Come guardar crescere l’erba d’inverno

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La nota sulla advocacy fatigue con cui Michele Boldrin si è preso una pausa dall’impegno su questo sito è comprensibile. Scrivere è gravoso, scrivere bene è ancora più gravoso, scrivere qualcosa di originale prende una marea di tempo, scrivere in modo convincente senza scadere nella banalità è frutto di un raro momento di grazia (almeno per me). Ne vale la pena?

In un paese come l’Italia refrattario ai fatti, impermeabile alla crudezza dei dati, impregnato di ideologie obsolete, in bilico perenne tra Mussolini e Masaniello, con interludi andreottiani e un sostrato di consociativismo radicato nelle elites, provare a diffondere idee controcorrente o innovative è fatica improba. A leggere certi commenti ai blog (non NfA) si rimane interdetti nel verificare quanto sono radicati pregiudizi da modello superfisso innestati su slogan da comizio anni ‘50.

Per di più la cultura liberale ha il difetto di non essere particolarmente facile da snocciolare in forma di narrativa, di parabola o di catechesi in un paese dove tarallucci e vino hanno conio che non svaluta. Anche chi ha un diploma di laurea appesa in salotto, mostra una granitica idiosincrasia verso ragionamenti concreti e analisi fredda delle conseguenze, per colpa anche all’istruzione di stampo crocian-gentiliano vecchia di un secolo (anzi gia’ vecchia quando venne importata in Italia), che prevale nelle scuole di ogni ordine e grado.

Il peso della quotidianità per tanti si solleva solo sulle ali delle illusioni. La mediocrità anela ad appartenere al Bund che rassicura. Il riscatto ha una colonna sonora di salmi e un palcoscenico di festose (o religiose) kermesse. La fabbrica del consenso irradia il sol dell’avvenire o fa balenare meno tasse (e piu’ pilu?) per tutti. A chi non paga tasse sventola sotto il naso un biglietto di ingresso per la casa de “Il Grande Fratello”.

Mentre la vena individualistica tipica del liberale spinge a detestare il ruolo di missionario o di agit prop. Il proselitismo si concretizza preferendo il salotto alla piazza e la biblioteca al bar. Insomma sul terreno patrio già di per sé arido per la cultura liberale, si è fatto pochissimo per dissodare le zolle. I grandi organi di informazione che si piccano di rivolgersi alla borghesia produttiva e delle professioni, e che in teoria dovrebbero dare un minimo di spazio alla cultura liberale, affidano le prime pagine agli Ostellini di varia foggia e natura. En passant, e’ un’esperienza straordinaria leggere adesso il Pierino berluschino lamentarsi che Tremonti e’ un socialista.

Eppure, se guardo indietro al periodo in cui l’epiteto liberale era un insulto (per molti lo e’ ancora), alcuni passi in avanti sono stati fatti. Quando mi coglie lo sconforto rivado con la mente ad un episodio che mi capito’ lavorando al Centrostudi Confindustria prima di finire la tesi. Scrissi un rapporto, distillato in un breve articolo per il settimale Mondo Economico, intitolato “La Denazionalizzazione dell’Industria Elettrica”. Dovetti ricorrere al termine “denazionalizzazione” perché nella Roma del CAF il termine “privatizzazione” (eravamo nel 1990) veniva considerato una rozza provocazione di stampo thatcheriano e non si poteva pronunciarlo impunemente nelle stanze del potere o al cospetto dei mandarini.

Nonostante la prudenza lessicale il pezzo fece scalpore. Il Presidente dell’ENEL del tempo, tal Viezzoli, si infuriò. Mandò a dire al settimo piano di Viale dell’Astronomia che lui non era uno sprovveduto: intuiva chiaramente come l’articolo fosse una manovra dei dorotei per colpirlo (in vista di non so quale evento), ma che lui avrebbe mosso le sue pedine e lavato l’affronto.

