Due colpi al cerchio (I) ...

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Ripropongo, con aggiunte e variazioni motivate dallo spirito del momento, un articolo, scritto tempo fa per Critica Sociale, che Marco Boleo ha gentilmente estratto dai magazzini dell'inutilità, dove probabilmente apparteneva ed appartiene. Discute, amenamente come credo sia il caso, alcune popolari spiegazioni teoriche della crisi e della sua rilevanza per la cosidetta "teoria economica dominante", che "dominante" mi sembra proprio non essere più, se mai lo fosse stata. Verrà poi il colpo alla botte ...

Da circa due anni siamo sottoposti ad un bombardamento di articoli, articolini e articoloni, libri, libretti e libercoli, programmi televisivi, radiofonici e financo pubblicitari, accomunati dall’incomprensione dei loro autori per ciò che la ricerca accademica nel campo dell’economia cerca di fare e fa, unita all’assoluta certezza che la crisi in corso sia dovuta al “libero mercato” e che, essendo quelli i sacerdoti di questo, essa sia dunque “colpa” degli “economisti” – preferibilmente “neoliberisti” o varianti del medesimo insulto. Gli economisti, infatti, non solo non capiscono nulla e non sanno prevedere un beato piffero ma, soprattutto, si trastullano con la ridicola fantasia secondo cui gli esseri umani sono “razionali” mentre è ben risaputo, e questa crisi conferma, che quando si dedicano a faccende economiche gli esseri umani son vittime d’ogni tipo d’illusione, credenza e follia concepibili. Solo quando si dedicano agli affari, però, perché nel costruir ponti, fabbricar medicine, invecchiare vini ed infinite altre cose, gli esseri umani ridiventano razionali. Altrimenti, chi si fiderebbe di salire in macchina, accendere il tostapane o prendere l’aspirina? I teorici dell'irrazionalità umana che governa il mondo questa "domandina" sembrano non porsela.

Che amenità di tal fatta escano dalle dita di giornalisti economici che, mediamente, avrebbero desiderato fare vita accademica se non fosse stato per quei maledetti ''prelims'' ch'era necessario passare e quelle formule che occorreva maneggiare, è comprensibile. Che, con uguale ignavia, simili teorie vengano propagate da politici ansiosi di deflettere responsabilità proprie puntando il ditino accusatore verso terzi, è pure comprensibile oltre che altamente razionale - anche in politica, apparentemente, gli umani sanno essere razionali. Che, infine, editorialisti d’ogni scuola – inclusi economisti in vacanza o pensione - si dedichino a svillaneggiare “economics”, nemmeno sorprende. Occorre pur trovare qualche maniera per far parlare di sé, no? Finisse qui, la cosa non meriterebbe considerazione. Ma non finisce qui. La credenza che questa crisi - e tutte le altre, per induzione - sia conseguenza del libero commercio guidato da irrazionali ma troppo umane passioni, è diventata la giustificazione per operazioni di politica economica dubbiose, spericolate e quasi certamente dannose. Il che rende opportuna, e speriamo utile, una critica dei critici e dei loro argomenti. Così facendo ci divertiremo, en passant, a sbertucciare anche svariate dozzine di "economisti alternativi" che, non avendo né il tempo né le altre risorse apparentemente necessarie per produrre ricerca pubblicabile da qualche parte, passano nondimeno il loro tempo fra una conferenza di economia critica e l'altra (mettete qui quella che s-preferite ...). Cominciamo dai critici più di successo, i teorici dei "sentimenti"; a quelli della caduta tendenziale ci pensiamo nei prossimi giorni.

Esiste un’ampia, seppur confusa, corrente di pensiero economico che associa l’esistenza delle emozioni, e il ruolo che esse giocano nelle umane decisioni, all’inefficienza dei mercati. Tale corrente di pensiero si richiama a John Maynard Keynes il quale un giorno, parlando della borsa, e dell'attività di investimento usò l’espressione “animal spirits”. A mio avviso (e non solo a mio avviso) tale discendenza è illegittima ma, non avendo a disposizione un centinaio di pagine, dovrò astenermi dal dimostrarlo. Anche le politiche che questa scuola di pensiero invoca vengono normalmente definite “keynesiane”, ma andrebbero più correttamente definite “socialiste”, “fasciste” o anche solo “dirigiste e paternalistiche”. Il buon Keynes, alla fin fine, oltre a una saggia, equilibrata e conservatrice politica monetaria, altro non avocò che un po' di spesa pubblica finanziata con debito in momenti di drammatica e persistente (attenzione, ho detto drammatica e persistente) caduta nel livello della domanda aggregata e dell’occupazione. Non solo non ci troviamo oggi di fronte ad una veramente drammatica e persistente caduta della domanda aggregata e dell’occupazione ma, e soprattutto, le innumerevoli misure interventistiche e dirigistiche che questa scuola di pensiero invoca, spacciandole per “keynesiane”, avrebbero probabilmente fatto saltare il buon John Maynard sulla sedia lanciandolo in uno delle sue proverbiali filippiche contro fascismo, socialismo e dirigismo. Ma è una battaglia persa. JMK è morto e l’insulsa espressione è oramai entrata nel linguaggio comune: “keynesiano” suona infinitamente meglio di “social-fascista”, no?

Il ragionamento di costoro, in soldoni ma neanche tanto, è il seguente.

(i) Nel prendere decisioni economiche gli individui vengono influenzati sia dalla loro voracità che dalla loro scarsa conoscenza del mondo e dei fatti. Questo li porta a dare un ruolo eccessivo alle proprie emozioni invece che al calcolo razionale, compiendo svariati errori.

(ii) Poiché, perdippiù, le persone tendono ad imitarsi l’un l’altra, seguendo mode, false notizie, grida e quant’altro possa far muovere lo stato d’animo delle turbe, l’irrazionalità individuale si amplifica e moltiplica sui mercati Questi sono di fatto guidati da una sorta di “psicologia di massa” che li rende preda, di volta in volta, o di euforie ingiustificate o di fobie altrettanto infondate.

(iii) Per questo i mercati sono pessimi strumenti per l’allocazione delle risorse, in quanto schiavi di passioni e follie del momento. Non hanno bisogno, quindi, solo di regolazione pubblica che ne garantisca trasparenza, concorrenza, libertà di accesso e così via (ossia di tutte quelle cose che chiunque regolarmente associa ad un mercato ben organizzato) ma anche dell’intervento e dell’interferenza dello stato nelle procedure decisionali e nelle decisioni d’investimento medesime.

(iv) In altre parole: i mercati vanno sottoposti al dirigismo pubblico il quale solo può garantire una corretta ed efficiente allocazione delle risorse. La recente crisi finanziaria mondiale costituisce l’ennesimo esempio che quanto argomentato sin qui è corretto: i mercati sono stati lasciati a se stessi, la mano pubblica non li ha diretti e hanno prodotto il disastro che hanno prodotto. Devono essere giuristi e politici ad avere il primato sui liberi individui, i mercati, l’iniziativa economica privata e la concorrenza. Occorre legiferare ciò che si può e ciò che non si può fare sui mercati finanziari ed occorre farlo in modo dettagliato senza economisti fra i piedi. Quest’ultimi, gli economisti non i piedi, tacciano se non per sempre almeno per parecchio tempo.

Invece, scusandomi per la lesa maestà, io continuo a cianciare.

Buoni esempi di questo nuovo (?) pensiero unico sono questo articolo di Ben Friedman ed il libro di Akerlof & Shiller che egli commenta. Peccato che l’argomento sia logicamente incoerente da un lato e basato su non-fatti dall’altro. Anzitutto, la rappresentazione distorta dei fatti. Ecco gli esempi più madornali, che anche Friedman ripete o allude nella sua breve - e francamente disorganizzata: ha chiaramente usato forbici e peccetta, mischiando pezzi da articoli precedenti - recensione. Sono cose stranote, è vero, ma visto che tutti fanno finta d'essersele scordate, ripetiamole.

1. “The government has moved aggressively, and on several fronts, to stanch the immediate damage.” Falso. Moltissimi osservatori economici (tralascio per ora le “cassandre visionarie”) avevano avvertito, almeno a partire dal 2006, che seri problemi si stavano accumulando nel settore finanziario e dei mutui sub-prime. Questi avvertimenti divennero un coro a metà 2007: persino il sottoscritto (che della congiuntura tende a farsi un baffo) scrisse qui sulla crisi già in corso e sulla miseria della macroeconomia “ufficiale” (quella che si pratica negli uffici governativi e delle banche centrali) nel fronteggiarla. Fatta eccezione per gli irrilevanti – e probabilmente dannosi perché indussero molti già nei guai a raddoppiare la posta - tagli ai tassi di sconto non assistemmo ad alcuna azione governativa sino ad un anno dopo! Nè gli uffici ispettivi delle maggiori banche centrali (la Fed in primis), né l’Office of the Comptroller of the Currency USA, né la SEC ed i suoi analoghi europei, mossero un dito per indurre le istituzioni finanziarie a ricondurre entro limiti storicamente accettabili il loro indebitamento e la loro esposizione ai derivati creditizi. Peggio: non v’è evidenza alcuna che tali istituzioni fossero almeno coscienti di quanto bolliva in pentola; invece, vi è abbondante evidenza dell’opposto. Il che vuol dire, molto semplicemente, che NON facevano il proprio lavoro, e meno ancora lo facevano tempestivamente. A questa miopia post-2006 vanno aggiunti i pluriennali rifiuti del governo e del parlamento USA ad intervenire su entità semi-pubbliche quali Freddie Mac e Fannie Mae, rompendo il loro monopolio e mettendo fine all’enorme rischio morale che tali imprese andavano creando grazie al supporto pubblico di cui godevano. Dinieghi, insisto, di parte governativa a fronte di richieste che venivano avanzate da “irrazionali” agenti privati preoccupati per la preservazione della concorrenza e delle regole di mercato. Dovessimo scendere in ambito tecnico (ma lo spazio a disposizione non lo permette) l’elenco radoppierebbe, a partire dalla dissennata politica dei tassi bassi praticata, su precisa richiesta politica, tra il 2001 ed il 2005 e “giustificata” dalle stesse “novelle” teorie “keynesiane” che ci vanno ora propinando. Oppure, andando a ritroso nel tempo, l’attivismo legislativo ed esecutivo che, a partire dal 1995, ha progressivamente rilassato i criteri per la concessione di garanzie federali a mutui ipotecari, attivamente incentivando (sottolineo: attivamente incentivando) la concessione di mutui ad alto rischio. Vale la pena ricordare che le basi intellettuali per tali azioni dirigistiche vennero fornite dalla prima versione delle teorie dell’inefficienza dei mercati che ora ci vengono servite, come la frittata bruciacchiata, rivoltate. Sì perché quindici anni fa, si sosteneva che i mercati distorcevano l’allocazione delle risorse sovrastimando il rischio dei prestiti alle minoranze ed ai gruppi più poveri ed esercitando varie forme di cognitive bias che non permettevano una valutazione corretta del rischio. Occorreva quindi il sussidio e l’incentivo governativo perché certi rischi venissero assunti, ossia certi prestiti venissero concessi. In svariate occasioni ho avuto l’onore di sentirmi spiegare da economisti e funzionari del sistema della riserva federale che la cosidetta “Greenspan put” - ossia la garanzia implicita che la banca centrale sarebbe sempre intervenuta a tirar fuori dai guai i grandi operatori finanziari (put esercitata per la prima volta, alla grande, nel 1998, con l’operazione LTCM) - era una necessaria e benefica interferenza pubblica perché, altrimenti, i mercati avrebbero irrazionalmente assunto troppo poco (sottolineo: troppo poco) rischio! La miopia, l’irrazionalità e l’incompetenza di parte pubblica sono state almeno un ordine di grandezza più grandi di quelle di parte privata (sulle quali ritornerò in chiusura). Continare ad ignorare questi fatti costituisce il peggior servizio che gli economisti possano rendere, in questo frangente, all’interesse pubblico.

