L'assunzione degli insegnanti e la qualità delle scuole europee

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I rapporti OCSE-PISA mostrano che la qualità delle scuole europee varia enormemente di paese in paese. Da cosa dipende questa disparità? Tra gli elementi da tenere in considerazione ci sono senz'altro la formazione dei docenti, la loro valutazione e le modalità di assunzione, ma sono quest'ultime a costituire un discrimine particolarmente rilevante. Da un'analisi comparata infatti, emerge che i Paesi che lasciano alle loro scuole la possibilità di gestire il proprio personale autonomamente ottengono  risultati migliori.

Tra gli elementi che concorrono a determinare la qualità di un sistema scolastico ci sono sicuramente la modalità di accesso alla professione, la selezione del personale e la sua valutazione. Qui intendo mettere in parallelo gli approcci a tali questioni da parte dei Paesi europei e i loro risultati nella rilevazione OCSE-PISA del 2009, al fine di evidenziare come i sistemi di maggior successo siano quelli che permettono alle singole scuole o alle autorità educative locali (nella maggior parte dei casi municipali) di selezionare il proprio personale. E’ quest’ultimo aspetto che intendo approfondire particolarmente, mentre gli altri due li tratterò in maniera più sintetica o attraverso casi particolari, senza pretesa di completezza e al fine di illustrare meglio la questione dell’autonomia.

Ricordiamo innanzittto i risultati dei paesi europei coinvolti, gia' discussi su questo sito, con l’indicazione dei punteggi nei tre macro-indicatori (il rapporto linkato in fondo all'articolo).

 

 

 
 

LETTURA

 
 

MATEMATICA

 
 

SCIENZA

 
 

TOT.

 
 

 

 
 

FINLANDIA

 
 

536

 
 

541

 
 

554

 
 

1631

 
 

1

 
 

OLANDA

 
 

508

 
 

526

 
 

522

 
 

1556

 
 

2

 
 

SVIZZERA

 
 

501

 
 

534

 
 

517

 
 

1552

 
 

3

 
 

ESTONIA

 
 

501

 
 

512

 
 

528

 
 

1541

 
 

4

 
 

GERMANIA

 
 

497

 
 

513

 
 

520

 
 

1530

 
 

5

 
 

BELGIO

 
 

506

 
 

515

 
 

507

 
 

1528

 
 

6

 
 

ISLANDA

 
 

500

 
 

507

 
 

496

 
 

1503

 
 

7

 
 

POLONIA

 
 

500

 
 

495

 
 

508

 
 

1503

 
 

8

 
 

NORVEGIA

 
 

503

 
 

498

 
 

500

 
 

1501

 
 

9

 
 

UK

 
 

494

 
 

492

 
 

514

 
 

1500

 
 

10

 
 

DANIMARCA

 
 

495

 
 

503

 
 

499

 
 

1497

 
 

11

 
 

SLOVENIA

 
 

483

 
 

501

 
 

512

 
 

1496

 
 

12

 
 

IRLANDA

 
 

496

 
 

487

 
 

508

 
 

1491

 
 

13

 
 

FRANCIA

 
 

496

 
 

497

 
 

498

 
 

1491

 
 

14

 
 

UNGHERIA

 
 

494

 
 

490

 
 

503

 
 

1487

 
 

15

 
 

SVEZIA

 
 

497

 
 

494

 
 

495

 
 

1486

 
 

16

 
 

REP. CECA

 
 

478

 
 

493

 
 

500

 
 

1471

 
 

17

 
 

PORTOGALLO

 
 

489

 
 

487

 
 

493

 
 

1469

 
 

18

 
 

LETTONIA

 
 

486

 
 

482

 
 

494

 
 

1462

 
 

19

 
 

AUSTRIA

 
 

470

 
 

496

 
 

494

 
 

1460

 
 

20

 
 

ITALIA

 
 

486

 
 

483

 
 

489

 
 

1458

 
 

21

 
 

SLOVACCHIA

 
 

468

 
 

497

 
 

490

 
 

1455

 
 

22

 
 

SPAGNA

 
 

481

 
 

483

 
 

488

 
 

1452

 
 

23

 
 

LITUANIA

 
 

468

 
 

477

 
 

491

 
 

1436

 
 

24

 
 

CROAZIA

 
 

476

 
 

460

 
 

486

 
 

1422

 
 

25

 
 

GRECIA

 
 

483

 
 

466

 
 

470

 
 

1419

 
 

26

 
 

BULGARIA

 
 

429

 
 

428

 
 

439

 
 

1296

 
 

27

 
 

ROMANIA

 
 

424

 
 

427

 
 

428

 
 

1279

 
 

28

 

'<h' . (('3') + 1) . '>'La formazione degli insegnanti'</h' . (('3') + 1) . '>'

Un solo elemento sembra essere ormai comune e pacifico a quasi tutti i sistemi europei: per diventare insegnanti è necessario seguire un percorso di formazione universitaria specializzata e caratterizzante, di livello generalmente, ma non sempre, magistrale. Ogni paese ha titoli e procedure particolari che formano insegnanti adatti alle diverse articolazioni del sistema scolastico, ma in virtù del trattato di Bologna, che incentiva e richiede una convergenza generale dei diversi sistemi educativi (università compresa), tutti questi sistemi sono ora confrontabili e, più importante ancora, mutualmente riconosciuti (anche se ogni burocrazia nazionale reagisce in tempi e modi diversi alle richieste). L’unica vera eccezione è la Francia con i suoi sistemi concorsuali, che selezionano chi ha diritto ad accedere, a posteriori, alla formazione professionale[2]. Tale era la situazione anche in Italia prima della creazione della SSIS, la cui peculiarità risiedeva invece nel prevedere un biennio di studio dopo la laurea magistrale, ponendosi quindi quasi a livello di un dottorato. La SSIS in ogni caso ora è chiusa e le lauree magistrali corrispondenti non sono ancora partite. La Grecia possedeva un doppio canale concorso-graduatorie simile a quello italiano, ma ora si affida soltanto ai concorsi nazionali.

Nel resto d’Europa il percorso per abilitarsi raramente è unico: praticamente ogni paese offre sia corsi univeritari sia la possibilità a studenti già laureati di seguire corsi professionalizzanti (soprattutto con tirocini). Ovviamente delle differenze rimangono. In Olanda, ad esempio, ai professori delle scuole secondarie inferiori e delle scuole professionali è richiesta solo una laurea breve, mentre la Finlandia richiede una laurea magistrale anche per l’insegnamento alle elementari, ma, al di là di queste differenze ed eccezioni, bisognerà notare che il trattato di Bologna ha ottenuto, o sta ottenendo, i risultati che si prefigurava. Ogni abilitazione assume oggi un valore ipso facto europeo ed è ormai diventata di senso comune l’idea che l’insegnante sia una figura professionale particolare e specifica, e non semplicemente un cultore della materia.

'<h' . (('3') + 1) . '>'L'assunzione degli insegnanti'</h' . (('3') + 1) . '>'

I modi di entrata nella professione variano sensibilmente di Paese in Paese. Qui di seguito descrivo le procedure di assunzione nelle scuole statali prima nei Paesi di alta classifica, poi in quelli di coda.

'<h' . (('4') + 1) . '>'1) I paesi migliori'</h' . (('4') + 1) . '>'

In Finlandia le assunzioni vengono decise dalle singole scuole e dalle autorità locali che le governano (i comuni). Le modalità di selezione vengono decise a livello locale, anche se il possesso all’abilitazione all’insegnamento è obbligatorio. I posti vengono banditi sui media.

In Olanda sono, allo stesso modo, le scuole a bandire i posti, per i quali gli insegnanti sono liberi di presentare domanda. A gestire le assunzioni (e la scuola nel suo complesso) è il consiglio scolastico, responsabile anche per l’aggiornamento dei docenti, con fondi specifici che gestisce in autonomia (l’”autonomia” è un concetto centrale nell’impostazione educativa olandese). Le scuole pubbliche, in ogni caso, dipendono dai consigli municipali, mentre stipendio e inquadramento sono nazionali.

In Svizzera la situazione è difficile da rendere in un quadro sintetico, data l’autonomia di cui gode ogni cantone, ma in generale i posti vengono banditi con annunci su giornali o siti specializzati[3]. L’assegnazione di questi posti viene gestita, a seconda dei casi, dalle scuole, dai comuni o dai cantoni stessi.

In Estonia l’assunzione del personale è demandata ai consigli delle scuole che organizzano i concorsi per i posti vacanti, cui può partecipare ogni aspirante in possesso dei titoli.

