L'argomento in questione torna particolarmente naturale a chi sia abituato a pensare secono schemi concettuali generalmente keynesiani: una recessione e' uno shock negativo a consumi e/o investimenti privati che ha effetti sia diretti che indiretti (attraverso il moltiplicatore) sulla disoccupazione; una maggiore spesa pubblica o una minore imposizione fiscale compensa lo shock su consumi e/o investimenti ed evita/riduce la disoccupazione; una politica di riduzione di spesa e/o di aumento dell'imposizione fiscale al contrario amplifica la recessione.
In realta', a conclusioni simili si arriva anche con schemi concettuali meno datati e piu' conformi ai principi della teoria economica corrente (nelle sue varie versioni) e alla dinamica empirica delle economie reali. Schemi concettuali piu' sofisticati suggeriscono effetti delle poltiche fiscali piu' complessi, che dipendono da variabili stock come la ricchezza privata e il debito pubblico (e non solo da variabili flusso tipo reddito e deficit), e che dipendono dalle aspettative sulla futura dinamica di queste variabili. Inoltre, al di la' della rozza analisi keynesiana spesa pubblica e imposizione fiscale hanno effetti quantitativamente diversi, cosi' come diversi tipi di spesa pubblica hanno effetti diversi. Ma comunque la si rigiri, e per quanto piu' complesse, sottili, intelligenti, siano questi schemi concettuali, una politica di austerita' fiscale - almeno nel breve periodo - deprime l'attivita' economica. E deprimere l'attivita' economica quando essa e' gia depressa (in una recessione) fa piu' male. Il buon senso impera anche nelle menti dei piu' sofisticati tra noi (economisti).
Cosa c'e' di fallace allora nell'argomento che politiche di riaggiustamento fiscale, nel mezzo di una recessione, non sono desiderabili? Dopo tutto abbiamo accettato l'affermazione che politiche di riaggiustamento fiscale, nel mezzo di una recessione, sono controproducenti in quanto aggravano la recessione stessa.
Lo scivolone logico sta nell'assumere che l'affermazione che politiche di austerita' peggiorino la recessione implichi che esse non siano desiderabili. E' uno scivolone che potrebbe infatti darsi il caso che le altre politiche non siano implementabili o siano ancora peggio. Et voila', la forza della logica.
Esaminiamo quelle altre poltiche che sarebbero preferibili all'austerita' oggi, allora. Si sentono una quantita' di stupidaggini in giro, incluse lodi delle doti taumaturgiche dell'uscita dall'Euro, visioni allucinogene di mondi in cui la illimitata monetizzazione del debito non causa inflazione (si, sto parlando della Modern Monetary Theory), o inutili accuse alla cattiveria dei tedeschi (queste accuse, vale forse la pena ricordarlo, non costituiscono una poltica economica in se', ma piuttosto solo un giudizio morale a mio parere alquanto peloso). Ma concentriamoci solo su quelle tra le altre politiche che siano al contempo sensate e rilevanti riguardo nostra discussione. I piu' fieri e seri sostenitori della indesiderabilita' di politiche di austerita' oggi hanno in mente - generalmente - politiche espansive (o almeno non recessive) oggi associate ad un riaggiustamento fiscale in futuro (quando la recessione sara' terminata). Il buon senso sembra chiaramente a loro favore: se riaggiustare bisogna, meglio quando fa meno male. Ma il buon senso funziona finche' funziona. Ci sono due problemi con questa classe di politiche, espandere (non contrarre) oggi per riaggiustare domani.
La recessione non e' necessariamente esogena (non viene dal cielo) - non e' affatto detto che l'austerita', per quando dolorosa, non sia necessaria a farla terminare. Se fosse cosi', aspettare ad intervenire allungherebbe la recessione. Ed in parte lo e' certamente cosi', in Italia, oggi: la stretta e' determinata dai mercati che temono della solvibilita' futura del paese; l'austerita' serve a convincerli ad allentare la presa (questo punto e' importante perche' suggerisce che non tutta l'austerita' e' uguale - in un paese come l'Italia la solvibilita' si garantisce con riduzioni di spesa e non aumenti di tasse perche' le tasse sono alte e raccolte inefficientemente e la spesa spaventosamente ineffciente).
Anche se la recessione se ne andasse come una fatina cattiva al sorgere del sole, indipendentemente dai nostri comportamenti durante la notte, attendere per riaggiustare, nel contesto istituizionale italiano, oggi, significa procrastinare ad libitum: non riaggiustare mai. Questo non e' un giudizio morale o una previsione metodologicamente allegra e triste nella sostanza. La tendenza a procrastinare e' una proprieta' della poltica economica (ha un nome nella teoria economica, "incoerenza temporale della politica economica") che dipende dalla struttura politica ed istituzionale. La struttura istituzionale italiana e' tale per cui questa propensione e' massima e il debito ne e' un mastodontico effetto. In altre parole, la politica economica in Italia e' particolarmente incoerente (nel senso di cui sopra), cioe' piegata ai volubili interessi del momento, con minima attenzione agli interessi di medio-lungo periodo. Per questo ad un certo punto abbiamo delegato la politica monetaria ai tedeschi ma ora la rivogliamo indietro. Per questo consideriamo il cambiamento della legge elettorale ad ogni elezione. L'Italia non ha bisogno di riaggiustamento fiscale da oggi, ma da almeno un decennio. Abbiamo avuto condizioni economiche favorevoli per farlo (bassi tassi di interesse, cortesia dell'Euro) e non abbiamo riaggiustato. Come immaginare che domani sara' diverso, che domani usciti dalla recessione ci butteremo a picco nel riaggiustamento, nelle stesse condizioni in termini di struttura politica ed istituzionale?
