Alla crescita mancano i giovani

/ Articolo / Alla crescita mancano i giovani
  • Condividi

La causa principale della non crescita italiana degli ultimi 10 anni è che le generazioni che dovrebbero fare da traino del paese, immettendo innovazione e reggendo la sfida della competitività, non sono in condizioni di farlo. Ci sono delle condizioni “oggettive” per cui questo accade, si possono individuare le ragioni perché queste condizioni si sono create, ed esiste una condizione “soggettiva” o “psicologica” che impedisce che questo fatto si traduca in vero e proprio conflitto.

L’idea che voglio sostenere è che la causa principale della non crescita italiana degli ultimi 10 anni è che le generazioni che dovrebbero fare da traino del paese, immettendo innovazione e reggendo la sfida della competitività, non sono in condizioni di farlo.

Esiste una sofisticata letteratura economica su crescita economica, struttura demografica e capitale umano, ma non baserò la mia argomentazione su questa letteratura. Cercherò di spiegare perché la/le generazione/i che avrebbero l’onere e l’onore di trainare la crescita italiana, non sono in condizioni di farlo, evidenziando le condizioni “oggettive” per cui questo accade, le ragioni perché queste condizioni si sono create, e la condizione “soggettiva” o “psicologica” che, fino ad oggi, ha impedito che questo fatto si sia tradotto in vero e proprio conflitto.

Cominciamo dalle condizioni oggettive. La mia generazione (ho avuto il primo contratto co.co.co il 1 gennaio 1996 e quindi sarò una delle prime pensionate contributive al 100 per cento), e quelle che seguono, stanno oggi sostenendo il debito pubblico, il debito pensionistico e il costo della trasformazione del mercato del lavoro avvenuta negli ultimi 15 anni. Di questi tre costi, solo il primo viene sostenuto insieme alle altre generazioni, via pressione fiscale.

Per capire meglio, sono utili i c.d. conti intergenerazionali, che considerano i benefici della spesa pubblica, l’onere delle imposte e dei contributi pensionistici su ciascuna coorte di popolazione. Per l’Italia mostrano che coloro che sono nati dopo il 1955 daranno allo Stato più di quanto riceveranno nel corso della loro vita, mentre coloro che sono nati prima del 1955 riceveranno più di quanto hanno dato (si veda Rizza e Tommasino, 2008).

A proposito del mercato del lavoro, la legge Treu è entrata in vigore nel giugno del 1997 e ha codificato tipologie contrattuali che si erano diffuse in Italia dall’inizio degli anni novanta.

I suoi effetti, attesi e non, sono stati i seguenti:

a) “il salario relativo dei lavoratori dipendenti più giovani si è ridotto nel corso degli anni novanta e negli anni successivi. Alla fine degli anni ottanta le retribuzioni nette medie mensili degli uomini tra i 19 e i 30 anni erano del 20% più basse di quelle degli uomini tra i 31 e i 60 anni, e la differenza era salita al 35% nel 2004. Un andamento simile si osserva per le retribuzioni orarie, che non risentono della crescente diffusione del lavoro part-time, ed è riscontrabile a tutti i livelli di istruzione”. (tratto da Rosolia e Torrini, 2007).


b) in condizione di crisi sono i giovani a perdere il posto di lavoro per primi. "La riduzione rispetto al 2008 della quota di occupati tra i giovani è stata quasi sette volte quella osservata tra i più anziani. Hanno pesato sia la maggiore diffusione fra i giovani dei contratti di lavoro a termine sia la contrazione delle nuove assunzioni, del 20 per cento. Da tempo vanno ampliandosi in Italia le differenze di condizioni lavorativa tra le nuove generazioni e quelle che le hanno precedute, a sfavore delle prime. I salari d’ingresso in termini reali ristagnano da quindici anni" (dalla Relazione Generale di Banca d’Italia, maggio 2010).

c)  i nuovi entrati non hanno la forza per “ingaggiare una salutare dialettica generazionale tra senior insider e junior insider”, che sarebbe benefica per innovare. Questo perché i giovani che lavorano alle stesse condizioni dei meno giovani sono numericamente molto pochi. Lo sono per due ragioni: la prima è che sono diminuiti come coorte di popolazione; se negli anni ‘70 la classe di età 20-29 sovrastava nettamente la classe 60-69, ora il progressivo calo dei primi e l’aumento dei secondi ha portato ad una situazione di sostanziale equilibrio. La seconda è che la probabilità di essere uno junior insider è molto bassa –Boeri e Garibaldi hanno stimato la probabilità di avere un contratto a tempo indeterminato, partendo da un contratto a termine, tra il 5 ed il 10 per cento. La dialettica junior e senior insider, per quanto poco studiata -almeno con riferimento all’Italia-, è particolarmente importante se si guarda alla possibilità di sfruttare le nuove conoscenze e la capacità di adattarsi al nuovo che coloro che sono di più recente formazione dovrebbero avere.

Come è possibile che queste condizioni si siano create?

Sicuramente le ragioni per cui queste condizioni si sono create sono molte. Però, per capire perchè le importanti riforme fatte (due per tutte, quella delle pensioni tra 1992 e 1995, e quella del mercato del lavoro) sono state "spalmate" in maniera così iniqua tra generazioni, può essere utile guardare a  come le generazioni sono rappresentate.

Billari e Galasso nel 2007 osservavano che dei 45 membri del Comitato del Partito Democratico, che avrebbe dovuto guidarne la nascita, due terzi erano uomini e non c’era nessuno che avesse meno di 40 anni. Se si guarda alle istituzioni, la quota dei deputati under 40 è passata dal 7,9 per cento alla XIII legislatura, al 5,4 per cento nella XIV per poi risalire all’8,4 per cento nell’ultima. Poco, se di considera che gli eleggibili della coorte 25-40 anni sono oltre il 30 per cento del totale (Billari, 2007).

Amato e Sartori etichettano la discussione come giovanilismo. Secondo me si tratta di avere chiaro che, dalle condizioni oggettive illustrate sopra, in Italia chi ha più di 40 e chi ha meno di 40 sono due gruppi di persone che hanno interessi diversi, trasversalmente rispetto alla condizione socioeconomica e territoriale.  Alle ultime elezioni regionali, nelle cinque regioni dove a sfidarsi non sono stati candidati coetanei la differenza di età a favore del candidato di centrodestra è di 19 anni abbondanti (Antonio Funiciello, Cooptazione e clonazione in Mondoperaio, maggio 2010). Quando però, in uno dei suoi rari interventi del 2010, Prodi ha detto che i giovani devono cacciare i più anziani a calci nel culo, Bersani si è affrettato a dichiarare che aveva fatto un segreteria di 40-enni e che i segretari regionali nell'80 per cento dei casi sono dei quarantenni e che di diecimila amministratori, ottomila sono tra i 30 e i 40 anni.

Detto questo, concludo rispondendo a queste due domande: 

-    Perché il conflitto non è ancora esploso? 
-    Se è vero che il PD ha molti giovani dirigenti, che la maggioranza degli amministratori locali sono sotto i 40 anni, e che il centrodestra è stato anche più rapido in questo passaggio, cosa stanno dicendo/facendo questi coetanei?

Perché il conflitto non è ancora esploso?  Il conflitto non è ancora esploso per almeno due ragioni. La prima è che si tratta di una bomba disinnescata. “I giovani italiani siano indotti a chiedere come favore dai genitori quanto negli altri Paesi si ottiene dallo Stato come diritto. La famiglia di origine, unico e vero «ammortizzatore sociale », compensa quello che non offre il sistema di Welfare pubblico (e/o un mercato che funziona, aggiunta mia). Aiuta a trovare lavoro, a integrare il magro stipendio iniziale, a pagare affitto o mutuo, a fronteggiare le varie situazioni di difficoltà nel processo di conquista di un propria autonomia. Ma una società nella quale conta soprattutto scegliersi bene la famiglia nella quale nascere, e poi tenersi buoni i genitori il più a lungo possibile, non è l’esatto ritratto di una società equa e dinamica” (cit. Rosina, 2008. Perché non scoppia la rivoluzione giovanile?, Il Mulino).

La seconda è che: “La condizione di precarietà costringe i giovani a rimanere quotidianamente preoccupati del proprio percorso individuale a mantenere quindi costantemente lo sguardo verso il basso per decidere come e dove posare il piede, passo dopo passo. Più difficile allora, in queste condizioni, riuscire ad avere il tempo, la condizione psicologica e le energie intellettuali, per sollevare lo sguardo e cercare di capire cosa sta accadendo al di sopra delle loro teste”. (cit. sempre Rosina, 2008).

Cosa fanno i giovani politici che sia il PD sia il centrodestra hanno sponsorizzato? Luigi Marattin, ricorrendo alla genetica per descrivere il meccanismo della “cooptazione fidelizzante”, dice "Questo meccanismo raffigura una riproduzione della classe dirigente per mitosi: una riproduzione asessuata che trasmette copie esatte di cromosomi dai genitori ai figli. Il figlioccio così ha davanti a sé non una rendita di posizione già godibile ma, il che è molto peggio, la prospettiva/ certezza di ereditarla; la drammatica conseguenza di tutto questo è che, spesso, i giovani fanno blocco con i padrini per ostacolare riforme strutturali: lo vediamo succedere, prima di tutto, nelle università. Ecco perché l’età anagrafica è una categoria necessaria ma non sufficiente per garantire un vero ricambio" (Assemblea Annuale Libertauguale, 2006).

Come giustamente osservato, l’età anagrafica è una categoria necessaria ma non sufficiente per garantire un vero ricambio. La condizione necessaria e sufficiente è che i giovani tirino su la testa, la tengano ben dritta e pretendano di entrare nel palazzo.

Indietro

Commenti

Ci sono 201 commenti

Molto suggestivo e pienamente condivisibile, anche nella conclusione così amara. Ma allora cosa dobbiamo fare? 