La Germania, invece, lascia ai singoli Laender la gestione dei sistemi educativi. Le assunzioni non vengono gestite dalle scuole, bensì dal Ministero o dall’autorità cui fanno capo le scuole pubbliche. In alcuni Laender si tiene conto del profilo della scuola nella quale viene bandito il posto, ma nondimeno la decisione finale spetta all’Amministrazione, non alla scuola.

In Belgio le scuole dipendono dalle tre diverse comunità, fiamminga, francese e tedesca anche se lo status giuridico degli insegnanti e le progressioni di carriera sono uguali in tutto il paese. Nella comunità francese l’assuzione è demandata alle “autorità organizzative[4], che possono essere, a seconda del tipo di scuola, il ministero, le province o i comuni. Viene comunque richiesto il parere dei presidi, che viene tenuto in un certo conto. Nella communità tedesca le autorità competenti sono il ministero, per le scuole che ne dipendono, oppure le nove province in cui è divisa la comunità. Nella communità fiamminga le autorità competenti, secondo un modello che un rapporto OCSE definisce “altamente decentralizzato”[5], sono i consigli scolastici. Lo stesso rapporto sottolinea come il coinvolgimento del preside nella scelta degli insegnanti da assumere sia uno strumento efficace per venire incontro alle esigenze didattiche.

L’Islanda è un paese forse troppo piccolo per fornire un campione statisticamente paragonabile alle altre nazioni, ma, in ogni caso, il suo sistema di assunzione è aperto e bandito dai comuni al fine di coprire specifici posti rimasti scoperti.

In Polonia, dove pure vi sono progressioni di carriera strutturate in maniera relativamente standardizzata, l’assunzione è aperta a chiunque possieda i titoli necessari ed è gestita direttamente dal preside della scuola.

Il sistema attualmente in vigore in Norvegia prevede che ad assumere gli insegnanti siano i “proprietari” della scuola: nel caso della scuola secondaria inferiore (frequentata dai quindicenni della rilevazione PISA) i comuni, mentre la secondaria superiore è gestita dalle contee. Le scuole preparano graduatorie, basate su titoli, voti ed anni di servizio, in cui vengono inseriti tutti i candidati che si presentano per il posto, di cui vengono a conoscenza attraverso giornali e bollettini. Le scuole possono stabilire aumenti salariali al fine di attrarre insegnanti particolarmente qualificati.

Nel Regno Unito il sistema educativo è devoluto a Galles, Scozia, Inghilterra ed Irlanda del Nord, ma in tutto il paese le scuole pubblicizzano liberamente i loro posti vacanti su numerosi siti (sia pubblici che privati), gestendo in proprio la selezione e l’assunzione del personale

In definitiva, in quasi tutti questi paesi, sia pure in maniere diverse e con l’importante eccezione della Germania, le scuole godono di grande autonomia e sono le prime responsabili della scelta del proprio personale docente[6]. Ognuno dei sistemi qui descritti impone, nel riconoscere agli insegnanti lo status di insegnante abilitato, dei requisiti minimi comuni che assicurino una coerenza di fondo al sistema scolastico, ma nelle procedure di assunzione assume una importanza particolare anche il curriculum personale del docente, cui viene chiesto, in sostanza, di essere in grado di affrontare la situazione specifica in cui si troverà ad operare.

Il Belgio infine presenta una situazione abbastanza particolare dovuta alla sua struttura statale, e potrebbe addirittura costituire una conferma indiretta: già nel 2006, uno specifico rapporto PISA aveva annotato la maggiore  efficienza e la maggiore decentralizzazione del sistema fiammingo[7].

'<h' . (('4') + 1) . '>'2) I paesi peggiori'</h' . (('4') + 1) . '>'

Si prendono qui in considerazione i paesi dal Portogallo in giù[8].

L’Austria ha un sistema basato sulle province (Laender) ma in cui anche i ministeri gestiscono alcune scuole. Le domande per i posti liberi resi noti vanno inviati o alle autorità federali o al consiglio scolastico provinciale. Il primo contratto è generalmente a tempo determinato, ma, se si supera la valutazione finale, il contratto può essere perfezionato e si entra nell’impiego statale.

In Spagna l’assuzione degli insegnanti è all’interno del sistema del pubblico impiego, che viene gestito dalle Comunità Autonome (Catalogna, Andalusia, Castiglia e Leon, ecc.). L’accesso all’insegnamento non avviene presso le scuole ma negli organismi che raggruppano i diversi ordini di insegnanti (primari, secondari, cattedratici), cui si accede per concorso. I posti liberi vengono coperti attraverso trasferimenti e sono le Comunità Autonome a gestire il personale educativo nella loro giurisdizione.

In Portogallo l’accesso è per concorso nazionale, organizzato al fine di riempire i posti liberi nelle graduatorie scolastiche o di gruppi di scuole. Per accedere al concorso vi è un modulo elettronico da riempire in cui si indicano titoli, voti, servizio e valutazioni.

In Grecia il sistema è ora per concorso nazionale. Fino a pochi anni fa il 60% dei posti invece veniva assegnato in base ai concorsi banditi dal Comitato Supremo per la Selezione del Personale, per il 40% dalle graduatorie dei supplenti, che ricevevano un punteggio per titoli e servizio (valutati anche attualmente tra i titoli del concorso). Il sistema prevede punti per lauree ulteriori e dottorati. Nel documento europeo vengono anche menzionati i prerequisiti per gli insegnanti stranieri. Tra questi, piuttosto surrealmente, c’è la nazionalità greca[9].

L’Italia al momento ha il noto doppio canale (che anche i Greci hanno abbandonato): 50% di posti ai vecchi concorsisti (con l’ultimo concorso risalente al 1991 e mai dichiarato esaurito), 50% alle graduatorie SSIS.

In conclusione, nella maggior parte di questi Paesi non vi è una connessione diretta tra assunzione e scuola: insegnante ed istituto si “incontrano” a posteriori, a seguito di procedure “di massa” gestite non dalle singole scuole sulla base dei curricula dei singoli insegnanti, ma dall’amministrazione pubblica, sulla base di automatismi burocratici. Vi sono sistemi aperti nella bassa classifica, ma i loro scarsi risultati forse dipendono da altro. La Slovacchia e la Bulgaria hanno infatti un sistema di assunzione gestito direttamente da scuole e presidi, ma con risultati molto poveri. La prima e più evidente causa di tali risultati però sembrerebbe essere la povertà degli investimenti di questi paesi, che per la Slovacchia ammontano ad un magro 2,5% di un Pil già abbastanza povero (media OCSE 3,4%[10] -dati non disponibili per la Bulgaria)[11].

'<h' . (('4') + 1) . '>'3) La Francia'</h' . (('4') + 1) . '>'

Cito separatamente la Francia[12] perché è il Paese che il sistema centralizzato lo ha praticamente inventato, ai tempi di Napoleone, ed è il paese dove funziona meglio (si consideri che la Germania, che pure non ha un sistema school-based, è pur sempre un paese federale). Gli insegnanti di scuola primaria vengono gestiti attraverso gli uffici del dipartimento (istituzione territoriale paragonabile alle nostre province) che gestiscono nomine in ruolo, trasferimenti e promozioni. Gli insegnanti di scuola secondaria, invece, sono gestiti da tre figure: il ministro, il suo rappresentante regionale (il recteur acapo di una delle académies, ovvero le 28 istituzioni regionali del Ministero dell’Istruzione) e dal preside, che è coinvolto nel processo delle promozioni. Entrambi i tipi di insegnanti vengono assunti per concorso nazionale, mentre i trasferimenti sono gestiti in maniera computerizzata (con l’ispecteur d’academie responsabile per gli insegnanti di scuola primaria e il recteur per quelli di scuola secondaria).

'<h' . (('3') + 1) . '>'I sistemi di valutazione'</h' . (('3') + 1) . '>'

Tutti i paesi presi in considerazione hanno forme di controllo e valutazione del sistema scolastico. Principi, modi e finalità però variano enormemente. Qui accenno soltanto ad alcuni di questi sistemi, anche perché in questa sede è impossibile valutare concretamente il reale impatto che il controllo qualitativo ha sulle scuole (cfr. le conclusioni).

'<h' . (('4') + 1) . '>'1) I paesi migliori'</h' . (('4') + 1) . '>'

La Finlandia ha uno dei sistemi piu’ informali, basato in primo luogo sull’autovalutazione interna, in cui viene discusso il raggiungimento o meno degli obiettivi che la scuola si è data coerentemente con gli indirizzi nazionali. La valutazione esterna è gestita da enti di livello regionale e nazionale. A livello nazionale la valutazione è vista come un sistema di raccolta dati tali da fornire ai decisori una base solida di intervento.