Cosi’ andavano le cose in quell’Italia che rappresentava una combinazione convessa (a parametri incostanti) tra il tardo breznevismo e il Paraguay di Stroessner. Pochi anni dopo sarebbe stata spiazzata da Tangentopoli, ma soprattutto dalla crisi economica devastante che ci catapultò fuori dal sistema monetario europeo. Privatizzazione divenne un vocabolo accettato e l’ENEL andò in borsa. Fu purtroppo una stagione breve, anche se molti tra i liberali si illusero che fosse irreversibile. Invece quel processo con l’avvento del berlusconismo, erede morale e materiale del CAF e del craxismo (Tremonti, Brunetta, Sacconi, Cicchtto, Boniver, Stefania Craxi, Caldoro), si e’ arenato. Ma l’attuale crisi economica, ancora piu’ devastante di quella del 1992, scardinerà gli equilibri degli ultimi 15 anni e ci condurrà ad un punto di biforcazione epocale.

In tali circostanze il mercato delle idee diventa più liquido e si sgretolano le barriere all’entrata perché anche le menti anchilosate e le greggi prive di cani pastore di fronte al disastro sono portate a considerare tutte le alternative. Il provocatorio diventa rispettabile, l’impensabile diventa ragionevole, l’esecrabile si trasforma in programma di governo.

Non è nella nostra disponibilità decidere il momento e le circostanze in cui il punto di appoggio della leva intellettuale diventa più solido. Ma sta a noi riconoscere quando l’occasione è propizia. Attorno ai fuochi accesi tra le macerie si dovrà discutere della ricostruzione e in quel momento non deve mancare la voce. Bisognerà premurarsi che sia una voce chiara, che parli per concetti semplici senza sussiego, e che ribatta spesso sugli stessi punti. Ma il terreno va preparato hic et nunc.

L’effetto delle idee e’ impercettibile. Volerlo discernere e’ un po’ come fissarsi a guardare  l’erba crescere d’inverno, per cui si sente l’impulso di abbandonare la cura del prato. Poi a maggio ci si rallegra di non aver ceduto all’impulso. In Italia in questo momento la stagione politica e quella climatica sono invertite. Bisogna concimare adesso per quando arriverà novembre e la vera Legge di Stabilità con le scelte incalzate dall’emergenza, non le tragiche baggianate tremontiane di questi giorni.

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Commenti

Ci sono 64 commenti

 

 

By Luke Baker BRUSSELS Sun Jul 10, 2011 11:11am EDT (Reuters)

Exclusive: EU calls emergency meeting as crisis stalks Italy

European Council President Herman Van Rompuy has called an emergency meeting of top officials dealing with the euro zone debt crisis for Monday morning, reflecting concern that the crisis could spread to Italy, the region's third largest economy. [...]

The talks were organized after a sharp sell-off in Italian assets on Friday, which has increased fears that Italy, with the highest sovereign debt ratio relative to its economy in the euro zone after Greece, could be next to suffer in the crisis. [...]

The spread of the Italian 10-year government bond yield over benchmark German Bunds hit euro lifetime highs around 2.45 percentage points on Friday, raising the Italian yield to 5.28 percent, close to the 5.5-5.7 percent area which some bankers think could start putting heavy pressure on Italy's finances.

Shares in Italy's biggest bank, Unicredit Spa, fell 7.9 percent on Friday, partly because of worries about the results of stress tests of the health of European banks that will be released on July 15. The leading Italian stock index sank 3.5 percent. [...]

"We can't go on for many more days like Friday," a senior ECB official said. "We're very worried about Italy."

 

fonte

 

 

 

Ho l'impressione di rivedere la progressione che ha costretto il Portogallo a gettare le spugna. Fino a una settimana prima il Ministero delle Finanze insisteva che non c'era bisogno di aiuti esterni perche' il servizio del debito era sostenibile. Poi le banche dopo una serie di provvediemnti ridicoli del governo annunciarono che non avrebbero partecipato piu' alle aste e con una concentrazione di scadenze di titoli a lungo termine in poche settimane, il governo capi' che era al capolinea.

In Italia la concentrazione di rifinanziamenti non e' cosi' concentrata, ma d'altro canto le banche italiane sono gia' sotto pressione e l'ammontare del debito spaventa gli altri detentori di titoli. Bastano un paio di aste non troppo brillanti .....