Sono convinta che siano veramente migliaia le persone, giovani anagraficamente o solo nell'animo, che non attendono altro che il modo di avviare un riscatto collettivo che meritiamo, come Paese, come popolo e come individui. 

in quanto giovane (25 anni, una laurea triennale a firenze, una specialistica a berlino, tornato in italia a farmi il culo gratis in stage che non mi porteranno mai da nessuna parte) condivido in pieno l'analisi. e soprattutto ne condivido la fine: siamo così occupati dai nostri miserrimi lavoretti malpagati da non avere la forza, il coraggio e le possibilità per alzare la testa e ribellarci (hanno imparato bene la lezione, quella dall'altra parte: l'affermarsi dei diritti sindacali negli anni '50 ha portato soltanto a più rivendicazioni e al '68 - non ripeteranno questo errore); d'altra parte, senza questa presa di coscienza e azioni più determinate, le cose non cambieranno mai (non speriamo che i 50enni facciano il lavoro per noi).

la domanda a questo punto è una sola: quando si parte coi forconi?

 

ne condivido la fine: siamo così occupati dai nostri miserrimi lavoretti malpagati da non avere la forza, il coraggio e le possibilità per alzare la testa e ribellarci

 

Orfeo dimmi che è vero, che è per questi motivi e vi darò una mano coi forconi.

Mi spiego: queste ragioni sono sicuramente valide, ma temo ci sia anche una grossa battaglia culturale da fare. Mi sembra ci sia una consistente parte di giovani educata a cercarsi una sistemazione (il posto fisso o il lavoro nell'azienda di papà) e non a cercare di realizzarsi, di fare quello che piace.

Insomma giovani anagraficamente, ma educati a pensare da vecchi. Faccio mio il consiglio di Troisi a Robertino: dovete uscire, vi dovete salvare questi vi hanno chiusi in un museo :-)

PS

Troisi era un attore che guardavamo noi vecchi quarantenni

"La condizione di precarietà costringe i giovani a rimanere quotidianamente preoccupati del proprio percorso individuale a mantenere quindi costantemente lo sguardo verso il basso per decidere come e dove posare il piede, passo dopo passo."

Questa è un'ottima descrizione degli effetti di un sistema mafioso.

La mia generazione ..., e quelle che seguono, stanno oggi sostenendo il debito pubblico, il debito pensionistico e il costo della trasformazione del mercato del lavoro avvenuta negli ultimi 15 anni. Di questi tre costi, solo il primo viene sostenuto insieme alle altre generazioni, via pressione fiscale.

Amen.

Il bello è che spesso quando lo si fa gentilmente presente, o non ti credono (leggere alcuni commenti alla proposta di riforma previdenziale di Francesco Forti http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/Previdenza%3A_una_riforma_radicale) o peggio, ti trovi davanti gente compiaciuta della cosa (gli under 35 mi pagano i pranzi gratis? E perché glielo dovremmo impedire?).

Non tutti per carità (conosco pensionati che ammettono che dovrebbero contribuire molto di più al sistema paese), ma aneddoticamente mi pare che una larga parte degli over 55 si rifiuti di rendersi conto della cosa, e tra gli under 25 non c'è, eufemismo, una chiara comprensione dell'esistenza e dell'importanza del problema.

La mia generazione ..., e quelle che seguono, stanno oggi sostenendo il debito pubblico, il debito pensionistico e il costo della trasformazione del mercato del lavoro avvenuta negli ultimi 15 anni. Di questi tre costi, solo il primo viene sostenuto insieme alle altre generazioni, via pressione fiscale.

gli under 35 mi pagano i pranzi gratis? E perché glielo dovremmo impedire?).

 

Under 35 una del 1970 ? Grazie Alessandro !! Mi hai fatto ringiovanire :-)

Se il mercato riconosce il rischio,  come mai  un precario che ha una "rischiosità" più elevata rispetto ad un non-precario, ha una retribuzione che non riflette la condizione di rischio? non so se mi spiego....

Il rischio si riflette sul prezzo solo in un mercato concorrenziale.

Cioè, se un'azienda cerca un lavoratore qualificato, può assumere una persona o fare un contratto ad un freelance, e questo di regola lo paga di più.

Non funziona così all' ufficio postale, e nelle aziende private una gran differenza la fa il periodo di assunzione: l' economia ristagna, gli stipendi si abbassano e chi arriva tardi viene pagato meno.

Se fosse consentito dalla legge, molte aziende se potessero licenzierebbero (parte del) personale "anziano" e costoso per rimpiazzarlo con "giovani" più economici (tra virgolette perchè a volte il 50enne licenziato da poco è pure più appetibile, a pari prezzo).

Si può discutere sull' opportunità delle leggi suddette, ma gli effetti collaterali ci sono.

 

Come è possibile che queste condizioni si siano create?

 

Si, le ragioni sono molte ma direi: a) raccomandazioni invece di merito; b) una sostanziale dequalificazione del sistema universitario; c) la rigidità eccessiva del mercato del lavoro, che porta molti che sono già dentro ad essere inamovibili ed altri che vogliono entrare a dover essere troppo flessibili; d) gerontrocrazia italiana come risultato di scarsa mobilità nel lavoro (e nella politica). 

Un sistema bloccato e rigido produce queste cose ed i giovani allora emigrano.

 

 ed i giovani allora emigrano.

Anche i meno giovani.

Tra l'altro, IMVHO le statistiche dell'AIRE sottostimano il problema.

Il censimento Britannico del 2001 contava oltre 107 mila persone nate in Italia, tra i residenti nel Regno Unito, di cui circa 39 mila a Londra. L'incremento dal 1991 era di ben 10 mila persone, per cui se fosse continuato alla stessa velocità, nel 2011 potrebbero essere diventati circa 50 mila.

I dati provenienti dal Consolato Italiano parlano di circa 171 mila cittadini Italiani residenti e iscritti all'AIRE (notare che si tratta di una popolazione differente dalla precedente) nel 2007 per tutto il Regno Unito, di cui circa 113 mila nella circoscrizione consolare afferente a Londra, tra i quali circa 40 mila a Londra stessa.

Tieni presente che queste cifre sono riferite soltanto ai residenti, e sono da considerare delle stime per difetto dell'effettiva presenza di cittadini Italiani a Londra e nel Regno Unito.

Molte persone non si iscrivono all'AIRE, ad esempio quasi tutti i cittadini Brasiliani o Argentini che emigrano grazie alla doppia cittadinanza Italiana, fenomeno riscontrabile anche tra Sudafricani ed Australiani, ma anche tanti provenienti dall'Italia, per i più svariati motivi, dalla semplice ignoranza della legge al purtroppo spesso giustificato timore di dover andare incontro ad un'odissea burocratica per riottenere la residenza una volta tornati in Italia.

In generale, tra turisti, non iscritti all'AIRE e presenze temporanee comprese (i.e studenti, persone che provano a trovare un lavoro, ..), mi stupirei se ci fossero meno di 100 mila Italiani a Londra in ogni giorno d'estate, e meno di 75 mila nel resto dell'anno, e probabilmente anche questa stima potrebbe essere in difetto (se dovessi dare io una cifra a sentimento, direi almeno 400 mila cittadini italiani nel RU, ed almeno 150 mila soltanto a Londra, tutti i giorni dell'anno).

I giovani italiani siano indotti a chiedere come favore dai genitori quanto negli altri Paesi si ottiene dallo Stato come diritto. La famiglia di origine, unico e vero «ammortizzatore sociale », compensa quello che non offre il sistema di Welfare pubblico

Purtroppo siamo tempestati da mane a sera da editoriali che cercano di imporre la pedagogia che "il sistema di Welfare pubblico" va smantellato. Il resto d'Europa ci farebbe una risata sopra, ma da noi questi editorialisti 60-80enni vanno pagati, invece.

Noi lo dobbiamo costruire il "welfare" per i giovani, ma il familismo intralcia. Ci mangiano sopra loro. 

RR

Esiste una sofisticata letteratura economica su crescita economica, struttura demografica e capitale umano, 

Premesso che nel discorso successivo fai uso della struttura demografica, la migliore possibile soluzione del problema è appunto quella di incrementare il capitale umano e aggiustare la struttura demografica.

Ho scritto una proposta in merito, che se si ha il tempo è ancora meglio leggersi insieme ai 355 commenti ricevuti su ILI (alla luce dei quali confesso oggi cambierei alcuni aspetti delle proposta), che fondamentalmente va nella direzione già intrapresa direi quasi motu proprio dal sistema (risposta che bisognerebbe migliorare, soprattutto per quanto riguarda l'output in classi d'età e qualità del capitale umano!).

 

La condizione di precarietà costringe i giovani a rimanere quotidianamente preoccupati del proprio percorso individuale a mantenere quindi costantemente lo sguardo verso il basso per decidere come e dove posare il piede, passo dopo passo. Più difficile allora, in queste condizioni, riuscire ad avere il tempo, la condizione psicologica e le energie intellettuali, per sollevare lo sguardo e cercare di capire cosa sta accadendo al di sopra delle loro teste”. (cit. sempre Rosina, 2008).

 

Mah. Sarei curioso di leggere l'articolo per capire che evidenza porta su questo, e che implicazioni si spinge a trarre. Dipinge al tempo stesso una realtà nera (un circolo vizioso che non si può rompere, almeno nella misura in cui siano i "giovani" a doverlo fare in qualche modo) e un'indole umana che se solo non fosse "costretta" sarebbe capace di cose che voi umani... Così estrapolato, il passaggio mi suona più che altro musica per le orecchie di chi non cerca di meglio che scuse per "non sollevare lo sguardo".

