Discriminazione contro le lavoratrici madri: analisi di una decisione della Corte Suprema statunitense

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In questi giorni, avvicinandosi la fine dell'anno giudiziario, la Corte Suprema statunitense sta snocciolando decisioni a raffica. Non sono un esperto costituzionalista, ma mi affascina spesso leggere la logica usata dai giudici nelle motivazioni delle sentenze, che qui chiamano "opinions", che vengono pubblicate immediatamente assieme alle motivazioni dei giudici dissenzienti. Per capirle occorre fare un po' di salti mortali, ma con un po' di esperienza si riesce a capire il nocciolo della questione. Anche perché, alcuni concetti giuridici a parte (con questi wikipedia aiuta molto), le opinioni sono scritte in uno stile comprensibile ai comuni mortali (a differenza dello stile adottato dai giudici nostrani, che dovrebbero imparare a mettere un punto almeno dopo dieci subordinate).  È un po' come leggere l'Orlando Furioso: si inizia capendo poco, ma dopo dieci pagine ci si abitua al linguaggio e ci si comincia a divertire. Il divertimento, come cercherò di spiegare, è nello scoprire la logica e contro-logica delle opinioni di maggioranza e di quelle dissenzienti (lo so, lo so, piu' nerd di cosi' difficile diventarlo, chiedo venia). La decisione su cui mi soffermo oggi riguarda un caso di discriminazione sul lavoro, denominato AT&T v. Hulteen.

Il caso è stato sollevato da alcune lavoratrici dell'AT&T, una grossa compagnia telefonica, che ritengono di essere state discriminate nel calcolo dei contributi previdenziali durante l'aspettativa di maternità. Si tratta di benefici previdenziali stabiliti a livello contrattuale fra azienda e lavoratori, non della pensione fornita dal governo.  Le regole di calcolo dell'impresa precedenti al 1979 penalizzavano (calcolando benefici inferiori) chi chiedeva un'aspettativa di maternità rispetto a chi chiedeva un'aspettativa per altra causa medica. Successivamente, una legge del 1978 obbligò le imprese a calcolare i contributi per i periodi di aspettativa per maternità allo stesso modo in cui vengono calcolati per tutte le altre aspettative di natura medica. La corte ha deciso con una maggioranza di 7 a 2 che i criteri adottati dall'AT&T precedentemente al 1979 non sono discriminatori e pertanto non violano la costituzione.

Tralasciamo il caso legale per un momento. Dal punto di vista di un economista, garantire benefici alle madri in aspettativa di maternità costituisce un trasferimento da famiglie senza figli a famiglie con figli. Allo stesso modo, garantire benefici a chi si ammala trasferisce risorse da chi è in salute a chi si ammala frequentemente. Non credo però che i casi si equivalgano. Non discuterò qui se la sanità debba essere fornita da un ente pubblico o debba essere fornita dal mercato, questione piuttosto complessa, tangenziale al caso in questione. La differenza fra i due casi è che fare figli è (molto spesso) una scelta, o comunque lo sono vari comportamenti che certamente influiscono sulla probabilità di procreare. Questo vale in misura minore nel caso di chi si ammala, e in ogni caso ammalarsi comporta costi per gli ammalati, mentre fare figli ha costi e benefici che di solito sono valutati da ciascuna famiglia e rientrano nell'ambito della decisione di procreare. Per questo motivo, a me sfugge la necessità di imporre legalmente trasferimenti di risorse verso chi fa figli. Ma sorvoliamo.

Assumiamo che gli USA abbiano collettivamente deciso che far figli vada sussidiato con il curioso metodo di imporre alle imprese parità di trattamento contrattuale nel calcolo dei contributi previdenziali fra genitori in aspettativa e ammalati in aspettativa, e analizziamo la logica dei giudici costituzionali.

