L'aggravante di clandestinità

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A breve la Corte Costituzionale deciderà se l'aggravante di clandestinità, frutto della recente legislazione anti-clandestini, è legittima o meno. Cerchiamo di capire i termini della questione e le possibili decisioni della Corte.

La questione immigrazione è sempre più al centro dell'attenzione del governo e le ultime decisioni prese - il pacchetto sicurezza, il reato di immigrazione clandestina, la sanatoria per le badanti, il giro di vite sulla cittadinanza ed altro - hanno offerto molti spunti di riflessione e critica, ai quali anche nFA non si è sottrattta.

In questo post parlerò di una questione - purtroppo alquanto tecnica - della quale pochi tra i non addetti ai lavori si sono accorti e che è passata sotto l'usuale complice silenzio dei mezzi di informazione. Mi riferisco all'aggravante di clandestinità, introdotta nel nostro ordinamento dal primo decreto-sicurezza del governo Berlusconi, diventato legge nel luglio dell'anno scorso (la n. 125/2008). Prima di proseguire, è bene però dare una spiegazione per tutti coloro che non hanno conoscenze di diritto.

Come noto, la legge individua i fatti che costuiscono reato e per i quali si può essere puniti. Rappresenta principio di civiltà per il nostro ordinamento, la circostanza per la quale ad essere puniti sono solo i fatti, le azioni, commesse dal reo e non i suoi pensieri, nè, tanto meno, il suo modo di essere. La legge, dunque, individua il fatto-reato e stabilisce una pena - fissata in un minimo ed un massimo - che può poi essere aumentata o diminuita sino ad un terzo, in presenza di circostanze che aggravano o attenuano il reato. In particolare, l'art. 61 del codice penale individua le circostanze aggravanti comuni - circostanze, cioè, che si applicano a qualsiasi tipo di reato, sia esso colposo, doloso e comunque sanzionato:

 

Aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali le circostanze seguenti:

1. l'avere agito per motivi abietti o futili;

2. l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato;

3. l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento;

5. l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;

6. l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione spedito per un precedente reato;

7. l'avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità;

8. l'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso;

9. l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto;

10. l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio;

11. l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità;

11-bis. l'avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale

 

Il numero 11-bis è il figlio del governo Berlusconi. Come si può vedere, l'11-bis costituisce una anomalia rispetto alle altre ipotesi fissate dall'art. 61. Le aggravanti tradizionali, con l'eccezione del n. 6 su cui si tornerà, sono tutte relative a circostanze di fatto e/o azioni strettamente connesse al fatto che a sua volta costituisce il reato: l'avere usato sevizie, l'aver previsto l'evento (l'ubriaco che si mette al volante), l'aver causato un danno grave al patrimonio e così via, oppure, ancora,  costituiscono le motivazioni che hanno spinto al compimento del fatto, come l'aver agito per motivi abietti o futili.

Al contrario, l'aggravante di clandestinità è del tutto slegata dal reato che aggrava, ma si dovrebbe applicare per il solo fatto che a violare la legge è un clandestino. Per darvi un'idea di come dovrebbe funzionare la norma facciamo una ipotesi concreta: l'italiano Mario con il suo complice moldavo e clandestino Romul, fanno irruzione in una villa e la ripuliscono di beni di valore, ma sono sfortunati ed appena girato l'angolo vengono arrestati da una pattuglia di Carabinieri: ebbene, a parità di fatto-reato, la pena di Romul potrebbe essere sino ad un terzo maggiore di quella di Mario, in virtù dell'aggravante di clandestinità.

Insomma, a causa di questa aggravante, qualsiasi reato commesso da un clandestino (straniero illegalmente presente in Italia) è oggi considerato più grave, rispetto al medesimo reato, commesso:
a) da un cittadino italiano;
b) da uno straniero legalmente soggiornante in Italia, ossia da cittadini comunitari o extracominitari con permesso di soggiorno.

A chi scrive la nuova ipotesi è sembrata sospetta assai di incostituzionalità e, facendo un po' di ricerche in rete per scrivere queste note, ho scoperto di essere in buona, anzi ottima, compagnia, dato che dubbi in proposito sono stati formulati, già durante i lavori preparatori alla legge, dall'Associazione Nazionale Magistrati, dalle Camere Penali, dal CSM e dagli studiosi di diritto costituzionale, come l'ex Presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida, per il quale l'aggravante

"opera una vera e propria discriminazione fra persone in ragione dell’origine nazionale e di condizioni personali, vietata dagli articoli 2 e 7 della Dichiarazione universale, dall’articolo 14 della CEDU e dall’articolo 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, oltre che dall’articolo 3 della Costituzione”.