2. “The result is a reluctance to consider changes to the current system. Substantial interference with financial markets, it is said, amounts in the end to centrally planned allocation of an economy's investment process, and will result in technological stagnation and wasted resources.” Friedman sembra qui suggerire che la difesa dello status quo venga messa in atto da dei non ben identificati “difensori del mercato”, impedendo un’azione pubblica o governativa che sarebbe altrimenti tesa ad un’auspicabile riforma. Poche affermazioni sono meno vere, sia per gli USA che per la maggioranza dei paesi europei. Anzitutto perché non esistono i “difensori del mercato” in astratto, ma difensori o critici di mercati concreti: quali specifici meccanismi di mercato vanno modificati a mezzo dell’intervento politico? Svariati economisti hanno avanzato, sia prima della crisi che durante che dopo, delle precise proposte sul da farsi per ridare trasparenza e credibilità ai mercati finanziari; proposte che, per il momento, mi sembrano essere tranquillamente ignorate dalla parte pubblica. Ovunque, invece, i governi hanno fatto di tutto per proteggere le banche esistenti dalle conseguenze delle loro scelte erronee, interferendo con i processi di mercato per mantenere al loro posto la quasi totalità degli alti dirigenti. A fronte dei molti che chiedevano di lasciare che lo sconvolgimento degli assetti di potere esistenti avvenisse attraverso le regole della concorrenza, ossia attraverso fallimenti, acquisizioni, vendite e partizioni di giganti oligopolistici quali Citi o Goldman&Sachs, i governi d’ogni dove han scelto di fare l’opposto. Esattamente come prima della crisi, le autorità pubbliche hanno scelto di mantenere lo status quo. Per fare questo hanno richiesto una sola contropartita che non posso purtroppo discutere qui in dettaglio: il sigillo di una “partnership” fra management bancario e classe politica nella gestione del potere finanziario. In che senso, quindi, è il “mercato” - o la teoria economica! - che si oppone al cambiamento necessario? Meglio ancora: davvero l’intervento pubblico appropriato consisteva e consiste nel salvare il sistema finanziario esistente e non, invece, nel facilitare la sua riforma anche attraverso la disciplina che il mercato stesso avrebbe imposto? Questo problema Friedman non se lo pone - ad Akerlof e Shiller non passa nemmeno per l'anticamera del cervello - inventandosi invece una fantasiosa contrapposizione fra economisti “difensori dell’esistente” e mano pubblica “riformatrice”. Riformatrice di che cosa, se dopo più di un anno non hanno toccato ancora nulla? Non ce lo dice.

3. Da mesi – no: da anni - svariati di “noi” (a dire: gli scemotti normalmente classificati come “economisti neoliberisti”) andavano sostenendo non solo che l’intero processo di alterazione del quadro regolatorio del mercato ipotecario era malsano; non solo che dal punto di vista della teoria economica la politica della banca centrale tesa a convincere i mercati dell’esistenza della “Greenspan put” stava creando un rischio morale di dimensioni mai viste che avrebbe portato a comportamenti speculativi insensati; non solo che al crescere dell’asimetria informativa fra le parti in gioco l’intero sistema bancario stava perdendo caratteristiche concorrenziali e assumendo sempre di più quelle di un mercato monopolistico in cui il regolatore (Fed e Sec in particolare) era completamente catturato dai grandi leaders del cartello monopolistico; ma anche e soprattutto che la conduzione della politica monetaria avviata durante il regno Greenspan stava soffiando inflazione in tutti i valori patrimoniali USA, non solo le case. Tale bolla inflazionistica (“speculativa” è termine inappropriato in questo caso) era di dimensioni mai viste in precedenza e stava portando ad una incorretta allocazione delle risorse la quale avrebbe avuto conseguenze gravi quando la liquidità artificialmente generata dalle banche centrali fosse venuta a mancare ed il lungamente ritardato aggiustamento nei prezzi degli strumenti patrimoniali si fosse realizzato tutto d’un colpo. Come, puntualmente, avvenne. Gli economisti che andavano sostenendo tutto questo, per minoritari che fossero, lo sostenevano sulle basi della teoria economica più elementare accompagnata dall’ipotesi che quando si offre alle persone, siano essi banchieri di Wall Street o venditori ambulanti di mutui ipotecari, l’opportunità di fare soldi scaricando il rischio su terzi, essi approfitteranno di tale opportunità senza pensarci su troppo. E che più “fiat money” si mette a disposizione di costoro a tassi reali negativi, più si indebiteranno per trarre vantaggio della “macchina da soldi” che l’azione pubblica loro offriva. E che, infine, tutto questo si spiega con un’ipotesi debole di razionalità: gli esseri umani, per incompleti che siano i loro modelli del mondo e per scarsa o eccessiva che sia la loro confidenza in se stessi, quando vedono occasioni facili per far soldi ne approfittano, in media, disordinatamente. Coloro che andavano dicendo questo - erano parecchi, anche se fra di essi non si trovava nessuno dei “gurus” che durante gli ultimi anni hanno raggiunto la celebrità mediatica predicando la fine del capitalismo, fatta parziale eccezione per Robert Shiller - venivano regolarmente sbeffeggiati come incapaci d’intendere il paradigma “neo-keynesiano” che dominava (e domina) le banche centrali, i dipartimenti del tesoro, il Fondo Monetario Internazionale e gli altri luoghi dove si decide ed attua la politica bancaria e monetaria del pianeta. Tale paradigma sosteneva che il problema dei problemi era la deflazione, la rampante deflazione mondiale che rischiava di portarci ad una severa crisi. La deflazione andava evitata a tutti i costi e l’unica maniera per evitarla era pompare enormi quantità di fiat money nel sistema, offrendola a tassi d’interesse negativi. E così si fece, soprattutto negli USA ma anche a Francoforte, Londra e Tokyo. Con le amene conseguenze che tutti conoscono.

Ignorare questi fatti nell’analizzare le cause della crisi finanziaria del 2007-09 ed attribuire la medesima, come di fatto sia Ben Friedman che i due autori del libro che egli recensisce sembrano fare, all’irrazionalità umana ed alla conseguente follia dei mercati è, io credo, un’operazione scarsamente degna d’encomio. Ridurre peraltro l’articolo di Friedman, ed il libro di Akerlof & Shiller, a pura distorsione dei fatti sarebbe ingiusto e darebbe luogo ad un altro falso. Essi, infatti, sono anche fitti d’errori logici che sorprendono assai, viste le firme. Ecco un esempio:

4. Nella parte centrale dell’articolo Friedman spiega, correttamente, la ragione per cui un derivato è una cosa qualitativamente differente da un prestito ipotecario o da un investimento in capitale di rischio. E sottolinea, altrettanto correttamente, che molte delle istituzioni salvate utilizzando i soldi dei contribuenti stavano fallendo a causa di grandi scommesse sui derivati, non per investimenti erronei. Questo, ci ricorda Friedman, implica che l’intervento governativo per “salvare” il sistema bancario è ammontato a una pura redistribuzione di ricchezza. Condivido al 100%, e chiedo: cosa c’entra tutto questo con gli “animal spirits” e quanto viene di seguito? Assolutamente nulla. Infatti, se gli argomenti che Friedman correttamente sviluppa implicano qualcosa, essi implicano che l’intervento pubblico, bloccando il normale operare del mercato, è stato dannoso ed è servito solo per redistribuire alla rovescia, dai contribuenti agli incompetenti ed eccessivamente (auto)retribuiti managers bancari. Se da questo fatto si vuole passare all’analisi economica occorre riferirsi alle teorie della scelta pubblica, agli studi dei gruppi d’interesse e delle lobbies, ai fenomeni di “cattura del regolatore” ed alla creazione di poteri monopolistici, e via dicendo. Tutte cose di cui gli economisti si occupano e che, come argomenterò più oltre, sono il prodotto perfettamente comprensibile della “razionalità economica” al lavoro. Tutte cose che, con quanto c’è nel libro di Akerlof&Shiller (A&S), c’entrano come i cavoli a merenda.

Ma veniamo finalmente al nocciolo dell’argomento dei "sentimentalisti", laddove le incoerenze si concentrano. Poco dopo aver cercato di stabilire l’inesistente nesso logico di cui sopra, Ben Friedman cala l’asso, riassumendo gli argomenti di fondo di A&S.

5. Elenca i cinque “istinti animali” che, essendo ignorati da economics, la rendono incapace di spiegare i mercati finanziari reali.

5.1. “Confidence, or the lack of it”; ossia la confidenza, alta o bassa, nelle proprie capacità;

5.2. “Concern for fairness”; ossia il fatto che ognuno di noi ha una qualche nozione di “giustizia” distributiva;

5.3. “Money illusion”; ossia la frequente confusione fra valori reali e nominali;

5.4. "Corruption and other tendencies toward antisocial behavior", ossia il fatto che gli esseri umani sono egoisti e, se possono, rubacchiano;

5.5. “Reliance on stories”; ossia che tutti noi ci facciamo delle opinioni su come funziona il mondo sulla base delle informazioni che abbiamo e dei “modelli” del mondo (le “stories”) che siamo in grado di capire e che ci raccontano o ci inventiamo da soli.

In che senso queste cinque “cose” - la confidenza conta doppio, a seconda che ci sia o meno: chissà cosa succederebbe se distinguessero fra tanta, poca, abbastanza, giusta-giusta, quasi niente ... – possano essere la chiave di volta per rivoluzionare sia la teoria economica che la pratica dei mercati finanziari, non ci è dato intendere. Le chiamo “cose” perché di oggetti eterogenei si tratta: mentre la “confidenza” (ammesso e non concesso che tale espressione sia definibile in maniera univoca) forse è un tratto psicologico quasi elementare, l’illusione monetaria di certo non lo è richiedendo la pre-esistenza della moneta, dei prezzi e del sistema degli scambi. Mentre i nomadi di 100mila anni fa erano più o meno confidenti nelle proprie capacità (di cacciare lepri, per esempio) dubito alquanto soffrissero di illusione monetaria. Idem per il nostro senso di giustizia, sulla natura della quale gli psicologi evoluzionisti si interrogano da tempo e che sembra avere sia un substrato “naturale” sia una forte componente “culturale”. Insomma, A&S mischiano patate con cavoli e BF non sembra accorgersene. Visto che così fanno, mi domando perché escludere dalla lista le seguenti altre “cose”: la tendenza ad imitare, l’insicurezza di fronte all’ignoto, la paura che diventa panico, l’allegria che a volte è euforia, il bisogno d’amore e di riconoscimento da parte di altri, la passione per la cioccolata, i ravioli di zucca ed il Bonarda, il continuo interrogarsi sul senso della vita e la nostra cosmica solitudine, l’attrazione per le modelle russe che popolano Londra ...

Queste non sono, solo, battute: sono anche domande serie. Quali elementi delle psicologie e dei sistemi di valori individuali giocano, nei nostri processi decisionali, un ruolo meritevole di attenzione? Poiché i fattori elencati giocano un ruolo in tutti i processi decisionali, in che senso la supposta infondatezza delle teorie economiche del comportamento non si estende ai calcoli degli ingegneri e dei fisici (anch’essi credono a storie ed a volte sono ottimisti/confidenti mentre altre volte sono pessimisti, o financo lamentosi) o di qualsiasi individuo che debba prendere una qualsiasi decisione? In particolare, perché queste osservazioni non dovrebbero inficiare le decisioni prese da agenti politici o da organismi pubblici, composti anch’essi di persone vittime di tutte queste forme di supposta irrazionalità? Infine, poiché, rispetto ad ognuna delle “cose” elencate sopra, vi è enorme eterogeneità fra gli esseri umani come si fa a decidere cosa è “troppo” e cosa è “troppo poco”? Qual è il “giusto” ammontare di confidenza, paura, credenza in storie, desiderio di uguaglianza o disuguaglianza, secondo A&S? Non ci è dato sapere. Peccato che, se non sanno rispondere a queste domande elementari, la critica suppostamente avanzata abbia la stessa rilevanza dell’acqua fresca. Ma tant'è: la nuova economia dei sentimenti sceglie, nella cesta desbordante delle passioni umane, quelle che fanno più comodo al momento e poi, seguendo una tradizione antica, ci costruisce sopra teorie ad hoc. Seguiamoli in questa improbabile impresa.

Qual è, dunque, il problema di fondo con questo tipo di argomenti? Sono almeno due i problemi, nella loro forma più generale.