 

 

 

  Non capisco il ragionamento dell'autrice. Sono perfettamente d'accordo che nessun Paese può crescere senza il contributo dei giovani. Sono anche d'accordo sul fatto che i diritti dei giovani (emolumenti, future pensioni, diritto al lavoro)  sono stati compressi a beneficio delle classi più anziane. Ma sostenere che ciò non permette ai giovani di assumere quel ruolo che loro spetterebbe è secondo me una deduzione che non tiene conto della realtà sociale. I giovani di oggi sono cresciuti in un mondo ovattato, sotto l'ala protettrice della mamma e della famiglia, e non hanno quella voglia di "fare", quella "aggressività" dei giovani delle generazioni ormai da tempo passate. In più hanno avuto una scuola nella quale meritocrazie e capacità individuali sono come si suol dire andate a farsi benedire.  La scuola non ha insegnato loro ad accettare alcuna sfida: comprendere qualcosa di difficile, riuscire là dove altri hanno fallito. Ed in genere, hanno una istruzione molto scarsa.

  Tutto ciò vale naturalmente considerando una media. Ci sono le eccezioni, e quelle trovano naturale andarsene da questo Paese. 

 

Questo suo ragionamento retorico potrebbe aver senso se i "giovani" italiani non stessero un po' alla volta emigrando.

Non so quanti anni lei abbia ma le assicuro che la "grinta" e la "voglia" ci sono, per i primi forse 5 anni, poi la palude italica smorza tutto.

Poi non credo sia il caso di rievocare  con nostalgia l'aggressività delle generazioni passate, che a conti fatti ci hanno lasciato lutti da piangere, stragi impunite e una legislazione speciale antiterrorismo ancora oggi in vigore che nemmeno i Repubblicani più incalliti.

Sarà anche colpa dei giovani ma la "realtà sociale" ci racconta che chi riesce se ne va...

Mi pare che si possa rispondere distinguendo due punti.

Il primo riguarda la parte del mio ragionamento riferito alla capacità di competere, che mi pare non sia stato colto. Quando si lavora in un'organizzazione che ha una composizione anagrafica significativamente sbilanciata verso le fasce anziane è difficile innovare. Questo perchè è difficile convincere una persona che per 30-35 anni ha svolto una certa attività in un certo modo, che è preferibile svogerla in un altro. Per chi ha cominciato da poco a lavorare è più facile cambiare. Se chi ha cominciato da poco a lavorare è una PICCOLA MINORANZA  (perchè gli altri sono fuori ad aspettare o lavorano con forme contrattuali tali per cui il potere di ricatto su di loro è amplissimo) è ancor più difficile. E l'innovazione non passa..... e non si cresce.

Il secondo punto riguarda il mondo ovattato in cui sono cresciuti i giovani italiani, definiti ignoranti e non abituati al merito. Mi scusi, ma chi ha insegnato in quelle scuole? chi ha voluto un welfare che invece di finanziare residenze universitarie e buttare fuori di casa i giovani a 18 anni (succede in tutto il mondo), ha finanziato le baby pensioni? chi gli conferma ogni giorno che è meglio cercarsi una raccomandazione che non studiare o fare seriamente il proprio lavoro? per favore.....

 

 

Interessante, rispetto ai temi trattati qui, questa sessione di domande e rispostedi Michele Boldrin sul tema "Politica economica: la disoccupazione giovanile in Italia. Come uscirne?"

Faccio parte di coloro che hanno trovato in altri paesi quello che non trovavano in Italia.

Mi rendo anche conto che purtroppo chi parte va a stare meglio ma anche che sottrae al paese che abbandona energie, saper fare e soprattutto mentalità.

 

Sembriamo un paese del terzo mondo. Dove i giovani in gamba vanno all'estero e lasciano il paese al suo destino. Non ho altre soluzioni da offrire ma dispiace perchè, per qualche decennio, eravamo usciti ad invertire la tendenza.

 

E' vero che la famiglia ingabbia, ma è anche vero che non vedo le pulsioni di un tempo nei giovani. Mi spiego: si comincia a interessarsi della realtà che ci circonda intorno ai 14-15 anni (fase adolescenziale), a 16/17 anni si vuole cambiare il mondo, e così via, ma non vedo questo tipo di pulsione nei giovani d'oggi, non sembrano interessati al cambiamento della realtà che li circonda, lottano molto meno, e non credo sia solo la famiglia il freno.

Altrimenti non si spiegherebbe come mai i giovani italiani siano i meni propensi ad attivare un'attività in proprio, ed anche se fosse vero che ci sono i freni dei 40/50enni per il lavoro tale freno non c'è per le attività in proprio.

Ovviamente io non ho spiegazioni sociologiche dei fenomeni giovanili, ma se non hanno il coraggio di "intraprendere", perchè mai dovrebbero averlo di imporsi in politica ? Il coraggio se non ce l'hai non te lo puoi inventare..., d'altronde diciamocelo, l'Italia in questo momento è una società vigliacca e paurosa, tanto che noi siamo uno dei pochi paesi in cui non si è sviluppato un movimento degli "indignati", e questo mi fa riflettere.

 

anche se fosse vero che ci sono i freni dei 40/50enni per il lavoro

 

Non è vero. Avevo pubblicato questo grafico qualche giorno fa, ma torna a fagiolo anche qui.

Siamo il paese con meno vecchi attivi, altro che posti di lavoro bloccati.

Appartengo alla categoria in esame, quindi provo a contribuire alla discussione. Il concetto del "mettersi in proprio" per quanto mi riguarda, si liquida in fretta: non capisco bene che cosa potrei mettermi a fare in proprio, a fronte di un diploma da perito informatico ed un C2 in inglese. Aprire un negozio di computer? Fare un corso professionalizzante da idraulico e tentare la professione? Aprire una pizzeria, quando ce ne sono 3 in 500 metri nella via d'angolo con casa mia? Mettere da parte soldi ed andare via sembra una prospettiva con risultati molto migliori, se non altro perché, come dice il detto, non conosco la via nuova.

I messaggi tra le righe sono almeno due: in primis, la vera mancanza di esperienza in ambito lavorativo, che porta al non rendersi conto di come funzionino le cose, e di non riuscire a valutare il da farsi per aprire un'attività. In secondo luogo, la totale incertezza di risultato nell'aprire un'attività, in confronto alla stabilità di retribuzione che offre un lavoro da dipendente, e magari l'attività ha anche un costo associato - costo che non ci si può generalmente permettere, perché poter dire che per ogni 20-30enne ci sia una ricchezza familiare pronta ad essere investita, credo sia inverosimile. Quando poi, vivendo in casa coi genitori, inizio a vedere dopo molto tempo il capitale personale iniziare ad avvicinarsi alle cinque cifre, la preoccupazione principale sta lì, è veramente difficile schiodarsi dal fatto che si stanno accumulando soldi per fronteggiare il costo della vita per quando non ci sarà più l'ammortizzatore sociale familiare.

Non mi sono lamentato del fatto che non mi conoscerebbe nessuno, e quindi dovrei sfruttare gli agganci possibili dalla mia famiglia o dagli amici per poter avviare la mia qualsiasi attività. Ma almeno tre quarti dei miei amici è disoccupato, quindi non posso aspettarmi molto.

La politica, dal mio punto di vista, soffre degli stessi problemi: non saprei come partire, non saprei cosa fare, non saprei come confrontarmi col fatto che vivo in una città che ha una popolazione molto sbilanciata verso chi ha più del doppio della mia età. Ancora una volta, raccogliere i consensi di chi ha scarso potere (economico, politico o chissà) non sembra, comunque, una prospettiva che possa portare a situazioni di successo di qualche tipo. Nel mio piccolo dedico abbastanza tempo ad informare i miei conoscenti sullo stato delle cose e su quel che succede nel paese, il che potrebbe inquadrarmi come potenziale elemento attivo politicamente, ma non vedo canali di facile accesso nel territorio in cui mi trovo, non vedo terreno fertile cui provare a far crescere qualcosa, e quando provo a proporre la costituzione di qualche attività a scopo "politico", la risposta che vedo è "per fare cosa, che tanto quelli là fanno come gli pare?".

Una grossa componente del fenomeno, come si evince da quel che scrivo, è il senso di essersi arresi al potere di una classe sociale che non è la nostra, e l'irrazionale certezza di non poter giocare ad armi pari con quelli che tengono il coltello dalla parte del manico, da cui poi sorgono magari l'apatia verso il miglioramento personale e dell'ambiente sociale, la sociopatia nei confronti di chi non fa parte del tuo clan, ed una serie di altri comportamenti che vanno a contribuire alla manifestazione di una situazione generale di staticità della generazione di cui faccio parte.


(Detto questo, mi considero una persona aperta al dialogo, dotata di un certo livello di buona volontà ed abbastanza intraprendente: quel che scrivo qua rappresenta più un sunto del pensiero collettivo del campione cui ho accesso, ma chiaramente qualsiasi forma di suggerimento sul da farsi sarebbe ben accetto, anche semplicemente per quanto riguarda il modo di pensare.)

PS: classe '84, per quanto mi riguarda - non mi considero più esattamente così giovane.

 

Forconi: se qualcuno li fa col manico di plastica, con le punte di gommapiuma, mi associo. Potrei anche esporne uno dondolante sul lunotto dell'auto, come i cagnolini di un tempo che fu.

Ricambio: voi giovani potreste votare in massa alle prossime primarie del partito che preferite, scegliendo solo candidati under 35. Facendo opportuno tam-tam in rete, ma soprattutto promettendo, in caso di insuccesso, di NON votare alle successive elezioni per una lista afflitta da vecchi over 36. Verreste così a leggere un eventuale bluff mio  e dei miei coetanei che ci diciamo stanchi delle solite facce. O "faccie", sensu Vegezzi (Nello). Naturalmente attenti agli "gnignon gnignera", sempre sensu Vegezzi (Nello).

Ricambio: voi giovani potreste votare in massa alle prossime primarie del partito che preferite, scegliendo solo candidati under 35.