Per di più lo stesso decreto sicurezza ha anche modificato l’art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p. (Codice Procedura Penale), che nel testo oggi modificato (e con ogni probabilità anch'esso incostituzionale) stabilisce che "nei confronti dei condannati per i delitti in cui ricorre l’aggravante dell’art. 61 n. 11 bis c.p.” non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva fino a tre anni (fino a sei quando si tratti di pena inflitta per reati commessi in relazione a uno stato di tossicodipendenza), anche se residua di maggior pena, volta a consentire la presentazione di istanza di ammissione a una misura alternativa alla detenzione, con la conseguenza che il clandestino, per poter accedere alle misure alternative, deve necessariamente passare prima dal carcere.

Come era prevedibile, la questione è stata portata all'attenzione della Corte Costituzionale da numerosi Tribunali e nei prossimi mesi, se non addirittura giorni, la Corte prenderà la sua decisione.
Le norme costituzionali che si assumo violate sono innanzi tutto quelle già evidenziate da Onida, ossia le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo e l'art. 3 cost. per il quale

 

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione; di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

 

A scanso di equivoci segnalo che per costante interpretazione, il sostantivo "cittadini" viene inteso come "persona umana", come del resto riconosciuto anche dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Oltre a questo, però, vanno anche considerati gli articoli seguenti: 25 Cost. secondo comma

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

e 27 Cost. primo comma,

La responsabilità penale è personale.

Essi sanciscono i principi della offensività e della responsabilità per "fatto proprio colpevole", ossia la responsabilità per un fatto personalmente commesso e non per il modo di essere dell'autore.

In realtà, la norma in questione, a parere del sottoscritto, delinea una ipotesi di vera e propria colpa d'autore, riagganciandosi ad un filone dottrinario che ebbe una discreta fortuna nella Gemania nazista. Nella dottrina tedesca, al principio degli anni '40, si delineò infatti, accanto alla comune concezione di colpa per commissione di un fatto, anche la cosiddetta colpa d’autore o colpa per il modo d’essere (Taterschuld). Tale concezione si basa sull’idea che è soggetto a punizione non tanto il fatto commesso, sia pure contrario a norme penali, quanto piuttosto il modo d’essere dell’agente: insomma, è come se la legge dicesse "ti punisco non per ciò che hai fatto, ma per quello che sei".

Come deciderà la corte costituzionale?

È difficile a dirsi. In primo luogo bisogna considerare i termini per i quali i Tribunali hanno rimesso la questione alla Corte, dato che questi delimitano anche la "materia del contendere" e quindi la possibile decisione.

In secondo luogo bisogna considerare che la Corte è tendenzialmente conservatrice. Quindi potrebbe lavarsene le mani affermando che, trattandosi di una aggravante, la stessa non è di immediata ed automatica applicazione, ma soggetta al giudizio di comparazione, da parte del giudice di merito, con le eventuali circostanze attenuanti.

La Corte, infine, ha sempre riconosciuto al legislatore un'ampia discrezionalità nella configurazione delle fattispecie criminose, estendendola anche alla scelta delle modalità di protezione penale dei singoli beni o interessi e facendo rientrare in questa sfera di discrezionalità anche l'opzione per forme di tutela avanzata, che colpiscano l'aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, nonché l'individuazione della soglia di pericolosità, alla quale riconnettere la risposta punitiva. Il fatto, quindi, che il legislatore abbia voluto proteggere la collettività individuando un potenziale pericolo connesso alla presenza di clandestini sul territorio, potrebbe non essere, in astratto, incostituzionale in sè.

A me piace credere, invece, che la Corte abrogherà la norma e ciò proprio alla luce della precedente giurisprudenza costituzionale. Questo perché, in merito alla discrezionalità riconosciuta dalla Corte al legislatore nella configurazione di fattispecie criminose, essa ha però stabilito che tali soluzioni debbono misurarsi,

 

con l'esigenza di rispetto del principio di necessaria offensività del reato: principio desumibile, in specie, dall'art. 25 cost., in una lettura sistematica cui fa da sfondo «l'insieme dei valori connessi alla dignità umana»

 

(sentenza n. 263/2000).

