Die Stalingrad protokolle

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Due riflessioni su quel che non capivo da piccolo.

Titolo: Die Stalingrad-Protokolle: Sowjetische Augenzeugen berichten aus der Schlacht

Autore: Jochen Hellbeck, S. Fischer Verlag

Anno: 2012

Alltagsgeschichte: hardcore, sconsigliabile ai bambini e ai cretini.

Affetto come sono da insomnia, mi trovo a leggere altro nulla avente a che fare con quel che dovrei fare. Il testo che segue ha scarso interesse, a meno che la lettrice non abbia una passione per come penso io, il che fa male alla salute.

Quando ero piccolo mi venne spiegato poco e male cosa successe a chi mi stava intorno. Mio padre nacque nel 1919 in una famiglia semimiserabile, dato il numero assurdo di sorelle e fratelli. Ebbe gloriose giornate al liceo classico e deluse tutti i professori non iscrivendosi a lettere. Per chi conosca la storia italiana, Venezia, dove la vicenda ebbe luogo, non aveva al tempo l’universita': pure l’esimio Galilei insegnava nella sede patavina. In breve nel 1944 mio padre si laureò in medicina e chirurgia. Fin qui nulla di strano. Strano fu quel che accadde poi, o come mi venne spiegato. Entrato in clandestinità scomparve in “montagna” fino all’aprile del 1945. Al bambino non fu immediate il motivo (sciare? vedere I camosci?). Venne spiegato che i malefici crucchi volevano deportare uno della Lista di Spagna in Germania. Perché? Perché erano cattivi. I fatti, come spesso si dice, sono cocciuti e rimangono. Anziano scoprii cosa successe in quel periodo. Mio padre non era un quadro politico di nulla, non era affatto celebre né perseguitato. Ebbe il dubbio privilegio di star vicino a Hitler a Venezia quando Hitler incontrò il GUF (memoria: un cretino con l’impermeabile bianco da quattro soldi.) Diventò un quadro politico militare molto dopo nel calderone che fu il regno di Serbia durante la guerra civile che seguì la ritirata degli italiani fascisti e dei tedeschi nazisti.

La ragione per cui doveva esser deportato sta nel fatto che non esistevano maschi medici in Germania. Tutti erano “morti in Oriente” mi fu detto alla scuola media. Mai capii nulla, mantenni tuttavia una qualche curiosità. Quel che successe è quel che il libro, eccellente, di Hellbeck racconta. Gli occidentali in questione sono gli italiani e compari dell’asse Roma-Berlino. Gli orientali sono I barbari mongoli bolscevichi e mangiapreti, o mangia bambini a seconda delle fonti consultate. La storia dura è semplice. Stalin, alleatosi con Hitler per ragioni politiche, si trovò al confine un pazzo criminale che invase il suo alleato, ossia lui stesso. Questa è la famosa Barbarossa, dal nome dell’imperatore del medioevo. Stalin venne prevenuto dei fatti da una mole immense di sintomi. Il più importante fu dato dalla rete giapponese di Richard Sorge (1895-1944). L’uomo d’acciaio naturalmente se ne infischiò. Unternehmen Barbarossa inizia nel giugno del 1941. Stalin assai scocciato la tira alla lunga mentre l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche perde pezzi dappertutto; fa un discorso per il 7 di novembre, anniversario della rivoluzione, e tira fuori persino Nevsky, Minin e Pozharskij (le moderne tecnologie: https://www.youtube.com/watch?v=8IGbjPqFFvA) e così la gloriosa armata di Bronstein va in guerra davvero dopo mesi di ritirata e massacri senza fine. Sono mesi di pistolettate ai commissari, di stermini vari, di fame. Leningrado non mangia per 90 giorni. La disfatta si arresta a Stalingrad.

Qui Hellbeck, uno studioso tedesco di storia che vive a Brooklyn e insegna a Rutgers, con pazienza certosina fa veder un po’ di luce sul perché i tedeschi tanto s’incanaglirono e quanto il tutto costò. Nessuno ha numeri certi, si stima che le vittime sovietiche siano un milione di persone (per esser chiari Verdun ne lasciò 700.000 morti ammazzati o svaniti in nuvole di gas). Le vittime tedesche sono circa un terzo di quel numero, la grande maggioranza morte di stenti dopo e non durante i combattimenti. Per confrontare, il numero attuale degli abitanti di Volgograd (non fa fino tenersi il nome di Stalin sulla targa dell’automobile) è un milione. I combattimenti hanno dell’onirico. È una delle fenomenologie della guerra a cui abbiamo assistito in Iraq. Austerlitz è una spianata vicino a Brno e ci sono fili d’erba. Stalingrad era una città con i ragionieri, le fabbriche, le massaie, nessuna fortificazione, nessun carro armato. Sono lì gli scontri epici che sembrano filmici tra i cecchini (menzione d’onore all’Armata Rossa, a quel che ne so fu e rimase l’unica forza armata ad addestrare le femmine cecchine, per chi non lo sapesse, le donne sparano meglio degli uomini). Sono lì le sparate di Goering che paragonarono la circondata armata di Paulus (il comandante Tedesco) a Nibelungelied, è lì che Hitler nomina sul campo Paulus maresciallo di campo e tutti sanno che nessun maresciallo tedesco mai si arrese. Paulus si arrese e venne catturato. Stalingrad, tutta obbedì all’ordine 227 (per chi legge in inglese e in russo questa la versione integrale).

Gli eroismi infiniti dei mongoli finiron per averla vinta contro i superometti. Come mongoli furono rappresentati I sovietici dalla propaganda, naturalmente intenti a massacrare cristiani, stuprare giovani bionde etc. Come guerrieri Wagneriani vennero rappresentati cretini rumeni affetti da antisemitismo profondo (metà di quelli presi prigionieri dall’Armata Rossa non era tedesco). Hellbeck sfata pure un mito, che tutta la resistenza civile e militare fosse effetto causato direttamente dalle squadre di fucilatori NKVD. Il numero di disertori e codardi fucilati è 278. Uno degli aspetti affascinanti del volume è che la sua natura, che ripeto è storica e non politica, è che la scomparsa dell’URSS e la metamorfosi di NKVD, GRU, e KGB in Fsb fece aprire gli archivi. Consiglio a tutti di leggerlo. Non (credo) esiste un’edizione italiana, per chi è ignorante del tedesco, esiste un’edizione presso Public Affairs, New York 2015, il cui titolo semplice è Stalingrad.

A chi voglia un po’ sorrider a mezza bocca sulle criptiche note mie, il clima in cui mio padre si formò è ben descritto in una storia del ciclo di Bernie Gunther, si chiama The Lady from Zagreb 2015. Ha aspetti romanzati, ma nemmeno tanto. Nel caso interessi posso pur spiegare perché. A chi interessi come lavora uno storico su documenti suggerisco l’eccellente di Hellbeck Revolution on my mind del 2009.

 

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