Il primo: che questi, ed altri, "sentimenti" sono caratteristiche più o meno generali degli esseri umani, presenti in qualsiasi attività. Non si capisce, quindi, perché diventino rilevanti solo nello studio dei mercati finanziari e solo in questa occasione. Forse che chi produce e commercia scarpe o carta igienica non ha confidenza (troppa, poca, così così) e non possiede alcun senso della giustizia? Forse che chi emigra o andava a fare i tondini a Brescia ai tempi andati non aveva delle opinioni e non si raccontava storie? Forse che i funzionari dello stato non soffrono delle medesime, umanissime, limitazioni nel prendere decisioni? E quando votano scegliendo, secondo questa e quell'altra regola, chi li deve governare, forse che i cittadini di questo o di quell'altro paese si dimenticano delle caratteristiche 5.1-5.5 e diventano superuomini onniscenti e freddi? Forse che Obama e BS non credono a delle storie, siano esse quelle che si inventano per raccontarle a noi o quelle che i loro advisors raccontano loro? Forse che gli ingegneri che progettano e costruiscono aerei non sono a volte corrotti e con tendenze antisociali? O magari mancano di confidenza? Com'è che degli aerei ci si fida, invece delle options no? Mistero. Ma finché questo mistero non viene risolto, l'intero argomento cade per terra, visto che è così generale che si applica a tutto quanto gli umani facciano, quindi non vale nulla scientificamente parlando: non contenendo alcunché di differenziale non spiega perché, invece di programmare i mercati dove si prestano soldi, il famoso stato non debba prima interessarsi di regolare la cottura della zuppa di lenticchie con la luganega.

Il secondo: la teoria economica "cattiva" si occupa assiduamente e da decenni di questi ed altri sentimenti, cercando di capire se hanno una funzione differenziale e se influenzano o non influenzano conclusioni stabilite ignorandole. Ovviamente, da public choice in poi, esiste una letteratura sterminata che studia le implicazioni del comportamento egoistico delle persone in situazioni di "scelta collettiva". Fosse stata usata la public choice da chi fa le politiche economiche del mondo, come molti noi della "minoranza riottosa" andavamo facendo in quegli anni, forse non avremmo avuto i regolatori catturati, Fannie and Freddie, le rating agencies che raccontavano balle, e via dicendo. Si fosse riflettuto più seriamente sull'illusione monetaria, o la sua mancanza, forse non ci si sarebbe illusi che muovendo a cazzo di cane i tassi nominali d'interesse si potessero fare miracoli "reali". Si fosse fatto a meno di credere alle favole, o storielle, di matrice "keynesiana" partorite a Cambridge (MA) e paraggi, ci si sarebbe illusi meno sull'Okun gap, la deflazione da combattere e via enumerando fantasie, storie appunto, che hanno diretto una politica monetaria fallimentare. Avessero avuto Greenspan ed il suo successore leggermente meno confidenza nelle loro credenze ed un maggior spirito critico, forse si sarebbero accorti prima di quanto stava succedendo. Ma così non è stato: hanno ignorato allegramente la teoria economica "tradizionale" e ne è venuto ciò che ne è venuto. Fine.

Quanto segue, sia nell’articolo che nel libro in questione, fa cadere ancor di più le braccia. Sia Friedman che A&S si lasciano andare alla solita, noiosa lista delle cose che “non ci sono” nei modelli economici, ragione per cui essi non sono realistici. Da quando, circa trent'anni fa (avevo scritto 25, poi ho rifatto i conti ...), sono uscito dal coro che cantava e canta tali litanie, la mia reazione è di duplice fastidio. Giusto, nel modello manca anche il fatto che io sono impaziente ed amo la soppressa, quindi? Un modello è, appunto, un modello, ossia una cosa falsa per definizione, una rappresentazione astratta, ma maneggevole, della realtà: l’unico modello “giusto” è quello 1:1 che vive in un mondo parallelo al nostro ed è inservibile, oltre che inesistente. Ma è possibile che gente con un Ph.D. vada in giro ripetendo cose degne di Porta a Porta? In secondo luogo, proprio perché un modello vale nella misura in cui c’è ed è utilizzabile, l’unica maniera di criticare un modello è proporne un altro che faccia almeno tanto bene quanto il precedente. I modelli sono come i chiodi: solo un modello scaccia un altro modello (cito Bob Lucas qui, anche se lui non aveva pensato al chiodo che schiaccia il chiodo ma solo al fatto che it takes a model to beat a model). Quello di A&S e di Friedman, dov’è? Non c’è, anche se da decenni ci viene detto che fra un po' spunta. Per quale ragione, quindi, insistere su questo tema che non solo è ben risaputo ma allo studio del quale gli economisti pazienti e non di moda si dedicano da tempo?

Mi si permetta una deviazione di scuola. La teoria economica che la "minoranza cocciuta" pratica non assume che gli individui sappiano tutto, né che abbiano tutti le stesse preferenze, né che le medesime siano sempre e necessariamente riducibili ad una semplice funzione del consumo aggregato. Tutt’altro: la teoria economica riconosce come punto di partenza la varietà e complessità delle preferenze individuali, il loro essere determinate a livello “pre analitico” da passioni, sentimenti, gusti, paure, desideri e quant’altro. Tali preferenze vengono prese come dei dati (non che non vengano studiate: l’attenzione agli studi psicologici che cercano di capire come le preferenze individuali si determinino ed evolvano è una costante della teoria economica da qualche secolo) e si cerca di classificarle in modo usabile cercando di soffermarsi sulle loro caratteristiche più rilevanti empiricamente. In tutto questo l’ipotesi di razionalità non entra, essa comincia laddove la specificazione delle preferenze finisce: date le preferenze degli individui, date le informazioni (tipicamente incomplete, private e parziali) a disposizione degli stessi, dati i modelli del mondo (beliefs) di cui gli agenti sono dotati, l’ipotesi di razionalità dice che gli individui, nelle loro scelte economiche e non, cercheranno di usare più o meno efficientemente tali informazioni, coerentemente con i modelli del mondo che essi possiedono. Quando tali informazioni e modelli sono incompleti o erronei gli agenti faranno scelte che, ex post, si riveleranno erronee. La domanda interessante sta qui: come imparano gli agenti dai propri errori, come evolvono le preferenze, come si modificano i modelli del mondo? Mi fermo, non è questo il luogo per scrivere un trattato di teoria delle decisioni o di “neuro-economia”, che a quello ci pensa Aldo. Voglio solo ricordare e sottolineare che questi problemi sono ben presenti, da decenni, all’attenzione dei ricercatori i quali non hanno mai sostenuto di avere in mano la soluzione e sono ben consapevoli della difficoltà di trovarla. Da circa cinquant’anni la teoria della decisione e l’economia dell’informazione sono al centro della ricerca accademica nel campo economico, e non per caso. Fare finta che non ci si sia mai resi conto di questi problemi e si viva in un mondo immaginario di esseri perfetti è, francamente, una descrizione ridicola della scienza economica.

Il punto è, però, che proprio alla luce di tali ricerche non v’è evidenza alcuna, né empirica né teorica, che sostituendo ai meccanismi del mercato concorrenziale dei meccanismi politici di tipo dirigistico o social-fascista, in cui entità pubbliche (anch’esse popolate da esseri umani con le limitazioni cognitive di cui sopra, con modelli imperfetti ed informazioni incomplete, eccetera) prendono decisioni di investimento, finanziamento, risparmio e, più in generale, allocazione delle risorse, si possano ottenere risultati migliori. Anzi, tutta l’evidenza dice l’esatto contrario. Di nuovo, non è questo il luogo per un mini trattato. Va però chiarito e ribadito che il riconoscimento della natura incompleta ed imperfetta dei modelli e delle informazioni che gli esseri umani utilizzano nel prendere decisioni NON implica una supposta superiorità del dirigismo pubblico sulla concorrenzialità di mercato e l’iniziativa privata, ma esattamente il contrario. Sono decenni che si cerca di farlo capire a Joe Stiglitz, possibile che i suoi seguaci non siano in grado di arrivarci?

Il problema scientifico veramente difficile, e lungi dall’essere risolto, è quali meccanismi di decisione (decentrati e non) sia possibile identificare ed evolvere per minimizzare i costi sociali di tale, inevitabile, incompletezza ed insufficienza della conoscenza umana associata al fatto che le nostre preferenze sono inevitabilmente guidate dalle “passioni” o, ad essere estremi, dall’amigdala, come dozzine di neuroscienziati ci hanno oramai convincentemente spiegato. Non è certo per caso che, per molti decenni, la ricerca economica nel campo della teoria decisionale ha lavorato sul presupposto secondo cui “de gustibus non disputandum est”: si riconosceva, così facendo, l’estrema complessità delle preferenze umane e la scarsa conoscenza che delle medesima la neuroscienza ci offriva. Per esattamente la medesima ragione ci siamo chiesti, per decenni, quanto fosse possibile spiegare delle decisioni umane facendo leva su ipotesi estremamente deboli e generalissime riguardo alle medesime preferenze (convessità, continuità, completezza, transitività ma non sempre ...). Proprio perché di esse sapevamo poco evitavamo di assumere troppo, permettendo alle preferenze di essere le più complicate ed “irrazionali” (termine decisamente insensato in questo contesto) possibile. Ora che ne sappiamo un pelino, ma solo un pelino, di più, non a caso svariati di noi (tradizionalissimi economisti accademici) dedicano il loro tempo alla neuro-economia. Ma assolutamente nulla di quanto questi colleghi son riusciti a capire può possibilmente giustificare semplificazioni peregrine come quella secondo cui la recente crisi finanziaria va attribuita ad una supposta e mal definita “irrazionalità ” umana e dei mercati in cui gli umani commerciano.

Tutto il contrario: ad ogni singolo passo della catena che va dal debitore che accende il mutuo attraverso l’agente immobiliare in Arizona sino ai potenti bancari di Wall Street che commerciano sofisticati prodotti derivati ai quattro angoli del pianeta, la crisi finanziaria del 2007-09 è il prodotto dell’interazione perversa fra la razionalissima avidità umana e politiche sociali, monetarie e del credito disegnate da politici “razionalmente miopi”. Razionalmente perché a caccia di voti e di potere, miopi perché beffandosi degli insegnamenti più elementari della teoria economica essi hanno scaricato sul futuro gli effetti disastrosi delle loro scelte passate. Poi, nel 2007-08 il futuro è arrivato e continua nel nostro presente.

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Commenti

Ci sono 78 commenti

Oltre che appassionato l'intervento è convincente e rigoroso. Bello davvero!

Adesso non ho tempo per dire tutto quello che mi viene in mente, ma le cose che critica Michele stanno dietro a tantissima letteratura di filosofia politica che, sui limiti supposti della razionalità (che poi, cos'è?), costruisce delle arditissime mont saint michel di sabbia che la marea dovrebbe sbriciolare.

Per quanto ne so, l'attenuazione di un paradigma decisionale fondato sulla capacità razionale distribuita negli agenti politici conduce inevitabilmente all'adozione di atteggiamenti e posizioni filosofiche paternaliste. E' sempre stato così.

Sul rapporto tra ridefinizione dei moventi principali delle persone e le possibili implicazioni di queste per la politica pratica da adottare, aggiungo che tutti i grandi filosofi politici (Hume, Hobbes, e tutti gli altri prima e dopo) non a caso elaboravano prima una loro antropologia filosofica (l'uomo è questo o quello: buono, razionale, socievole, folle ecc ecc) e poi da quella supposta descrizione antropologica facevano discendere il loro progetto normativo di società. Mi pare che lo schema argomentativo sia in fondo ancora quello.

 

Sono almeno due i problemi, nella loro forma più generale. Il primo: che questi, ed altri, "sentimenti" sono caratteristiche più o meno generali degli esseri umani, presenti in qualsiasi attività. Non si capisce, quindi, perché diventino rilevanti solo nello studio dei mercati finanziari e solo in questa occasione. Forse che chi produce e commercia scarpe o carta igienica non ha confidenza (troppa, poca, così così) e non possiede alcun senso della giustizia? [...] Forse che gli ingegneri che progettano e costruiscono aerei non sono a volte corrotti e con tendenze antisociali? O magari mancano di confidenza? Com'è che degli aerei ci si fida, invece delle options no? Mistero.

