Dubbi su un editoriale di Giavazzi

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Spesso condivido articoli ed editoriali che Giavazzi scrive sul Corriere della Sera, e anche il suo editoriale del 16 marzo 2007 appare condivisibile, superficialmente. Ci sono tuttavia alcune omissioni che mi sembrano cosi' rilevanti da inficiare buona parte delle sue raccomandazioni.

Premetto che la mia conoscenza di economia e' limitata e

amatoriale, potrei sbagliare, ma sarei felice se qualcuno potesse

spiegarmelo in maniera convincente.

Giavazzi osserva che il "tasso di partecipazione" (occupati piu' in cerca di

lavoro) in Italia e' molto basso (~60%), e che la Spagna lo ha aumentato dal

60% al 70% in 10 anni. Aggiunge: "Nella fascia d'età tra i 50 e i 60 anni

partecipano 3 uomini su 100 in meno di quanti partecipassero dieci anni fa; 2

su cento in meno fra i 60 e i 65 anni. Partecipano meno che in Spagna anche i

giovani, soprattutto quelli fra i 25 e i 29 anni, e le donne in ogni fascia

d'età: fra i 25 e i 29 anni, 8 ragazze spagnole su 10 lavorano o cercano

attivamente un lavoro. Sono solo 6,4 in Italia."

Giavazzi poi osserva che i risultati scolastici

italiani (immagino si riferisca alle indagini PISA) sono agli ultimi posti

dell'OCSE, con punteggio 470 rispetto al 550 della Finlandia.

Giavazzi spiega che l'economia puo' crescere in due modi: aumentando la

produttività oppure il tasso di partecipazione, e raccomanda che l'Italia

segua l'esempio della Spagna, che ha fatto notevoli progressi economici

aumentando il tasso di partecipazione e creando in questo modo molti posti

di lavoro. In particolare raccomanda:

  1. Continuare a prevedere la possibilita' di avere lavori a tempo determinato perche' "nei ricchi Paesi dell'Occidente i nuovi posti di lavoro si creano nei servizi, sia quelli che richiedono qualifiche elevate (la finanza, l'informatica, l'istruzione) sia quelli che al contrario non richiedono qualifiche particolarmente elevate, ad esempio nel turismo."

  2. Mobilità. I giovani, e non solo loro, sempre più troveranno posti precari: il problema è come aiutarli ad uscire dal circolo vizioso del precariato. Questo richiede mobilità sociale, cioè meritocrazia e buone scuole. Scrive Giavazzi: "Anziché illudersi di eliminare i lavori precari o investire denaro pubblico in ambiziosi progetti di alta tecnologia, occupiamoci piuttosto delle scuole."

Un primo appunto: i risultati scolastici italiani a livello di scuole medie

superiori (indagine PISA) sono sia pure di poco superiori a quelli USA, fatto

che suggerisce che forse i risultati scolastici non hanno molto a che fare, in

termini causali, con la partecipazione al mercato del lavoro visto che gli USA

hanno una partecipazione fra le piu' alte. Con questo non voglio dire che

l'Italia non dovrebbe cercare di migliorare i suoi deprimenti risultati

scolastici, sia ben chiaro, discuto solo la correlazione col tasso di

partecipazione.

Sempre riguardo ai risultati scolastici, c'e' un'omissione che mi sembra

imperdonabile: la media non è rappresentativa delle notevoli differenze a

livello territoriale. Come si puo' leggere su

lavoce.info,

citando dal primo rapporto OECD-Pisa: "Il Nord Ovest e il Nord Est hanno

punteggi analoghi a quelli di Francia e Svezia, il Centro ha un punteggio

che coincide con quello medio dell'Italia, mentre le due aree del

Mezzogiorno hanno un punteggio analogo a quello della Turchia, superiore

solo, tra i paesi dell' OECD, a quello del Messico".

Mi chiedo allora che senso abbia raccomandare, come fa Giavazzi, di

migliorare la Scuola quando in metà del paese è già abbastanza buona. Il

vero problema è evidentemente la scuola nel Sud Italia, e probabilmente in

alcune aree del Centro del paese, che - scommetto - potrebbe includere

situazioni diversificate come Toscana, Marche e Umbria da una parte e Lazio,

Abruzzo e Molise dall'altra.