 

La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito in qual modo si atteggi, a tale riguardo, la ripartizione di competenze tra giudice costituzionale e giudice ordinario (sentenze n. 265 del 2005, n. 263 e n. 519 del 2000, n. 360 del 1995). Spetta, in specie, alla Corte - tramite lo strumento del sindacato di costituzionalità - procedere alla verifica dell'offensività «in astratto», acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo; esigenza che, nell'ipotesi del ricorso al modello del reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all'id quod plerumque accidit (tra le altre, sentenza n. 333/1991).

Ove tale condizione risulti soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa resta affidato al giudice ordinario, nell'esercizio del proprio potere ermeneutico (offensività «in concreto»). Esso - rimanendo impegnato ad una lettura "teleologicamente orientata" degli elementi di fattispecie, tanto più attenta quanto più le formule verbali impiegate dal legislatore appaiano, in sé, anodine o polisense - dovrà segnatamente evitare che l'area di operatività dell'incriminazione si espanda a condotte prive di un'apprezzabile potenzialità lesiva.

 

(sentenza n. 225 del 2008)

Distillando il linguaggio un po' criptico dei giudici costituzionali, occorre in pratica verificare se la norma penale sanzioni un reale contenuto offensivo, in un modo che non sia nè irrazionale, nè arbitrario.

Avendo in mente questi principi, appare evidente che l'aggravante di clandestinità non regge al principio di offensività, dato che si fa discendere un aggravamento di pena da una condizione - la clandestinità - che al momento dell'approvazione delle legge non era neanche reato, ma semplice illecito amministrativo e che oggi, pur essendo diventata reato, viene sanzionata con una semplice ammenda sino €. 10.000,00. Insomma, se lo status di clandestino è talmente poco pericoloso da richiedere una semplice ammenda, non trova giustificazione razionale che questo stesso status possa comportare un aumento di pena sino ad un terzo.

Peraltro, la stessa corte (sentenza n. 22/2007) ha escluso che la condizione di straniero irregolare, in quanto tale, possa associarsi ad una presunzione di pericolosità. Decidendo in materia di indebito trattenimento sul territorio nazionale dello straniero espulso, infatti, la Corte ha affermato che si è in presenza di una semplice condotta di inosservanza dell'ordine di allontanamento dato dal questore e non di una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili.

Per comprendere come operano diversamente le norme, prendiamo l'altra aggravante che guarda allo status soggettivo del reo, vale a dire il n. 6 dell'art. 61 c.p.

l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione spedito per un precedente reato

Anche in questo caso l'aggravante è sganciata dal fatto-reato e sembra guardare al modo di essere del reo e, tuttavia, la scelta del legislatore di affidare ad una sanzione penale la protezione contro il latitante, regge alla prova di razionalità, arbitrarietà ed offensività, dato che qui la pericolosità sociale è concreta e rilevante, posto che il reo si sta sottraendo ad un mandato di cattura e/o di carcerazione e, soprattutto, è conclamata e valutata nel merito, per essere passata attraverso il vaglio del magistrato.

In definitiva: se dovessi scommettere i mei due cents, direi che la Corte abrogherà la norma. Ciò facendo darà una gran bella picconata all'impianto normativo anti-clandestini, che è essenzialmente ideologico e, quindi, assai poco tecnico ed assai poco utile.

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Commenti

Ci sono 27 commenti

 

Come noto, la legge individua i fatti che costuiscono reato e per i quali si può essere puniti. Rappresenta principio di civiltà per il nostro ordinamento, la circostanza per la quale ad essere puniti sono solo i fatti, le azioni, commesse dal reo e non i suoi pensieri, nè, tanto meno, il suo modo di essere. La legge, dunque, individua il fatto-reato e stabilisce una pena - fissata in un minimo ed un massimo - che può poi essere aumentata o diminuita sino ad un terzo, in presenza di circostanze che aggravano o attenuano il reato.