 

Michele, avrai anche ragione su tutto ma i paragrafi come questo mi suonano terribilmente sintomi di un "sindrome da accerchiamento". Da dove lo deduci che nelle altre discipline nessuno si sia mai posto il problema dell'irrazionalità? Non ho esperienza nel commercio della carta igienica ma sulle cosiddette hard-science me la cavo benino e ti posso assicurare che la questione ce la poniamo eccome.

Certo, se faccio scontrare due elettroni nelle stesse condizioni mi aspetto di ottenere sempre lo stesso risultato (in senso statistico). Questo perché è un postulato abbastanza ben verificato che gli elettroni non siano dotati di volontà propria e che le leggi dell'universo non cambino ogni tre per due. L'irrazionalità qui entra dalla finestra nella forma dello scienziato che fa l'esperimento. Siamo tutti ben consci che ogni scienziato cerca di vendere il proprio risultato (per quanto misero sia) come una grande rivoluzione e che il 99% degli articoli pubblicati contengano errori più o meno gravi. Ne siamo così coscienti che nessuno si stupisce troppo quando alle conferenze i professori litigano ad alta voce su dettagli incomprensibili ai più (spesso accompagnando il tutto con urla e commenti più o meno sarcastici). Che poi sui giornali le scoperte scientifiche vengano presentate come opere complete, perfette ed incontestabili è un problema dei giornalisti che i divulgatori scientifici seri (razza piuttosto rara a dire la verità) cercano di risolvere come possono.

Anche i tuoi esempi di aerei e medicine reggono poco: abbiamo spruzzato per anni i bambini col DDT convinti che facesse bene e una fetta non trascurabile della popolazione si ostina a curarsi, contro ogni evidenza scientifica, con l'omeopatia. Se non sono comportamenti irrazionali questi cosa sono?

 

una fetta non trascurabile della popolazione si ostina a curarsi, contro ogni evidenza scientifica, con l'omeopatia. Se non sono comportamenti irrazionali questi cosa sono?

 

Quello delle medicine alternative è un bell'esempio (utilizzata da 11mln di Italiani secondo Eurispes e quasi 8mln secondo l'Istat, in calo negli ultimi 5 anni, v. qui). L'avevo utilizzato nella mia tesi di laurea in sociologia. I sociologi parlano in questi casi di "razionalità soggettiva", quasi un ossimoro, per indicare che esistono spesso "buone ragioni" per convicersi che X è vero (o persino giusto). Nel caso della medicina alternativa, ad esempio, una di queste è il fatto che molti dei malanni per cui viene adottata siano di natura ciclica e ricorrente e ciò rende spontaneo associare miglioramenti transitori con l'assunzione del rimedio omeopatico o di altra natura (non è che tutti possono essere edotti del fatto che correlazione non implica causazione, però bisogna pur sempre vedere una correlazione per avere un indizio di causazione, e la psicologia sociale ha descritto molto bene tutte le scorciatoie cognitive che utilizziamo per prendere decisioni, scorciatoie che in molti casi si rivelano adeguate, ma in altri no, quando gli assunti o a priori impliciti in ciascuna di essi risultino inappropriati alla situazione particolare)

Scusandomi per la digressione, sono d'accordo con Michele che l'ipotesi di irrazionalità, se la si prende sul serio, dovrebbe essere applicata anche ai fautori della stessa e quindi si ritorcerebbe pure contro di loro (assomiglia un po' al paradosso del mentitore)

 

...una fetta non trascurabile della popolazione si ostina a curarsi, contro ogni evidenza scientifica, con l'omeopatia. Se non sono comportamenti irrazionali questi cosa sono?

 

Qui il problema è di informazione: quando vai in giro a dire che l' omeopatia è una bufala tutti ti prendono per eccentrico. E credo che il problema venga dagli sforzi di vari soggetti (omeopati, produttori di preparati omeopatici, riflessologi, santoni e maghetti vari) per propagandare le loro attività, cosa che fanno in modo efficace perchè non si pongono il problema di essere scientificamente corretti.

Jacopo,

non voglio fare l'esegeta di Michele, ma mi pare che il paragone che egli fa fra costruttori di aereoplani ed economisti, e del rapporto che entrambi dovrebbero intrattenere in maniera più o meno inconsapevole con l'irrazionalità, fosse motivato da questa domanda retorica: perchè l'esistenza della irrazionalità come sfondo soggettivo di chi descrive i fenomeni economici e di chi prende parte ad essi conduce a una critica solamente dei metodi dell'economia e non anche di altre discipline che pure sono anche esse soggette ai condizionamenti dell'irrazionalità sia di chi studia che di chi è studiato?

Secondo me il punto, come ho già detto, è che si usa il cavallo di troia del metodo per finalità che non sono metodologiche ma sostantive, e riguardano il tipo di ordinamento economico che si ritiene preferibile e dunque da promuovere.

 

 

Anche i tuoi esempi di aerei e medicine reggono poco: abbiamo spruzzato per anni i bambini col DDT convinti che facesse bene e una fetta non trascurabile della popolazione si ostina a curarsi, contro ogni evidenza scientifica, con l'omeopatia. Se non sono comportamenti irrazionali questi cosa sono?

 

O mi son spiegato male io o non mi capisci tu.

Io NON ho detto che la cosidetta "irrazionalità" umana negli altri campi sparisce, ma l'opposto. Rimane, ovviamente, ed era quella la mia osservazione. Rimane, come nei tuoi esempi, ma non noto una grande letteratura (se c'è, indicamela) che sostenga che i ponti ed i deodoranti li può fare solo lo stato perché c'è il rischio di produzione di DDT. Mi spiego?

P.S. Non avevo letto il resto dei commenti. Nessun sentimento di accerchiamento, non è quello il punto perché non sto facendo una questione d'investigatori (perseguitati gli economisti, amati i chimici) ma di attività investigate. Secondo le teorie che critico gli esseri umani sarebbero "irrazionali" (whatever that means) quando vanno in banca ma non quando vanno dal sarto o quando costruiscono scale mobili. Il punto è che trarre conclusioni di politica economica dall'osservazione che la signora Pina, quando compra il collant, può essere influenzata da chissà quale passione "irrazionale" per un certo colore è una cretinata, visto che tali "irrazionali" passioni influenzano la signora Pina anche quando fa il risotto con i fegatini e nessuno si sogna d'imporre un controllo statale sulle tecniche culinarie della signora Pina. L'oggetto del contendere non sono le professioni accademiche ma i campi dell'agire umano.

P.P.S. D'accordo al 100% con renzo sulla definizione di razionalità e sul fatto che l'unica "usabile" sia quella strumentale. Che infatti è quella che uso.

 

Stupendo intervento!

Mi sembrano posizioni simili a quella di Fama nell'intervista qui segnalata qualche tempo fa (anche se Michele si riferisce a "critiche" mosse da gente dal pedigree decisamente peggiore):

--

Has the advance of all this behavioral stuff, behavioral finance, made you rethink anything?

Yes, sure. I’ve always said they are very good at describing how individual behavior departs from rationality. That branch of it has been incredibly useful. It’s the leap from there to what it implies about market pricing where the claims are not so well-documented in terms of empirical evidence. That line of research has survived the market test. More people are getting into it.

But you are skeptical about the claims about how irrationality affects market prices?

It’s a leap. I’m not saying you couldn’t do it, but I’m an empiricist. It’s got to be shown.

---

Molto condivisibile. Interessandomi di decisioni individuali, sarei molto curioso di trovare tentativi validi di ancorare l'evidenza di "irrazionalità" a livello individuale a fenomeni di tipo aggregato (suggerimenti sono ben accetti). Concordo sul fatto che per ora si leggono solo fregnacce.

Ad oggi mi pare che contributi come Nudge di Thaler e Sunstein si possano accettare dal punto di vista logico. Del resto i due sono molto cauti e fanno riferimento a fenomeni molto circoscritti. Mi pare in generale un corretto modo di procedere (senza i "leap" di cui sopra). Magari leggerò questo che cauto non mi pare proprio.

 

 

 

 

scusa la domanda stupida di terminologia: ma perchè con l'espressione behavioral finance si fa riferimento alla modellizzazione dell'irrazionalità? non è behavioral finance ogni modello che, in finanza, considera una qualunque funzione di utilità? perchè l'accezione behavioral sarebbe meno importante sotto razionalità??

A me, non economista, pare un saggio brillante. Alla fine della fiera sono i politici e non gli economisti ad aver fallito, e non sono le emozioni a giocare un brutto tiro alla scienza economica, ma il potere.Immagino che questo sia ovvio per molti, ma in questo sito non l’avevo letto in tante semplici parole

Ciò mi ispira alcune domande:

1)è legittimo sostenere che la galassia di variabili che rende meno predittivi i modelli economici è quella che descriverebbe il potere, per difficile che sia dal punto di vista concettuale e operazionale misurarlo? In altre parole, se fosse possibile misurare il potere e come agisce in economia, i modelli economici sarebbero più predittivi?

2)visto che i politici fanno le scelte economiche che fanno non per ignoranza, ma perché rappresentano gli interessi di gruppi economici e di lobbies ben precisi, è giusto concludere che solo quando i cittadini avranno in realtà il potere che solo formalmente possiedono nelle cosiddette democrazie avanzate (e la capacità di gestirlo, cioè le informazioni e la formazione necessaria) il mercato riuscirà a funzionare, assegnando risorse in modo razionale?

3)Quando si parla di potere, evidentemente non si parla solo di potere politico. Lo insinua Boldrin quando dice che le retribuzioni dei managers bancari sono auto-attribuite e (posso aggiungerlo?) non consone alla loro produttività? E allora? Come può fare lo stato – uno stato illuminato – a impedirlo?

Non mi sorprenderebbe se avessi detto castronerie, ma sarò grato a chi mi rimetta sulla retta via.

 

 

Per "irrazionalità collettiva" intendiamo => "somma delle irrazionalità individuali", o qualcosa di più? (Ricorda il dilemma del prigioniero, tutti razionali ma risultato collettivo sub-ottimale?)

La crisi è stata anche colpa non di tutti gli economisti, ma degli economisti che hanno sostenuto la deregolamentazione.

Ad es., nel 1999 venne abolito il Glass Steagall Act, figlio della regolamentazione (paternalista?) di F.D.Roosevelt. Questa legge imponeva la separazione fra banche commerciali (quelle che concedono i mutui immobiliari ed altri prestiti) e le investment bank (che speculano, trattano titoli sui mercati, ecc.).  Fino al 1999 le banche commerciali concedevano mutui immobiliari solo a chi offriva garanzie di solvibilità e serietà, chiedendo inoltre margini importanti sul valore della casa acquistata. Perché il rischio di insolvenza lo sopportavano loro. Dopo il 1999 hanno cominciato a impacchettare  e vendere i loro mutui, cedendo ad altri li rischio. E così è sorto l'incentivo ad aumentare i prestiti immobiliari a dismisura per far salire le commissioni: le banche hanno cominciato a prestare anche a gente poco affidabile, anche azzerando i margini (o passando a margini negativi: la tua casa vale 100, ti presto 120). Tanto il rischio non era più loro. Oltre a ciò, hanno avuto l'incentivo a rendere opaco quel che c'era sotto a i titoli che vendevano tramite la securutization; e persino a commettere delle frodi (sovrastimare la solvibilità dei clienti).

Non solo questo comportamento ha generato titoli tossici in misura assai superiore al passato (e investimenti poco utili dal punto di vista collettivo). Ma quando la crisi è scoppiata, ha provocato un "bank run" dei banchieri sulle altre banche. Perché nessuno conosceva il rischio e la tossicità che le altre banche avevano in portafoglio. Le banche hanno smesso di fidarsi delle altre banche, e il risultato è stato un panico che ha reso tossici più titoli e istituzioni finanziarie di quanto non sarebbe stato altrimenti. Risultato: 200 milioni di disoccupati in più nel mondo (stima ILO).

Conclusione:            Irrazionalità colletiva = Somma(irrazionalità individuali) + C

I due elementi di destra dell'equaazione giustificano due tipi di regolamentazione: micro e sistemica.