L'opinione di maggioranza argomenta che le regole trattano allo stesso modo le madri ed i padri in aspettativa di paternità e pertanto, prese alla lettera, non discriminano in base al sesso. L'unico modo di argomentare incostituzionalità, sostiene la Corte, sarebbe quello di sostenere che la legge del 1979 abbia validità retroattiva, ma non esistono basi sufficienti nella costituzione per argomentare questa tesi (non mi soffermo su questo e tralascio anche altri aspetti della motivazione che usano argomenti che ritengo di secondaria importanza, consapevole che dal punto di vista legale potrebbero non esserlo).

L'argomento sembra essere semplice e pulito, ma va analizzato un po' più a fondo. A complicare la logica della motivazione è un caso molto simile deciso nel 1979, Teamster v. U.S., nel quale la Corte decise in senso opposto. Anche in quel caso, si trattava di analizzare la validità costituzionale di alcune regole di calcolo dei benefici previdenziali. Il caso riguardava alcuni lavoratori assunti da un'azienda di trasporti come manovali, che, dopo essere stati promossi ad autisti, vedevano sostanzialmente la loro carriera ripartire da zero ai fini del computo della pensione. A causa di pratiche discriminatorie adottate nell'iniziale decisione di assunzione, la regola di computo dei contributi finiva di fatto per avvantaggiare sproporzionatamente i lavoratori bianchi rispetto ai membri delle minoranze, e questo serviva a "congelare lo status quo determinato da una precedente pratica discriminatoria". Per questo la corte decise che tali regole erano incostituzionali.

La Corte deve dunque crucialmente argomentare che nel caso delle lavoratrici madri la scelta di far figli e di prendere l'aspettativa di maternita' non dipende da pratiche discriminatorie nei confronti della madre. L'opinione di minoranza dei due giudici dissenzienti si sofferma in parte su questo aspetto sostenendo che la decisione di quale genitore finisca per richiedere l'aspettativa sia basata su norme sociali equivalenti alle pratiche discriminatorie della compagnia di trasporti oggetto della decisione del 1979. Questo si riflette sulle pensioni percepite oggigiorno, perpetuando dunque l'efficacia di tali pratiche discriminatorie.

Su questo sottile dettaglio si basa l'argomento, che un editoriale del New York Times di oggi semplifica giornalisticamente in modo considerevole, perdendo la complessità del caso. Io, nel mio piccolo, tendo a condividere l'opinione della maggioranza.

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Commenti

Ci sono 49 commenti

 

.. in ogni caso ammalarsi comporta costi certi, mentre fare figli ha costi e benefici che di solito sono valutati da ciascuna famiglia e rientrano nell'ambito della decisione di procreare. Per questo motivo, a me sfugge la necessità di imporre legalmente trasferimenti di risorse verso chi fa figli.

 

Se non si facessero figli chiuderebbero tutte le aziende che producono pannolini, camerette, ciucciotti,  chiuderebbero i venditori di sciarpe nerazzurre per i poveri pargoli inconsapevoli del danno psicologico, poi gli asili-nido, le scuole etc., etc.,. La "scelta" di fare figli è quindi imposta dal mercato , non dalla volontà degli esseri umani.

Quindi la necessità di imporre legalmente dei trasferimenti di risorse verso chi fa figli nasce dalla stessa necessità di tenere in piedi la FIAT, GM, o chi per loro: "too big to fail".

Ammalarsi invece comporta costi incerti, può essere un raffreddore, un'influenza, o peggio, a seconda del caso i costi variano. Mentre per un figlio ti puoi ammalare (in Italia) solo per sei mesi. Costi certi, quindi.

 

Buona questa :) ...Per costi certi in realta' intendevo costi "per tutti quelli che si ammalano" ... dopo cambio

 

 

Ammalarsi invece comporta costi incerti, può essere un raffreddore, un'influenza, o peggio, a seconda del caso i costi variano. Mentre per un figlio ti puoi ammalare (in Italia) solo per sei mesi. Costi certi, quindi.