(Rispondo anche se ho passato i 35 da un pezzo. )

Magari, ma non si puó: con il "porcellum" c'è la lista bloccata, e chi viene eletto lo stabiliscono le segreterie dei partiti.

PS. L'autrice del pezzo non rientrerebbe nella definizione di "giovani".

 

voi giovani potreste votare in massa alle prossime primarie del partito che preferite, scegliendo solo candidati under 35.

 

i seguenti sono i parlamentari della camera di oggi sono stati eletti nel 2008 quando avevano <= 35 anni.

a parte che fra loro ci sono tre ministre, cosa hanno fatto di eccezionale per sponsorizzarne la categoria? In ogni caso la Minetti è pronta!

29 su 630 (16 donne)

LN 8 su 59 (1 donna)

FLI 1 su 26 (1 donna)

PDL 10 su 219 (8 donne)

PD 10 su 206 (6 donne)

 

CALABRIA Annagrazia - PDL1982

MANNUCCI Barbara - PDL1982

CARDINALE Daniela - PD1982

PICIERNO Pina - PD1981

MADIA Maria Anna - PD1980

FEDRIGA Massimiliano - LNP1980

MAGGIONI Marco - LNP1979

BRAGA Chiara - PD1979

TRAPPOLINO Carlo Emanuele - PD1977

MELONI Giorgia - PDL1977

SAVINO Elvira - PDL1977

GIAMMANCO Gabriella - PDL1977

GERMANA' Antonino Salvatore - PDL1976

NEGRO Giovanna - LNP1976

MOLTENI Nicola - LNP1976

DE GIROLAMO Nunzia - PDL1975

FORMICHELLA Nicola - PDL1975

BRAGANTINI Matteo - LNP1975

MECACCI Matteo - PD1975

MOSCA Alessia Maria - PD1975

CARFAGNA Maria Rosaria - PDL1975

GRIMOLDI Paolo - LNP1975

MORONI Chiara - FLPTP1974

BOCCUZZI Antonio - PD1973

PINI Gianluca - LNP1973

DE MICHELI Paola - PD1973

GELMINI Mariastella - PDL1973

BORDO Michele - PD1973

SIMONETTI Roberto - LNP1973


 

 

Sono "giovane" (abbastanza, ormai non moltissimo, ma investito in pieno da questo ultimo decennio), per cui mi sento chiamato in causa e dico anch'io la mia.

Penso che la tesi di fondo sia corretta: manca il contributo dei giovani, alla crescita ed all'innovazione. E' una cosa che penso da tempo, guardando che attività "nuove" si sono viste (praticamente il nulla), guardando semplicemente cosa combina la gente, più o meno capace, che conosco: nel privato in Italia, molto poco, salvo qualche eccezione.

Però, però accanto a considerazioni corrette ho letto anche tante cose che non condivido per niente. Il problema vero non sono i giovani "sbagliati": non mi sembra che i coetanei esteri siano animati da chissà quale diverso spirito, nè da chissà quali capacità. Il problema vero è la mancanza di opportunità.

Gli stessi coetanei, all'estero (ormai sono molti, ed il numero cresce di continuo), ottengono molti più risultati. Spesso lavorando pure meno. Qui mancano le condizioni, non so come spiegarlo. E' dannatamente più difficile combinare qualcosa e, badate bene, parlo o delle stesse identiche persone o di persone certamente paragonabili per capacità e "voglia".

E non parlo del "welfare", come da qualcuno accennato: il problema non è vivere sussidiati dallo stato invece che sussidiati dalla famiglia (continuo a ritenere la prima opzione ancor più squallida della seconda). Il problema è campare con le proprie di gambe, cioè ottenere dei risultati.

Quindi spiegatemi: perchè il giovane Caio in Italia ottiene la metà dei risultati che ottiene negli altri paesi occidentali? Non parlo di incapaci laureati in qualche materia oscura ed inutile.

Qualcuno ha parlato di "aprire attività in proprio": benissimo, ma non diciamo un giorno sì e l'altro pure che fare impresa in Italia è dannatamente più complicato che altrove (e costoso: provate a partire da zero a fare qualsiasi cosa e vediamo quante tasse/contributi/oneri vari ci sono da pagare al volo, prima ancora di sapere come andranno le cose)?

Per chi ha alle spalle "poco", queste barriere diventano ancora più alte. Non si hanno tanti soldi da investire, non si possono aspettare chissà quanti anni prima di avere un ritorno. Per non parlare di quelle legali: ormai c'è il "praticantato" anche per fare l'elettricista, sono fissate ex lege le piante che si possono o non possono piantare in una coltivazione (chiaramente si possono piantare solo le cose "vecchie", anche se fanno schifo), tanto per capirci. Medioevo.

La mia impressione è quella di un paese per vecchi: manca la possibilità di "esprimersi" (non scrivendo con le bombolette sui muri, ma nel mondo reale), manca la LIBERTA'.

Se volessi riassumere la situazione con un esempio "fuori tema", penserei ai divieti per bambini e ragazzini di giocare con la palla o con l'acqua sulle spiagge. Questa è l'Italia: i giovani non possono giocare con la palla, perchè disturbano, e la spiaggia è di chi l'ha "costruita", quindi deve essere funzionale ad essi. Punto. Quando saranno vecchi anche loro apprezzeranno. Può darsi, ma allora sarà troppo tardi.

Qui c'è davvero da essere "indignados", ma non per estorcere una pensione, un posto da impiegato delle poste (come hanno fatto - con estrema ipocrisia - molti della generazione precedente; come se la libertà stesse nello spaccare tutto per ottenere proprio quei privilegi che contribuiscono ad ingessare la società), od una patrimoniale che nella testa di qualcuno dovrebbe ridare un po' di giustizia intergenerazionale.

C'è da essere indignados per rivendicare la LIBERTA'. La libertà di poter vivere la propria vita in un paese che non abbia le regole di un ospizio, in un paese che ti lasci la libertà economica di poter intraprendere qualcosa senza ammazzarti di tasse e regolamenti. La libertà di poter avere un po' di meritocrazia: perchè per me la meritocrazia è libertà, la libertà di emergere e di farsi valere. In base alle proprie capacità e non all'umore del "burocrate" di turno.

Sono convinto che se l'Italia fosse un posto minimamente ospitale per fare business, i giovani trainerebbero la crescita.

PS: considerazione più economica: negli ultimi 15 anni la produttività è rimasta ferma, e questo lo sappiamo. I salari però sono cresciuti, tranne quelli dei giovani, come avete detto. I casi sono due: o i giovani sono dannatamente improduttivi, ed i loro salari rispecchiano questo, oppure qualcosa di dannatamente grosso non funziona nel mkt del lavoro (che remunera in base all'anzianità invece che a quanto si produce). E temo che non siano solo le regole, ma anche la testa degli "adulti" che hanno in mano le redini. Gli stessi "adulti" che in nome della libertà (!) hanno preteso questo sistema pensionistico, queste tasse, queste regole del mkt del lavoro, queste corporazioni che gli permettono di avere alle loro dipendenze praticanti e simili fondamentalmente gratis. Io sfascerei loro, specie quando adesso dicono di "fare come hanno fatto loro ai loro tempi", non le vetrine.

condivido molto (quasi tutto del tuo commento ). In particolare ogni parola del tuo ps.

non sono convinta che ciò che ti viene dalla famiglia è lo stesso di ciò che ti viene dallo stato.

E' un discorso un pò lungo, ma credo che siccome le persone vanno messe nella condizione di poter diventare progressivamente autonome, l'aiuto che viene dalla collettività è più neutrale e, sempre secondo me, favorisce una vera autonomia.

 

L'aiuto che viene dalle famiglie non potrà mai essere neutrale, contiene sempre un bagaglio di aspettative da cui è difficile affrancarsi.

Penso che sia meglio stare in una residenza universitaria parzialmente finanaziata dallo stato, che se non te la meriti ti butta fuori che avere l'affitto pagato dai genitori. E' meglio avere un credito per fare impresa a tassi agevolati dallo stato che i soldi prestati da papà !

per tutti, chi ne ha tanti e chi ne ha meno.

 

Caro kasparek, posso permettermi, da 58~enne emigrato un applauso scrosciante?

Ebbene, la sintesi è centrata sulla mancanza di libertà. E sono d'accordo. Su tutto.

Esiste tuttavia anche un'altra mancanza da sottolineare: i giovani in senso assoluto.
Rispetto ai paesi emergenti, in cui i giovani rappresentano piu' della metà della popolazione (e sono l'elemento propulsivo) da noi mancano proprio alla nascita.

Riporto qui il grafico che ho già prodotto nella discussione sulle pensioni:

Piramide dell'ètà

Come vedete da 45 anni a questa parte il numero delle nascite è sempre calato (praticamente dimezzato) ed è stabile da 15-20 anni (come la produttività, se ci pensiamo). Cosa che ci fa capire che in futuro si dovrà contare su pochissimi giovani e che il peso politico dei giovani rispetto agli anziani diminuirà sempre di piu'. Si spera che gli attuali giovani, invecchiando, mantengano lo spirito dei giovani. Ritengo infatti che piu' che l'età anagrafica conti come ci si sente dentro. Conosco persone di 50 e 60 anni che pensano ed agiscono da giovani e giovani che ... mamma mia ... sembrano pensare già come il nonno!

 

Un'analisi più esaustiva e matura della mia. Anche io condivido molto di quel che hai scritto, è tutto consistente con quel che provo. Nel PS spieghi concretamente quel che intendo con la percezione d'incapacità di avere un terreno di gioco "neutro".

Ecco perché domando "cosa suggerireste di fare": dando ragione all'analisi di Kasparek, si riconosce una situazione in cui il potere decisionale "ci" è completamente fuori portata. Per vie legali, ci possiamo quasi solo rimettere alla buona creanza di chi ha la possibilità di decidere.