L’Olanda e ilRegno Unito hanno invece un sistema ispettivo strutturato a livello ministeriale. Tutte le scuole vengono valutate dall’Ispettorato del Ministero nel giro di 4 e 3 anni rispettivamente i rapporti sono pubblici. Non c’è una valutazione specifica per insegnanti, ma i rapporti sulle scuole sono dettagliati e possono individuare problemi nella didattica. Le scuole riconosciute in difficoltà sono esaminate piu’ frequentemente, e se non migliorano possono essere presi, come extrema ratio, provvedimenti di tipo finanziario. Lo spirito fondamentale dichiarato, però, non è di punire, bensì di aiutare e accompagnare le scuole in difficoltà (i due sistemi appaiono abbastanza simili).

In Estonia l’autovalutazione interna è obbligatoria e si basa su indicatori ministeriali (può anche essere richiesto un consulente ministeriale). I risultati sono parzialmente accessibili via internet. Valutazioni esterne vengono fatte a diversi livelli dell’amministrazione (dalle istituzioni governative ai comuni), mentre il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca si occupa di volta in volta di problemi specifici (ad es. l’abbandono scolastico). Ogni anno il 10% delle istituzioni educative viene esaminato.

In Norvegia responsabile per le ispezioni è, a livello nazionale, il Direttorato per l’Istruzione e la Formazione. Molta importanza viene data all’autovalutazione. Ogni anno gli studenti di determinati anni scolastici vengono sottoposti ad una prova paragonabile a quella dell’Invalsi in Italia.

Nella comunità francese del Belgio[13] (pp. 340), le autorità organizzatrici producono annualmente un rapporto su ogni scuola che amministrano. Un servizio di ispettorato esterno è stato creato nel 2007. In quella fiamminga (pp. 360/61) opera un ispettorato con ampi poteri non solo di controllo e coordinamento, ma anche consultivi. La comunità tedesca (pp. 165/67) richiede una valutazione sia interna che esterna, ma quella esterna, ogni cinque anni, non è portata avanti da un organismo autonomo (inutile, a fronte del piccolo numero di scuole coinvolte), ma da esperti delle diverse istituzioni nominati ad hoc.

'<h' . (('4') + 1) . '>'2) I paesi peggiori'</h' . (('4') + 1) . '>'

In Spagna[14] l’autovalutazione annuale, obbligatoria, viene espressa in un rapporto annuale da sottoporre all’assemblea dei docenti e al consiglio scolastico (p. 369). La valutazione esterna invece coinvolge diverse istituzioni (p.361). Quella di carattere più generale è demandata all’Istituto di Valutazione del Ministero, che ha emesso la sua ultima valutazione nel 2001. Vi è anche l’Alta Ispezione Educativa, che è statale. Gli ispettori, infine, supervisionano e monitorano il funzionamento delle istituzioni educative, supervisionandone le attività didattiche e assicurandosi che le disposizioni di legge siano rispettate. Forniscono poi rapporti alle autorità competenti. Anche le Comunità Autonome hanno poteri ispettivi.

In Portogallo la valutazione interna è obbligatoria e autonoma (pp. 226/227),  mentre i professori vengono esaminati ogni due anni sulla base del lavoro svolto (pp. 227/228). La valutazione esterna (pp.228/229) è portata avanti, oltre che da altri uffici, dal Ministero e  dall’Ispettorato Generale, le cui analisi sono usate nella stipula delle convenzioni tra scuole e Ministero. Esistono anche un Gabinetto di Valutazione Educativa, con funzioni di pianificazione e coordinamento, e un Consiglio Nazionale per l’Educazione che supervisiona metodi e norme usati nella autovalutazione. I dati sul tasso di successo degli studenti sono raccolti e pubblicati dall’Ispettorato Generale (p.231).

In Grecia la autovalutazione delle scuole è portata avanti da una commissione  interna di insegnanti, mentre per la valutazione esterna vi è una serie di uffici scolastici prefettizi, regionali e nazionali che presentano i loro rapporto ai rispettivi livelli superiori dell’amministrazione. Vi è una valutazione dei singoli insegnanti ma su base regolare, ma solo per situazioni particolari, come le promozioni.

In Italia la valutazione è affidata all’Invalsi, i cui dati disaggregati non sono resi noti. Gli ispettori intervengono solo su chiamata, in casi eccezionali.

'<h' . (('4') + 1) . '>'3) La Francia'</h' . (('4') + 1) . '>'

In Francia, coerentemente con l’approccio verticistico, la valutazione è affidata ai Recteur d’académie, con cui operano le corrispondenti sezioni del sistema ispettivo generale (p. 206[15]). Gli studenti (p. 210) vengono sottoposti, a scadenze regolari nella loro carriera scolastica, a test standardizzati volti ad evidenziare il loro livello di preparazione e le loro possibili lacune, specialmente in matematica, nella lettura e nella produzione scritta. I singoli insegnanti vengono esaminati, tutti, in un ciclo di circa 6 o 7 anni (vi è un ispettore ogni 400 insegnanti circa, ma il rapporto, o quanto meno la durata del ciclo, sta diminuendo, p.178).

'<h' . (('3') + 1) . '>'Conclusioni'</h' . (('3') + 1) . '>'

In che modo i tre ambiti qui presi in considerazione, formazione-assunzione-valutazione, determinano delle differenze nei diversi sistemi scolastici? La formazione è ormai avviata su un binario comune e non sembra quindi poter essere responsabile di grandi differenze tra paese e paese.

La valutazione sembra essere diffusa ovunque ma è, come s’è già detto, tutt’altro che uniforme o coordinata. Il paese di gran lunga migliore, la Finlandia, ha un sistema di valutazione formalmente piuttosto lasco. Spagna, Portogallo e Grecia invece sembrano avere una pletora di organismi valutativi, ma i risultati nell’OCSE-PISA sono modesti. Per quanto ci si sia basati su documenti ufficiali, non credo si possa qui capire davvero quale sia il peso reale delle valutazioni: un rapporto, una volta stilato, può diventare indifferentemente una ulteriore scartoffia oppure una base di riflessione seria a seconda del modo in cui è scritto (ed accolto dalle autorità competenti). E’ probabile però che la valutazione abbia meno peso là dove la gestione della scuola è poco autonoma e molto standardizzata, poiché là dove non c’è possibilità di scegliere non c’è neanche la possibilità di sbagliare o correggere: la valutazione finisce facilmente per ridursi ad certificato di conformità.

Discrimine molto piu’ stringente sembra essere quello dei principi di assunzione. Ad eccezione della Germania e, in parte, del Belgio, tutti i sistemi migliori sono centrati sulla scuola (nell’ambito peraltro di una piu’ ampia autonomia) piu’ che sulle amministrazioni generali. In questi sistemi l’offerta scolastica e le sue modalità (sia pure, ovviamente, all’interno di quadri statali unici) possono adattarsi efficacemente alla realtà del territorio, alle sue esigenze, appoggiandosi ai suoi punti di forza ed intervenendo su quelli di debolezza. Gli insegnanti, dal momento che il sistema è aperto, si muovono con margini di libertà impensabili per i colleghi inseriti in graduatorie e liste territoriali. Le scuole hanno organigrammi molto piu’ stabili e “mirati” nei sistemi aperti: l’assunzione è intimamente legata alle particolari necessità della scuola in cui andrà a lavorare la persona assunta. Nei sistemi aperti, privi di graduatorie che inevitabilmente restringono il tipo e il numero di titoli presentabili (riducendoli ad una serie più o meno lunga di elementi inevitabilmente standardizzati), sono valorizzabili anche aspetti difficilmente formalizzabili: capacità attitudinali e di relazione, esperienze formative informali e tutto quello che attiene all’ esprit de finesse in senso generale.

Graduatorie, liste e concorsi nazionali, infine, sembrano proprio essere invece la caratteristica costante dei sistemi scolastici di minor successo. Ovviamente non sono questi gli unici elementi da tenere in considerazione (finanziamenti, ordinamento scolastico, numero e tipo di cicli sono tutti elementi che influenzano il successo scolastico) ma la corrispondenza è evidente, come anche notato in sede PISA[16]. La standardizzazione dei processi di assunzione viene spesso vista come una garanzia di equanimità ed obiettività, ma evidentemente non permette né di venire incontro alle esigenze delle scuole né di valutare compiutamente le capacità degli insegnanti, non riducibili ad un dato numerico o ad un certificato.