 

Fare figli comporta soprattutto gratificazioni e benefici personali, oltre che costi individuali (mantenimento) e sociali (eduazione pubblica). Sul piano pedagogico ritengo che i genitori dovrebbero essere presenti (almeno uno dei due) nei primi tre anni, altro che sei mesi!
Ma non è detto che questo debba essere pagato dalla collettività o dal mondo del lavoro.
Sul piano medico l'assenza non è giustificata oltre i due mesi, su quello sociale e familiare io arriverei a tre anni. Quindi per me il costo sul sistema sanitario non dovrebbe superare i due mesi (salvo complicazioni) e quello sociale dovrebbe essere eventualmente a carico di altre voci di bilancio pubblico "non aziendali", a scalare (primo anno 100%, secondo anno 50%, terzo anno 30%)

Francesco

 

 

Le gratificazioni sono estremamente soggettive. Personalmente, fermo restando che quelle due creature sono la luce dei miei occhi, se avessi dovuto restare a casa dal lavoro tre anni per ciascuno probabilmente li avrei strangolati. Poi non mi sono affatto chiari i benefici.

Esimi economisti, eletta schiera, c'è qualcuno tra voi che ha voglia di spiegarmi perché, fatte salve le esigenze riproduttive della specie dalle quali deriva con ogni probabilità l'istinto materno, eliminati i moralismi del tipo "fare il genitore è la cosa più bella del mondo", ed infine messo momentaneamente in disparte il problema della gestione del sistema pensionistico, si dovrebbero fare figli? A meno che, naturalmente, non sia necessario al perpetuamento di un sistema perversamente avvitato su se stesso che produce pannolini, barbie e tutto il caravanserraglio. Mi piacerebbe una risposta veramente tecnica, per tutto il risvolto affettivo ho già dato.

 

Sul piano pedagogico ritengo che i genitori dovrebbero essere presenti (almeno uno dei due) nei primi tre anni, altro che sei mesi!

 

Sono assolutamente d'accordo sui tre anni. Purtroppo le convenzioni della societa' odierna sono in rotta di collisione con questo obiettivo.

 

Sul piano medico l'assenza non è giustificata oltre i due mesi,

 

Per quanto riguarda la madre credo di si' ma per quanto riguarda il bambino ritengo sia quantomeno non ideale dal punto di vista medico farlo andare in asilo nido prima di 1 anno se non addirittura fino a 2 - 3 anni.  Ma di nuovo la societa' odierna tende a non permetterlo.

 

 

L'opinione di maggioranza argomenta che le regole trattano allo stesso modo le madri ed i padri in aspettativa di paternità e pertanto, prese alla lettera, non discriminano in base al sesso.

 

Scusa ma c'e' qualcosa che mi sfugge. Le regole trattano allo stesso modo madri e padri? Trattano ugualmente persone che uguali, ovviamente, non sono. Se non per altro, perche' i figli li fanno le madri, che poi li allattano.

 

...mentre fare figli ha costi e benefici che di solito sono valutati da ciascuna famiglia e rientrano nell'ambito della decisione di procreare. Per questo motivo, a me sfugge la necessità di imporre legalmente trasferimenti di risorse verso chi fa figli.

 

Su questo sono d'accordo con te. Pero', se viene stabilito che procreare ha un valore sociale, allora madri e padri non possono essere trattati allo stesso modo.

 

Scusa ma c'e' qualcosa che mi sfugge. Le regole trattano allo stesso modo madri e padri? Trattano ugualmente persone che uguali, ovviamente, non sono.

Vero, ma questo non implica che le madri vengano discriminate. Discriminare e' trattare diversamente persone uguali. Trattare ugualmente persone diverse puo' essere o non essere discriminazione, a seconda dei casi. Se stai suggerendo una scappatoia legale per dare preferenza alle madri, direi che puoi anche trovare alcuni, forse molti, d'accordo. Ma ancora una volta, nessuno e' obbligato a partorire, ne' tantomeno ad allattare (su questo un bell'articolo dell'Atlantic recentemente sfatava il mito dell'allattamento andando a spulciare la recente e meno recente ricerca medica: a quanto pare non c'e' nessuna evidenza "dura" che serva a qualcosa). 