Può darsi che anche in altri paesi ci siano differenze territoriali così

marcate, ma non mi sembra. In ogni caso, varrebbe la pena di studiarlo

e quantificarlo, invece di trattare ogni paese come un blocco

indifferenziato al suo interno.


Il tasso di partecipazione (occupati piu' in cerca di lavoro) italiano e'

basso, ma non sara' per caso che a Nord e' comparabile con Francia e Svezia

e il vero problema e' il tasso di partecipazione al Sud, specie per le

donne? La mia personale stima e' questa:

  1. al Nord la partecipazione è poco inferiore a quella dei paesi nord-europei, e buona parte di quanto manca dipende dal fatto che i lavoratori più anziani vengono espulsi appena possibile dalle grandi imprese private per scaricare sullo Stato (mobilità lunga e pensionamenti anticipati) i costi dovuti agli aumenti salariali automatici per anzianità;

  2. al Sud la partecipazione al lavoro è molto bassa, primariamente perché i salari della grande impresa privata (contrattati a livello nazionale) sono troppo alti rispetto alla produttività, e la maggiore occupazione nel settore statale non compensa questo deficit. Mancando la grande impresa privata (con eccezione di alcuni casi pesantemente assistiti), il territorio e' anche meno propizio per offrire occupazione nelle piccole imprese

Se è vero che il tasso di occupazione italiano è basso

perché è particolarmente depresso al Sud, ma non al Nord, come i risultati

scolastici, allora le mie personali raccomandazioni sarebbero:

  1. Rimodulare le progressioni salariali per anzianita' in modo da aumentare per le imprese il costo dei giovani e diminuire il costo degli anziani. Se il potere legislativo incontra opposizione insuperabile dai sindacati, dovrebbe cercare di rimodulare il carico fiscale in rapporto ai salari lordi, diminuendo per le imprese il carico sui salari con elevata anzianita' e aumentandolo su quelli con poca anzianità.

  2. Rimodulare i salari (idealmente anche statali) in modo da ridurre o azzerare il differenziale di produttività (prodotto a parità di salario) tra Nord e Sud.

  3. Lavorare per migliorare la Scuola al Sud, combattendo anche l'abbandono.

Aggiungo in coda un po' di veleno. Non sarà mai che Giavazzi non espone

certi dati (come la differenza nord-sud nei risultati scolastici) e non fa

certe raccomandazioni (ad esempio la raccomandazione sulla rimodulazione dei

salari nord-sud, che se ricordo bene è stata fatta, ripetutamente, anche dal

Fondo Monetario Internazionale) solo perché sono troppo "politicamente

scorrette" e in contrasto con la linea politica del giornale su cui scrive?

 

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Commenti

Ci sono 31 commenti

 

I giovani, e non solo loro, sempre più troveranno posti precari:

il problema è come aiutarli ad uscire dal circolo vizioso del precariato.

Questo richiede mobilità sociale, cioè meritocrazia e buone scuole.

 

No, richiede soprattutto la liberalizzazione del mercato del lavoro. Qui a Londra il precariato giovanile praticamente non esiste. Esiste solo in quei paesi, come l'Italia, in cui si è deciso di fare le liberalizzazioni col contagocce, facendo ricadere la maggior parte dei costi sui giovani. La colpa viene poi data convenientemente al "neoliberismo". Ovviamente non sono in disaccordo con te, ma con Giavazzi.

 

 

Ho controllato i dati dell'indagine OECD PISA 2003 e ho constatato che, nonostante gli Stati Uniti abbiano un punteggio simile all'Italia, il loro punteggio e' leggermente superiore e non leggermente inferiore come ho scritto sopra. I dati completi si possono trovare in formato Excel su www.oecd.org/dataoecd/15/47/34011082.xls. I punteggi sono:

 

Finlandia USA     Italia
544       483     466     Mathematics
543       495     476     Reading
548       491     486     Scienze
548       477     469     Problem Solving

 

 