 

[1]PISA 2009 Results:What Students Know and Can Do, Student Performance in Reading, Mathematics and Science, Vol I, p. 15

 

 

[2] Per i professeurs d’ecoles la fonte è il sito del ministero: www.education.gouv.fr/cid1052/professeur-des-ecoles.html

 

 

[3] a p. 25 del rapporto in tedesco per Eurydice ricavabile presso http://www.edk.ch/dyn/12961.php. La versione on-line su Eurypedia/Eurydice non è ancora pronta.

 

 

[4] Lessard, Santiago, Hansen, Kucera Attracting, Developing and Retaining Effective Teachers, The French Community of Belgium, a report for the OCSE, 2004 p. 13. I rapporti Eurypedia per le tre comunità belghe non sono ancora disponibili.

 

 

[5] Mc Kenzie, Emery, Santiago, Sliwka Attracting, Developing and Retaining Effective Teachers, The Flemish Community of Belgium 2004, a report for the OCSE. p. 11

 

 

[6] Se prendessimo in considerazione solo i Paesi UE, nella “Top Ten” entrerebbero anche Danimarca e Slovenia, che hanno sistemi school-based.

 

 

[7] Cfr. Pisa 2006: Sciences Competencies for Tomorrow world, OECD Briefing Note for Belgium/Europe

 

 

[8] I Paesi qui non menzionati non hanno ancora inserito i loro dati su Eurydice: Lettonia, Lituania, Croazia e Romania.

 

 

[9] “3) the Greek nationality is a prerequisite for foreigners from countries outside the E.U.”

 

 

[11]Hanushek, Link, Woessmann 2004 sostengono che l’autonomia sia un fattore negativo nei paesi in via di sviluppo.

 

 

[12] Cfr. n. 14 per il rapporto 2008/09, che sopperisce alla mancanza della pagina aggiornata.

 

 

[13] La nuova pagina Eurydice non è stata ancora pubblicata dal Belgio. Si rimanda ai vecchi rapporti del 2008/09, reperibili qui. Le pagine citate rimandano ai rapporti delle rispettive comunità.

 

 

[14] Anche Spagna e Portogallo non hanno aggiornato la loro pagina. Il rapporto 2008/2009 è qui. Le pagine sono riferite a questi rapporti.

 

 

[15] Anche la Francia non ha aggiornato la sua pagina. Il rapporto 2008/2009 è qui. Le pagine sono riferite a questo rapporto.

 

 

[16] Pisa at Glance 2009 p. 84

 

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Commenti

Ci sono 68 commenti

 

In Svizzera la situazione è difficile da rendere in un quadro sintetico, data l’autonomia di cui gode ogni cantone, ma in generale i posti vengono banditi con annunci su giornali o siti specializzati[3]. L’assegnazione di questi posti viene gestita, a seconda dei casi, dalle scuole, dai comuni o dai cantoni stessi.

 

in effetti un quadro generale è difficile perché varia di cantone in cantone tuttavia di norma:
Per la scuola primaria, la responsabilità è dei comuni (da soli se grandi o riuniti in distretti/consorzi se piccoli e sparpagliati in territori montani). Per responsabilità intendo chi paga lo stipendio. Poi la decisione operativa su chi assumere o licenziare puo' essere del comune o della singola direzione scolastica ma difficilmente uno si mette contro l'altra o viceversa.

per la scuola secondaria e l'istruzione terziaria la responsabilità totale è dei cantoni, salvo i due politecnici di zurigo e losanna che dipendono giuridicamente dal livello federale (ma hanno la loro autonomia su chi assumere e come assumere).

La formazione professionale invece è regolata dal diritto federale e demandata ai cantoni, in completa autonomia.

Da notare che non esiste un ministero dell'istruzione a livello federale (eppure la posizione PISA è la terza) ma solo un cordinamento orizzontale tra i cantoni.

 

Grazie della precisazione! In realtà ogni paese meriterebbe molto più spazio...

A me personalmente, comunque, piace molto l'idea che un sistema d'istruzione non abbia bisogno, per essere valido, di imporre a tutti lo stesso programma (per cui Manzoni diventa praticamente un obbligo di leva per i 15enni, tanto per fare l'esempio più illustre). Certo, la Svizzera si può permettere molto, in termini di risorse, però il principio rimane.

 

Vorrei aggiungere un altro dato, anche se aneddotico, sulla differenza tra scuole svizzere (ai vertici delle classifiche PISA) e scuole francesi (invece mediocri). Avendo vissuto un po' di tempo sul confine tra Svizzera e Francia ho appreso dai residenti che le scuole vengono gestite dai due Paesi con significative differenze.

Nella Svizzera l'impostazione della Scuola la definirei "democratica", "no one left behind", orientata piu' a dare formazione civica e coesione sociale, con moderazione sulle differenze meritocratiche tra gli alunni. In Svizzera sono scoraggiate le famiglie che vogliono iscrivere i bambini alle elementari con un anno di anticipo, anzi c'e' una specie di pre-esame prima delle elementari in base al quale specie i bambini anagraficamente piu' giovani (nati nell'ultima parte dell'anno) possono essere invitati a ritardare di un anno l'ingresso.

In Francia invece non ci sono controlli, chi desidera puo' anticipare le elementari, la scuola tende ad essere nozionistica ma molto meritocratica. Chi e' bravo a scuola viene incentivato e premiato, mentre in Svizzera c'e' piu' attenzione a non amplificare le differenze.

E' interessante che il risultato PISA favorisca la Svizzera. Va aggiunto che presumo (ma non conossco i dati quantitativi) che probabilmente il processo di alfabetizzazione e' stato piu' precoce in Svizzera, che per il 50% ha aderito alla Riforma.

La SSIS in ogni caso ora è chiusa e le lauree magistrali corrispondenti non sono ancora partite.


Soltanto una piccola precisazione che non vuole assolutamente essere pedante

Le lauree magistrali a vocazione didattica e ad accesso programmato non saranno il sostituto della SSIS.
Infatti, benché siano correntemente qualificate "abilitanti", esse dovranno essere coronate da un Tirocinio Fomativo Attivo di durata annuale (3+2+1), questo sì abilitante e comparabile alla SSIS. Mentre la prima bozza del regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti prevedeva che almeno le lauree magistrali per l'insegnamento nella secondaria di primo grado fossero effettivamente abilitanti (si intoduceva una divaricazione e una differenziazione nei percorsi afferenti ai due diversi gradi), la redazione definitiva del tormentatissimo DM 249/10 ha differito il conseguimento dell'abilitazione al passaggio successivo, come per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento nella secondaria di secondo grado.

Non è così riuscito l'abbreviamento del percorso. Di fatto si realizza un ibrido tra modello simultaneo e modello consecutivo. In Italia l'unico corso di laurea abilitante (modello simultaneo), all'insegnamento nella scuola dell'infanzia e primaria, resta Scienze della formazione primaria, che, nel contesto della medesima riforma che ha interessato la secondaria, è passato da quattro a cinque anni ed è rimasto a ciclo unico,  ed è stato effettivamente attivato nel corrente a.a.

E' vero che effettivamente non sono ancora partite le lauree magistrali riformate per l'insegnamento nella secondaria, ma quelle per la secondaria di primo grado sono almeno state istituite nel DM 249, mentre quelle per la secondaria di secondo grado non esistono neppure in sogno. L'eventuale attivazione dei corsi di laurea istituiti nonché il ripristino del canale abilitante, dopo una sospensione di ormai quattro anni, sono demandati a Profumo (considerati tutti gli adempimenti richiesti e le feroci guerre accesesi intorno, il tutto partirebbe comunque, quand'anche ve ne fosse la volontà, ad anno accademico inoltrato).

Una curiosità: il corrente a.a. è il primo, per quanto mi consta, in cui, per decreto, in Italia non è stato possibile immatricolarsi ad alcun corso di laurea che permetta di aspirare all'insegnamento nella secondaria: infatti il DM 249 traccia una cesura netta tra il vecchio sistema e quello futuribile. Anche i corsi di laurea tradizionalmente orientati all'insegnamento stanno nel limbo: attualmente non hanno sbocco, non essendo più loro riconosciuto valore legale per l'insegnamento.


Articolo interessante.

In un recente incontro con un'associazione di genitori Profumo ha dichiarato di condividere i tre concetti cardine presentatigli come ipotesi programmatica: autonomia, responsabilità valutazione.