 

Sono d'accordo con la tua impostazione e spero anche io che la norma sia dichiarata incostituzionale. Vorrei tuttavia fare un po' l'avvocato del diavolo. Ora che esiste il reato di clandestinità (non so pero' se la norma è già operativa) lo status di "clandestino" potrebbe essere certificato da un magistrato (che emetterà la multa da 5 a 10 mila euro) e quindi avremmo una parificazione all'esempio che tu facevi con il latitante (che è un'aggravante). Avremmo quindi un "fatto" e non un modo di essere. Concretamente per applicare l'aggravante il giudice dovrebbe prima verificare se lo status di clandestino è già stato sanzionato. Non potrebbe applicare l'aggravante senza alcuna precedente sanzione, a meno che non sia il PM stesso, nell'ambito del procedimento (es: per rapina) a inserire anche l'imputazione per il reato di clandestinità. Non so se pero' le cose possono procedere parallelamente o se il processo per clandestinità va celebrato prima separatamente e deve essere una sentenza definitiva.

Ciao,
Francesco

 

(non so pero' se la norma è già operativa)

 

Non è stata ancora firmata dal Capo dello Stato, nè, tantomeno pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, trattandosi di un DDL e non di un Decreto Legge. Quindi, ad oggi, il reato di clandestinità non esiste.

Si deve vedere se, quando la Corte deciderà, il reato di clandestinità sia stato introdotto nel nostro ordinamento.

Ma anche in quel caso ci sono dei problemi, data la non retroattività della legge basta che io dichiari di essere presente in Italia già prima della data di entrata in vigore della legge (consiglio vivamente a tutti i clandestini che ci leggono di conservarsi gli scontrini del bar, vanno bene già quelli) e non sono passibile del reato di immigrazione clandestina.

Beh, se volevano distruggere l'ordinamento giudiziario in Italia, ovvero l'Amministrazione della Giustizia, questo è un bel passo avanti.

Comunque, anche secondo me, la Corte cancellerà quest'articolo.

 

Ma anche in quel caso ci sono dei problemi, data la non retroattività della legge basta che io dichiari di essere presente in Italia già prima della data di entrata in vigore della legge (consiglio vivamente a tutti i clandestini che ci leggono di conservarsi gli scontrini del bar, vanno bene già quelli) e non sono passibile del reato di immigrazione clandestina.

 

Come già approfondito in altro thread qui su NFA, ti informo che il reato di cui si discute non sanziona solo l'ingresso (che ha una data ben precisa) ma anche la permanenza sul patrio suolo. Bene che non sia ancora in vigore un simile obrobrio ma sta di fatto che chiunque sia entrato clandestinamente e non abbandoni l'Italia prima dell'entrata in vigore della legge sarà perseguibile per questo reato. Nel caso, ecco il testo che mi risulta essere quello approvato:

 

«Art. 10-bis. - (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato). – 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale.

 

Ora la logica umana (nel linguaggio anche giuridico) è sicuramente fallace (per dirla in termini tecnici: non è un sistema logico completo e coerente, vedi Gödel e dintorni) ma l'uso del termine "ovvero" mi fa pensare ad un "o" che è cosa diversa da "fa ingresso e si trattiene".

Se fosse "fa ingresso e si trattiene" la congiunzione "e" fa in modo che il trattenersi sia legato anche all'ingresso. Quindi se sono entrato prima dell'entrata in vigore della legge e da li' via mi sono trattenuto, non sono perseguibile in base alla logica della retroattività. Ma l'uso della logica .or. in luogo della .and. tramite quel "ovvero" ci pone in un ambito ben diverso.

Vedere:

a) "se uno passa col rosso e sputa in un occhio ad un vigile" è colpevole di ...
b) "se uno passa col rosso ovvero sputa in un occhio ad un vigile" è colpevole di ...

Ciao,
Francesco

 

 

 

 

chiunque sia entrato clandestinamente e non abbandoni l'Italia prima dell'entrata in vigore della legge sarà perseguibile per questo reato.

 

Mi sembra di capire dall'articolo che non sia necessario entrare clandestinamente per incorrere nel reato. Basta soggiornare clandestinamente. La distinzione e' importante visto che la maggioranza degli immigrati irregolari arrivano con regolari visti. Per il resto sono d'accordo.

 

l'uso del termine "ovvero" mi fa pensare ad un "o" che è cosa diversa da "fa ingresso e si trattiene".

 

Giusto.

Ma credo che quell'ovvero si riferisca a chi ha un decreto di espulsione, non a chi, genericamente extracomunitario, entra e si "trattiene". Quindi, credo, il ragionamento alla base non cambia.