Mi pare triste che ancora mettiamo in dubbio che un po' di regolamentazione sia necesaria al capitalismo. E che le teorie dei mercati finanziari efficienti e compagnia - ignorando tutta la letteratura sui market failures nel settore finanziario - dopo una tale crisi ancora cerchino di scaricare le loro responsabilità (un classico è la citazione di Freddie Mac e Fannie Mae, che negli anni della bolla avevano rallentato molto i loro prestiti immobiliari, mentre i provati acceleravano).

Ancora più triste è l'idea che lasciare al mercato risolvere la crisi avrebbe dato effetti migliori. Hooverismo vecchia maniera, screditato, impenitente! Ma sarebbe un tema troppo vasto.

Le responsabilità degli economisti non sono superiori a quelle di altre categorie. Ma ci sono. E fra gli economisti, non tutti hanno le stesse responsabilità. Ma quello che più mi rattrista è la "durezza di cuore" (per usare un termine evangelico) di certi economisti che escono da una crisi di tale portata senza aver imparato nulla, senza dover cambiare nulla, senza accettare di mettere in discussione nulla del proprio modo di pensare.

Non esiste la "scelta razionale". Non so cosa voglia dire. Una scelta è sempre irrazionale. Sempre che si sappia cosa voglia dire "razionale" visto che anch'esso è un termine-etichetta dalla storia filisofica piuttosto ampia.

Faccio un esempio in un altro campo per farmi capire, per dare una sensazione del mio genere di obiezioni. Vi sono molti che parlano e si impancano a interpreti del "diritto naturale". Non so cosa voglia dire. Direi che è un ossimoro. Se qualcosa è diritto, non può essere naturale. E se qualcosa è naturale, non può essere diritto. La natura sta lì, con la sua esistenza nuda. Non ha "proprietà etiche", ha solo (e attraverso il mio lumeggio teorico) delle "proprietà fisiche". Io so il metodo che si deve usare per inqudrare teoricamente e poi misurare queste "proprietà fisiche". Nessuno ha mai dato un eguale metodo per ottenere una simile conoscenza delle supposte "proprietà etiche". C'è chi dice che bisogna usare l'intuzione, chi dice che bisogna la ragione, ma in fin dei conti io vedo che tutto 'sto popolo che parla di "diritto naturale" se n'è venuto fuori con diverse versioni (opinioni) di cosa sia, in concreto, questo "diritto naturale".

Non voglio dare l'impressione di usare a sproposito altri argomenti, o di prendere fischi per fiaschi. E nemmeno associo strettamente i due concetti, cioè non dico che coloro che parlano di "scelta razionale" siano anche dei credenti nel "diritto naturale". Dico solo che non è per il fatto che si siano scritte molte pagine sul diritto naturale (così come e.g. sul divino) che io debba pigliare quelle pagine così, senza criticarle nei fondamenti - anche se poi nei contenuti e nella pragmatica del discorso ci potranno essere cose interessanti e interessantissime.

Non mi impanco a conoscitore della scienza economica, però mi sono aggirato per la filosofia e per i fondamenti delle scienze tanto quanto basta per poter scrivere queste righe, offrendole come contributo allo spensierato lettore di nFA.

RR

Michele, ci sono due cose che non mi sono chiare. 

1) Ritieni che il salvataggio di Wall Street sia stato un errore (cioe'  avresti lasciato che il mercato facesse il proprio corso come e' successo per Lehman Brothers) o ritieni che il salvataggio sia stata la decisione giusta, ma i governi avrebbero dovuto cacciare il management bancario e creare nuove regole per ridare trasparenza e credibilita' al mercato (e.g. fare una "spezzatino" dei vari oligopoli)?  

2) (questa e' personale ... ma come diceva Oscar Wilde, le domande non sono mai indiscrete, le risposte a volte) Se non sbaglio, ti sei trasferito a St Luis nel 2007 ed hai deciso di comprare casa. Se quanto dico e' giusto, si potrebbe definire la tua una decisione non razionale? 

 

 

Carmine:

1) Per le banche c'è FDIC. Bastava usarla per CITI e le altre che erano in condizioni simili, come si è fatto e si fa con decine di banche piccole. Su questo c'è stata la lotta sotterranea, ed i rigoristi hanno perso alla grande in entrambe le amministrazioni. Se G&S sarebbe fallita o meno, facendo questo, non lo so (non credo, ti dirò). Comunque avrei fatto l'esperimento tranquillamente. AIG, a mio avviso, è il vero casino sul quale non ho un'opinione. Questo perché non so come separare la parte finanziaria sui CDS dal resto delle operazioni di AIG che sarebbero pure saltate, con grande danno sociale. Indipendentemente da tutto questo, il problema del management rimane e rimane, soprattutto, il fatto che se sono ancora too big to fail (son cresciute, in termini relativi) allora they are too big to exist.

2) ??? Non entro nei dettagli privati delle varie transazioni, ma credimi: sulla base dell'info a me disponibile, credo d'aver massimizzato sia la mia allegria personale che il mio total wealth ...

Complimenti a Michele per l'intervento.

Ho una domanda: da cosa nasce la fede nello Stato? Pensate che ci sia una sorta di "conflitto di interesse" intellettuale, nel senso che i fautori del dirigismo lo sono perché inconsciamente o consciamente credono di poter essere loro a guidare le direzioni da scegliere? Oppure pensate che sia soprattutto una loro sfiducia nella capacità dell'uomo di usare la propria libertà?

 

Domanda da un milione di dollari...mi è venuto in mente questo.

 

da cosa nasce la fede nello Stato?

 

La domanda e' mal posta, ci si dovrebbe chiedere piuttosto perche' molti hanno piu' fiducia nello Stato e meno nel mercato per gestire l'economia e in particolare le fasi di crisi.

Credo che molti percepiscano il mercato come irrazionale, caratterizzato da casualita' e derive insensate. Se si considerano le transazioni di mercato ad una ad una, mi sembra evidente che contengono molti elementi di casualita', irrazionalita', insensatezza.  Ci vuole un salto concettuale non scontato per ipotizzare che il risultato complessivo di un numero elevato di transazioni di mercato corrisponda ad un'allocazione ottimale e in media razionale delle risorse. Credo che proprio per rendere piu' comprensibile questo salto si sono usate storicamente espressioni come la "mano invisibile". Anche fatta questa ipotesi, e' poi necessario confrontare empiricamente i dati di fatto storici su come hanno funzionato sia i mercati sia gli Stati per arrivare ad avere piu' fiducia nel mercato piuttosto che nello Stato.

Al contrario il concetto di Stato e' l'evoluzione naturale dell'organizzazione di individui in societa' complesse.  Jared Diamond scrive che le societa' poco numerose e complesse sono abbastanza egalitarie e comunque caratterizzate da molteplici rapporti interpersonali, ma tendono ad evolvere - con il numero dei membri - in societa' assolutistiche / monarchiche perche' i loro membri faticano a gestire un numero elevato di rapporti interpersonali (che crescono come N^2)  e preferiscono avere un'unica persona di riferimento (il re) in modo che i rapporti interpersonali dominanti diventino quelli dagli N membri della societa' verso 1 (il numero di queste relazioni cresce come N). L'evoluzione dell'istruzione e della comunicazione ha reso possibile spersonalizzare la monarchia in Stati che comunque o conservano il re o lo sostituiscono con un presidente elettivo.  In momenti di crisi (ad esempio la bocciatura delle liste delle regionali di questi ultimi giorni) e' normale che vengano fuori "animal spirits" che trovano piu' semplice e meno faticoso difendere i propri interessi rivolgendosi direttamente al capo supremo dello Stato.

Quindi lo Stato conserva il vantaggio, rispetto al mercato, di economizzare il numero di relazioni diverse attraverso cui gli individui perseguono i loro interessi. Faccio un altro esempio. Se la sanita' e' (prevalentemente) privata, come negli USA, e' necessario confrontare diverse assicurazioni, scegliere tra diverse strutture, eleggere politici che facciano buone regole al fine di raggiungere il risultato di avere una buona sanita' per la propria famiglia.  Se invece la sanita' e' statale, e anche gestita dallo Stato, gli individui hanno un unico referente dove chiedere, protestare, cercare di influire, al posto di almeno tre (assicurazioni, medici e Stato). Meno fatica, meno relazioni, meno lavoro cerebrale.

Lo Stato rappresenta quindi la soluzione piu' semplice, meno faticosa, meno difficile da comprendere, quindi e' la tipica soluzione scelta dalle masse, specie se poco istruite e poco abituate all'analisi razionale, specie se fatta di menti deboli se qualcuno volesse infierire. Ritengo pertanto che lo statalismo sia la soluzione tendenziale prevalente ovunque, almeno a livello democratico.

La fiducia nel mercato che si e' sviluppata storicamente in Inghilterra, Olanda e ha trovato diffusione nei Paesi anglosassoni e anche in quelli scandinavi e' un risultato artificiale e in parte casuale dovuto alla storia particolare e probabilmente anche al tipo di famiglia nucleare di quei Paesi.

In Inghilterra esisteva una monarchia che stava diventando assoluta, ma 1) i baroni si sono ribellati ottenendo di limitare il potere regio dopo una serie di fallimenti del loro re culminati nella battaglia di Bouvines, dopo la quale hanno perso i loro possedimenti francesi 2) i baroni e le classi dirigenti hanno avuto un costante interesse ad perseguire i loro interessi privatamente piuttosto che attraverso lo Stato (notare la differenza con l'Italia) e quindi ad esigere protezione rispetto alle angherie dello Stato piuttosto che voler usare lo Stato per angariare i sudditi.  Come conseguenza storica si e' formata una societa' con un equilibrio tra il settore privato, dove le classi dirigenti competevano per potere e ricchezza, e lo Stato che veniva limitato ad essere regolatore e semmai attore funzionale all'attivita' economica privata. In questo contesto atipico si sono potuti sviluppare pensatori che hanno teorizzato la superiorita' del mercato rispetto allo Stato al fine del perseguimento del benessere economico generale.

Il successo economico e militare dell'Inghilterra, che e' diventata la Potenza egemone da meta' del 1700 circa, ha fornito un formidabile supporto empirico a chi ha teorizzato la maggiore efficienza del mercato rispetto allo Stato, ma ha anche disseminato l'Europa e il mondo di classi dirigenti perdenti e rancorose contro il successo inglese (e oggi degli USA): sono queste classi dirigenti che sono quindi contrarie al mercato e tifose dello Stato, e si aggiungono alla naturale predisposizione delle masse.

L'esperienza inglese e' stata e rimane atipica, anche se ci sono esempi storici paragonabili. Per esempio anche in Olanda le classi dirigenti tendevano a perseguire privatamente i loro interessi e probabilmente la sfiducia nello Stato era esplosa con la dominazione spagnola cattolica e le conseguenti guerre di religione contro i protestanti.  Anche nella Repubblica di Venezia si e' sviluppato un Stato che e' stato asservito dai nobili alla funzione di regolatore e sostenitore di attivita' economiche private. A Singapore conta probabilmente l'esperienza in Inghilterra del fondatore dello Stato e il fatto che Enzo Michelangeli ha sottolineato che la classe dirigente corrisponde ad una minoranza cinese che monopolizza l'economia privata e avrebbe molto da perdere dall'emergere di uno Stato "statalista" pesante e redistributivo.

 

 

Why Do Intellectuals Oppose Capitalism?

 

L'articolo è interessante! Grazie del link, Marco.

Tuttavia la mia domanda è un pò diversa. L'articolo parla degli intellettuali come categoria, e mi viene in mente che una persona quando si sente parte di un certo gruppo può dire e pensare cose diverse da quando è presa singolarmente. Pensa, per esempio, alla religione: credere in Dio è una cosa estremamente intima, tuttavia il modo di pensare e agire delle persone cambia, anche significativamente, se parli di loro come un gruppo (e.g. i cattolici).

Sulla domanda di Nozick non posso fare a meno di pensare a quel che ho letto una volta sui Saggi Scettici di Bertrand Russel: è una legge della psicologia umana che una persona tenda a esaltare la propria condizione in ogni situazione, per cui, per esempio, qualcuno che si sia trovato costretto a vivere come un eremita sosterrà che è solo essendo eremita che qualcuno potrà arrivare alla vera conoscenza e che questa è preclusa a chiunque segua un'altra strada. In altre parole, uno dei motivi per cui gli intellettuali potrebbero essere contro il capitalismo è che in questo sistema gli individui che con approssimazione possono essere considerati quelli di maggior successo tendono a essere quelli che si concentrano a fare i soldi piuttosto che quelli che si concentrano a studiare.