 

Complimenti a Rocchi per l'articolo.

Vorrei però chiedere una cosa, magari sbaglio ma pare che i contenuti di questo articolo riguardano come è organizzata la scuola a livello giuridico, però non si riesce a vedere poi se e come vengono applicate le leggi esposte.

Interessante la disamina dei sistemi di reclutamento in Europa, però, senza polemica, mi sfugge il modo con il quale si sostiene la tesi dell'articolo. Quello che vedo è una lista di medie nazionali (eppure i dati individuali ci sono e non dovrebbe essere difficile reperirli) che mostrano come in una serie di paesi (i quali hanno ovviamente una miriade di peculiarità, non solo le modalità di reclutamento delle scuole) ci siano risultati migliori che in altri. Bon, prendo atto, ma la relazione tra, ad esempio, procedure di assunzione e outcome nei test PISA, così com'è, non è difendibile, IMHO. Forse due controlli avrebbero contribuito a rendere l'argomento un po' più solido.

Sono convinto anche io che ci siano tante altre variabili da tener presente (e lo dico chiaramente nell'articolo), né sostengo che la correlazione sia cogente al 100%.

A costo di dar l'impressione di buttarla in caciara, la cronaca proprio ieri m'è venuta in soccorso con un esempio estremo: Scattone, l'assassino di Marta Russo, insegna nel liceo che lei aveva frequentato  (ma se fosse un altro sarebbe lo stesso).

Il giudice non ha ritenuto di vietargli l'accesso ai pubblici uffici e ora al Liceo Cavour c'è un prof. di filosofia il cui curriculum si riassume così: filosofo, ricercatore, docente e assassino. E non ci sono santi, nessuno ci può fare niente, perché gli ingranaggi del sistema non possono essere fermati: gli automatismi vanno fino in fondo.

Questo influisce o no sulla qualità della scuola? Il caso è così estremo da poter sembrare un'eccezione non probante, ma in realtà è esemplare...

Ma "enormemente" non e' una parola un po' grossa considerando che tutta l'Europa occidentale, con l'esclusione della Finlandia, si trova in un intervallo largo 0.6 deviazioni standard ?

Tra l'altro per l'Italia la vedo dura utilizzare le modalita' di assunzione come variabile esplicativa, dato che sono le stesse in tutto lo Stato, ma i risultati PISA-OCSE a livello delle regioni italiane variano in un intervallo piu' ampio della 0.6 in cui varia l'intera Europa occidentale.

 

L'osservazione è perfettamente pertinente, però il sistema, in astratto unico, in pratica può rivelarsi eterogeneo: le sue diverse declinazioni possono risentire di fattori contestuali come il diverso grado di selettività.

 

 

Tra l'altro per l'Italia la vedo dura utilizzare le modalita' di assunzione come variabile esplicativa, dato che sono le stesse in tutto lo Stato, ma i risultati PISA-OCSE a livello delle regioni italiane variano in un intervallo piu' ampio della 0.6 in cui varia l'intera Europa occidentale.

 

Questa variabilità nazionale, a fronte dell'unicità del sistema (da Bolzano a Lampedusa) secondo me è la prova provata che la regola aurea del centralismo (a tutti la stessa leggee  le stesse condizioni per diventare tutti uguali) sarà anche idealmente forte (e lo era diventata con la rivoluzione francese) ma non raggiunge gli obbiettivi dichiarati. In realtà pare preferibile un approccio diverso (federalista e autonomista) e cioe' leggi differenti da applicare a realtà diverse, per ottenere risultati piu' omogenei.

Quindi in questa chiave di lettura, non mi meraviglio che un sistema scolastico cosi' "nazionale" in tutto (concorsi, stipendi, modalità di valutazione, modalità di direzione didattica, risorse distribuite centralmente)  ottenga risultati cosi' diversi nelle varie parti del paese. Non mi meraviglio nemmeno che il livello medio italiano sia piu' basso, pur con punte rare di eccellenza, rispetto ad un paese in cui a livello primario 3000 comuni sono fortemente autonomi (programmi e stipendi) ed al livello secondario e terziario abbiamo 26 cantoni altrettanto autonomi nella didattica, nei livelli salariali nelle procedure di assunzione e valutazione, sia pur coordinati su base volontaria.

 

aaahhhh....

 

...ecco perchè !

 

ma ecco perchè si dice che gli studenti italiani siano i peggiori d'europa in matematica ...

...e io che pensavo fosse colpa del sole, della pizza, o genetica... non ero mai riuscito a fare 1+1...

Non vorrei sembrare critico, però mi sembra che si ignori il punto fondamentale della questione Italia: e cioè le profondissime differenze regionali.

Secondo i dati del 2009, il Nord Italia ha risutati di quest'entità: Lettura 507, Matematica 507, Scienze 516, totale 1530. Il che lo colloca abbondantemente tra i paesi "buoni", in maniera del tutto indipendente dal sistema di valutazione e reclutamento degli insegnanti che è lo stesso rispetto al Sud.

 

Non vorrei sembrare critico, però mi sembra che si ignori il punto fondamentale della questione Italia: e cioè le profondissime differenze regionali.

Secondo i dati del 2009, il Nord Italia ha risutati di quest'entità: Lettura 507, Matematica 507, Scienze 516, totale 1530.

Appunto. Come scrivevo questa mattina, le differenze tra sistemi centralizzati e sistemi autonomi comportano questi effetti. Proabilmente c'è anche l'aspetto dimensionale (estensione territoriale) perché un vasto territorio gestito in modo centralizzato puo' piu' facilmente contenere vaste aree di povertà ed ignoranza di uno piu' piccolo, soprattuttto se il piccolo è gestito con modalità federaliste che danno ampia autonomia. A questo proposito ieri (giurerei) c'era uno studio fresco fresco qui su NFA ma ora non lo vedo piu' per cui o le mie attività onoriche hanno raggiunto un livello di totale scollegamento con la realtà oppure è stato temporanemete rimesso nel cassetto, per aggiustamenti.

 

 

Attenzione, pero', se vuoi scendere a livello regionale, devi comparare il risultato con gli altri stati non nella media, ma a livello regionale. Che ne so di quanto facciano le migliori regioni Francesi e Tedesche, o Inglesi? PISA ha questa variabile,  che se non ricordo male si chiama stratum, che viene definita a livello dei singoli stati. L'italia ha scelto di usarla per definire le regioni, ma in quasi tutti gli altri paesi non e' definita geograficamente per cui non si puo' fare questo confronto. 

Ogni paese ha titoli e procedure particolari che formano insegnanti adatti alle diverse articolazioni del sistema scolastico, ma in virtù del trattato di Bologna, che incentiva e richiede una convergenza generale dei diversi sistemi educativi (università compresa), tutti questi sistemi sono ora confrontabili e, più importante ancora, mutualmente riconosciuti (anche se ogni burocrazia nazionale reagisce in tempi e modi diversi alle richieste).

Nota tecnico-politica: non vorrei che si facesse confusione fra qualifiche accademiche e qualifiche professionali. Entrambe hanno una legittimità giuridica statuale - esattamente come negli Stati Uniti d'America, ove la competenza sulle materie è dei singoli Stati - ma la normativa è complessa e di scarsa acquisizione in Italia.

Per motivi storici, ideologici, e di appalto della questione a personaggi come i "post-Einaudiani" Monti, Giavazzi, Perotti (e loro epigoni), il popolo italiano è stato piombato in una generale arretratezza e incomprensione della materia. Se saremo fortunati, e sottolineo se, ci vorranno decenni per risollevarsi al livello Europeo.

RR  

 

 

Per motivi storici, ideologici, e di appalto della questione a personaggi come i "post-Einaudiani" Monti, Giavazzi, Perotti (e loro epigoni), il popolo italiano è stato piombato in una generale arretratezza e incomprensione della materia. Se saremo fortunati, e sottolineo se, ci vorranno decenni per risollevarsi al livello Europeo.

 

 

meno male che renzino c'è

 

Non ho elementi per valutare in termini generali e/o statistici la correlazione tra l’assunzione “autonoma” ed elastica” e quella “rigida e centralistica” (chiamiamola così). Però la posso valutare dal di dentro, da professionista della scuola che ci lavora da vent’anni e conosce certe dinamiche  e sa o presume di sapere dove si formano certi nodi difficili da sciogliere.