Il cammino, con questa legge, dovrebbe essere:

1. Ingresso clandestino, ovvero mancante anche di un visto turistico, o genericamente sprovvisto di documenti: passibile del reato di "ingresso clandestino", ovviamente il reato dovrebbe essere contestato all'atto di ingresso, tipo un barcone che sbarca su una spiaggia.

2. Permanenza clandestina, ovvero colui è già sul territorio italiano, ed è stato colpito da un decreto di espulsione. Tutti gli altri sono difficilmente classificabili come "clandestini", occorrerebbe prima un decreto di espulsione, poi sarebbero "tecnicamente" dei clandestini. Mancando il decreto di espulsione e/o l'ingresso in data certa credo che nessun GIP convalidi l'arresto, manca il Decreto di espulsione, previsto dalla legge 68/2007.

Ma la fantasia è al potere...

Io inviterei a tenere distinti il reato di clandestinità, previsto dall'ultima legge appena approvata, dall'aggravente di clandestinità.

Anche se apparentemente simili, si tratta di questioni del tutto differenti.

Nel primo caso (il reato), a parte le più che fondate (a mio avviso) ragioni di opportunità per la sua introduzione, non mi pare che ci siano rischi di incostituzionalità. Il fatto che il legislatore decida di perseguire penalmente chi non rispetta le leggi relative all'ingresso e permanenza sul territorio nazionale, non mi pare questione che viola i principi della costituzione, dato che rientra nelle scelte - legittime - del potere legislativo, decidere la soglia di protezione della comunità dei cittadini, per esempio presumendo una potenziale pericolosità di chi non ha rispettato le leggi d'ingresso. Oltretutto, qui non si sanziona un modo di essere, ma un'azione bene precisa, l'ingresso o la illegale permanenza.

E' diverso il caso della aggravante. In questo caso le violazioni della costituzione sono plurime, come esposto nell'articolo e - soprattutto - non si può invocare la protezione dei cittadini. Come sottolineato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale,

 

spetta alla Corte procedere alla verifica dell'offensività «in astratto», acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo; esigenza che, nell'ipotesi del ricorso al modello del reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria,

 

Nel nostro caso, l'aggravante non regge alla verifica di offensività, razionalità ed arbitrarietà, dato che si rischia un aumento di pena sino ad un terzo per qualsiasi reato commesso, a fronte di un reato (la clandestinità) che viene ritenuto talmente poco pericoloso, da essere punito con una sanzione da 5.000 a 10.000 euro, vale a dire poco più che una multa per eccesso di velocità.

E ciò senza neppure considerare la violazione del principio di uguaglianza e della condanna per il modo di essere e non per il fatto commesso.

 

 

 

Io inviterei a tenere distinti il reato di clandestinità, previsto dall'ultima legge appena approvata, dall'aggravente di clandestinità.

Anche se apparentemente simili, si tratta di questioni del tutto differenti.

 

Concordo sul fatto che siano cose differenti ma direi che sono anche legate.
Se indossare una camicia gialla durante una rapina fosse un'aggravante, potremmo discutere a lungo dei pro e dei contro e dei perché ma se parallelamente un'altra legge dichiara che indossare camicie gialle è reato, ecco che ci avviciniamo alla quadratura del cerchio. La seconda legge, pur separata dalla prima, pur questione differenta, dà di fatto supporto all'aggravante.

Sul fatto che sul reato di clandestinità non sembrano emergere rischi di incostituzionalità non posso dire nulla, non essendo esperto in materia. Tuttavia ho delle perpessità di ordine generale, sulla validità del concetto, tanto che dubito che non sia stridente con la costituzione. Il fatto è che una delel poche cose che so è che tra pena e reato esiste uno stretto legame. Tanto che si definisce reato cio' per cui è prevista una pena. Ed è un concetto abbastanza universale il fatto che la pena estinge il reato. Tuttavia qui abbiamo il fatto che la pena (la multa da 5 a 10 mila euro) non sana e non estingue il reato. Uno paga la sua multa e poi rimane lo stesso clandestino. Segno che non vuiene colpito il "fatto" ma la condizione umana.

Esattamente la critica che tu fai all'aggravante di clandestinità.

Come vedi le questioni, pur differenti, sono intimamente legate.

Francesco

La Corte costituzionale ha abrogato la norma.