Caro Alberto, capisco il tuo sconcerto. Molte delle cose che tu dici in queste righe sono vere, ma non ti aspettare per questo una risposta. Non l'avrai. Complimenti comunque per il talento non comune che riveli nel comprendere in profondita' questioni economiche delicate. Le tue capacita' logiche e deduttive insieme alla tua buona fede di studioso di scienze naturali ti portano a cogliere cose che sedicenti economisti come quelli che partecipano a questo blog non ammetteranno mai, ne' vorranno farlo. Lasciatimi spiegare perche' (te lo dice uno che queste cose un poco le conosce): fare l'economista e' una vita grama, dovresti essere un sapiente di economia, ma poi vedi che nella pratica il mondo economico se ne fa nulla o quasi delle tue teorie. Soprattutto per sbarcare il lunario e' fondamentale non toccare alcuni totem, vedasi ad esempio Giavazzi, la fondazione debenedetti e tutte quelle benemerite istituzioni della sinistra che ci danno un po' di notorieta', qualche viaggetto a Trento per parlare di chissache', magari anche qualche posticino in un consiglio di amministrazione, qualche articoletto su una rivista (tanto perche' bisogna dimostrare che anche se non si guadagna un fico secco pur dovendo essere esperti di economia, si e' pero' tanto, tanto intelligenti etc..) etc.etc. Insomma la tua buona fede ed il tuo intelletto ti hanno portato ad intravedere cio' che, dove non esistono ne' l'uno ne' l'altro, non si dira' mai o non si potra' mai dire...che tristezza, aveva proprio ragione Marx quando parlava di scienza triste...

 

 

Lasciatimi spiegare perche'

 

"Lasciatimi"?

 

che tristezza, aveva proprio ragione Marx quando parlava di scienza triste...

 

Non era Marx, era un figuro ben peggiore: Thomas Carlyle, razzista, anti-liberale ("all this Mammon-

Gospel, of Supply-and-demand, Competition, Laissez-faire, and Devil take the hindmost, begins to be one of the shabbiest Gospels ever preached on Earth"), e proto-fascista se mai ce ne fu uno.

 

lasciamiti (o piu' semplicemente consentimi) ringraziare per la correzione della citazione, forse volevo fare inavvertitamente riferimento alla "merda economica" , quella si', credo, di Marx. Anyway, al di la' della forma (staro' attento a rivedere l'ortografia prima di inviare i miei commenti), continua l'imbarazzante silenzio sulla sostanza dell'intervento di alberto che, a me pare, nello squallido qualunquismo economico che nel sito abbonda, analisi di eccellente fattura. Cosi' come l'intervento di MicheleC a proposito dell'inconcludente articolo di clementi, esso sottilinea una linea di confine tra buoni/cattivi economisti che in Italia pochi sono disposti a varcare: il trattare in modo serio la questione meridionale. Da anni in Italia, pur di non affrontare la questione in modo coerente, con l'introduzione di un vero e proprio mercato (il che avrebbe implicazioni politiche fortissime, quali vero federalismo, ruolo ridotto dei sindacati, totale flessibilita' dei prezzi e dei salari), si preferisce anche da parte di pseudo-economisti alla clementi parlare di infrastrutture, salario minimo, asili nidi, una politica economica che va bene in un contesto dove il mercato e' gia' presente e sviluppato (perche' magari c'e' stata una certa Margareth Thatcher) piuttosto che in un contesto dove corruzione, pigrizia e incultura regnano sovrane come nel sud Italia. E, per tornare al mio punto, anche quando alcuni (pochissimi) economisti, vedasi il caso di tabellini, sembrano intuire l'importanza di queste cose (inizialmente quando torno' dagli USA si avvicino' alle posizioni della Lega), una volta in Italia, devono frettolosamente rivedere le proprie posizioni e tornare nel solco del mainstrem di giavazzi, fondazione debenedetti, centro studi confindustria. Peccato!

 

 

Dibattito potenzialmente interessante. Le continue frecciatine, però, ne oscurano la struttura. Insomma, tremonti, si può sapere qual è il problema e quale l'analisi, lasciando perdere la vita grama degli economisti e la pseudo-mafia intellettual-accademica?