L’assunzione affidata alle scuole o ad organismi locali (giustissima l’osservazione di chi ha sottolineato che nella scuola ci sono, o si possono creare in modo semplice, organismi in grado di affrontare il problema senza  lasciarlo alla discrezione del preside) risolverebbe da subito il problema delle “mine vaganti”, di quegli insegnanti di cui tutti conoscono l’inefficienza e che non possono essere esclusi dalle graduatorie o privati del ruolo se ci sono arrivati.

Basterebbe poi combinare graduatorie per titoli e scelta da parte delle scuole secondo un criterio del tipo: “le scuole che hanno cattedre da assegnare possono scegliere tra i primi 20 in graduatoria” e poi fissare dei termini temporali per passare ai successivi venti. Il preside non potrà aspettare tre mesi prima di assumere per arrivare a sua nipote che sta al posto n.120, e nello stesso tempo il docente 17, nota “mina vagante”, resterà a piedi. Sto cercando di convincere i colleghi giovani e bravi che un sistema simile funzionerebbe comunque meglio di questo. Loro mi dicono che parlo così perché sono di ruolo, ma io cerco di ribattere che loro, se sono bravi, il posto lo troverebbero comunque. Magari nei primi anni un po’ distante da casa, ma anche adesso ai giovani tocca fare un sacco di strada per poter insegnare…

Ecco, il problema delle "mine vaganti" era un po' quello che cercavo di stigmatizzare citando la notizia su Scattone (la mina vagante per eccellenza). Pero' il suo sistema mi sembra troppo complicato, e non tiene conto dell'altro grande problema: le gabbie professionali provinciali, che costringono gli insegnanti a rimanere dove stanno, anche a costo di rimanere disoccupati...

In realta' si puo' andare oltre: un sistema aperto non solo permette di scansare le mine vaganti piu' eclatanti, ma anche di mettere l'insegnante giusto al posto giusto (laddove graduatorie e procedure di massa cercano il "professore perfetto" in senso assoluto).

Prendiamo due prof. di inglese: uno e' esperto di shakespeare e marlowe, l'altro non ha mai dato molto retta alla letteratura, ma avuto in sorte di lavorare in un ufficio postale inglese per tre anni.

Per come e' congegnato il sistema italiano, il primo potrebbe ritrovarsi in un tecnico-commerciale e il secondo in un liceo classico. Sarebbe perfetto invertirne le posizioni (sarebbe eccezionale avere in un commerciale uno che conosce l'inglese economico in virtu' di un'esperienza del genere, e un esperto di dramma elisabettiano sarebbe perfetto per il classico), ma il sistema e' sordo e cieco e non permette queste distinzioni. Il sistema, pur di non modificarsi, costringe due professori che potrebbero essere ottimi alla mediocrita'.

(l'esempio mi serviva per amor di chiarezza, ma specifico che anche gli studenti dei commerciali hanno tutto il diritto e le capacita' per amare Shakespeare...)

Mi risulta che per esempio un sistema simile a quello che ipotizzavo sia usato per le assunzioni dei medici negli ospedali pubblici. Mi spiegava un medico che l'idea è quella di usare comunque una graduatoria per impedire almeno in qualche misura che il barone assuma il nipotino privo di titoli ed esperienza. Sulle gabbie territoriali sarei anche d'accordo, ma se si elimina del tutto il valore dei titoli, allora il preside assumerà sua nuora (accade già, con acrobazie normative impensabili... ). Bisognerebbe equilibrare bene accademici e professionali, naturalmente, cosa non semplice. Resta il fatto che un paio di colloqui e un periodo di prova (il normale anno della normativa vigente, purchè alla fine dell'anno [o due] la scuola possa effettivamente confermare o no il docente e la conferma non avvenga quasi d'ufficio come adesso) permettono di discriminare sia tra cialtroni e persone serie, sia tra studiosi di letteratura e esperti di microlingua in ambiti specifici.

L'invasione delle nuore è un problema, peraltro facilmente ovviabile con poche regole mirate, soltanto se si pensa di lasciare la scuola all'arbitrio del preside, ma lei stesso notava che ci sono altre possibilità. E poi anche un semplice divieto di assunzione di familiari fino ad un certo grado farebbe molto.

Il punto è che nessuna regola, per quanto eccellente, potrà mai sopperire all'incapacità o alla disonestà di chi la deve applicare. Meglio creare quindi un sistema aperto che abbia la capacità e lo stimolo di automigliorarsi.

Voglio ringraziare Francesco per questo contributo. Non credo si possa discutere il fatto che è la qualità degli insegnanti - seguita a ruota da quella dei dirigenti - il fattore determinante per la qualità del risultato. Il risultato dell'attuale sistema italiano statalista e centralizzato, privo di ogni forma di controllo che non sia quello puramente formale - e spesso neanche questo - è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere.

In sostanza la qualità residua della scuola italiana dipende unicamente dal senso di responsabilità e dall'amor proprio dei docenti e molti ne hanno tanto! Ma francamente non si può pretendere che un sistema privo di formazione in entrata e in itinere, quindi di controlli, incentivi, stimoli e quant'altro possa produrre qualcosa di meglio.

Onestamente non credo sia ulteriormente riformabile, perché la sua caratteristica è stata proprio quella di subire, conservando i comportamenti consolidati, le riforme che si sono succedute negli ultimi dieci anni. Quando un sistema presenta una vera e propria voragine tra l'impianto normativo in vigore e l'azione quotidiana - è il caso soprattutto della scuola secondaria di secondo grado - non credo ci sia più molto da fare. Anche nella teoria dell'organizzazione vediamo che non c'è possibilità di trasformazione se i soggetti che devono operare questa trasformazione - i docenti in questo caso - non la condividono!

In realtà si dovrebbero osservare le best practices europee, ve ne segnalo qualcuna, almeno per viaggiare innocuamente con il desiderio e la fantasia: l'esperienza delle Academy schools in Inghilterra e l'esperienza svedese, che è molto interessante, qui segnalo un paper dello IEA che analizza l'impatto delle scuole for profit sul sistema scolastico svedese. Poi ci sarebbe anche altro ... ma credo che già così siamo di fronte al diavolo liberista e mercatista e quindi andiamo avanti tranquilli per la nostra strada, d'altra parte tutti sappiamo che "chi lascia la strada vecchia ...."

il dato Pisa andrebbe scorporato fra scuole pubbliche e private; le private, come sa chi è entrato in contatto con loro, abbassano la media, a differenza di quanto avviene in molti altri paesi

http://www.uaar.it/news/2006/10/24/scuole-private-fanno-fare-brutta-figura-italia/

 

ciao, francesco

 

il dato Pisa andrebbe scorporato fra scuole pubbliche e private

No, non può essere scorporato. E' un'operazione fatta da un giornalista di Repubblica per polemizzare contro il finanziamento statale alle scuole paritarie. Ma la qualità o meno della scuola "privata", come di una qualsiasi altra categoria di scuola (licei, istituti tecnici, professionali) non può essere derivata direttamente dall'indagine PISA. Se così si facesse, molto semplicisticamente, i licei sarebbero ottimi, i tecnici discreti, i professionali disastrosi!

Tralascio tutta una serie di problemi tecnici relativi alla significatività del campione "scuola privata" in PISA, che comunque hanno una loro importanza (percentuale molto piccola, classificazione internazionale di scuola privata, ecc.)

Il giudizio sulla singola scuola - o gruppo di scuole - deve essere effettuato con il criterio del valore aggiunto, deve cioé misurare, attraverso indicatori opportuni, il reale contributo della scuola al successo dei suoi allievi. Non ha senso, sulla base delle indagini PISA e INVALSI, prendersela in Italia con gli Istituti professionali per i loro cattivi risultati senza considerare il tipo e il livello degli allievi che li frequentano.

In effetti, molto verosimilmente, le scuole private italiane sono frequentate da allievi di livello mediamente basso, ma con buone disponibilità economiche che consentono loro un ambiente più "protetto" specialmente dopo bocciature nella scuola statale. Se contemporaneamente si considera che non c'é richiesta per un istruzione privata di qualità, in quanto la stessa è soddisfatta, in particolare nelle città, dai tradizionali licei statali, si comprende lo scenario del tutto particolare che caratterizza l'offerta privata in Italia.


A proposito di "selezione degli insegnanti"...

Ma questi di Formez son delle aquile!

Più che le modalità burocratiche di reclutamento, credo, conti la preparazione complessiva dell'insegnante, che appunto non e' un solo un "cultore della materia", ma dovrebbe essere un professionista che sa comunicare/trasmettere/valutare le conoscenze e le competenze relative a quella materia.

