicato da banca Italia?
A quanto pare, valutando variabili come l'indice di industrializzazione, fornirebbe una visione dell'Italia appena post unitaria nella quale le differenze di sviluppo regionale non sarebbero così marcate come quelle mostrate in questo articolo. In tal caso corroborerebbe alcune delle idee professate dai "nostalgii neo-borbonici".

 

E' un lavoro ben noto e tecnicamente sbagliato. Infatti disaggrega i dati nazionali sul Valore Aggiunto sulla base delle percentuali di ciascuna provincia sull'occupazione per settore secondo i censimenti della popolazione (per forza, sono gli unici disponibili). In tal modo, assume che la produttività per settore sia eguale in tutte le provincie. Per intenderci che un tessitore a domicilio di cotone part-time a Reggio Calabria fosse altrettanto produttivo di un tessitore con telaio meccanico a Varese. Quindi sottovaluta le differenze fra provincie. E' lo stesso errore che ha portato Daniele e Malanima (che usano le stime di Fenoaltea) a non trovare differenze di PIL nel 1861.

Un breve editoriale che prende spunto dall'ottimo testo di Vecchi:

giovannistraffelini.wordpress.com/2011/10/13/benessere-e-giganti/