 

Il mio intervento si innesta su un punto in realta' sottolineato da alberto: e' assolutamente fuorviante leggere la realta' economica "italiana" come tale, cioe' come nazionale, appunto. Tanto e' profonda la spaccatura tra nord/sud che guardare alla media e' errato. Se si guardasse alla dispersione dei dati intorno alla media ci si renderebbe subito conto che, in Europa almeno, costituiamo un caso assolutamente unico ed irripetibile quanto a dualismo territoriale. Guardare alla "media" e parlare di problema genericamente "italiano" e' pero' cio' che e' sempre stato fatto nella storia della Repubblica, e non e' polemica sterile: qui vieni fuori il legame tra la scarsa o nulla liberta' intellettuale degli economisti italiani dal mondo politico/(pseudo)industriale. Ti faccio due esempi:1/ istruzione: se guardi alla media, pensi che la scuola italiana sia scarsa, se ripartisci il campione correttamente, ti rendi conto che al nord la scuola funziona, al sud no. Politiche differenziate, allora? Manco per scherzo. L'economista alla clementi prenderebbe il ricettario dell'OCSE per i Paesi in via di sviluppo (in via di sviluppo?!? la Lombardia ed il Veneto sono le regioni piu' ricche d'Europa!) e ti direbbe che occorrono infrastrutture, asili nido, magari incentivare la mobilita' degli insegnanti perche' dal Sud si spostino al Nord cosicche' possano migliorarsi, etc.etc. Risultato: a partire dagli anni del dopoguerra, abbiamo progressivamente peggiorato la qualita' del nostro sistema scolastico (inciso: la riforma fascista di Gentile era forse elitaria, ma raggiungeva punte di eccellenza assolute nella istruzione; ti chiedo: hai piu' visto o sentito di un Fermi, di un Modigliani, di un Montale? Direi di no ci sono rimasti Giavazzi, Dario Fo, Paolo Rossi e la Gialappas), via via aprendo il nostro sistema scolastico a tutti (clementi direbbe: secondo l'OCSE bisogna aumentare gli anni di studio, e allora via il latino e ti introduco la scuola media!, via gli sbarramenti di entrata all'universita' etc. etc.). 2/ mercato del lavoro: qualcun altro ha parlato in questo blog di "lavoratore scoraggiato" (ovviamente nessuno se l'e' filato perche' il tema e' scabroso, parlare di disoccupazione/inoccupazione volontaria in Italia non si puo' fare; nei '70 lo fece un'economista come Vera Lutz poi caduta immeritatamente nel dimenticatoio, troppo di "destra", ma della destra vera cattiva e sincera non di quella consociativa italian style). I dati ci sono e dimostrano che in Italia meridionale il salario a cui l'inoccupato comincia a pensare di dover darsi da fare per cercare lavoro e' piu' alto che in Italia settentrionale!?! Sono dati BdItalia, ma, dimenticavo, anche la BdI pullula di economisti alla clementi come l'igier, la fdb, il centro studi di confindustria (altro inciso: avete letto il sito della voce.info dove si parla del povero Riccardo Faini? Va bene che dei defunti si deve dire solo bene, non pero' senza abdicare al buon gusto, come si fa a descriverlo come un genio della scienza economica quando e' stato co-autore della forse peggiore legge finanziaria della storia italiana, direi dalla "lira a quota 90" in poi? Forse si deve dire perche' Faini ha sbarcato il lunario grazie a confindustria...triste molto triste). Comunque: al corso di micro (0) ti direbbero subito che un salario di riserva piu' elevato in un posto dove la disoccupazione/inoccupazione e' elevata significa ASSENZA di MERCATO, eccessiva presenza della pubblica amministrazione con i suoi salari troppo elevati. Quale sarebbe la ricetta dell'economista coraggioso, allora?: via contrattazione collettiva, taglio drastico alla spesa pubblica, federalismo fiscale. Purtroppo nulla, nulla si tutto cio' si sente dire. Vedi, questa e' una questione cruciale: se non lasci che una mano d'opera meno istruita, meno flessibile, abbia un prezzo diverso, piu' basso, nel mercato del lavoro, ma se, piuttosto, preferisci aprire il sistema a tutti perche' occorre massimizzare la media (in una distribuzione troppo dispersa, per cui la media non e' significativa), finisci nel lungo periodo per imbarbarire la societa', ti ritrovi la televisione pubblica che parla in romanesco, la polizia, la guardia di finanza, gli insegnanti, i giudici che parlano calabrese stretto, ti ritrovi, per reazione, fenomeni come quello della Lega e,insomma, tutto quello che vediamo ogni giorno. Ah se solo si guardasse ai momenti successivi al primo nell'analisi delle distribuzioni dei dati...    