Credo inoltre che sarebbe molto interessante mettere in relazione i risultati degli studenti con  le retribuzioni degli insegnanti. E' noto che gli insegnanti italiani sono i meno pagati, cosi' come i greci. Senza contare che il mestiere dell'insegnante in Italia ha subito una svalutazione sociale difficilmente recuperabile. Per vari e complessi motivi quindi i docenti sono poco incentivati a fare bene il loro mestiere. Non possiamo affidarci ai "missionari" e alle anime belle, l'insegnamento deve essere considerata una professione complessa a cui viene affidata una buona parte del futuro del paese e in tal senso va ri-valutata e ri-compensata. Una buona parte invece arrivati all'agognata cattedra dopo estenuanti  trafile ultra decennali mettono i remi in barca in attesa della pensione e buonanotte.

 

E' noto che gli insegnanti italiani sono i meno pagati, cosi' come i greci.

 

Secondo uno studio Treelle invece gli insegnanti italiani sono pagati circa nella media del Paesi UE comparabili, per ora di lezione insegnata, quando si tiene conto anche dei benefici pensionistici.

Anche leggendo la tabella dello studio citato nel link non e' cosi' evidente che gli italiani siano i meno pagati. Vedo ad es. che sono pagati solo poco meno dei francesi, per fare un esempio.  E' possibile, conoscendo gli standard italiani, che gli italiani siano anche pagati piu' dei francesi, per ora di lezione.  In Italia c'e' la tendenza ad assumere tanti dipendenti pubblici, che lavorano poco, e vengono anche pagati poco, cioe' e' avvenuto in misura disdicevole anche nella Scuola, specie nelle elementari.

Gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati sia rispetto ai paesi OCSE che a quelli UE, beneficiano di una progressione stipendiale più ridotta rispetto agli altri paesi. Ma, tenendo conto del numero di ore annue effettuate la differenza si attenua notevolmente. In particolare, il rapporto Scuola in cifre 2009-10, appena pubblicato dal MIUR, osserva che in base agli ultimi dati la differenza rimane per la secondaria di 2° grado, è molto ridotta per la primaria, sparisce per la scuola secondaria di 1° grado (media).

Un simile aggiustamento va fatto relativamente a un altro parametro molto pubblicizzato e ormai acquisito dall'opinione pubblica ovvero la bassa spesa pubblica per la scuola, 3,6% del PIL (2009), contro il 3,8% della media UE a 27 e il 4% dell'OCSE (2007). Come spiegato nel rapporto, anche in questo caso, l'indicatore più adeguato è la spesa misurata in studente/Pil pro capite, dove invece superiamo la media europea di oltre 3 punti percentuali, 23,8 contro 20,6. Uno studente italiano costa in media 6.635 euro all'anno.

 

Scuola precaria e senza merito


Scambio tra l'economista del lavoro e il professore iscritto alla cgil sul problema del reclutamento del personale insegnante

 

"E penso anche che pianificare a livello nazionale o anche solo regionale le assunzioni in un’azienda con un milione di persone sia impossibile, mentre se le assunzioni fossero decise e pianificate a livello di ogni singola scuola il sistema migliorerebbe facilitando una maggiore corrispondenza tra posti di ruolo e posti reali come tu chiedi.
Per questo auspico che alle scuole venga data autonomia nella gestione delle risorse umane."


Un'azienda con un milione di persone dà le vertigini.
E comunque a parte tutto il resto, si dà per scontato che le miriadi in fila, che NON hanno vinto un concorso a cattedre, ma che avrebbero acquisito (per usucapione?) il diritto alla cattedra statale, da riscuotere quando verrà il momento, siano tutti precari. E' falso soltanto una frazione è costituita da effettivi precari dello stato, ma tutti in fila attendono di essere immessi in ruolo.

Capita persino che le immissioni in ruolo di massa e indiscriminate penalizzino non soltanto i meritevoli (non viene assunto un criterio di assunzione meritocratico), ma persino i precari: chi è in posizione utile non necessariamente è precario della scuola statale o in generale precario della scuola oppure invece può esserlo meno di chi non è in posizione utile.

 

Un'azienda con un milione di persone dà le vertigini.

Per essere precisi, il personale impiegato nelle scuole pubbliche ammonta a 1.112.000, il 96% nella scuola statale, rappresenta il 5,2% del totale degli adulti occupati, percentuale che sale al 10,2% se si considerano solo le donne. Il personale "precario", con contratto a tempo determinato rappresenta il 18%, il 26% considerando solo i non docenti. (Rapporto scuola in Italia 2009-10)

 

 

Ottimo articolo. Anch’io sono convinto che il meccanismo di selezione degli insegnanti influsica sul risultato aggregato degli studenti.

Il meccanismo però non è necessariamente ovvio: in teoria un sistema che distribuisce gli insegnanti casualmente tra le scuole di una regione/provincia potrebbe favorire gli studenti in scuole “indesiderabili” (cioè le scuole che gli insegnanti preferirebbe evitare, perché? per esempio perché ci sono studenti socialmente “meno piacevoli”) rispetto a un sistema dove ogni scuola sceglie gli insegnanti preferiti (e dove quindi gli insegnanti peggiori si concentrerebbero nelle scuole peggiori).

Se è più facile (come sembrerebbe plausibile) migliorare i risultati di studenti socialmente poveri, allora un mecanismo di distribuzione casuale dovrebbe dare il risultato esattamente opposto a quello descritto da Francesco, la media è più alta nei sistemi di assegnazione casuale (e una varianza più bassa: Francesco, hai per caso sottomano una tabella con la varianza dei PISA stato per stato?).

Quindi se il mio ragionamento è corretto, c’è qualcos’altro che causa la correlazione. Due idee:

 

  1. la produttività dell’insegnante dipende dalle caratteristiche dello studente: un insegnante “rapper” affascina e motiva i figli di analfabeti  (in termini tecnici: il matching è migliore se le scuole scelgono gli insegnanti). Questo meccanismo sicuramente opera, ma secondo me non è il principale, quindi:
  2. la motivazione degli insegnanti: non conosco i paesi dall’1 al 9 nella tabella, ma nel regno unito la carriera di un insegnante dipende dalla sua qualità e dal suo impegno. Per farsi pagare di più, per ottenere un posto in una scuola “migliore”, per far carriera, bisogna convincere chi assume gli insegnanti di avere valore per la scuola. Ottenere buoni risultati è sicuramente un modo di dimostrare questo valore. Il meccanismo di assunzione “locale” sicuramente agevola il nesso causale tra risultati e stipendi (risultati in senso lato, non solo esami: un insegnante che riesce a inserire socialmente ragazzi “fragili” potrebbe avere un valore di uno che fa memorizzare le domande e i cui studenti ottengono punteggi alti): quindi un insegnante che si impegna, che corregge i compiti, che organizza lo spettacolo di Natale, che lavora meglio, sa di avere soddisfazione piu' concrete della gratitudine presente dei genitori e futura degli studenti (che comunque motivano senz'altro, ma se c'e' anche qualche scheo, motivano di piu').

 

Ovviamente perché il tutto funzioni, devono esserci conseguenze per le scuole che dipendono dalla qualità degli insegnanti. E l’equità? se ne puo' tenere conto, ad esempio: diamo più soldi alle scuole che servono studenti meno privilegiati: in autonomia, potranno decidere di spenderli pagando dì più gli insegnanti, o assumendo più insegnanti o in altre attività).

To sum up.

 

  • le scuole devono poter scegliere gli insegnanti;
  • la carrira degli insegnanti deve dipendere dalla loro produttività.
  • le scuole devono preferire assumere insegnanti bravi.

 

 

 

le scuole devono preferire assumere insegnanti bravi

Ce li mandi i tuoi figli in quelle scuole che "hanno scelto" insegnanti meno bravi?

RR

Intervengo su questo commento, che mi permette di diffondermi su svariati argomenti un po' zibaldonescamente.

E' molto interessante l'osservazione sulla ruolo "perequativo" che il caso potrebbe avere. Però non è detto che un insegnante valido, se paracadutato in una situazione che non gli piace in virtù di automatismi burocratici, dia il meglio di sé. Ho difficoltà a credere (ma questa è soltanto la mia opinione) che un insegnante assegnato ad una scuola difficile obtorto collo affronterebbe il compito entusiasticamente.

In Italia poi il fattore principale di scelta della scuola da parte di un insegnante è la vicinanza a casa (cfr.  Cavalli-Argentin "Gli insegnanti italiani: come cambia di fare il modo di fare scuola" 2010 p. 396), ma credo che la maggior parte dei professori di lettere, tra un liceo classico ed un professionale più o meno equidistante, tenderebbe a scegliere sempre il classico (per prestigio e tranquillità).