Così da Repubblica di oggi

 La Corte Costituzionale avrebbe deciso l'illegittimità dell'aggravante di clandestinità (pene aumentate di un terzo se a compiere un reato è un immigrato presente illegalmente in Italia) prevista dal primo 'pacchetto sicurezza' del governo 1, diventato legge nel luglio 2008. Ma dalla stessa Corte sarebbe venuto un sostanziale via libera alla legittimità del reato di clandestinità - punito con l'ammenda da 5mila a 10mila euro - introdotto dal secondo 'pacchetto sicurezza', nelluglio 2009 2

In pratica come dicevo in un commento qui sopra, 

 

occorre tenere distinti il reato di clandestinità, previsto dall'ultima legge appena approvata, dall'aggravente di clandestinità.

Anche se apparentemente simili, si tratta di questioni del tutto differenti.

Nel primo caso (il reato), a parte le più che fondate (a mio avviso) ragioni di opportunità per la sua introduzione, non mi pare che ci siano rischi di incostituzionalità. Il fatto che il legislatore decida di perseguire penalmente chi non rispetta le leggi relative all'ingresso e permanenza sul territorio nazionale, non mi pare questione che viola i principi della costituzione, dato che rientra nelle scelte - legittime - del potere legislativo, decidere la soglia di protezione della comunità dei cittadini, per esempio presumendo una potenziale pericolosità di chi non ha rispettato le leggi d'ingresso. Oltretutto, qui non si sanziona un modo di essere, ma un'azione bene precisa, l'ingresso o la illegale permanenza.

E' diverso il caso della aggravante. In questo caso le violazioni della costituzione sono plurime, come esposto nell'articolo

 

 

Insomma, la Corte ha dato l'ennesima occasione a Berlusconi per lamentarsi del fatto che non lo lasciano lavorare. Certo, il fatto che il suo "lavoro" possa violare la costituzione non lo sfiora neanche un po', ma d'altra parte la costituzione va buttata via quindi.....

Okkio Sabino. Se continui ad azzeccarle BS vedrà in te il grande vecchio (comunista) che influenza la suprema corte (cattocomunista) per far danno alle sue altrimenti grandiose politiche liberali.

Io asilo te lo do, in casa c'è posto, ma in 'merika, come sai, a far i notai non si campa bene ...

Come ha riferito sabino patruno, nel suo commento del 10 giugno scorso, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale, della cd. aggravante di clandestinità.

La Consulta, infatti, con sentenza 8 luglio 2010, nr. 249 , ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, tra le altre disposizioni, il numero 11-bis, dell'art. 61, Codice Penale.

L'art. 61, numero 11-bis, prevedeva, appunto, quale  "circostanza aggravante comune", la condizione di chi si trovasse, illegalmente, nel territorio dello Stato italiano.  Tale circostanza aggravante, però, ai sensi dell'art. 1, comma 1, Legge 15 luglio 2009, nr. 94, poteva riguardare soltanto:

- cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea;

                                     e

- apolidi

Come opportunamente ricordato da sabino patruno nel Post, la sentenza di cui qui si discute, non riguarda affatto il reato   - nella specie, contravvenzione - che, comunemente, è conosciuto come reato di clandestinità, ma che, il Legislatore, definisce come  "Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", previsto dall'art. 10-bis, comma 1, Decreto Legislativo 25 luglio 1998, nr. 286, nella versione introdotta dall'art. 1, comma 16, lettera a), Legge 15 luglio 2009, nr. 94.

La questione di legittimità costituzionale risolta dalla Corte, ha riguardato, invece, la sola "circostanza aggravante comune".

La sentenza, pertanto, non travolge il cd. reato di clandestinità, che è tuttora esistente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Posto qui per non sapere bene dove metterlo, anche se un po' off topic rispetto all'articolo.

Oggi il corriere fornisce un grafico interattivo con la composizione della corte costituzionale. Qui la visione d'insieme della città di nascita dei membri:

Città d'origine                    # membri

Napoli                                  4

Roma                                   3

Caserta                                2

Atripalda (Avellino)                 1

Brescia                                 1

Firenze                                 1

Salerno                                 1

Savona                                 1

Patti (Messina)                       1

totale                                         15

 

La cosa che mi ha stupito è che 8 membri su 15 della consulta sono nati in Campania (cercavo la percentuale della popolazione campana rispetto a quella italiana negli anni della loro nascita ma non l'ho trovata velocemente) . Dalle loro pagine di wikipedia non si riesce a capire se tutti hanno studiato giurisprudenza a Napoli o meno (penso la risposta sia affermativa: vista l'età dei membri, piu' o meno tutti hanno iniziato l'università nel primo dopoguerra,  e penso che la mobilità per studio fosse minore allora).