Raquel Bernal ha scritto qualcosa sul tema, copio un link e un abstract. Trova effetti negativi per i bimbi che non sono stati accuditi dai genitori sull'abilità cognitiva misurata a 5/6 anni di età. Rimane il dubbio se quegli effetti poi persistano dopo quell'età. 

 

Child-Care Choices and Children's Cognitive Achievement: The Case of Single Mothers. This project, in collaboration with Michael P. Keane at Yale University, seeks to increase our understanding of the determinants of children’s cognitive ability. In particular, Bernal and Keane evaluate the effects of home inputs on children’s cognitive development using the sample of single mothers from the National Longitudinal Survey of Youth (NLSY). Important selection problems arise when trying to assess the impact of maternal time and income on children’s development. To deal with this, they exploit the (plausibly) exogenous variation in employment and child-care use by single mothers generated by differences in welfare regulations across states and over time. In particular, the 1996 welfare reform act, and earlier state policy changes adopted under federal waivers, generated substantial increases in work and child-care use. Thus, they construct a comprehensive set of welfare policy variables at the individual and state level, and use them as instruments to estimate child cognitive ability production functions.

Their results indicate that the effect of child care use is negative, significant and rather sizeable. In particular an additional year of child-care use is associated with a reduction of 2.8 percent (.15 standard deviations) in child test scores. But this general finding masks important differences across types of child care, child age ranges, and maternal education. Indeed, only informal care used after the first year leads to significant reductions in child achievement. Formal care (i.e., center-based care, preschool) does not have any adverse effect on cognitive outcomes. In fact, their estimates imply that formal care has large positive effects on cognitive outcomes for children of poorly educated single mothers. Finally, Bernal and Keane also provide evidence of a strong link between test scores at ages 4, 5, and 6 and completed education.

 

Vediamo se ho capito bene.

Al di là sia dell'investimento emotivo sia dell'enorme e secondo me assolutamente spaventosa quantità di merci (non di servizi, quelli invece sono sempre troppo pochi) che viene proposta all'acquisto dei genitori prima e sempre dei genitori poi ma per l'interposta persona delle creature, i figli si giustificano economicamente perché:

1- ci sono comunque società o gruppi etnici o comunque li si voglia chiamare che ne faranno perché culturalmente gli risulta impossibile non farli e ne faranno tanti, per cui se noi non ne facciamo risulteremo soccombenti.

2- il loro futuro contributo alla società è maggiore del costo sostenuto dalle famiglie e dalla società stessa per crescerli (lo spero bene, ma questo vale anche in situazioni di forte instabilità e di futuro incerto quale stiamo vivendo? voglio dire, siamo sicuri che non dovrò mantenerli vita natural durante?)

3- la loro futura esistenza giustifica investimenti in infrastrutture ecc.

4- la componente emotivo/irrazionale rientra comunque nei calcoli di macroeconomia (si dice così?) tra i fattori non strettamente calcolabili ma comunque importanti.

Esimi economisti, eletta schiera, ho detto tante stupidaggini? Oppure ho saltato qualcosa di importante?

Una precisazione sul punto 4: è una motivazione di tipo "micro", cioé che riguarda la scelta individuale. Ad essere "macro" sono le altre tre giustificazioni. E non appiccicherei a quel fattore l'etichetta di componente "irrazionale". Se a qualcuno piace avere bimbi per casa, o sapere di avere una copia dei propri geni in un'altra persona, o avere l'illusione di aver creato una copia dei se stesso e di poterla formare con le sue idee, è perfettamente razionale fare figli. Il fatto che questi benefici non siano calcolabili, come hai capito benissimo, non importa: si tratta di fattori dei quali i nostri neuroni tengono conto come se fossero misurabili quanto il costo dei pannolini (che, va detto, anche se calcolabile, non è detto che sia noto a chi figli non ha). Magari la non calcolabilità facilita errori, ma questo non significa che il fattore non sia importante. Direi anzi che il punto 4 è il fattore determinante: i benefici per la società che hai esemplificato nei punti 1-3 in questo tipo di decisione personale passano quasi sempre in secondo piano. 