 

COMPLIMENTI! condivido al 100%, nulla da aggiungere!

Io sono andato via dall'Italia quando avevo 24 anni, nel 2002. Nel frattempo ho vissuto in tre paesi, fatto un figlio e impostato la mia vita seguendo esempi, canoni e regole che mi erano completamente nuovi. Guardando indietro, riconosco che cio' che mi mancava di piu' in Italia e cio' che ancora manca  ai mie coetanei e amici che sono restati non e' la liberta' ma prospettiva e ambizione; i giovani italiani hanno pochissima ambizione e quella che hanno e' comunque contenuta entro rigidi confini. Non si tratta nemmeno di aversione al rischio ma semplicemente di orizzonti limitatissimi: molti sono disposti anche a prendere rischi elevati ma sono comunque i rischi che conoscono perche' ne sentono parlare quotidianamente: fare un mutuo, comprare casa, aprire una birreria. Pochissimi si imbarcano in qualcosa di meno familiare, come potrebbe essere una attivita' online, per quanto paradossalmente far partire una internet startup dovrebbe essere facile in italia quanto altrove[2]. Per questo  motivo il consiglio che darei a chiunque, indipendentemente dalle prospettive a lungo termine e': "partite prima che potete, andatevene dall'Italia a 18 anni". Molti rimarranno fuori ma quelli che torneranno si porteranno dietro esattamente cio' che  manca al paese che e' "la voglia di fare e la forza di mandare a cagare chi si mette di traverso".

Va detto che molto di questo l'ho realizzato in realta' soltanto vivendo negli USA che, per quanto sia un posto che ho deciso non mi si confa e perfino culturalmente arretrato sotto certi aspetti[1], mi ha travolto con un senso di "tutto e' possibile" che non ho trovato in nessun altro luogo.

 

[1] Il rapporto morboso con la religione, il senso di "famiglia" che porta a sposarsi a 20 anni (e divorziare a 23), il patriottismo sfrenato e cieco, il puritanesimo sessuale sono tutti aspetti estremamente diffusi *tra i giovani* americani e che personalmente considero da "terzo mondo"

[2] L'unico caso di internet startup italiana di successo che conosco e' balsamiq che in realta' e' stata fondata da un italiano emigrato a san francisco che ha poi pero' deciso di tornare a vivere a Bologna.

far partire una internet startup dovrebbe essere facile in italia quanto altrove

Essendotene andato a 24 anni, magari non hai mai sentito parlare di studi di settore, non hai mai avuto a che fare con i notai italiani, non ti sei mai chiesto perché mai devi per forza avere un commercialista, e probabilmente non hai mai provato a usare la "giustizia" italiana per far valere i tuoi diritti contro qualcuno che magari aveva la sede legale in uno sgabuzzino ... se dovessi aprire una qualsiasi attività imprenditoriale, non solo una startup su internet, la Repubblica Italiana sarebbe veramente in fondo alla mia lista ...

L'unico caso di internet startup italiana di successo che conosco

Mai sentito parlare di Buongiorno?

http://www.buongiorno.com/

 

Essendotene andato a 24 anni, magari non hai mai sentito parlare di studi di settore, non hai mai avuto a che fare con i notai italiani, non ti sei mai chiesto perché mai devi per forza avere un commercialista, e probabilmente non hai mai provato a usare la "giustizia" italiana per far valere i tuoi diritti contro qualcuno che magari aveva la sede legale in uno sgabuzzino

 

Ecco, questo e' esattamente lo spirito che stigmatizzo. Gli studi di settore, i notai, le tasse e l'inefficienza dei servizi ci sono anche per chi apre un negozietto eppure il numero di persone pronte a intraprendere quella strada e' sensibilmente piu' alto. Di fatto l'investimento che richiede aprire un'attivita' commerciale e' immensamente piu' alto che quello di far partire un sito internet che venda un qualsiasi servizio informatico o sviluppare applications per iPhones. Soprattutto in fase embrionale poi, quando ti puoi permettere di programmare in uno scantinato e mangiare fagioli e gli unici soldi che perdi sono quelli che guadagneresti altrimenti facendo qualcos'altro.

Io non andrei mai in italia ad aprire una libreria o una panetteria mentre ci farei un pensiero nel caso dovessi mettere su un business online.

Perché il conflitto non è ancora esploso?  Il conflitto non è ancora esploso per almeno due ragioni. La prima è che si tratta di una bomba disinnescata. “I giovani italiani siano indotti a chiedere come favore dai genitori quanto negli altri Paesi si ottiene dallo Stato come diritto. La famiglia di origine, unico e vero «ammortizzatore sociale », compensa quello che non offre il sistema di Welfare pubblico (e/o un mercato che funziona, aggiunta mia). Aiuta a trovare lavoro, a integrare il magro stipendio iniziale, a pagare affitto o mutuo, a fronteggiare le varie situazioni di difficoltà nel processo di conquista di un propria autonomia. Ma una società nella quale conta soprattutto scegliersi bene la famiglia nella quale nascere, e poi tenersi buoni i genitori il più a lungo possibile, non è l’esatto ritratto di una società equa e dinamica” (cit. Rosina, 2008. Perché non scoppia la rivoluzione giovanile?, Il Mulino).

La seconda è che: “La condizione di precarietà costringe i giovani a rimanere quotidianamente preoccupati del proprio percorso individuale a mantenere quindi costantemente lo sguardo verso il basso per decidere come e dove posare il piede, passo dopo passo. Più difficile allora, in queste condizioni, riuscire ad avere il tempo, la condizione psicologica e le energie intellettuali, per sollevare lo sguardo e cercare di capire cosa sta accadendo al di sopra delle loro teste”. (cit. sempre Rosina, 2008).

 

Condivido l'articolo però a mio a parere la seconda  ragione in realtà è piu che altro una conseguenza della prima.Cioè l'ammortizzatore sociale costituito dalla famiglia costituisce un disincentivo a cercare di poggiare bene il piede e o nell'irrompere nel palazzo

Se è vero come è vero che questo è un paese per vecchi,dai partiti politici alle aziende pubbliche e private alle università ecc.in cui conta nascere nelle famiglia giusta e tenersela buona, abbiamo da un lato un mercato che non consente di emergere in base al merito ma in base all'appartenenza familiare e o politica, e dall'altro le nuove generazioni che provano ad intraprendere vengono bloccate, ma allo stesso tempo usufruiscono dei privilegi acquisiti magari dal papà che è andato in pensione a 50 anni e adesso lavora in nero, o dalla nonnna che usufruisce della pensione d'invalidità e attraverso l'aumento dell'età media può continuare a finanziarne i comodi o del dipendente pubblico inchiodato alla poltrona;vado a memoria ,mi sembra sia molto alta la percentuale di giovani che nè studiano nè lavorano.Come campano?Che progetti e prospettive hanno?Evidentemente la spesa pubblica facile e servita per acquistare consenso forse li ha portati a sbracare,a vivere senza una meta da raggiungere ben precisa

Mi pare che 2000miliardi di debito pubblico stiano li a dimostrarlo.Il tutto esploderà quando, da un lato gli effetti della spesa ,che costituiscono un ammortizzatore sociale, finanziata attraverso il debito verranno a mancare e, dall'altro il mercato del lavoro ingessato e l'elevata pressione fiscale impediranno lo sbocco lavorativo  di tutta quella parte della popolazione  che non gode dei lussi delle classi maggiormente protette.

Per esempio,sarebbe fantastico lavorare fianco a fianco con questa giovane manager http://www.tuttosport.com/video/video_follie/2011/09/14-24172/Mansfield+Town%2C+arriva+la+sexy+dirigente.

Penso che mi trasferirò in Inghilterra al piu presto :-)

 

Cara Chiara,

leggo con un po' di ritardo articolo e commenti, e potrebbe essermi sfuggito qualcosa (potrei dunque essere ripetitivo).

La condizione giovanile in Italia è cominciata a degenerare dalla metà degli anni '90 in poi: simbolicamente, potremmo prendere quel 01/01/1996 come data di inizio del declino. Da quel momento, il paese ha semplicemente smesso di investire sui giovani. Risorsa scarsa, che nel mercato dovrebbe essere remunerata maggiormente ma che invece da noi non riceve da tempo alcuna attenzione: spesa pubblica sbilanciata a favore dei più anziani (sanità e pensioni); spesa per istruzione sbilanciata a favore del personale (non per gli stipendi elevati, ma per l'elevato numero di docenti) con ritorni in termini di qualità piuttosto scarsi (vedi test PISA and so on); mercato del lavoro pro insiders; debito pubblico fuori controllo e da tempo superiore al PIL (invece di avere soldi per investire sui giovani, bisogna pagare interessi sul debito); significative barriere all'ingresso nelle istituzioni; inconsistenza demografica.

Perchè non scoppia la rivolta generazionale, ci si chiede. Mi pare che alcuni spunti siano già stati forniti (in articoli precedenti - per esempio di Alessandro Rosina - in questo post e nei commenti). Mi permetto di suggerirne uno in più, che combina elementi già noti. In Italia non solo i giovani sono pochi; per loro è anche difficile entrare nelle istituzioni a causa di barriere all'entrata di rango addirittura costituzionale. Se in Senato abbiamo solo ultra 40enni, e il Senato ha potere di veto su ogni legge, come mai potrà passare una norma che ribalta lo squilibrio generazionale esistente, che affronta il degiovanimento del paese? Mi pare evidente che la via democratica sia oltremodo difficile da utilizzare. E, ammetto, non sono affatto un fanatico delle vie non democratiche!