Per chi volesse avere un'idea di come ci vedono da fuori questo e' un post breve e interessante

http://www.zerohedge.com/article/heres-why-italys-cds-are-biggest-risk-eurozone

 

Visto che anche i CDS sulla Francia stanno aumentando di volume, nei commenti al post si parla inizialmente di F-PIIGS. Poi qualcuno nota che anche il Regno Unito non se la passa bene e l'acronimo si allunga. Ancora nessuno ha sollevato dubbi sulla Cina (che tuttavia ha seri problemi fiscali a livello di governi locali) .... Pero' uno ha notato che US non sono solo le iniziali di un paese alle prese con una crisi politica sul debt ceiling, ma anche un pronome ...

 

 

 

ottimo pezzo

Temo che le radici della cultura liberale in Italia siano inaridite da molto, forse troppo tempo, e non si vedono in giro molti giardinieri intenti a lavorare per ridar loro aria e luce. I pochissimi che tengono duro sono voces clamantes in deserto, non di rado irrisi come illusi fuori del tempo.

Riflettevo proprio su questo leggendo questo articolo sul Corriere di ieri. Confesso che sapevo poco o niente di Francesco Ruffini.

GD

 

 

A dire il vero neanche io conoscevo Ruffini.

Non mi pare che una cultura genuinamente liberale abbia mai avuto molto spazio in Italia. 

Dalla caduta dell'impero romano d'occidente abbiamo fatto tutte le controrivoluzioni possibili senza mai aver fatto uno straccio di rivoluzione e, dal 1900 ad oggi, abbiamo sviluppato un capitalismo di terza classe che ha saputo crescere solo grazie ai maneggi con i potenti di turno.

Ad ogni modo finchè c'è vita c'è speranza!

 

 

 

 

Non mi pare che una cultura genuinamente liberale abbia mai avuto molto spazio in Italia.

 

Completamente d'accordo.  Ma e' realistico ritenere che una cultura liberale possa avere grande spazio in futuro? Io credo che non sia realistico.

Domanda, rivolta a te e a chiunque altro legga:

  • in quali Stati del mondo una cultura genuinamente liberale e' maggioritaria e condivisa?
  • in quali Stati del mondo una cultura genuinamente liberale ha lo spazio che si auspica dovrebbe avere in Italia?

Personalmente ritengo le elites italiane incapaci di esprimere una cultura liberale nel prevedibile futuro.

Mi accontenterei che le elites italiane siano capaci, entro i limiti loro e degli italiani, di imparare qualcosa e di emulare in qualche misura le politiche seguite in Svizzera, Svezia, Danimarca, Germania, anche al limite Spagna, che non mi sembrano particolarmente liberali ma funzionano decentemente.  Forse questo e' un obiettivo piu' raggiungibile di quello di convertire gli italiani ad una cultura genuinamente liberale.

 

Il fatto è che all'Italia servirebbe una cultura alla Merkel, insomma una cultura democristiana tedesca, non una "cultura liberale" - è questo l'errore di Boldrin. Boldrin stesso potrebbe contribuire in qualche modo, ma il punto è il progetto, è la visione generale, come ho detto.

RR

What is that supposed to mean? Potrebbe definire cultura alla Merkel?

Leggendo l'articolo vengono in mente mille esempi ed anedotti a conferma di quanto vi è scritto.

Siamo un paese dove, per varie ragioni storiche, il pensiero liberale fa fatica ad attecchire sia "economicamente" che "eticamente".

Ad esempio: la "borghesia produttiva" che si cita non è quella dei self made man alla Ford, ma quella dei Marchesi di Montezemolo: non si è sviluppata grazie al libero mercato e, anche se fosse, una volta in sella, italianamente, lo rinnegherebbe per proteggere lo status quo faticosamente raggiunto.

Proprio per questo, anzi a maggior ragione, di pensiero liberale il paese ha estremo bisogno.