D'altronde gli intellettuali hanno le loro rivincite: essendo loro le persone con maggiore accesso alla cultura, sono anche quelli che fanno opinione e hanno più influenza su quel che viene tramandato alle generazioni successive. Per cui, per esempio, nella storia può esserci una sproporzione per cui un intellettuale ha più probabilità di essere ricordato per quello che ha fatto di un ricco mercante.

Tornando al punto, però, la mia domanda riguarda un individuo preso singolarmente e al di fuori di categorie o gruppi. Perchè un individuo ha tutta questa fiducia nel dirigismo?

Tornando al punto, però, la mia domanda riguarda un individuo preso singolarmente e al di fuori di categorie o gruppi. Perchè un individuo ha tutta questa fiducia nel dirigismo?

 

Io un'idea in proposito ce l'ho. E' la vecchia storia dell'assolutismo illuminato, si tratta di un misto di fede nella competenza/capacità individuali e di fiducia nella semplificazione.

Se faccio l'imbianchino o il prof di lettere e percepisco che qualcosa non va nei mercati l'idea più sensata mi sembra che ci metta le mani qualcuno che ne capisce. Inoltre mi pare più ragionevole che uno o pochi saggi siano concordi su una linea di intervento piuttosto che n operatori riescano a mettersi d'accordo su qualcosa (e quest'impressione mette ciclicamente in discussione la democrazia) oppure che 'magicamente' gli squilibri si risolvano da soli.

Avrebbero dovuto ripassare un pò di educazione civica per ricordarsi che le istituzioni vanno pensate per reggere nell'ipotesi che i governanti possono anche non essere illuminati (oppure potrebbero leggere il libro degli amici amerikani che ti ricorda dei checks and balances).

Oppure qualcuno dovrebbe suggerirgli (senza scomodare Popper o Hayek) che quando i mercati funzionano riescono a mobilitare una quantità di conoscenze enormemente superiore a quella di qualsiasi autorità centrale.

Per conveninenza o per comodità, ciclicamente il dirigismo torna di moda.Fortuna che ci sono Michele e gli amici di NFA a  ripeterci che il re è nudo.

 

 

 

 

 

 

 

Gabriele: non so se le mie opinioni e quelle di Fama coincidono. Da un lato io ho sempre trovato anche la SUA versione di "efficient markets" poco convincente (lasciamo questa per il "colpo alla botte"). Dall'altro anche lui (forse perché avendoli in casa non può dirne tanto male) accetta la dicotomia razionale/irrazionale come cogente, cosa che io nego in questo contesto. Tanto per capirsi: se mi provi che chi va continuamente a Las Vegas ha una funzione di utilità (almeno localmente) convessa io non concludo che costui è "irrazionale". Concludo invece che ha una funzione d'utilità convessa e che razionalmente la massimizza giocando a black-jack.

Bergamo: domande complicate. 1) Non so bene cosa sia il "potere" (non ci crederai, ma con Levine ci pensiamo da più di un decennio alla questione del "potere" ...), ma se con questo intendi dire che la politica, riassegnando diritti di proprietà determina e modifica le scelte, certo. Il problema della predizione non mi prende: la ritengo impossibile per pure ragioni pratiche: siamo in troppi. 2) No, perché i cittadini avranno sempre interessi in conflitto, ossia redistributivi. Quindi la tensione fra redistribuzione del VA e produzione del VA è inevitabile ed "eterna"; raccomando William McNeill su questo tema. Non esistono i mercati "perfetti", se non nei nostri modelli. Nel mondo ci sono solo mercati concreti. 3) Lo "stato" non solo non è illuminato ma nemmeno "esiste". Esistono apparati dello stato, o meglio burocrati, funzionari ed impiegati che li costituiscono e regole, più o meno confuse, che ne regolano vagamente i destini. L'unica cosa che ritengo possibile è che chi viene depredato dai managers, che si arricchiscono mettendo a rischio soldi non loro, si svegli e cerchi di impedirglielo licenziandoli più spesso. Altra soluzione non vedo.

Gallo: boh. Che una tesi sia "dominante" prova niente della sua correttezza: in Italia domina l'idea che, circa 2000 anni fa, una giovane palestinese sia rimasta incinta d'una entità divina ed abbia partorito (dopo aver saputo da un angelo che era incinta, al tempo non avevano i test di gravidanza) mantenendo la propria verginità. Dici che è stata l'abolizione di Glass-Steagall a causare tutto il casino perché l'ha scritto Joe Stiglitz su Vanity Fair? Whow! Bene, nella vecchia Europa il sistema di banca universale esiste da parecchio più tempo, eppure qui il casino non è successo. Come la mettiamo? Stessa causa ed effetto diverso implica che la supposta causa tale non è. Ora, per favore, non inventarti i distinguo e le concause, che è un giochetto noioso. Anche le altre cose che sostieni dimostrano (non me ne avere, ma i fatti son fatti) pessima informazione e conoscenza confusa della materia. Gli incentivi a dare prestiti assurdi vengono da un pezzo di legislazione clintoniana del 1995 (che ho citato da qualche parte su nFA in passato) diretta a far del bene alle "minoranze". Questa legislazione, mantenuta ed accresciuta da GWB che cercava il voto hispano, è alla radice dei prestiti subprime a go-go. L'esplosione dei medesimi nella versione ARM è associata alla riduzione dei tassi a breve nel 2002-2004, i dati sono incontrovertibili. Quest'ultima piccola verità viene sempre scordata ma tale è: no low rates, no party. Il resto che scrivi, incluse le fonti delle tue tristezze in affermazioni mie che t'inventi, è così out of whack che non so discuterlo. Da nessuna parte ho mai scritto che non serve regolare, anche perché "no rules" è anch'essa una rule e non amo il paradosso del mentitore (o il destino del cretino, che son la stessa cosa). Il signor Hoover era tanto interventistaquanto te: è solo la storia riscritta da FDR a far finta che così non fosse. Passo e chiudo.

Michele: anche a me piacerebbe sapere perché ad una grande quantità di gente piaccia illudersi che i burocrati (che pure son "gente" anche se spesso non sembra) siano più saggi di loro, i politici più onesti e benevolenti del salumaio o del sarto, e gli apparati dello stato più efficienti di un'analoga impresa privata. Non lo so, francamente. Mi sembra sempre di più una religione per la quale, anche se è solo parzialmente vero, ho sempre trovato gradevole la spiegazione del mio former Governor: [it]  is a sham and a crutch for weak-minded people who need strength in numbers.

 

.. ma dico la mia, dopo aver letto 2(due) volte il "polpettone" di Michele (5.000 parole.. più che un post, un mini trattato).

Vorrei ancora ribadire che pur nella mia sempliciotta visione Keynesiana (in determinate situazione lo Stato deve avere una funzione di aggiunta alla domanda aggregata), concordo con Michele che mai e poi mai JMK avrebbe dato un sigillo a quello che è stato fatto nel 2007-9, nè si riconoscerebbe in quello che stanno combinando in Europa e negli USSA da un pò di tempo a questa parte (italietta in primis), comunque è morto da tempo, pretendere che uno che è vissuto 60 anni fa possa aver dato le risposte a un mondo che è completamente cambiato mi sembra veramente assurdo.

Aggiungo la mia sugli aerei, visto che ne partecipo alla progettazione e costruzione: ci si aspetta che un aereo voli sempre perchè è progettato, testato e controllato talmente tante volte ed in tutte le condizioni che la battuta che circola in questo campo è che un aereo comincerà a volare solo quando esisterà il suo peso equivalente in carte, nessuna razionalità o irrazionalità: solo regole semplici e applicazione delle stesse fino alla noia. Funziona.

Il mercato dell'omeopatia funziona perchè esistono delle regole che dicono cosa sono le "medicine omeopatiche", c'è gente che la vende e ti convince che quel prodotto è quello che serve a te, e c'è gente che ci crede, ma prima di diventare farmaco, a prescindere dalla sua utilità, si deve provare la sua non dannosità. Hai voglia di prove che devono fare.

Conclusione banale: il mercato potrà essere basato su razionale e irrazionale non lo so, ma funziona, a patto che ci siano regole semplici e precise, non perchè altrimenti sarebbe una jungla (che comunque ha le sue regole..), ma perchè la razionalità/irrazionalità porterebbe a lunghissime e complessissime trattative per ogni atto/transazione. Una regola semplice, banale e precisa è che chi sbaglia paga, nel 2009-2010 questa regola è stata ampiamente violata e ne pagheremo le conseguenze (too big to exist? bella Michele, ma temo di più "too big to regulate"), e lo dico senza essere un'economista.

Se una crisi così profonda (200mln di disoccupati in più, peccato che fra questi non ci siano i bancari che l'hanno provocata) non ha prodotto cambiamenti nel management e nel modo di condurre affari di una serie di soggetti molto grossi penso che il senso di assoluta impunità che adesso hanno li porterà a disastri ancora maggiori, e che forse stanno già preparando. Questa è una mia aspettativa razionale che cozza contro la razionalità di chi ha deciso che è meglio averli come amici e li ha salvati.

Complimenti a Boldrin per l'articolo come sempre godibile.Mi permetto due osservazioni.

1 Secondo me gli economisti sono ammalati di eccesso di autocritica, nonchè di scuse non dovute, questo oltre a minarne la credibilità fa il gioco dei politici e dei fautori del dirigismo.

2 La storia dell'irrazionalità colpisce l'economia più che altre discipline perchè avendo a che fare con il comportamento umano è più facile bollare quello che non siamo capaci di spiegare in modo soddifsfacente come irrazionale (con gli elettroni è un filino più difficile).

Sul punto 1 ho letto tanta autocritica da parte degli economisti, mentre invece dai banchieri poco o niente, mentre addirittura politici e regolatori si ergono a salvatori della patria. Può darsi che talvolta volta la critica sia stata strumentale: metto in discussione l'intera teoria economica per attaccare i teorici della corrente avversaria. In ogni caso tutto questo mea culpa in pubblico mi sembra eccessivo e fuorviante perchè trasmette il messaggio falso che di come va l'economia si ha un'idea vaga e che le politiche economiche siano decise con modelli basati su individui superrazionali e onniscienti. Il risultato è che l'uomo della strada finisce dritto tra le braccia del politico di turno e quando gli economisti denunciano gli abusi dell'eccesso di regolamentazione li si può agevolmente bollare come teorici che 'credono che il mondo possa regolarsi da solo'. I panni sporchi è meglio lavarli in casa  e quindi di come migliorare i modelli o di quali modelli usare è preferibile  discutere tra esperti e nelle sedi opportune.

Sul punto 2 c'è da dire che è più frequente che qualcuno usi la borsa come un gioco d'azzardo (peraltro in italiano si usa ancora dire "giocare in borsa") che non ad esempio che un superalcolico venga usato come anestetico, per fare un parallelo con la medicina. E' una questione di definizioni. Quello che il senso comune qualifica come irrazionale potrebbe non esserlo se letto con gli strumenti giusti

 

Tanto per capirsi: se mi provi che chi va continuamente a Las Vegas ha una funzione di utilità (almeno localmente) convessa io non concludo che costui è "irrazionale". Concludo invece che ha una funzione d'utilità convessa e che razionalmente la massimizza giocando a black-jack.

 

Una volta che si concorda sul significato delle parole si può discutere in modo più costruttivo sul fatto che i mercati abbiano assolto o meno ad una determinata funzione e soprattuto argomentare per quale motivo l'intervento dirigista dovrebbe poter fare meglio.

Ci sono varie cose che non mi convincono dell'articolo, mi concentro su una: il concetto di razionalita' (o irrazionalita'). La domanda che l'autore pone nel primo paragrafo mi sembra capziosa, ci sono gia' stati degli interventi su questo punto, ma non mi sembrano abbiano colto il punto.