E' anche difficile spiegare ai nostri genitori perchè ci stanno rubando il futuro. Forse è ingiusto metterla nei termini seguenti, forse anche offensivo. Però io chiederei di fare questo esercizio: calcolare quanti contribuiti hanno pagato durante la propria vita lavorativa e quanta pensione hanno già ricevuto. Con tutte le difficoltà che il calcolo comporta, fatte dovute semplificazioni, sarà facile dimostrare che spesso questi "anziani" sono già in attivo rispetto allo Stato. "Ma tu hai studiato!", risponderanno - "e noi a 15 anni lavoravamo". Vero; ma, innanzitutto, studiavo e non cazzeggiavo, come chi è ora in pensione (brutalizzo, su); inoltre a me lo Stato non ha mai versato un reddito gratis mentre ero studente...

...poi però ai genitori si portano i miei figli, chè il nido è così caro, e loro capiscono che ancora una volta hanno vinto loro...

 

PS

- ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è purament casuale :)

- per ogni affermazione che ho scritto, esistono analisi e numeri a sostegno.

- mi sento particolarmente empatico con Chiara, che oltre ad essere stata recentemente stata una "giovane", ha avuto anche la disgrazia di nascere donna in questo Paese... :)

Questo è un invito per il team di NoisefromAmerika. Servirebbe un post chiaro per togliere un po' di confusione dalla testa di questi ragazzi:

https://www.facebook.com/event.php?eid=281435105216745

che davvero non sanno quello che fanno e dicono, magari smontando pezzo per pezzo il testo dell'appello per la mobilitazione che si può leggere alla pagina facebook che ho linkato.

 

Salve a tutti,

non ho dati o tabelle da fornire, ma un'immagine che mi e` rimasta in mente e a mio parere e` sintomatica della decadenza di questo periodo.

Festa dei giovani del PDL: tanti giovani e giovanissimi che aspettano di essere arringati ed incensati da un 72enne. Sono li sperando di essere notati dal "grande vecchio" e portati sull'altare della politica dei "grandi".

Io credo che a quell'eta` la vita vada presa a morsi, non aspettare che una mollica cada dal banchetto dei "grandi". Cosi` non cambieremo l'Italia, al contrario continueremo a percorrere il solco che ci ha portato fin qui, alle soglie dell'inferno.

 

Anche a me hanno fatto tristezza i tanti giovani che applaudivano Berlusconi alla festa dei giovani del PDL, è stato un momento davvero sconfortante. Non si uscirà mai dai propri piccoli clan privati, la gente viene allevata così e gli va bene. Questi giovani che applaudivano Berlusconi saranno forse i politici del futuro (non lo sarò certo io che non vado ad applaudire nessun partito in nessuna congrega), che cosa ci possiamo aspettare? Nulla.

Ho 39 anni, faccio parte della generazione "sparita" dei 30-40enni.

Credo che sono/siamo spariti prima di tutto perché "viziati": non abbiamo mai dovuto combattere per l'essenziale (e neppure per il meno essenziale). Siamo venuti sù credendo che tutto sia dovuto.

Ecco perché trovo che rappresentare la precarietà come una causa della nostra decadenza sia sbagliato: la precarietà dovrebbe essere lo stato normale di un individuo adulto, la vita ed i suoi beni vanno conquistati, non "ottenuti" né "ricevuti" (l'Italia del dopo-guerra era un popolo intero di precari, eppure ce l'hanno fatta, e si sono pure divertiti a ricostruire tutto!).

Vivere la vita, a mio avviso, dovrebbe essere proprio questo: trovarsi ("crearsi") il proprio spazio.

Solo che ci hanno inculcato, sin da piccoli, che il lavoro lo si deve ricevere, che lo stipendio non può mai abbassarsi, che non ci possono licenziare, che fare i lavori manuali è da extra-comunitari, che non consumare è da sfigati, etc.

Credo che i diritti vadano conquistati e meritati e che sia il benessere a garantire i diritti.

E, ok: gli "anziani" ci schiacciano, ci sfruttano, non ci danno opportunità, tutto giusto, giustissimo.

Ed allora, semplicemente, hanno vinto e stanno vincendo, e chi perde - credo - debba tacere, pensare come rifarsi e ributtarsi nella mischia a provare a vincere la nuova sfida (che, nel nostro caso, è prima di tutto politica: perché i giovani d'Italia non votano omogeneamente? Chi lo impedisce loro? Non sarebbe loro interesse? E, se non lo fanno, non meritano forse che i loro interessi siano trascurati da chi ne ha altri?).

Basta lamentarsi, io non ne posso più (parlo per me, ovviamente; se a qualcun altro le lamentele danno sollievo, è giustificatissimo a piangere e straziarsi).

Io non penso che chi perde debba tacere, anzi, se le sue ragioni sono più che giuste deve continuare a ribadirle, l'animo non si deve rassegnare mai. Non è vero che i giovani non votano omogeneamente, ad esempio nella mia regione la fascia di età dei 30enni ha votato in massa per il Movimento5stelle di Grillo (a Bologna ha preso il 10%, è il terzo polo), quel movimento è composto principalmente da attivisti di 20-30 anni. C'è quindi una richiesta di cambiamento (almeno nella mia regione Emilia-Romagna), un non riconoscersi nella classe politica attuale, ma come incanalarla? Qual è l'alternativa a Grillo? L'astensione? 

  Io sono perfettamente d'accordo. Viviamo in un contesto nel quale sono tutti attenti ai propri diritti violati, mentre sono del tutto spensierati nei confronti  dei doveri. E questo, credo, sia il risultato dell'educazione.

Concordo appieno, gentile sig. Bottacin, appieno (ed infatti, a mio avviso, la generazione cresciuta durante la guerra e nell'immediato periodo post-bellico, non avendo avuto il tempo ed il modo di essere viziata e di viziare i propri figli, perché impegnata a combattere ed a ricostruire, non ha fatto i danni dei baby-boomers).

Pure secondo me siamo venuti sù in condizioni psicologiche che non hanno favorito la maturazione (fermo restando che ritengo che l'attuale immobilismo sia comunque colpa nostra, e non di chi ci ha cresciuti).

Ancora oggi quel nostro rivolgersi sempre a qualcun altro (governo ladro, opposizione, Beppe Grillo di turno, Chiesa, ideologia, cattivi maestri) affinché prenda in mano la situazione e risolva i nostri mali mi sembra null'altro di un riflesso di quel che fa un bimbo di fronte alla difficoltà: chiama i genitori.

Credo che un uomo non perda tempo a lamentarsi, implorare, protestare, indignarsi o discutere, ma affronti l'ostacolo come meglio può e ritiene. Che poi non riesca a saltare l'ostacolo, be', per me importa poco, vorrà dire che al prossimo sarà più deciso ancora. E poi la gioia viene dal provarci: è il salto a provocarla, non il lasciarsi l'ostacolo alle spalle.

Insomma, credo che la mia generazione sia "sparita" (nella società e nella politica) perché sta vivendo poco, e solo in ritirata (ed il cinema italiano, per massima parte misero nei contenuti e misero nello spirito, ne è una delle migliori rappresentazioni).

Mi pare che il post di Chiara e il commento di Kasparek descrivano bene la situazione e che non se ne venga fuori oltre che per le varie condizioni oggettive ampiamente descritte per carenza di incentivi.

Non credo nella via politica, dubito che serva a qualcosa votare i giovani o le donne, nella maggior parte dei casi, se sono in lista è perchè fanno parte degli incumbent (o ne faranno parte in futuro)  o comunque sono vittime di qualche scoria ideologica (SEL, 5stelle, Cattolici vari,Liberalidelcazzo etc.).

Non credo nella via rivoluzionaria primo perchè non c'è ancora la motivazione/indignazione sufficiente e non la vedo all'orizzonte e secondo perchè chi potrebbe guidarla sarebbe probabilmente troppo affetto da estremismo ideologico (in qualsiasi direzione) per combinare qualcosa di buono.

In mho l'unica via  per incidere concretamente è fare impresa o andarsene. So che non è facile, che ci vuole energia, fantasia e non guasta avere anche mezzi economici. Però, nonostante l'ambiente italico sia impresa-repellente, mi sembra la via più contendibile e quella dove  qualcosa il merito conta ancora, non fosse altro che perchè ci si può inventare strade nuove, non ancora regolamentate o oppresse dagli incumbent. Poi la storia insegna che chi riesce a offrire un rapporto prezzo/qualità veramente vantaggioso o un'innovazione realmente attraente alla fine vince sempre e che le regole astruse prima si agirano e alla fine vengono cambiate.

I disincentivi ad alzare la testa prima o poi finiranno. Qualche anno fa ho coordinato un progetto nel quale l'azienda italiana dove lavoravo si è fatta sviluppare ad hoc un software gestionale in India. Prodotto estremamente soddisfacente, prezzo molto inferiore a qualsiasi alternativa offerta dagli italiani e tutto fatto via skype ed email comodissimo. L'impegno per il mio datore di lavoro è stato qualche ora del mio tempo e un paio di riunoni col direttore IT, il risparmio nell'ordine di grandezza del milione di euro.

All'epoca mi sono chiesto che fine avrebbero fatto i ragazzi con 5-7 anni di studi in ingegneria e informatica che lavoravano in stage per 500-1000€ quando i loro datori di lavoro si sarebbero scontrati con quel tipo di concorrenza e in quali altri settori questo sarebbe potuto avvenire. Certo le commesse pubbliche e di alcune grandi imprese spesso se ne fregano dell'economicità, ma anche questa distorsione non può durare in eterno.

Aggiungete che dopo la prima generazione che riusciva a risparmiare (ad es riusciva  a comprare casa con le sue forze) e  la seconda che da quella si è fatta sussidiare (ad es compra  casa con l'aiuto dei genitori o la eredita) e non risparmia nulla c'è oggi una terza generazione di 20-30enni che non solo non è autosufficiente, ma che non potrà neanche contare sul sostegno della generazione precedente . A un certo punto la "generazione subprime" dovrà reagire per forza. 