Non so se ne "valga la pena" certo è la cosa giusta da fare,

PS

 

scrivere bene è ancora più gravoso, scrivere qualcosa di originale prende una marea di tempo, scrivere in modo convincente senza scadere nella banalità è frutto di un raro momento di grazia (almeno per me)

 

Non fare il modesto! Ancora adesso rido di gusto quando ripenso al tuo commento all'articolo "scalare la luna con il deltaplano"

 

Bisognerà premurarsi che sia una voce chiara, che parli per concetti semplici senza sussiego, e che ribatta spesso sugli stessi punti. Ma il terreno va preparato hic et nunc.

Sono assolutamente d'accordo. Credo che per quanto difficile, rendare 'narrazione' le prospettive che politiche liberali comporterebbero pur difficile sia possibile. Sicuramente è necessario.Adesso, qui ed ora.

Dovetti ricorrere al termine “denazionalizzazione” perché nella Roma del CAF il termine “privatizzazione” (eravamo nel 1990) veniva considerato una rozza provocazione di stampo thatcheriano e non si poteva pronunciarlo impunemente nelle stanze del potere o al cospetto dei mandarini.

Le sono son cambiate di poco, basti vedere alla reazione all'idea di "privatizzare l'acqua": contenuti della legge a parte e' proprio il concetto che spaventa. A questo riguardo, ripeto una cosa che ho gia' scritto anche se so di essere il solo a pensarla cosi': le liberalizzazioni all'acqua di rose di Bersani hanno avuto come vantaggio principale proprio quello di sdoganare il termine con valenza positiva. Magari non era intenzione di Bersani farlo ed e' stato soltanto un effetto collaterale ma prima di lui nessuno parlava di liberalizzazioni con quel tono: lui ha tolto i costi fissi di ricarica del telefonino, le ha chiamate per qualche motivo liberalizzazioni e adesso son tutti liberali. Forse basta un poco di zucchero?

 

ripeto una cosa che ho gia' scritto anche se so di essere il solo a pensarla cosi'

 

No, siamo in due. Può non piacere, ma è l'unico caso, negli ultimi anni, in cui il termine "liberalizzare" ha avuto un' accezione positiva nei dibattiti "mainstream" del nostro paese.

Voglio sottolineare una cosa: "privatizzare" (rendere privato) e "liberalizzare" (mettere in concorrenza) non sono la stessa cosa.

L'articolo è interessante, anche se un po' astratto. I commenti lasciano perplessi: a parte la diatriba sull'ordo-liberismo, che per qualche capo ameno della sinistra non è altro che cripto-fascismo, si divaga un po' troppo intorno a idee ricevute.

Il paese ha bisogno di pensiero liberale, come chiede Corrado Ruggeri? probabilmente sì, ma allora è produttiva la divisione tra liberali veri e liberali del cazzo? forse che i liberali veri sono quelli organici alla sinistra? ma quali sono? qualche nome non guasterebbe. 

Le "liberalizzazioni" di Bersani furono solo in parte dirette a creare maggiore concorrenza (farmacie, taxi); in parte maggiore si trattò di interventi dirigisti nelle attività economiche (modificazione di diverse norme del testo unico bancario), espressione di un modo di pensare paternalista. A proposito, "l'ideologia paternalista catto-comunistoide" mi sembra un altro straw-man: paternalismo e comunismo possono essere consonanti tra loro (solo che il paternalismo comunista presuppone prima la distruzione del nemico di classe);i rapporti tra cattolicesimo e paternalismo sono meno precisi, a meno che si voglia considerare integralmente paternalista la Soziale Marktwirtschaft - ma allora includiamo nel paternalismo buona parte del liberalismo europeo, non solo quello della sinistra USA, e tutto è paternalismo.

Abbiamo bisogno di maggiore precisione concettuale, credo.

 

Abbiamo bisogno di maggiore precisione concettuale, credo.

 

Quello può benissimo darsi Luciano, ma lascia che chiarisca due tuoi appunti, riguardanti dei miei commenti, perchè non sono stati intesi come avrei voluto.

 

è produttiva la divisione tra liberali veri e liberali del cazzo? forse che i liberali veri sono quelli organici alla sinistra? ma quali sono? qualche nome non guasterebbe.