 

 

Chiedo lumi su un paio di punti:

 

...a partire dagli anni del dopoguerra, abbiamo progressivamente peggiorato la qualita' del nostro sistema scolastico (inciso: la riforma fascista di Gentile era forse elitaria, ma raggiungeva punte di eccellenza assolute nella istruzione; ...),  via via aprendo il nostro sistema scolastico a tutti

 

Davvero si poteva fare diversamente? Sarò brainwashed ma continuo a pensare che alzare la media (ebbene sì) dell'istruzione sia importante per "tenere a galla" e magari rilanciare questo Paese, da un punto di vista economico e sociale. E' ovvio che questo risultato possa essere ottenuto in diversi modi, alcuni dei quali più adatti alla presenza di forti disparità. Ma che la strada debba essere quella, mi pare altrettanto scontato.

Che c'entra poi questo con la spaccatura Nord-Sud? Il fatto che ancora adesso le scuole del Nord siano meglio di quelle del Mezzogiorno (così sembrate affermare tutti con grande sicurezza; non ho dati cui far riferimento ma non fatico a crederci) significa che non c'è un grosso problema di "convergenza al ribasso", ti pare? Nel senso, non mi pare che il Sud scalcagnato stia trascinando verso il baratro il sistema scolastico settentrionale. Stanno peggiorando entrambi a causa della massificazione e della persistenza di habits scorretti. Perchè sorprendersi? Allarmi di questo tipo stanno sorgendo in tutto il mondo... penso alle preoccupazioni espresse da Bush sul sistema scolastico americano, ad alcune ricerche svolte in California, ai documenti scritti da alcuni governi del Nord Europa... 

Infine, una nota di colore: non è che all'Italia manchino cervelli... cito Bombieri, tanto per dirne uno (che, come Fermi e Modigliani, sembra stare meglio in Usa...).

 

Vedi, questa e' una questione cruciale: se non lasci che una mano d'opera meno istruita, meno flessibile, abbia un prezzo diverso, piu' basso, nel mercato del lavoro, ma se, piuttosto, preferisci aprire il sistema a tutti perche' occorre massimizzare la media (in una distribuzione troppo dispersa, per cui la media non e' significativa), finisci nel lungo periodo per imbarbarire la societa'...

 

Questa non l'ho capita...

 

 

Comunque: al corso di micro (0) ti direbbero subito che un salario di riserva piu' elevato in un posto dove la disoccupazione/inoccupazione e' elevata significa ASSENZA di MERCATO, eccessiva presenza della pubblica amministrazione con i suoi salari troppo elevati. Quale sarebbe la ricetta dell'economista coraggioso, allora?: via contrattazione collettiva, taglio drastico alla spesa pubblica, federalismo fiscale

 

Una precisazione visto che sulla questione pare che ci sia poca conoscenza dei fatti. Lo stesso lavoro non e' pagato allo stesso modo al sud e al nord tranne che per gli impiegati nella pubblica amministrazione e nelle grandi imprese; infatti, per chi non lo sapesse, le medie e piccole imprese del sud fanno i seguenti esercizi:

a) non pagano gli straordinari o ne pagano solo una (piccola) parte

b) pagano gli stipendi con mesi di ritardo

c) pagano solo parte di quanto risulta in busta

d) non mettono in regola i dipendenti

e) ecc. ecc.

Dato che il lavoro e' una merce il suo prezzo e' determinato dalla legge della domanda e offerta. I punti sopra menzionati ne sono il corollario.

Una osservazione: chi dice che il federalismo fiscale per se porterebbe ad una riduzione dell'assistenzialismo/sprechi/ecc? Secondo me le esperienze fatte con l'autonomia delle universita', l'autonomia regionale e il decentramento delle procedure per la concessione delle pensioni di invalidita' farebbero pensare esattamente il contrario.

Domanda: che c'entra la contrattazione collettiva con il differenziale dei salari? perche' andrebbe buttata a mare? Contrattazione collettiva e differenziale, come la storia italiana dimostra, sono perfettemente compatibili.

 

 

caro tremonti, si documenti meglio. A me e' bastata una veloce ricerchina in google, et voila:

http://www.frdb.org/images/customer/parma.pdf

 

E con cio'? Provi a chiedere a boeri (basta mandare un email alla voce.info) lumi sulla inoccupazione (che ci sia nessuno lo puo' contestare, grazie al c..o) ma se sia volontaria o meno, questo fa la differenza. La legge Treu che nella presentazione si auspica secondo lei significava dare spazio al mercato? Se si', allora ha ragione a lei... 