Però, nonostante l'ambiente italico sia impresa-repellente, 

la cosa assurda è che da quasi vent'anni ci governa il sedicente imprenditore delle 3 I e che gli "imprenditori" sono più di vent'anni che vengono idolatrati dai media.

Ho una mia impressione, che la pseudocultura di massa abbia identificato impresa e imprenditori con la vebleniana leisure class caratterizzata dal conspicuous consumption e che poi questa cultura abbia condizionato i giovani. In soldoni, nel senso comune l'"imprenditore" è diventato chi esibisce i soldi.

 

un software gestionale in India. Prodotto estremamente soddisfacente, prezzo molto inferiore a qualsiasi alternativa offerta dagli italiani e tutto fatto via skype ed email comodissimo. L'impegno per il mio datore di lavoro è stato qualche ora del mio tempo e un paio di riunoni col direttore IT, il risparmio nell'ordine di grandezza del milione di euro.

Risparmio di un milione di euro a fronte di quale investimento?

Risparmio di un milione di euro su tutto il ciclo di vita del software? (formazione, assistenza, update, documentazione)

Con "qualche ora del tuo tempo" e "un paio di riunioni col direttore IT", su Skype.. quanto ad-hoc è questo software?

Qualche anno fa ho coordinato un progetto nel quale l'azienda italiana dove lavoravo si è fatta sviluppare ad hoc un software gestionale in India. Prodotto estremamente soddisfacente, prezzo molto inferiore a qualsiasi alternativa offerta dagli italiani e tutto fatto via skype ed email comodissimo. L'impegno per il mio datore di lavoro è stato qualche ora del mio tempo e un paio di riunoni col direttore IT, il risparmio nell'ordine di grandezza del milione di euro.

Io lavoro da anni con team indiani, quello attuale di una ventina di persone. Magari è perché mi sono sempre capitate cose leggermente più complicate di un gestionale (ma vi serviva veramente farvene fare uno ad hoc, spendendo cifre a 6 zeri?), ma così semplice non c'è venuto mai. Costano meno di quanto costi io o gli altri in situ, è vero, ed in alcuni ambiti sono generalmente convenienti (i.e. system test, QA), ma la qualità media mi pare più bassa. Non dico che sono tutti scarsi, ci sono sviluppatori indiani con i controfiocchi, ma aneddoticamente, trovo statisticamente meno persone capaci di darti quella cosa in più che magari ti fa guadagnare un contratto coi fiocchi. Aneddoticamente anche nelle mie interazioni con i team di terze parti in India ho avuto la stessa impressione (anche se recentemente ho avuto a che fare con un team di idioti tedeschi che negavano la realtà di fatti incontrovertibili, per cui la stupidità non ha confini, e dubito che un indiano avrebbe mai osato mentirmi così sfacciatamente).

La parte sull'impegno di poche ore dal vostro lato la trovo o parziale (magari qualche tuo altro collega ci ha speso anni uomo di lavoro) o quantomeno sorprendente.

Non vorrei che il contenuto IT dell'aneddoto precedente distogliesse l'attenzione dal punto di fondo che era:

Tanti nostri giovani lavorano per pochi soldi (quando non gratis) per avvocati, notai, commercialisti o per imprese che con contratti di stage e simili. Anche queste lenticchie potrebbero non essere disponibili per sempre a fronte della concorrenza di immigrati sempre più preparati o professionisti che offrono lavoro a distanza. 

In USA succede alle Law Firm e società di consulenza

Aggiungo pure che mi pare che il piano della discussione fosse politico, e non economico (anche se, a ben vedere, le due cose sono legate).

In ogni caso, a mio avviso se subiamo la concorrenza estera anche nei settori professionali (a tacer di quelli industriali) è sempre perché siamo perdenti sul piano politico.

Questa concorrenza al ribasso fa bene ai nostri "anziani" (perdonatemi se semplifico), che,  in quanto datori di lavoro, risparmiano mettendoci in concorrenza con professionisti stranieri.

E gli "anziani" lo possono fare perché detengono il potere politico e scrivono le norme che più gli aggradano.

Cercare la radice di un mancato contributo culturale dei giovani nel ruolo della "mamma chioccia" o del welfare "famigliare" lascia il tempo che trova, dal mio punto di vista. La cultura "mediterranea" è sempre stata così (anche per questioni di povertà, le famiglie allargate erano obbligatorie), dunque si tratta di un parametro stabile lungo la durata dello sviluppo italiano post-WWII: come mai prima tutto ciò non creava dei problemi?

Io la farei più semplice: un giovane che voglia impiantare un'impresa in Italia si trova davanti tasse altissime, al 60% del reddito aziendale (in prospettiva: ragioniamo sul valore atteso dei flussi di cassa futuri, lasciando perdere le esenzioni dei primi 2 anni); pagamenti a 180-270 giorni, se avvengono - situazione che uccide imprese nuove con basso ricambio di contante; burocrazia elefantiaca. L'unico modo per sopravvivere è costruire un'impresa basata quasi esclusivamente sull'export (per evitare il problema dei pagamenti).

Oltre a questi problemi di ordine pratico-tecnico, ne esiste uno di stampo demografico: rispetto agli anni 60-70, la mole di persone al di sotto dei 40 anni è notevolmente minore. Supponendo una partecipazione al voto più o meno omogenea per classi di età, qualsiasi poltico *razionale* dovrà sbilanciare le sue proposte verso il median voter. L'unico altro paese dove si può riscontrare una situazione del genere è il Giappone. Il semplice peso numerico conta molto di più di qualsiasi considerazione astratta sulle possibili concause emotivo-psicologiche dell'inattività giovanile.

Sono d'accordo con quanto scritto nel tuo secondo paragrafo ma quanto al primo, ed in particolare a "come mai prima tutto ciò non creava dei problemi?" siamo veramente sicuri che prima non creasse problemi? Secondo me li creava ma non avevano ancora quel grado di visibilità, quel "venire al pettine" che li rende visibili ed evidenti da qualche decennio. E sono comunque aspetti collegati, quelli dei due primi paragrafi, perché il primo ha permesso, tollerato ed anche supportato il secondo. Sul terzo punto invece ho perplessità, perché come i gelatai sulla spiaggia, non mancheranno alcuni che cercheranno di profilarsi verso i giovani, ma saranno comunque pochi rispetto a quelli che si profileranno verso i meno giovani. 

 

Leggendo i commenti trovo che siano molto interessanti e che contengano molti spunti di riflessione. Solo una cosa mi lascia perplesso.

Dando per scontata la premessa del post ("Alla crescita italiana mancano i giovani") alcuni commenti si lasciano trasportare in una dicotomia: "giovani VS anziani" che non ha ragione di essere a mio avviso.

Se è vero che esistono le "generazioni" e che, ad esempio, aver avuto 20 anni nel '43 non è come averli avuti nel '99 sbagliamo a considerare le generazioni in competizione tra loro. Non esistono i "vecchi" che non fanno lavorare i "giovani". Le famiglie sono composte da giovani e vecchi, e quale genitore non vorrebbe il successo del figlio (a parte il tebano Laio)? I "vecchi" sono convinti di fare il meglio per i loro figli altrimenti non lo farebbero.

Non esistono i "vecchi" che tolgono il lavoro ai "giovani". Può esistere un vecchio che toglie lavoro ad un giovane, come può esistere il "vecchio" che non viene assunto perchè si prende il "giovane" con contratto d'apprendista.

Anche l'importante problema della mobilità sociale trovo sia marginale rispetto all'argomento.

Certe categorie tipo notai e avvocati son sempre state "chiuse", anzi un tempo per chi era di una classe sociale diversa era ancora più difficile emergere quindi credo che questa situazione, che di certo non aiuta, non sia la causa del problema.

IMHO siamo usciti dalla 2a guerra mondiale praticamente come paese del 3o mondo.

Poi c'è stato il boom.

Quindi i problemi che evidenzi sono passati in 2o piano, perché tanto nonostante quelli il benessere aumentava per tutti.

Infatti i casini sono cominciati e si acuiscono nel momento in cui "il grasso" comincia a scarseggiare.

Forse è vero quello che mi ha detto mio padre ieri sera parlando di questi temi "agli operai è cambiato il mondo sotto i piedi, non se ne vogliono rendere conto e danno la colpa ai rumeni". E me l'ha detto lui che a quasi 50 anni si è ritrovato disoccupato 2 anni fa e si è rifatto la gavetta come un giovane di adesso, precariato, finta p.iva, contratti a termine, agenzie interinali, mancati pagamenti dello stipendio inclusi.

L'Italia è sempre quella è il mondo ad essere cambiato.

 

 

Dando per scontata la premessa del post ("Alla crescita italiana mancano i giovani") alcuni commenti si lasciano trasportare in una dicotomia: "giovani VS anziani" che non ha ragione di essere a mio avviso.

 

La contrapposizione giovani-vecchi non c'e' per quanto riguarda il lavoro, perche' e' una stupidaggine il modello super-fisso e poi anche se fosse valido ci sono in Italia meno occupati anziani rispetto ai Paesi avanzati.

Pero' c'e' una cosa da ricordare.  Gli anziani e i politici da loro votati portano tutta la responsabilita' dell'accumulo del debito pubblico, che nella forma piu' completa include tutte le promesse pensionistiche non corrispondenti a contributi pagati, promesse che attualizzate raddoppiano il debito probabilmente.

I responsabili di provvedimenti demenziali come le pensioni ai quarantenni, quindi in primo luogo i politici che hanno proposto e approvato quelle stupidaggini hanno una grave responsabilita'.  Se ci fosse giustizia sarebbe opportuno punirli almeno economicamente, anche come monito per il futuro per chi approva norme manifestamente economicamente insensate e disoneste.

i vecchi sono generosi con i PROPRI figli, non con i figli degli altri, questo è proprio il nocciolo del problema in Italia. Non c'è genitore che non farebbe di tutto per aiutare il PROPRIO figlio, ma quegli stessi genitori non farebbero mai delle rinunce per dare qualcosa alla collettività, ai figli degli altri (ne parla anche Rosina nel suo libro Non è un paese per giovani), senza un ritorno per la PROPRIA famiglia.

