Il Fiscal Council all'italiana

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È di questi giorni l'approvazione da parte della Camera dei deputati della proposta di legge per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio introdotto dalla modifica costituzionale approvata nello scorso aprile. L'esame da parte del Senato è previsto a breve.

Parliamo di dare forma al principio del pareggio di bilancio, tema di cui abbiamo discusso più volte, argomento centrale del dibattito tra gli economisti, recentemente rivitalizzato in ambito europeo anche in seguito all'emergere delle tensioni sui mercati finanziari e della crisi dei debiti sovrani.

L'articolo 18 della legge istituisce un Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), “organismo indipendente per l’analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio”. Questo argomento è affrontato in numerosi contributi nei quali si evidenzia l'esigenza di disporre di analisi indipendenti dal governo sulla finanza pubblica come condizione minima per garantire trasparenza e, conseguentemente, evitare comportamenti di moral hazard dei decisori politici e l'emergere di una prospettiva di breve, se non brevissimo periodo, tanto da aver prodotto il fiorire di esperienze ormai in numerosissimi paesi. Se prima tali organismi venivano considerati come specificità peculiari di sistemi- modello, oggi organismi internazionali e commissione europea li pongono alla base della costruzione di politiche fiscali sostenibili nel lungo periodo. Le competenze dell'istituendo UPB sono infatti quelle classiche di strutture simili di altri paesi: “effettuare, anche attraverso l’elaborazione di proprie stime, analisi, verifiche e valutazioni in merito a: a) le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica; b) l’impatto macroeconomico dei provvedimenti legislativi di maggiore rilievo; c) gli andamenti di finanza pubblica, anche per sottosettore, e l’osservanza delle regole di bilancio; g) la sostenibilità della finanza pubblica nel lungo periodo; h) l’attivazione e l’utilizzo del meccanismo correttivo di cui all’articolo 8 e gli scostamenti dagli obiettivi derivanti dal verificarsi degli eventi eccezionali di cui all’articolo 6; i) ulteriori temi di economia e finanza pubblica rilevanti ai fini delle analisi, delle verifiche e delle valutazioni di cui al presente comma”.

Tutto ciò richiede che la struttura organizzativa e funzionale dell'UPB si informi a due criteri a mio avviso fondamentali:

1) indipendenza e imparzialità delle analisi;
2) competenza e trasparenza nelle azioni.

Il rispetto di questi criteri richiede innanzitutto una governance adeguata.

Non siamo il primo paese a dotarsi di una simile istituzione e guardare a chi ha più esperienza non e' una cattiva idea: negli Stati Uniti un organismo simile a cui nessuno contesta indipendenza e competenza esiste dal 1974. Il Congressional Budget Office (CBO) ha un direttore nominato dagli speaker di Camera e Senato, sentite le due commissioni bilancio. Rimane in carica per un periodo di quattro anni ed è rinnovabile. Una volta insediato, il direttore è totalmente indipendente nelle nomine interne e nella gestione degli uffici. Il risultato sembra più che apprezzato oltreoceano

E da noi? Come ci si sta muovendo? La proposta della Camera, riportata al Capo VII, struttura la governance in un collegio di tre membri nominati dai Presidenti delle Camere da individuare tra persone di riconosciuta indipendenza e comprovata competenza ed esperienza in materia di economia e finanza pubblica a livello nazionale e internazionale, nominati per sei anni, non rinnovabili. Questa formulazione sembra migliorare la disposizione del disegno di legge iniziale  secondo cui la scelta doveva rigidamente avvenire tra “magistrati della Corte dei conti, professori universitari ordinari di università italiane o estere, consiglieri parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, dirigenti della Banca d’Italia, dirigenti generali delle amministrazioni pubbliche statali, dirigenti di enti pubblici di ricerca e funzionari titolari di incarichi di direzione di organizzazioni internazionali e delle istituzioni europee”.

È da apprezzare, in linea con le migliori pratiche, la durata in carica di 6 anni, un termine superiore a quello della legislatura, nonché la non rieleggibilità dei componenti. Elementi che sembrano garantire una sufficiente  indipendenza dei nominati.