In UK il problema del "classismo educativo" è percepito. Il gap tra studenti di diverso livello sociale è alto, e le scuole dei circondari peggiori ottengono risultati peggiori.

(i dati nell'articolo linkato fanno capire chiaramente quanto sia prezioso uno strumento valutativo come l'Ofsted. Da noi l'INVALSI è stata attaccata non solo dal documento del Mamiani, ma anche da insegnanti che operano in situazioni difficili come in questo blog, che forse non è rappresentativo, ma a me sembra dia voce ad un sentimento diffuso, e secondo me autolesionistico).

Dal 2002 una charity, Teachfirst, prova a metterci una pezza, con un approccio interessante (ma con risultati che non so valutare): se sei un buon insegnante, noi ti sfidiamo (con relativi incentivi salariali) a farlo in una scuola in cui un insegnante men che eccellente non riuscirebbe a stare.

In Italia, che io sappia, già ora i presidi di scuole difficili hanno diritto ad integrazioni dello stipendio, e il principio potrebbe essere esteso agli insegnanti (ovviamente questa cosa avrebbe un costo che sono ben lungi dal saper quantificare).

Per il matching, è sempre chiesto ai candidati a scuole inglesi come si pensa di contribuire alle attività extrascolastiche della scuola (nelle scuole private numerosissime), quali sono gli hobbies, le attività sportive preferite...

Docenti italiani fannulloni? Un mito da sfatare

Visti come si classificano gli studenti italiani nei vati test internazionali, sarebbe stato meglio se i docenti fossero stati dei fannulloni.

 

Curioso che abbiamo linkato entrambi mila spicola...L'indagine di Cavalli-Argentin, pp. 75-96, che ho citato sopra peraltro smentisce il mito dei professori presi costantemente a pesci in faccia e socialmente disprezzati (e ciò corrisponde anche alla mia esperienza: un genitore cerca nel docente in primo luogo una sponda -anche in maniera impropria talvolta, ma senza ostilità).

 

 

Sulla questione  dell'orario di lavoro dei docenti italiani credo che non si possano valutare le sole ore di lezione frontale, altre categorie di insegnanti, gli accademici ad esempio, non penso siano retribuiti per le sole ore di lezione frontale.

Alcuni compiti del docente scolastico, oltre alle ore di lezione, è vero sono pagati a parte, ma per una didattica seria quante ore, oltre la lezione, occorrono? ( correzione dei compiti, rapporti con i genitori, consigli, riunioni, aggiornamento ecc.).

Porto al dibattito quest'articolo del 2002 ( ma credo sia ncora valido)  Gli orari di lavoro degli insegnanti in Europa e la loro rappresentazione contrattuale  a una prima lettura mi sembra che l'Italia in quanto ad orari di lezione sia più o meno nella media.

La  scarsa qualità degli apprendimenti degli studenti italiani credo sia una questione multifattoriale e complessa, più che le modalità dell’assunzione, sia la preparazione  e l’aggiornamento specifico a una professione oggettivamente complessa.  


Ma mi vengono in mente anche le considerazioni amare di Paola Mastrocola nel suo ultimo libro Scusate il disturbo. Saggio sullalibertà di non studiare in cui esprime la difficoltà di fare scuola “seriamente” (o meglio “come una volta”) per l’impreparazione di base e la scarsa motivazione degli studenti ( la Mastrocola insegna nel biennio del Liceo scientifico), anche in presenza di una docente seria e preparata come la Mastrocola certamente è.  

Ma la soluzione non credo sia quella di realizzare una scuola d'élite e una scuola di base per tutti, come suggerisce la Mastrocola stessa, ma cercare di capire perché l'insegnamento specialmente nella secondaria di secondo grado appare così scollegato dalle richieste della società contemporanea e poco interessante per una buona parte ragazzi .

Al libro della Mastrocola seguì un articolo ancor più deprimente di Piero Citati del febbraio 2011


Perché ormai i nostri ragazzi pensano che studiare sia inutile

 

Le fabbriche americane o inglesi o francesi o italiane non producono più automobili o scarpe in Europa: le producono in Cina o in India; mentre l'Occidente è rimasto la sede della pura attività finanziaria ed economica. Così, in pochi anni, l'Europa ha perduto una vocazione essenziale: quella di costruire una seggiola, o un tavolo, o una lavatrice, o un computer. Non sappiamo più leggere, né scrivere, né conoscere le lingue straniere, né comporre un lavoro qualsiasi. Un tempo, l'Occidente era il luogo dell'esperienza e dell'avventura. Oggi, siamo diventati quello del niente e del vuoto.  



 

 

 

Ecco, appunto: "deprimente" è la parola.

Invece il link non si apre. Peccato perché mi interessava molto, anche se è un po' vecchiotto.

Bianchini-Bertagna fanno bersaglio unico dei loro strali centralismo statalista e licealizzazione, tra cui - mi pare - scorgono un nesso: licei vs istruzione tecnica, smontare il centralismo in 6 mosse.  

La denuncia della "licealizzazione patologica" sembra fare da contraltare al classico scelta migliore di Eco.

 

L'esordio di un precedente articolo di Bianchini: Un marziano giunto a Milano nei giorni delle polemiche sulla scuola elementare di Via Paravia si sarebbe chiesto come mai un Ministro debba occuparsi dell’autorizzazione alla costituzione o meno di una classe, in una scuola elementare a 600 Km da Roma.

La spiegazione dell'anomalia (tale almeno agli occhi di un marziano, mentre a Roma evidentemente rientra tutto nella norma) e gli escamotages per rimpinguare gli organici: Nel sistema della dotazione organica, cioè del personale, docente e non, assegnato ogni anno ad ogni singola scuola statale, il numero dei docenti è commisurato non al numero degli alunni iscritti, bensì al numero delle classi autorizzate. Per questo il pressing delle scuole per avere più personale si posiziona nella fase dell’autorizzazione delle classi, dove pesano i fattori degli alunni disabili presenti, della grandezza dei locali, della dislocazione della scuola se in città o in luoghi impervi come le montagne o le isole, e della qualità media dell’utenza della scuola. E così, nella fase di richiesta ed autorizzazione delle classi che generalmente si svolge a marzo di ogni anno, tutte le eccezioni alla storica regola aurea dei 25 alunni per classe vengono esposte, valutate ed accolte o meno. Queste eccezioni hanno sempre pesato moltissimo ed infatti il ministero tenta invano da anni di elevare a 22 alunni per classe (valore medio europeo) il valore medio della composizione delle classi.

Tutto ciò comporta innumerevoli ingiustizie, storture ed anche peggio. Oggi due scuole con lo stesso numero di classi possono avere un numero di alunni molto diverso perché il numero di alunni per classe può variare da 14 a 30. In situazioni limite il numero di alunni può scendere fino a 10 alunni, ed anche meno nel caso di circostanze più particolari.


La soluzione: E’ chiaro quindi che per evitare distorsioni del “mercato” bisognerebbe assegnare la docenza alle scuole in base al numero di alunni


Eventuali integrazioni potrebbero essere coperte con risorse proprie, invece che negoziate con lo stato allo scopo di attingervele: Ad esempio, una frazione di 900 abitanti con 9 alunni di prima elementare in una località particolarmente cara alla comunità potrebbe cumulare il contributo statale tarato sui 9 alunni con risorse proprie, a quel punto non eccessive se si calcola che un alunno costa allo stato 6-7-8 mila euro l’anno.

 

La soluzione: E’ chiaro quindi che per evitare distorsioni del “mercato” bisognerebbe assegnare la docenza alle scuole in base al numero di alunni

 

Secondo me la soluzione allo statal-centralismo italiano stupido, iniquo e vizioso che descrivi non puo' realisticamente essere un sistema statal-centralista equo e intelligente. Ritengo che sarebbe meglio piuttosto cercare di imparare dalla Svizzera, Olanda e Finlandia come assegnare organizzazione e finanziamento delle Scuole a Comuni e/o Province, oppure come lasciare l'autonomia al livello addirittura delle singole Scuole, lasciando allo Stato l'unica funzione che realisticamente quello italiano puo' fare senza danni cioe' una valutazione uniforme dei risultati ed eventualmente degli sbarramenti per non convalidare titoli rilasciati particolarmente scadenti.

Ciao Francesco, mi farebbe piacere conversare fuori da nFA puoi contattarmi? giuliana.mez@gmail.com 

(questo e' il mio cognome da signorina)

giuliana allen