Lucia, non so se esistano politiche che favoriscono la fertilita' per motivi etnici, spero nessuno ci pensi in Italia, sarebbero semplicemente politiche razziste e fasciste. Sicuramente non esiste teoria economica che giustifichi una tale politica. Sul punto 3 anche, se mai e' vero il contrario, ovvero sicome si fanno figli, allora si pensa anche al domani. Sul punto 4, e' gia' stato detto, non c'e' niente di irrazionale nel aver piacere a crescere dei figli, e una questioni di gusti, e de gustibus non est disputandum neanche in economia. Non e' ne meno ne piu' razionale di una vacanza alle Maldive (all'anno). Il punto 2 forse. Comunque, te fai in realta' due domande, non una. Una domanda e' perce' si fanno figli, alla quale io risponderei semplicemente perche' ci piace averne, e' una questione privata e di gusti. Un'altra e' perche' mai un governo, o una societa' dovrebbe favorire l'averne, e preoccuparsi se ce ne sono pochi. Ovvero, avere figli, oltre ad un beneficio privato per chi ne ha, ha anche un beneficio sociale? per gli altri?

La questione non e' semplice, e secondo me, come hai anche accennato in un commento piu' recente, dipende anche dal momento storico che viviamo, o dalle condizioni socio-economiche. Ad esempio, era sensata la politica fascista del premiare chi avesse un terzo figlio? probabilmente lo era in quel periodo in cui si sperava di estendere l'Italia nelle colonie e affrontare varie guerre costose dal punto di vista delle vite umane. In altri paesi meno sviluppati dei nostri avere figli puo', in effetti, rappresentare una assicurazione sulla vecchiaia (il bastone appunto). In paesi piu' sviluppati invece si ricorre al risparmio o alla "previdenza" sociale, per cui avere figli non e' cosi' importante.

Ad ogni modo, anche in un sistema con un evoluto sistema finanziario, il capitale accumulato per la vecchiaia potra' rendere solo se nel futuro ci saranno lavoratori che lo fanno fruttare. In questo senso, che ci siano future generazioni e' importante per tutti.E quindi anche chi fignli non ne vuole dovrebbe alarmarsi se la fertilita' scende oltre un certo limite.

Poi secondo me, che i figli si facciano in Italia o in Francia o in Senegal, non dovrebbe essere cosi' importante, non solo perche' l'immigrazione puo' compensare le differenti fertilita', ma anche perche' il capitale va dove c'e' chi lo usa (meglio).

Strada pericolosa quella dell'autore che ragiona in termini economici sull'avere figli o meno. L'analisi costi-benefici é più utile altrove...Mi sembra di sentire e l'ho già sentito, ahimé, dire che si fanno figli per avvere le indennità o le detrazioni fiscali generose come in paese quali la Francia o il Belgio. Detto questo nel mondo anglosassone cominciano a considerare che chi non fa prevenzione in certe malattie non vedrà rimborsate le spese mediche. Insomma se fumi cavoli tuoi, se sei obeso dovevi mangiar meno, etc. Ecco quindi che dal punto di vista di un economista, garantire benefici alle madri in aspettativa di maternità costituisce un trasferimento da famiglie senza figli a famiglie con figli. Allo stesso modo, garantire benefici a chi si ammala trasferisce risorse da chi è in salute a chi si ammala frequentemente. Sono esattamente lo stesso tipo di trsferimento se ad esempio chi si ammala frequentemente non ha fatto prevenzione. Malattia e maternità sono costi ma discriminare i due sulla base che uno avrebbe benefici privati e l'altro no é una distinzione che se allargata ci porta chi sa dove. Ad esempio non pagare le tasse che vadano al settore educazione perché i figli non vanno a scuola. Avere figli é sempre stato considerato un beneficio e una risorsa per la società, ora che un'economista mi ci pianti un'analisi costi-benefici mi pare eccessivo. Fumare ha fatto più danni pare...