Ma qui gli aspetti positivi si fermano. Sembra, infatti, assai discutibile che i membri del Consiglio siano nominati “nell’ambito di un elenco di dieci soggetti indicati dalle Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica a maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti”. Così si corre un grosso rischio: nel caso di scelte inadeguate, infatti, le Commissioni parlamentari competenti attribuirebbero la responsabilità ai presidenti di Camera e Senato, essendosi le Commissioni stesse limitate a indicare dieci candidati tra i quali può anche ben esserci qualcuno meritevole; i presidenti di Camera e Senato, a loro volta, potrebbero sempre argomentare che il resto dei candidati proposti era assai peggiore di quelli nominati. Insomma, un gigantesco scarica barile nella migliore tradizione italica. Gustavo Piga argomenta efficacemente in favore del modello CBO. Con i giusti correttivi in termini di maggioranze richieste per la nomina del Presidente, l’ipotesi di un vertice monocratico sembra la più valida.

Ma  il rispetto dei suddetti criteri richiede di soffermarsi sulla selezione del personale, oltre che sulla governance.

Secondo il testo approvato dalla Camera “Il personale dell’Ufficio è composto da: a) personale assunto dall’Ufficio attraverso pubblico concorso con contratto di lavoro a tempo indeterminato; b) personale delle amministrazioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché di amministrazioni pubbliche o di diritto pubblico, collocato fuori ruolo; c) personale selezionato attraverso procedure comparative pubbliche, per lo svolgimento di incarichi a tempo determinato di durata non superiore a tre anni, rinnovabili per una sola volta.”. In altri termini si mantiene un canale di accesso all'Ufficio non esposto alla trasparenza di una pubblica selezione. Questo crea due ordini di problemi.

Innanzitutto, il meccanismo di accesso, diciamo così, "veloce", non fornisce alcuna garanzia contro raccomandati vari di ogni amministrazione che potranno ottenere di fare una più o meno lunga esperienza al costituendo UPB semplicemente su richiesta del Consiglio di vertice. E' evidente che il rischio di raccomandazioni è legato a quello di possibile lottizzazione dell'organo di vertice collegiale: se ci sono tre membri nel consiglio, ognuno avrà la sua quota di raccomandati da accontentare, e dato che il numero massimo di dipendenti non supera le quaranta unità (articolo 17, comma 4) è palese il rischio di produrre una struttura completamente screditata già in partenza. Bisogna considerare infatti che nella proposta di legge non esiste un limite al numero di fuori ruolo in proporzione agli altri dipendenti. Tutti e quaranta potrebbero provenire da altre amministrazioni  senza alcuna selezione trasparente.

Ma, attenzione, il rischio di introdurre raccomandati in gran quantità esiste anche nel caso di vertice monocratico. Chi vieterebbe all'unico Presidente, pur di buon livello, di portare con sé un gran numero di fuori ruolo da altre amministrazioni?

Ecco, perciò, che il meccanismo di selezione del personale salta in primo piano come elemento cardine di un UPB credibile, anche più importante della struttura di governance.

Ma, si potrebbe obiettare, come farebbe un UPB a esercitare le sue impegnative funzioni se composto soltanto da fuori ruolo rispetto ai quali non è garantita l'indipendenza? L’Office for Budget Responsibility - il Fiscal Council inglese – ad esempio, fu criticato al momento della sua istituzione per la sua supposta dipendenza dal Tesoro britannico da cui mutuava quasi tutto il proprio staff. Nel caso italiano bisognerebbe aggiungere che la cultura giuridico-amministrativa domina la formazione del personale della pubblica amministrazione, mentre quello necessario all’UPB deve essere di formazione eminentemente economica.

E qui arriviamo all'ultimo elemento di preoccupazione. Secondo alcune posizioni, l'UPB potrebbe in realtà svolgere il proprio ruolo funzionando da collettore, magari critico e selettivo, di stime, analisi e previsioni fornite da altre istituzioni, sia pubbliche che private. Questo modello organizzativo, se può risultare ragionevole nella fase transitoria di avvio della struttura, appare del tutto inadeguato a regime.