In ogni caso, lungi da me fare argomentazioni del tipo "la corte costituzionale è in mano ai meridionali", questo non m'interessa. Quello che voglio capire è come mai gli incentivi per studiare giurisprudenza prima, e fare il proprio mestiere in maniera eccellente poi (prerequisito penso per arrivare a far parte della consulta), siano così diversi fra i campani ed il resto d'Italia.

Oppure, ma qui non ho modo per verificare, la composizione geografica odierna è spuria, e ci sono state consulte con una composizione geografica più equa fra le regioni italiane.

Si tratta di un caso che riflette la tendenza generale della composizione geografica dei livelli dirigenziali dello Stato italiano. Ci sono degli studi statistici fatti nell'Universita' di Siena da cui risulta che ai livelli dirigenziali la componente geografica meridionale e' aumentata dal 50% circa del dopoguerra all'80% circa negli anni '90, e credo sia ancora in aumento.  Credo che una volta raggiunta la maggioranza assoluta si verifichi anche un effetto di traino dei compaesani.

Nel caso dei laureati in legge, sono piu' frequenti nel Sud ma non in misura tale da giustificare la composizione della Corte, per quanto so.  Oltre ad un maggior numero di laureati in legge in rapporto alla popolazione (dovuto a tradizione), al Sud e' anche molto piu' facile ottenere l'abilitazione nazionale, almeno fino a tempi molto recenti. Ma ritengo che anche tenendo conto dei diversi numeri di abilitati, non si possa spiegare con questo statisticamente la prevalenza meridionale e campana in particolare, che si spiega invece molto meglio nel contesto generale della meridionalizzazione dei segmenti direttivi dello Stato italiano e con la logica delle relazioni personali rinforzate da comuni appartenenze geografiche che prevale nel settore statale.

Per quanto riguarda la preminenza dei campani, e' un fatto che si verifica anche nel campo dei prefetti, e li' mi sembra riconducibile ad una lunga seguenza di ministri dell'interno campani (se ricordo bene tra gli altri Gava, Scotti, Mancino, Napolitano). Nelle Poste (specie ai tempi in cui erano piu' direttamente para-Stato) invece prevalevano i siciliani, perche' il ministero era tradizionalmente appaltato a ministri di origine siciliana.

Queste distorsioni "etniche" ai livelli dirigenziali dello Stato italiano non possono che contribuire al malfunzionamento dello stesso, perche' indicative di una logica di selezione dove il merito conta poco o nulla e le relazioni personali prevalgono.

 

Mi sembra si voglia dedurre troppo dai dati sulla composizione di QUESTA corte.

Sarebbe interessante:

- sapere, dalla prima costituzione dell Consulta in poi, la provenienza dei diversi giudici;

- distinguere i giudici anche in base alla nomina: come sapete, 5 sono eltti da altri magistrati, 5 sono nominati dal Parlamento e 5 dal Presidente della Repubblica. Soffrono tutti dello stesso, eventuale, bias?

- l'esame di Magistratura è nazionale (non èperò se è sempre stato così) e non basta essere laureati in legge per essere giudici.

Non so, questo per dire che 15 numeri mi sembrano proprio pochini per dire qualcosa.

 

La cosa che mi ha stupito è che 8 membri su 15 della consulta sono nati in Campania

e uno da Messina

4 su 5 di quelli nominati dalla Magistratura provengono dal sud , 3 dei 4 nominati da Ciampi ( che è del Centro ) , mentre la distribuzione geografica di quelli nominati dal parlamento è bilanciata

  
 

NASCITA/NOMINA

 
 

csx

 
 

cdx

 
 

ciampi

 
 

napolitano

 
 

magistratura

 
 

totale

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

nord

 
 

1

 
 

1

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

2

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

centro

 
 

 

 
 

1

 
 

1

 
 

1

 
 

1

 
 

4

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

sud

 
 

1

 
 

1

 
 

3

 
 

 

 
 

4

 
 

9

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

totale

 
 

2

 
 

3

 
 

4

 
 

1

 
 

5

 
 

15