 

Avere figli é sempre stato considerato un beneficio e una risorsa per la società

 

E' proprio questo il punto: perché "sempre"? E perché ancora?

 

l'analisi costi benefici la si fa pure in amore quando si sceglie il partner, anche inconsapevolmente. E' utile farla sempre, anche come sola prima approssimazione, pur sapendo di sbagliare e di non includere tutte le informazioni utili....se si deve decidere di fare o di non fare qualcosa, ragionarci è meglio che andare di istinto, o per rispetto della tradizione... 

 

 

Avere figli é sempre stato considerato un beneficio e una risorsa per la società, ora che un'economista mi ci pianti un'analisi costi-benefici mi pare eccessivo

 

Da chi? perche'?

Ovunque ci sia una politica economica o una legge che ha implicazioni in termini di trasferimenti di risorse, ci deve essere sempre un'analisi costi-benefici. Non capisco proprio perche' te la prendi tanto.

 

Ecco quindi che dal punto di vista di un economista, garantire benefici alle madri in aspettativa di maternità costituisce un trasferimento da famiglie senza figli a famiglie con figli

 

Dal tuo punto di vista no? allora il tuo punto di vista e' sbagliato. Che il trasferimento ci sia e' un fatto, non un punto di vista. Che il trasferimento sia equo, e' un altro paio di maniche. Puo' darsi, che chi fa figli non abbia solo benefici propri ma porti anche benefici a chi figli non ne ha, se questo e' vero, allora e' bene che chi ha benefici indiretti si accolli parte delle spese per avere figli. Casomai, invece di attaccare chi dice cose ovvie, ti dovresti spendere per dimostrare questo. Lo sesso vale per la scuola, per la sanita', anche se qui c'e' anche un elemento di assicurazione, etc...

 

Strada pericolosa quella dell'autore che ragiona in termini economici sull'avere figli o meno.

 

Poi scusa, hai figli? perche' ti posso assicurare che sull'avere figli o meno si ragiona anche in termini economici. Sul numero di figli da avere, solo in termini economici. Ti faccio il mio esempio personale, io di figli ne ho tre, perche vivo in Canada, se fossi rimasto in Italia ne avrei sicuramente avuti al massimo due, ma probabilmente uno. Perche'? indovina. Quindi, e' ovvio che le politiche di sostegno alle famiglie influenzano la fertilita'. Veramente, ovvio.

 

Mi sembra di sentire e l'ho già sentito, ahimé, dire che si fanno figli per avvere le indennità o le detrazioni fiscali generose come in paese quali la Francia o il Belgio.

 

Il Belgio l' ho tirato fuori io, ci ho vissuto e diversi amici con figli mi han detto che il vantaggio fiscale per il figlio a carico supera o quasi il costo di mantenimento.Non ho mai detto che i Belgi (meglio, fiamminghi) figliano per averne un vantaggio economico, intendevo che col loro sistema la scelta di fare da 0 a tre figli è quasi indifferente economicamente.In paesi dove cio non avviene spesso le coppie limitano il numero di figli anche per ragioni economiche.

 

Avere figli é sempre stato considerato un beneficio e una risorsa per la società

 

Sui quanti si può discutere, ma un certo numero è necessario per mantenerla funzionante.In linea del tutto teorica potresti sostituirli con immigrati, ma è decisamente più complicato e costoso.

 

Detto questo, secondo me stiamo facendo confusione.

Dei 4 punti di Lucia, i primi 3 riguardano la società nel suo insieme e la politica, il 4 è strettamente privato.Mi pare verosimile che le società promuovano la fertilità per i primi tre motivi (il 3° non mi convince troppo). Alla fine gli individui decidono di far figli soprattutto per motivi personali, la decisione però viene pesantemente condizionata dalle politiche dipendenti dai primi 3.