Il punto quindi e' che la politica
espandere (non contrarre) oggi per riaggiustare domani e' peggio che riaggiustare oggi
perche' aspettare significa non riaggiustare e non riaggiustare significa essere costretti a farlo in condizioni ancora peggiori (o finire in default). La poltica di espandere (non contrarre) oggi per riaggiustare domani non e' nell'insieme di politiche tra cui scegliere, perche' non e' implementabile a meno di modificazioni istituzionali autocratiche che non sono sulla carta ed e' meglio non ci siano.
Tutta la questione puo' essere riassunta in modo generale ed astratto con riferimento alla teoria economica moderna. Se c'e' una cosa che la teoria economica moderna ci insegna, una, e' che a pensare sulla base di modelli statici si fanno errori madornali - le economie sono processi dinamici e come tali vanno modellati; ne consegue che buone politiche economiche devono essere pensate e definite anch'esse come meccansimi dinamici, come regole di intervento.
Dulcis in fundo: l'argomentazione che politiche di riaggiustamento fiscale, nel mezzo di una recessione, non sono desiderabili perche' sono controproducenti in quanto aggravano la recessione stessa non e' solo fallace da un punto di vista logico ma spesso intellettualmente disonesta. E' intellettualmente disonesta perche', come dicevo, l'Italia non ha bisogno di riaggiustamento fiscale da oggi, ma da almeno un decennio. E anche solo 5 anni fa le voci di chi chiedeva un riaggiustamento erano poche, inascoltate, e provenivano principalmente da coloro che, come noi a nFA, continuano a richiedere il riaggiustamento. Dove stavano quelli che oggi chiedono di aspettare tempi migliori? Cosa facevano quando i tempi erano davvero migliori? Aspettavano tempi peggiori per poter aspettare poi tempi migliori.
Personalmente preferisco la formulazione "riduzione dell'indebitamento" piuttosto che "riaggiustamento fiscale" e faccio notare che paesi come la Svezia che avevano iniziato tale politica nei primi anni 90 (riducendo spese, imposte, defict e debito) hanno continuato a farlo anche quando tra il 2000 ed il 2003 ci sono stati nel mondo periodi oscuri (crisi, crolli di borsa, aumento della disoccupazione, recessione) ricavandoci comunque una crescita costante.
Si veda la spesa pubblica di italia e svezia come anche la pressione fiscale, il debito pubblico e la crescita del PIL procapite PPP dal 1990 ad oggi.
Chiamarlo "riduzione dell'indebitamento"pone l'accento sullo scopo, mentre parlare di aggiustamento fiscale mi sembra piú completo, in quanto fa capire che esiste anche il problema del "come" si applica e si distribuisce la pressione fiscale in Italia, questo non é forse prioritario nel sistema svedese.
PS
@Alberto
Ci sono un po'di refusi nel testo "poltiche" "sofosticate", "e anche Anche"
La Svezia dal 1991 ha privatizzato Celsius Industries Corporation, Pharmacia AB (ab è il corrispettivo di srl/spa), SSAB (Swedish Steel Corporation), tra il 1995 e il 1997 Nordbanken (Nordea), tra il 1998 e il 1999 vengono effettuate importanti operazioni riguardanti società operanti nel settore multiutilities, quali Stockholm Energi, Hassleholm Energi AB, Kramfors Fjarrvarme AB, e Norrkoping Miljo and Energi e Enator AB. Nel 2000 vendettero il 20.9 percento del capitale di Telia AB, l'anno successivo vi è stata una vendita parziale di Eniro AB, nel 2006 SAS ha venduto le su partecipazioni nella catena alberghiera Rezidor Hotel Group, nel 2007 hanno venduto l'8 percento di Teliasonera, nello stesso anno hanno venduto la società di real estate Centrum Companiet I Stockholm AB. Nel 2008 hanno venduto la società borsistica OMX, la Vin & Sprit AB (quella che fa la vodka absolut per intenderci) e la real estate Vasakronan.
Esattom caro Francesco. L'articolo confonde l'obiettivo con il metodo, assumendo che l'unico mezzo per ridurre il debito sia aumentare la pressione fiscale.
A parte il fatto che non sempre aumentando la pressione fiscale si aumentano le entrate,
si è saltato qui un altro passaggio logico da premettersi: il mezzo sarebbe la riduzione del debito attraverso riduzione (azzeramento omeglio inversione) del deficit.
Assumendo che è questo ciò di cui vogliamo parlare, non si può prescindere dal dato di fatto che che il bilancio pubblico riguardi il confronto di due voci: le entrate e le spese.
In un paese come l'Italia in cui lo stato svolge in prima persona una moltitudine di attività economica da essere assimilabile ad un sistema socialista, ridurre le spese non dovrebbe essere così difficile. E' solo questione di mettersi a vendere.
Cum grano salis,ovviamente. Non creando monopoli, come è stato fatto sinora, ma mercati concorrenziali.
Ed a parte tutte le partecipazioni locali in praticamente tutto (dalle barbabietole alle utilities ai trasporti), io partirei con TV, Treni, Poste, Istruzione, Sanità.
Ma prima (o contemoporaneamente) , è necessario riformare il sistema giuridico ormai demolito ed inutile. Nessun mercato funziona in uno Stato privo di Diritto.
Pensare di risollevare l'economia aumentando la pressione fiscale è come stare in un secchio e cercare di sollevarsi tirando per il manico. Non ne vedo alcuna logica.
Ma soprattutto, mi meraviglia che in questo sito vengano pubblicate proposte di questo tenore.