Il punto secondo me e' nel significato che si da' alla parola "razionalita'" in differenti ambiti. Nel linguaggio comune, "razionale" e' sinonimo di sensato, intelligente. Il suo contrario, "irrazionale" significa folle, dissennato, illogico e via dicendo. In economia, "razionale" significa una cosa molto piu' precisa e tecnica. Semplificando, in economia l'ipotesi di "agenti razionali" significa che gli agenti sono messi di fronte a una serie di scelte, a ognuna di queste scelte e' possibile assegnare un punteggio (l'utilita') e gli agenti optano sempre per la scelta che massimizza questo punteggio. E' chiaramente un'ipotesi molto forte, che e' necessaria a giustificare una serie di risultati sulla stabilita' del libero mercato.

Fatta questa precisazione, proviamo a rispondere alla domanda: un ingegniere che costruisce un ponte e' razionale? Lo e' certamente nel senso comune del termine, assumiamo che uno che costruisce un ponte sia una persona assennata e giudiziosa. Lo e' nel senso economico? A occhio direi di no. Uno che progetta un ponte ha un budget e dei vincoli di sicurezza e funzionalita' da rispettare, ma all'interno di questi vincoli non necessariamente sceglie un "ottimo", puo' progettare il ponte in base a criteri piu' o meno estetici o arbitrari. Mi pare difficile dimostrare che un progettista stia massimizzando qualcosa.

Perche' il suddetto ingegniere non e' accusato di irrazionalita' nel senso economico? Perche' la scienza edile non ha la razionalita' degli agenti tra i suoi assiomi. Il fatto che il progettista faccia una scelta univoca e' del tutto irrilevante, la stabilita', sicurezza e funzionalita' del ponte non dipendono da un'ipotesi del genere. Viceversa, visto che l'ipotesi e' cosi' importante per la teoria economica mi pare ragionevole studiarne la validita' e domandarsi cosa succede se l'ipotesi e' violata.

Simone

 

 

Uno che progetta un ponte ha un budget e dei vincoli di sicurezza e funzionalita' da rispettare, ma all'interno di questi vincoli non necessariamente sceglie un "ottimo", puo' progettare il ponte in base a criteri piu' o meno estetici o arbitrari. Mi pare difficile dimostrare che un progettista stia massimizzando qualcosa.

 

mi sembri in contraddizione: dalle scelte ("progettare il ponte in base a criteri piu' o meno estetici o arbitrari") derivi l'utilità, evidentemente massimizzata nei vincoli.

A me quello dell'irrazionalità sembra un falso problema: la razionalità o meno di una scelta dipende da un criterio o delle preferenze ed un'eventuale inconsistenza rispetto ad esse. Ora se assumiamo che le preferenze siano

i) non direttamente osservabili (ossia le dobbiamo ricavare dalle scelte)

ii) non necessariamente costanti

mi sembra, che definire una scelta come irrazionale non solo sia ben complicato ma in ogni caso del tutto legata ad una precedente individuazione delle preferenze e della loro evoluzione/dinamica.

Ulteriore aspetto che complica le cose: nei modelli economici spesso si usano aggregati, ad esempio l'agente rappresentativo. Le sue preferenze (e rispettiva dinamica) non dipendono solo dalle preferenze individuali ma anche da altri aspetti come ad es. la ridistribuzione delle risorse tra gli individui. (Ad es. qui si mostra come in presenza di preferenze (in termini di avversione al rischio) individuali costanti (ma eterogenee) la ridistribuzione della ricchezza tra gli individui rende le preferenze aggregate controcicliche, che qui, qua e altrove permettono una buona descrizione dei premi di mercato).

A me sembra che l'irrazionalità non si può dedurre senza le preferenze e queste ultime non si possono individuare senza assumere razionalità. Mi sbaglio??

Provo a rispondere a SP.

Da ingegnere (senza la i) potrei dire che gli ingegneri massimizzano i propri anni fuori dal carcere, avendo noi responsabilità penale dei nostri progetti. 

Affermare che non si cerca continuamente l'ottimo è da estranei al mestiere. L'arbitrato, ma anche l'estetica, in ingegneria non esiste. Esistono margini di sicurezza basati sui test e su analisi stocastiche. In aeronautica sono 50 anni che si discute del margine di sicurezza strutturale, e non si è mai ridotto. Esistono le probabilità di rottura. Un velivolo commerciale non passa i test con probabilità di venir giù superiori a 10 alla meno 9. 

In ingegneria si inizia un progetto studiando per prima cosa lo Stato dell'Arte cioè andando a massimizzare le informazioni sui sistemi più avanzati. Poi si ottimizza tutto. Il peso ad esempio.

Si tende a non sbagliare anche perché se ne pagano conseguenze amare. 

Il comportamento del politico è perfettamente razionale perché anch'egli tende a massimizzare qualcosa. Purtroppo è la dipendenza da lui. 

Marco

 

in economia l'ipotesi di "agenti razionali" significa che gli agenti sono messi di fronte a una serie di scelte, a ognuna di queste scelte è possibile assegnare un punteggio (l'utilità) e gli agenti optano sempre per la scelta che massimizza questo punteggio.

 

Fosse tutto lì il problema, sarebbe bell'e risolto: ce le hanno le scimmie quelle funzioni cerebrali, immaginati gli umani. Se tutta l'assiomatica richiesta si riducesse all'ordinamento transitivo, avremmo già chiuso la discussione non solo perché quell'ordinamento sembra esserci nei nostri cervelli, ma anche perché (cf Sonnenschein 1971, Shafer 1974, S&S 1975, Gale&MasColell 1975) non serve nemmeno per derivare una teoria della domanda consistente con l'esistenza dell'equilibrio competitivo. Insomma, that's not the issue at all.

 

È chiaramente un'ipotesi molto forte, che è necessaria a giustificare una serie di risultati sulla stabilità del libero mercato.

 

Chairito che quella da te messa in questione non è un'ipotesi forte, chiariamo anche che nemmeno è necessaria (o sufficiente, for that matter) per giustificare la "stabilità del libero mercato". La quale da un lato (se interpreti "stabilità" nel senso tecnico, ossia rispetto ad una dinamica di prezzi e/o quantità) abbisogna d'ipotesi molto più forti e, dall'altro, può essere derivata in altri contesti da ipotesi di tipo puramente comportamentale, che non fanno appello ad alcun ordine preferenziale.

Sul fatto che, temo, tu non abbia inteso né cosa sia una massimizzazione vincolata né ciò che fanno gli ingegneri, ti è già stato risposto. Graziaddio gli ingegneri che sanno il proprio lavoro minimizzano una ben definita loss function, altrimenti staremo freschi ...

P.S. La conferma che il mio timore era non ingiustificato la ricevo da questi altri due commenti:

 

In termini più concreti, razionalità significa che due agenti nelle stesse condizioni e con le stesse informazioni fanno la stessa scelta.

 

 

In altre parole, razionale in senso economico significa che due ingegneri a cui viene presentato indipendentemente lo stesso problema da risolvere con le stesse informazioni ti progettano esattamente lo stesso ponte, bullone per bullone.

 

No, davvero no. Non hai capito proprio come funziona. Le due asserzioni sono vere se è solo se le due persone hanno le stesse preferenze e lo stesso vincolo di bilancio, eccetera, ossia sono identici. Nel qual caso è una banalità: suggeriresti forse altrimenti?

 

 

Buongiorno a tutti,

la discussione e' sicuramente stimolante, permettetemi di presentarmi con una domanda naive da outsider delle teorie economiche.

La curiosita' che sorge spontanea leggendo il pezzo di Michele e': le teorie economiche mainstream prevedono grandi crisi (al di fuori dei normali cicli recessivi del ciclo economico) sia economiche che relative al mercato azionario? Ovviamente la letteratura "della complessita'" abbonda di teorie non so quanto serie sugli eventi critici nei sistemi economici e finanziari ("Why stock markets crash" di Didier Sornette (2003) ad esempio), ma qual'e'la situazione dei modelli economici standard?

A margine, non so come voi consideriate Alan Greenspan, se piu' come un economista o come un politico, ma leggendo The Age of Turbulence mi ha decisamente colpito la sua incrollabile fiducia nella stabilita' del sistema finanziario americano.

 

 

Greenspan non e' certo un economista, almeno non nel senso che noi accademici diamo al termine, di "studioso di economia". 

Questo "pezzo" é in assoluto la cosa più interessante, divertente e vicina alla verità che abbia letto sulla crisi. Grazie!

Il problema che però noto é che ci sono troppi cattivi maestri e in Italia ne siamo pieni. Se mi può indicare un suo collega italiano che la pensa come lei sarei felicissimo.

E' perfino difficile trovare un economista mainstream (quelli neo-keynesiani dei DSGE models per capirci) figuriamoci nella variante liberista! Nelle facoltà di economia la matematica e le equazioni quasi non si trovano, tutto è evoluzionistico, comportamentale o al massimo quando non si hanno più cartucce, si lascia all'intervento divino (pubblico). 

 

Chiedo venia, ma io non riesco proprio a capire una cosa. Quando Clinton (per fare solo un esempio) interviene sul mercato per rendere conveniente concedere mutui a chi non offre idonee garanzie, a me pare che il modello economico lo applichi alla lettera, piuttosto che negarlo.

O così o non ho capito in che senso parlate di modelli in economia...

Se un modello è una cosa che ci serve a capire meglio una certa realtà, non vedo come possa implicare la sua negazione il fatto che si utilizzino le spiegazioni che quel modello ci ha fornito per modificare a nostro piacimento quella realtà.

Voglio dire:

1) Il modello ci dice che gli individui si comportano in maniera razionale

2) Oggi è razionale non concendere mutui ai poveri

3) Clinton vuole che ai poveri siano concessi mutui

4) Clinton studia il modello

5) Dallo studio del modello Clinton capisce che se vuole che i mutui siano concessi ai poveri deve rendere conveniente concedere i mutui ai poveri.

Dove sta in questo la negazione del modello? Dove sta la negazione dei principi dell'economia? A me questa sembra una applicazione di quei principi.

 

Forse la negazione de modello è proprio l'idea che fosse posibile rendere "conveniente" qualcosa che non lo era, perlomeno apparentemente, dato che una buona quantità di persone ADESSO sta pagando personalmente il conto di quell'errore.

mi era sfuggito questo bell'articolo che, non fosse per una carenza cronica e comune, potrei anche sottoscrivere.

governo e mercati.

ci si occupa in continuazione delle interferenze sui liberi mercati del governo, come se i mercati non facessero parte di quella società che il governo dovrebbe regolare come sua ragione d'essere.

azioni che disturbino il libero svolgersi dell'espressione dei desideri e delle possibilità, dovrebbero essere semplicemente bandite dai mercati con grande riconoscenza, e, visto che le tendenze umane sono orientate al profitto del singolo, alla collettività o all'insieme dell'ambiente in cui tali tendenze si esplicano, non può essere che lo stato a pensarci.

poi si guarda alle teorie monetarie come ad un qualcosa di autonomo, di avulso dal contesto in cui lamoneta opera. e qui si omette sempre di considerare l'azione che il governo (come espressione dello stato) dovrebbe sempre fare per redistribuire la ricchezza. ma non basta. si omette sempre l'azione deleteria cheproprio lo stato fa sui mercati, sulla circolazione monetaria, quando si indebita, quando non riesce, tramite la tassazione a coprire le proprie spese.

quella che opera lo stato con l'indebitamento è la più grande distorsione al mercato che possa essere fatta, immettendo liquidità e costringendo ad usare i tassi come contrasto, spostando ricchezza dai consumi al risparmmio o viceversa, favorendo o penalizzando determinate categorie sociali.

tutte cose alle quali poi, si cerca con le varie teorie monetarie di rimediare o almeno bilanciare, aggiungendo problemi ai problemi, in un crescendo parossistico del quale non si distingue più tra cause ed effetti.

il primo avversario ai liberi mercati è proprio lo stato che si indebita.

perchè tale assunto, banale, elementare, non viene mai menzionato ?

altrove.

Avete osservato un affto banale?

 Si supponga (o cosi' mi dicono i premi Nobel) che sotto certe condizioni gli umani si fan del male, e non sanno quel che fanno, come diceva quello sulla croce al padre eterno.

Ne sembra seguire che bisogna dare poteri "Colbertisti" a Tremonti e Visco che, loro si' (per fortuna) conoscono il bene generale e cosa fare per farlo accrescere.