Pensiamo ad esempio al CBO che invece di essere libero di stimare gli scenari macroeconomici e di finanza pubblica di base (la cosiddetta baseline) richieda tali informazioni a think tank o centri studi esterni, o magari ad università, rinunciando a sperimentare ipotesi o modelli alternativi in maniera continuativa, richiedendo via via adeguamenti ai modelli di base elaborati da altri, che non hanno come clienti esclusivi lo stesso CBO.

Ma appare chiarissimo dagli esempi internazionali e dalla letteratura economica che il Fiscal council è un istituto di economisti, che parlano il linguaggio degli economisti, gente preparata a lavorare sui dati a tempo pieno, che sa cos'è un modello economico/econometrico e come lavorarci, e non di giuristi-amministrativi che si limitano a sintetizzare il contenuto degli studi economici commissionati a centri studi esterni.

E qui il cerchio si chiude: soltanto la nomina di un unico Presidente, economista di indiscussa preparazione e autorevolezza, che doti l’Ufficio di economisti preparati, magari con esperienza internazionale, assunti con le procedure più trasparenti, può garantire che l’UPB cominci da subito a muovere i propri passi in maniera credibile entrando a pieno diritto nel circuito internazionale dei watchdog fiscali, anziché diventare un Fiscal Council all’italiana.

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Commenti

Ci sono 7 commenti

il problema in Italia non è mai stato come le norme sono scritte..all'estero (sopratutto nei paesi di common law) le norme tendono ad essere concise e potenzialmente aperte ad una serie infinita di interpretazioni e "giochetti". spesso le nostre norme sono anche migliori di quelle straniere, ma questo resta solo sulla carta. il vero problema, come effettivamente colgo anche nel testo, è che in Italia il legislatore deve preoccuparsi minuziosamente di come l'italiano cercherà di aggirare la norma. credo non sia per nulla un problema banale, perché da una parte è già difficile che chi scrive una norma (politico) sia disinteressato e imparziale (in Italia?) e punti al bene comune (???), ma sopratutto dall'altra anche la migliore delle norme, redatta con le migliori intenzioni, presta il fianco all'attacco della macchinosa mente dell'italiano che dovrà averci a che fare. in questo caso credo che l'intenzione sia buona, e sulla carta lo è anche la norma. il problema vero che le parole di D'Addona evidenziano a mio avviso è che questa non ha previsto un modo semplice per ribaltarne il senso a discrezione... 

L'art. 81, che dovrebbe proibire budget di spesa in deficit, è sempre stato chiaro e palese.

Direi che lo era ben di più prima della sua recente riforma.

Nonostante ciò, è sempre stato disatteso.

A mio avviso, una legge a cui non è associata una pena per la sua violazione non è una legge.

Se ci fosse stata, non penso che i governi degli ultimo 40 anni si sarebbero azzardati a fare quello che hanno fatto.

Con buona pace dei Keynesiani (neo o senza neo).

 

 

 

di norma è impossibile "proibire" i deficit. Anche se uno ha pieno controllo della spesa, non puo' averlo sulle entrate (causa congiuntura sfavorevole) e quindi il deficit puo' umanamente capitare. Ogni tanto. Non sempre, come da noi. Piu' che proibire i deficit servono meccanismi automatici o semi automatici per riparare, l'anno seguente, un eventuale danno. E anche per rendere ai contribuenti eventuali surplus (teoricamente possono capitare anche quelli) sempre che non ci siano debiti da appianare.

come viene giustamente fatto notare, quello in esame è un altro esempio della preponderanza della cultura giuridica che permea il sistema politico-amministrativo italiano.

D'altronde non c'è da stupirsi, tutte le ciclopiche "riforme" degli ultimi venti anni, in particolare quella della dirigenza pubblica, sbandierano criteri-guida di efficienza, efficacia, aziendalizzazione, etc etc etc, ma venendo al dunque la composizione di questa è rimasta sostanzialmente inalterata.

 

La cosa interessante è osservare che in un sistema così orientato, dove ai funzionari pubblici è richiesta una profonda preparazione giuridica, la qualità della produzione di norme sia andata progressivamente scadendo

"Un mercato è un sistema giuridico. In assenza del quale, l'unico sistema economico possibile è la rapina di strada."

Chi l'ha detto?

Relativamente alla preparazione giuridica dei ns. legislatori (i parlamentari) . . . mi astengo dal commentare.