Notai, avvocati, ecc. io penso che gli albi professionali verranno aboliti nei prossimi anni, non credo che terranno ancora molto a lungo. Stanno facendo le barricate, ma sono sempre i primi imputati quando si parla di liberalizzazioni e riforme per la crescita, non credo che reggeranno ancora molto (tra l'altro io considero gli albi utili per alcuni aspetti, ad esempio la selezione della qualità e della competenza, il mercato dei traduttori e interpreti che è completamento aperto a tutti è un vero scempio, trovi tanta improvvisazione, che dà poi risultati pessimi).

Gentile sig. Ruggeri, a mio avviso ha ragione: non esiste "giovani" vs. "vecchi".

E non credo neppure che i "vecchi" ci schiaccino apposta.

Semplicemente, si fanno i loro interessi (e sì, tra di loro ci sono genitori che vorrebbero il meglio per i loro figli; come pure altri tipi di genitori e anche di non genitori) e buon per loro.

Il "problema" (e, mi pare, il senso del post originario) è la mancata "presenza" nella società delle generazioni più giovani (a partire dalla mia, giustamente definita "sparita", dei 35-40enni).

E il problema, perlomeno secondo me, ha una delle cause più rilevanti in una certa situazione storica (nuova abbondanza in quelle generazioni di genitori figli dei "ricostruttori") che ha provocato un atteggiamento di "inazione" in molta parte delle nuove generazioni.

Ed il problema, e questo è il senso dei miei interventi, va risolto da noi stessi: non verranno cavalieri a salvarci, né lo faranno i "vecchi" (anche i vecchi-genitori amorevoli, visto che è proprio quell'amore ad averci fatto credere che la vita va attesa, e non conquiestata).

Siamo noi a dover (volere) cambiare le cose, conquistando il nostro posto (e prima di tutto chiarendoci le idee su cosa vogliamo dalla vita: il posto fisso? La "sicurezza" economica? Oppure il brivido del rischio ed il piacere di avercela fatta quando la strada era dura?).

P.S.: qualche anima pia mi spiega come quotare?

Dove sarebbe questo menu "format"?

Scusate il rimbambimento (tanto per restare in tema...)

 

Il tuo atteggiamento e le tue considerazioni mi piacciono, specifico però che il senso del mio commento era rivolto all'atteggiamento riguardo al problema e non al problema in sè.

Il problema è la mancanza di giovani nella società. Nei commenti (anche miei) si discute di "vecchie generazioni" che difendono la posizione o di "giovani generazioni" che non hanno le palle per farsi strada. Indipendentemente da quale dei due scenari sia vero, a volte affiora un atteggiamento noi vs voi che non ha ragione di essere.

Primo: perchè non è un gioco a somma zero si vince o si perde tutti insieme. Secondo: perchè una generazione influenza l'altra. Se i giovani sono così la responsabilità sarà di chi li ha allevati o no? Se i vecchi sono retrogradi e non lasciano spazio, avranno una responsabilità anche i giovani o no? (ricordiamoci che i genitori vanno educati!!)

PS

Se con quotare un commento intendi segnalere che ti piace...non puoi.

Invece se intendi citare in un tuo commento una frase di un altro: copiala, vai nel menu a tendina/ seleziona "blockquote"/ incollala.

PPS

ti ho dato del tu mentre tu mi dai del lei. Scusa (però per me possiamo darci del tu)

 

 

Nei commenti (anche miei) si discute di "vecchie generazioni" che difendono la posizione o di "giovani generazioni" che non hanno le palle per farsi strada. Indipendentemente da quale dei due scenari sia vero, a volte affiora un atteggiamento noi vs voi che non ha ragione di essere.

 

Credo siano vere entrambi (con la specificazione, per quel che può valere, che apprezzo chi vuole e sa difendere la propria posizione).

"Noi vs voi": concordo, e mi pare pure una questione irrilevante.

 

Primo: perchè non è un gioco a somma zero si vince o si perde tutti insieme. Secondo: perchè una generazione influenza l'altra. Se i giovani sono così la responsabilità sarà di chi li ha allevati o no? Se i vecchi sono retrogradi e non lasciano spazio, avranno una responsabilità anche i giovani o no? (ricordiamoci che i genitori vanno educati!!)

 

Sul secondo punto concordo (e ritengo sia colpa di noi figli non aver fatto capire che amare a volte fa danni).

Sul primo, non concordo: se io fossi un italiano "anziano" (uno dei tanti che conosco) non mi riterrei perdente. Sì, è vero, magari non sono stato in grado di trasmettere ai miei figli la forza e la determinazione, e probabilmente consegnerò loro un paese peggiore di quello in cui ho vissuto.

Però la mia vita me la sarei fatta, nel bene e nel male.

Quel che voglio dire è che le scelte si possono anche sbagliare (e tanti nostri genitori, in buona fede e anche per nostra insipienza, magari hanno sbagliato quelle "genitoriali"), ma quel che conta è prenderle, vivere, rischiare, governare (per quanto possibile) il cammino della nostra esistenza e, cosa primaria, sapere cosa si vuole. E mi pare che chi ci ha preceduto abbia avuto ben chiaro cosa ha voluto dalla vita (anche se poi la collettività non ne ha tratto vantaggio).

Grazie per il quote, intendevo proprio questo, citare.

Mi scusi ma non uso dare il tu su internet, personalmente lo trovo non corrispondente al rapporto che può instaurarsi con queste discussioni (ovviamente se qualcuno mi dà del tu non mi offendo né rispondo male; sono idiota ma non fino a questo punto).

 

 

 

Solo una precisazione:

 

Sul primo, non concordo: se io fossi un italiano "anziano" (uno dei tanti che conosco) non mi riterrei perdente

 

Qui mi hai frainteso. Non intendevo dire che ci sia qualcuno che si debba sentire perdente (o vincente)  intendo dire che quando una scelta presa si rivela sbagliata e quindi oggettivamente perdente: il danno è di tutti. Un po' il concetto hemingwayiano di "Per chi suona la campana". Esempio: se un domani tu cerchi di fondare la nuova Apple, è riesci, sarà un vantaggio non solo per te, novello miliardario, ma anche per tutto il paese grazie all'indotto che creerai. Se non riesci ci perderemo tutti.

 

Quel che voglio dire è che le scelte si possono anche sbagliare (e tanti nostri genitori, in buona fede e anche per nostra insipienza, magari hanno sbagliato quelle "genitoriali"), ma quel che conta è prenderle, vivere, rischiare, governare (per quanto possibile) il cammino della nostra esistenza e, cosa primaria, sapere cosa si vuole. E mi pare che chi ci ha preceduto abbia avuto ben chiaro cosa ha voluto dalla vita (anche se poi la collettività non ne ha tratto vantaggio).

Ok, trovo condivisibile questo modo di pensare. Il fatto che certi errori abbiano portato grossi danni alla collettività mi fanno preoccupare doppiamente di evitarli consapevolmente: dopo averci pensato un po' su, mi rendo conto non solo di non sapere cosa voglio, ma di sapere che cosa si possa volere. Pensandoci un altro po', mi viene in mente qualcosa. Potrei voler seguire un percorso che parta dall'adesione ad un partito, possibilmente vicino alla realtà locale, che magari abbia pure qualche ideale condivisibile, partecipare alle attività che possa proporre, e vedere che spazi abbia da offrire. E' un corso d'azione strampalato, o qualcuno ha ottenuto qualcosa così? Ci sono corsi d'azione meglio pianificati? Alla base, è la domanda cui cerco di trarre una risposta da questa discussione.

ma è ancora presto per trarre conclusioni.

Curiosità, ma esattamente cosa cerchi in un partito? E suppergiù, in che area del paese lo cerchi?

Non so di preciso quale possa essere l'obiettivo generale, diciamo che condivido i punti centrali della discussione finora secondo cui ci sia riscontro di scarsa intraprendenza nei giovani a causa anche di un ambiente poco favorevole, ma che non ci siano particolari altre vie di fuga che trovare il modo legale di cambiare lo status quo, e che, probabilmente, senza una particolare rappresentanza "dove conta" di persone under 40, non sarà facile argomentare a favore di tali modifiche verso chi ha il potere di farlo.

Non è che abbia le idee chiare, quindi il mio pirmo obiettivo è chiarirle: il primo passo è il chiaccherare con persone che conosco, che hanno la mia età e che sono in qualche modo affiliati ad un partito, vedere da cosa sono motivate, vedere che responsabilità si trovano a fronteggiare, vedere se i problemi che si trovano davanti sono qualcosa alla mia portata.

Mi trovo in Toscana, a Lucca, per la cronaca.

Riprendo i miei commenti per fornire qualche... aggiornamento, magari possono essere impressioni utili per qualcun altro.

Dopo un paio di incontri un po' più significativi, diciamo che inizio ad avere una certa immagine di cosa componga la vita quotidiana della politica locale: purtroppo, cinismo a parte, mi sembra impossibile raggiungere la popolazione attraverso un organismo indipendente (forse hanno più orecchi le fasce d'età più giovani: sfortunatamente i due-tre comuni che ho più vicini sono molto più popolati da anziani che da giovani), non avendo alcuna credibilità da spendere. I partiti portroppo sono un marchio, con tutti i pro e contro del caso.

Oltre a questo, ho scoperto qualcosa di utile. Ci sono due-tre abilità che risultano essere molto utili alle organizzazioni locali, anche ai partiti stessi: ad esempio leggere un bilancio o interpretare tecnicamente documenti quali le ordinanze comunali. Questo, per ora, è il punto di partenza più concreto che abbia trovato.