 

Beh, vi e' un'area in cui mi pare, quasi auto-evidente che gli umani fanno del male e si fanno del male, e riproducono il male per generazioni: la conduzione delle loro famiglie. 

Perche' non nominare Berlusconi "padre della patria", ma non come un sarcasmo, davvero si dia la patrai potesta' a chi sa vedere ben al di la della razionalita' delle masse, che e' limitata, semi-cieca, intransitiva, mirante-a-breve-termine, inetta nel calcolar tassi di sconto, e incapace di produrre figli che siano ingegneri di Caltech o alla bisogna al Politecnico di Torino.

Perche' no?

ci si occupa in continuazione delle interferenze sui liberi mercati del governo, come se i mercati non facessero parte di quella società che il governo dovrebbe regolare come sua ragione d'essere.

Esattamente quello che penso io!

Allora, io non vorrei fare arrabbiare ulteriormente Michele, ma non posso resistere alla tentazione di ribadire che, lo giuro!, non riesco assolutamente a capire da cosa possa dedursi la preesistenza del mercato rispetto allo Stato/comunità/politica chiamalo come vuoi...

E' certamente vero che di economia ne so zero, però la logica non è una esclusiva degli economisti... una qualsiasi asserzione, per convincermi, deve parermi logica (con tutti i miei limiti) e a me questa cosa che la politica non deve intervenire nel mercato, pare esattamente il contrario che logica... mi pare un dogma (e a volte un vero e proprio controsenso!)

Precisiamo che, fosse per me, renderei la competizione tra esseri umani, a qualsiasi livello, valore costituzionale... "L'Italia è una Repubblica fondata sulla selvaggia competizione tra uomo e uomo", io scriverei! Io sono un avvocato che offre la redazione di ricorsi contro multe a 10€ via internet, quindi non mi si venga a dire che non ci sguazzo nel libero mercato e nella competizione. Ma il punto è un altro.

Il c.d. libero mercato è già di suo il frutto di una precisa scelta politica, non è qualcosa la cui esistenza possa prescindere dalla politica che lo sceglie. Non è scritto nel nostro codice genetico, non è una legge di natura. Ed infatti quel c.d. libero mercato è necessariamente, sempre e comunque influenzato dalla politica.

La norma che punisce l'omicidio influenza il mercato, perchè se quella norma non esistesse, qualcuno potrebbe preferire procacciarsi gli oggetti che gli servono uccidendo (o minacciando di uccidere) chi li possiede, piuttosto che comprandoli.

Facciamo qualche esempio più "normale"... il fatto che nel nostro paese il contratto stipulato per stato di necessità sia annullabile, influenza il libero mercato. Egualmente lo influenza l'annullabilità del contratto stipulato dall'incapace o il fatto che non possa abusarsi della credulità popolare. Il fatto che lo stipendio dei lavoratori dipendenti sia pignorabile per un massimo di 1/5 influenza l'offerta di strumenti di finanziamento per i lavoratori dipendenti.

Cosa sono tutte queste cose se non interventi della politica (che, ricordiamo, dovrebbe essere lo strumento attraverso il quale il popolo, la comunità, la generalità dei consociati governa se stesso) nel mercato?! E gli esempi potrebbero moltiplicarsi all'infinito!

E allora a quanto scrive Pierinolapeste:

 

 

Forse la negazione de modello è proprio l'idea che fosse posibile rendere "conveniente" qualcosa che non lo era, perlomeno apparentemente, dato che una buona quantità di persone ADESSO sta pagando personalmente il conto di quell'errore.

 

 

Io rispondo:

La "convenienza" (razionalità o come altro la vogliamo chiamare) non è qualcosa di assoluto ed immutabile, ma dipende, tra l'altro, dalle leggi (cioè dalla politica) che regolano la convivenza.

Comprare il pane è più conveniente (razionale) che uccidere chi lo possiede, perchè sarebbe irrazionale rischiare di andare in galera per così poco... ma se domani fosse abrogata la norma che punisce l'omicidio, potrebbe diventare razionale anche uccidere un uomo per 50 centesimi di pane!

E allora quando la politica interviene nel mercato non muta qualcosa che esiste così per come è in natura, ma muta qualcosa che esiste così per come è, date le leggi esistenti in quel momento che la stessa politica aveva prima emanato.... voglio dire, quando la politica interviene sul mercato altro non modifica che se stessa! E per quale motivo non dovrebbe poterlo fare!? E' proprio il suo mestiere quello, altro che non poterlo fare!

E quindi io, quando Clinton rende più agevoli i mutui per i poveri, non lo critico perchè "ha interferito con il libero mercato e non si fa!", lo critico perchè non è stato capace di prevedere tutte le conseguenze della sua politica e ha contribuito a creare le premesse di una crisi! Spero sia chiara la differenza...

La politica (il popolo) come lo ha creato il libero mercato, così certamente ha il diritto di modificarlo come meglio ritiene e se fa cazzate allora la si critica perchè ha fatto una cazzata, non perchè è intervenuta nel libero mercato (che non vuol dire nulla!).

Cosa vuol dire "la politica non deve intervenire nel mercato"? Io non lo capisco... è come dire che la politica non deve intervenire nella scrittura delle leggi! Il mercato esiste perchè esiste la politica, se non ci fosse la politica non esisterebbe il mercato... e allora diciamo le cose come stanno. Si tratta semplicemente della tua personale idea POLITICA (legittimissima) sui limiti da porre alla libertà individuale. Ci può essere qualcuno che ritenga che il limite di pignorabilità dello stipendio sia opportuno, ci può essere qualcun altro che lo ritenga non opportuno... non è "scientifica" l'opinione del primo come non lo è quella dell'altro e nessuna delle due è più "economica" dell'altra... semplicemente le due soluzioni avrebbero effetti diversi che bisogna avere la capacità di prevedere. Chi vuole il limite di pignorabilità è dell'idea (POLITICA) che accanto al divieto di omicidio, di abuso della credulità popolare e alla annullabilità del contratto concluso in stato di necessità vi sia anche una ulteriore compressione della libertà dell'individuo consistente nella impossibilità di garantire i propri debiti con l'intero ammontare del proprio stipendio...  e su chi diamine dovrebbe gravare il compito di scegliere se inserire questa ulteriore compressione di libertà o meno, se non alla politica e cioè al popolo?

...io giuro che NON LO CAPISCO!

 

 

 

 

...io giuro che NON LO CAPISCO!

 

L'avevamo notato da tempo, avvocato.

E le racconto un segretello: non mi son mai sorpreso.

complimenti, apprezzo molto il tuo intervento che ha sviluppato nell'ambito sociale ciò ch eio avevo considerato solo nell'aspetto economico.

sottoscrivo in toto

questo tipo di commento riesce a non dire assolutamente nulla.

non si capisce se approvi o no, e se no perchè.

se tu non sei sorpreso, figurati chi ti legge quanto gliene frega dei tuoi segreti.

prova ad esprimere un'idea, se ce l'hai !

Qualche tempo fa, su queste pagine, si discusse dei problemi che caratterizzano la professione forense. Non ricordo il titolo della discussione... comunque io ero l'unico avvocato che vi partecipò e sostenni la necessità di rendere più meritocratiche le facoltà di legge, di assumere più magistrati e di liberalizzare la professione di notaio. A mio parere ciò avrebbe risolto (quanto meno parzialmente) il problema principale degli avvocati italiani: sono troppi e sono troppo scarsi!

Gli economisti che scrivono su questo sito, al contrario, sono dell'idea che sia sufficiente abolire (rectius: non reintrodurre) i minimi tariffari. Questa differenza di vedute non è stata ben accolta, per motivi che, essendo io un povero avvocato infinitamente più stupido dei professori di economia americani, non riesco a cogliere.

Michele Boldrin, ad un certo punto, mi diede del pallone gonfiato e ironizzò sul fatto che io avessi la maturità classica (non chiedermi cosa c'entri!). Tra l'altro, Michele Boldrin non intervenne nel merito della discussione, quindi, ad oggi, io non so cosa proponga lui per migliorare la situazione della classe forense italiana.

Qualche tempo dopo, NFA propose come uomo dell'anno Beppino Englaro, io dissi che a me Beppino Englaro sta antipatico e aggiunsi una battuta certamente non eccezionale, ma pur sempre una battuta, del tipo: "come uomo dell'anno scelgo Capaneo". Apriti cielo! Non l'avessi mai fatto!

Pertanto, non devi stupirti se qualcuno risponde in maniera rancorosa a qualche mio intervento... credo sia la punizione che il sedicente liberale tipico riserva a chi non la pensa come lui.

 

Bell'intervento, che condivido quasi in tutto ma... siamo sicuri che c'entri con la crisi? Spero di non fare cosa scorretta se devio leggermente la discussione ma ritengo ci siano alcuni punti da chiarire.

1) In molti casi coloro che discutono il tema della crisi, soprattutto sui giornali, confondono neoliberismo e deregulation. Mi viene il dubbio che a costoro (molto semplicemente) sfugga che, se c'è un fallimento, forse non riguarda tanto il mercato, quanto il modo in cui è stato "regolamentato" o "deregolamentato" il mercato. Ad esempio (la butto lì) il doppio fallimento delle società di rating e di quelle di auditing (Enron è ancora nell'aria) qualche dubbio sulla possibilità di affidare a soggetti privati il ruolo di gatekeepers lo pone. Per carità, in linea teorica tutto si può fare ma banali considerazioni di political economy bastano per capire che, se lo scopo del gatekeeper è generare dividendi, cercherà tutti i modi possibili per farlo, anche chiudendo un occhio (che sò... su bilanci falsi, ad esempio). E se chiudere un occhio lo esponesse a rischi potrebbe sempre fare lobbing per ottenere una normativa che limiti la responsabilità patrimoniale del gatekeeper... come è puntualmente successo per gli auditors in molti paesi europei.

2) So che per tanti motivi il termine "potere" non è gradito all'interno del discorso economico "politicamente corretto" per cui me ne scuso in anticipo. Questo detto, mi sembra che una riflessione andrebbe fatta sull'ovvia osservazione che grossi conglomerati avranno sempre il potere di catturare i regolatori, se questi non sono sufficientemente "forti". E non ditemi che bastano le regole... la storia, passata e recente, ci insegna che se si hanno risorse economiche sufficienti non c'è regola che tenga. Con tutti i suoi limiti, forse una rilettura degli scritti di Galbraith sui conglomerati può dare qualche spunto.

 

 

 

Signora Peste,

mi permetta una domanda: lei lo legge il blog? Se dà un'occhiata a quanto si scrive qui, nessuno dei due temi che lei solleva (cattura dei regolatori e potere di mercato dei gruppi di potere mono- o oligo-polistico) sorprende. Certo non sorprendono me.

Queste cose le andiamo ripetendo non da mesi ma da anni, da prima della crisi infatti. Fa piacere sapere che anche lei sia in accordo. Lo fossero anche Barack Obama e qualche altro primo ministro, saremmo a cavallo ...

Le faccio un esempio: io sostengo da svariati anni (dall'esplosione della bolla dotcom, per essere precisi) che l'attività di rating di emissioni obbligazionarie e similia dovrebbero farla ... le banche centrali! Politically correct? Credo di no. Ma, d'altra parte, chi l'ha mai detto che da queste parti ci si preoccupa di esserlo? Non ci si confonda con altri solo perché, per sbarcare il lunario, facciamo la medesima professione.

 

 

mi permetta una domanda: lei lo legge il blog?

 

Ovviamente lo leggo da pochi giorni, come potrà facilmente verificare controllando la data della mia iscrizione. Comunque ha ragione, eviterò di confonderla con suoi colleghi che userebbero toni ben diversi nelle risposte. D'altronde lei è italiano e non americano, tedesco o inglese, per cui le va perdonata un po' di "esuberanza" italica, no? Come al premier, sostengono alcuni...

 

 

Nella sessione "Issues of history of economic analysis" della 51esima riunione scientifica annuale della SIE (Società Italiana degli Economisti) è stata presentata una  relazione intitolata "La scuola di Chicago e la crisi di inizio millennio" che si interroga su cosa rimanga della scuola di Chicago dopo l'autocritica di Posner condivisa anche da Gary Becker. L'ho postata perchè era intenzione di Michele (Boldrin) di dare anch'egli un colpo alla botte......