 

1.Non era mia intenzione farne una questione di liberali schierati a destra o sinistra. Mi rifacevo ad una definizione di Michele Boldrin che definiva così quegli intellettuali autodefinitisi "liberali" che però non lo sono affatto. Operare una distinzione, anzi ridefinire chiaramente cosa sia un liberale penso che in Italia sia produttivo e necessario perchè il termine ha poco o nullo appeal.

2. Con ideologia "paternalista catto-comunistoide" non intendo realmente  quella cattolica o quella comunista (infatti dico "comunistoide") anzi non intendo nemmeno un'ideologia. E' il nome che do a quel guazzabuglio qualunquista**, diffusissimo in Italia (leggiti un po' di commenti a Blog o riviste politiche), sviluppatosi da un humus formato principalmente su quelle ideologie. Il suo mantra è: il profitto è male (parte di mantra di origine cattolica), le imprese sono il male perchè vogliono fare il profitto (parte di mantra di origine comunista)= lo stato deve impedire alle imprese di fare macelleria sociale (parte di mantra paternalista).

Spero di essere stato più chiaro (a rileggermi non mi sembra :-) )

PS

Possiamo fare tutte le critiche che vogliamo alle "lenzuolate" di Bersani ma, purtroppo, sono le cose più liberali che son state fatte in Italia negli ultimi 10 anni. Non lo dico per esaltare Bersani, anzi mi limito a prenderne tristemente atto.

** in effetti potrebbe anche essere uno strawman. Però io lo intendo come una semplificazione, in mancanza di un preciso termine, per definire quel particolare, diffuso, modo di pensare.

 

 

se vogliamo essere precisi,la pancia della "sinistra",intesa come sentimento,come groviglio di idee,non è per nulla liberale come non lo è la pancia della lega(forse la lega anni 90,forse..e solo un pezzo..).forse la base della vecchia fi lo era,una parte almeno,intendendo come liberale un seppur minimo desiderio di "liberare" energie e idee senza troppi freni burocratici o altro.leggermente anti statalista,in sintesi.ma rimane una piccola conventicola.il futuro è un moroteismo populista statalista,alla vendola,alla franceschini,alla bindi.venato di eticismo come la bindi stessa.

Per rimanere in metafora direi che, intanto che guardiamo crescere l'erba, c'è gente che passa con il tosaerba e butta il sale.

In settimana:

1. Guido Viale (invitato praticamente su tutti i canali Rai, come unico esperto economico di cui l'Italia disponga) ha spiegato come il mercato "sia sbagliato" (su Rai News) e Draghi sia responsabile della crisi greca (su Rai Radio3)

2. il 19 su radio rai3 il presentatore e l'ospite (Castronovo) sostenevano che il capitalismo e il mercato libero hanno fallito e che bisogna dare più potere allo stato che deve poter controllare i mercati. Ovviamente la cosa non era una tesi tra le tante, il fatto veniva dato per accettato e risaputo (audio)

3.Nel programma seguente: Fabrice Leclerc spiegava al popolo il "potere delle scelte"! In particolare come tutti dovessero comprare solo prodotti "BIO", ed a km zero, per combattere la speculazione, l'inquinamento e tutti i vari mali del mondo (NOTA: sto tizio insegna alla Bocconi. Mi domando ma a km zero in centro a Milano cosa ca**o mangi? Cani e gatti?)

 

Ho ascoltato anch'io la trasmissione a cui partecipava Viale, a parte che non mi sembra così onnipresente, non mi pare che abbia detto che Draghi sia responsabile in prima persona, ha semplicemente ricordato come facesse parte di un'organismo che fino a poco tempo prima rassicurava sulla solidità della Grecia.

Circa la questione del mercato "sbagliato" ha posto (se ho capito bene) la stessa domanda che mi pongo da tempo anch'io; com'è possibile che in presenza di parametri completamente diversi, ci si affidi ancora a teorie economiche e a rimedi elaborati in epoche ormai trapassate? Dal mio punto di vista è come se per un intervento chirurgico ci affidassimo a un medico che ci opera con strumenti dell'ottocento.

forse sara' il caso di riflettere, se le (molte) valide intuizioni di nFA non vadano sistematizzate.