 

le faccio solo un esempio, semplicissimo: ammettiamo di avere un buon sistema scolastico (privato/pubblico, non importa), ma che sia buono. ammettiamo che sia costoso, non necessariamente perche' privato ma perche' per alcuni meno fortunati e' costoso arrivare a studiare sino a 18 anni. Ha senso una riforma che rende il sistema piu' accessibile a tutti stravolgendolo ed abbassandone il livello o non avrebbe piu' senso lasciare il sistema com'e' e introdurre riforme come il buono scuola? La risposta e' ovvia. Eppure cosi' non si e' fatto. E non e' che io voglia malignare, ma mi sembra altrettanto ovvio spiegarne il motivo: non e' che una scuola facile sia un bel modo per creare/riempire buche come suggeriva Keynes, cioe' per creare spesa pubblica completamente improduttiva (lui non la pensava cosi', cmq.)? Se crei le medie, gli insegnanti delle medie non li devi nemmeno formare...un bel concorso e via 1000 napoletani, calabresi, e via dicendo sono gia' pronti...purtroppo e' cosi'.

 

F.Giavazzi in questo editoriale del 6 giugno sul Corriere mostra di aver finalmente appreso, dalle considerazioni finali di Mario Draghi,

che i risultati della scuola italiana sono fortemente differenziati tra

Nord e Sud, fatto noto a chi si interessa dell'argomento, per es. la

fondazione Treellle, il sito lavoce.info, e documentato dalle indagini Pisa , ma manifestamente ignorato nel suo editoriale del 16 marzo scorso, sempre sul Corriere. Scrive Giavazzi:

 

L'indagine dell'Ocse sui livelli di apprendimento dei ragazzi

quindicenni (« Problem Solving for Tomorrow's World ») mostra non solo

un ritardo delle scuole italiane rispetto a quelle europee, ma anche un

forte divario fra Nord e Sud, anche a parità di voto scolastico. Un 4

in matematica in una scuola del Nord mostra un livello di conoscenze

superiori a un 7 in una scuola del Sud. Se poi confrontiamo i

quindicenni italiani con i loro colleghi europei, la percentuale di

coloro che — posti di fronte a un problema relativamente semplice, come

decidere il percorso più efficiente in un viaggio che deve toccare 6

città diverse — ottengono un voto superiore a 592 (in una scala da 0 a

750) sono il 30% in Finlandia, il 22% in Francia, Germania e nella

Repubblica Ceca, solo l'11% in Italia.

 

Due osservazioni spiacevoli:

  • F.Giavazzi dissimula la realta', facendo pensare che tutto il paese sia in ritardo, invece di ammettere, come invece fa onestamente lavoce.info, che "Il Nord Ovest e il Nord Est hanno punteggi analoghi a quelli di Francia e Svezia, il Centro ha un punteggio che coincide con quello medio dell'Italia, mentre le due aree del Mezzogiorno hanno un punteggio analogo a quello della Turchia, superiore solo, tra i paesi dell' OECD, a quello del Messico";
  • F.Giavazzi evita di fare alcuna raccomandazione sul tema, evidentemente scottante per la parte politica sostenuta dal Corriere della Sera e ora al governo.

Quando potremo leggere sul Corriere della Sera qualche onesta considerazione sulla Scuola e sul come aggredire questo grave problema del Belpaese? Probabilmente mai, finche' gli insegnanti di scuola sono la categoria che con piu' intensita' vota PDS, e finche' i proprietari del Corriere appoggiano il centro-sinistra.

 

Wow! Mai avrei pensato di trovare qui un commento di tremonti. Ma è davvero il ministro? Ari wow.  Se è lui e se anche non è lui questo tremonti mostra sempre livore ed arrogante spocchia.

 

Pensandoi sopra, tremonti è stato ministro per buona parte della legislatura 2001-2006 ed è ministro dal 2008. Di quanto lui stesso osserva in queste note cosa ha estrapolato per farne oggetto di iniiativa politica? La banca del sud.

Si' banca del sud = altra spesa che nel migliore dei casi serve a foraggiare le clientele. Nel caso piu' probabile servira' a favore l'integrazione tra affari (leggi economia criminale) e politica.