Come noto, il nostro Presidente del Consiglio si sta separando legalmente dalla signora Veronica Lario.
Si vocifera che una delle ragioni di scontro tra i coniugi, oltre che alcune banali vicende di tradimenti senili, sia rappresentata da sostanziose questioni riguardanti il trattamento dei tre figli di secondo letto rispetto ai due figli che Berlusconi ha avuto dal suo primo matrimonio. Marina e Piersilvio Berlusconi sono infatti da tempo inseriti nella struttura di comando del gruppo Fininvest, mentre Barbara, Eleonora e Luigi non hanno al momento alcun incarico operativo o posizione di potere, sicchè la signora Lario, da buona mamma, è preoccupata che i suoi figli possano passare in secondo piano rispetto ai più rampanti fratellastri maggiori. Poichè oramai i Berlusconi sono la famiglia regnante italiana, i giornali e le televisioni hanno dato ampio spazio al pranzo di riconciliazione che si è tenuto a Villa San Martino e che sarebbe servito anche a delineare i futuri ruoli dirigenziali per i rampolli più giovani.
Questa vicenda potrebbe interessare i lettori di nFA solo marginalmente, se non fosse che i fatti privati di Berlusconi sono stati spesso la ragione di riforme legislative (più o meno valide a seconda dei gusti) che hanno finito col riguardare poi la totalità dei cittadini. E' dunque il caso di chiedersi (o auspicarsi) se anche questa volta, grazie alla separazione dei coniugi Berlusconi ed alla necessità di garantire i figli e contemporeneamente la catena di comando Fininvest, ci saranno ricadute legislative che interesseranno anche noi comuni mortali.
Il buon Silvio, infatti, ha l'esigenza di sistemare il suo patrimonio evitando il più possibile liti future dopo la sua morte, ma per far questo non ha le mani libere come vorrebbe, dato che deve affrontare alcuni limiti imposti dalla legge. Per la normativa italiana, infatti, in presenza di coniuge e figli, non è possibile organizzare la propria successione disponendo liberamente dei propri beni secondo le proprie volontà, nè anticipare la successione attraverso donazioni.
Le disposizioni testamentarie o le donazioni possono infatti venire impugnate, per la lesione del "diritto di legittima", dai così detti "eredi necessari" o "legittimari", che per il codice civile sono il coniuge del defunto e i suoi figli e, in mancanza dei figli anche i genitori, se ancora in vita, mentre solo una parte del proprio patrimonio - chiamata "quota disponibile" - può essere invece liberamente attribuita secondo la propria volontà, per esempio con un testamento o, in vita, con delle donazioni.
Le quote di legittima e di disponibile variano a seconda del numero degli eredi necessari, per cui in presenza di un solo figlio e senza coniuge, la legittima sarà il 50% del patrimonio, mentre nel caso di Berlusconi, ossia coniuge e cinque figli, la legittima è pari ai tre quarti. Di conseguenza, SB può utilizzare "solo" un quarto del suo patrimonio per favorire alcuni figli rispetto ad altri o per premiare con delle donazioni o dei lasciti anche degli estranei alla famiglia in senso stretto, come per esempio fondazioni benefiche, veline talentuose, collaboratori fidati, escort compiacenti, lontani parenti e così via.
Insomma, Berlusconi ha le mani legate. Un primo ostacolo sono i diritti del coniuge. In caso di separazione, infatti, e sin quando non si giunge alla sentenza di divorzio (almeno tre anni dalla separazione, ma anche più se non c'è accordo sulle condizioni da applicare) il coniuge separato non perde i suoi diritti successori. Nel caso del nostro Presidente, quindi, qualora (dio non voglia), SB dovesse mancare nei prossimi anni, la signora Lario sarebbe erede a tutti gli effetti e avrebbe diritto ad ottenere un quarto del patrimonio, che è la quota che la legge riserva al coniuge in questi casi. La questione non è di poco conto come si intuisce.
Al di là della vicenda personale di SB, si tratta di una problematica di carattere veramente generale, dato che è tutt'altro che raro il caso di una persona separata che, per esempio, convive con un'altra persona, con la quale magari ha pure generato un figlio ed il cui patrimonio, in caso di morte prima del divorzio, deve invece essere attribuito anche al coniuge col quale nulla più aveva in comune.
Un altro ostacolo è poi la possibilità, per gli eredi necessari (come detto i figli e il coniuge), di impugnare le donazioni fatte in vita dal defunto, qualora il patrimonio rimasto post-mortem sia insufficiente a soddisfare i diritti di legittima. Facciamo un esempio pratico. Un signore, che chiameremo Alberto, sposato con due figli, il cui patrimonio è costituito da un solo appartamento, dona in vita quell'unico appartamento al figlio Giorgio. L'altro figlio Andrea e la moglie Maria, poichè non trovano altri beni nel patrimonio ereditario, avranno diritto di impugnare la donazione ed ottenere, con una sentenza, la proprietà di una quota dell'appartamento donato, in modo da soddisfare i propri diritti di legittima. Il bello è che questo diritto può essere esercitato anche nei confronti di terzi acquirenti. Tornando all'esempio di sopra, se Giorgio (donatario), dopo aver ricevuto in donazione la casa la vende a Michele, l'altro figlio ed il coniuge potranno riprendersi la casa anche da Michele (terzo acquirente). Insomma, la tutela del diritto di legittima finisce con l'avere catastrofiche conseguenze sulla certezza del diritto di proprietà. Rapportate queste problematiche ad un patrimonio di sterminate dimensioni come quello di SB e si comprendono facilemente le preoccupazioni del nostro Presidente.
Un ulteriore ostacolo è poi rappresentato dal divieto di patti successori. In base all'articolo 458 del codice civile,
è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi
In pratica, tornando all'esempio di prima, la moglie e l'altro figlio di Alberto non possono accordarsi con Giorgio e dire "ci sta bene la donazione che hai ricevuto e rinunciamo sin da adesso ad impugnarla" oppore "rinunciamo sin d'ora a ogni diritto sull'eredità di Alberto" o altri accordi questo genere. Questi patti, chiamati appunto "successori", sono nulli. Di conseguenza, SB non può accordarsi con i suoi figli e la moglie per tacitare alcuni di loro o per far sì che, per esempio, questi rinunzino ad impugnare eventuali atti da stipulare in favore di altri eredi potenziali o che la signora Veronica rinunci preventivamente alla eredità di SB.
Insomma, un bel pasticcio, che, nel caso del passaggio generazionale dell'impresa, rischia di creare seri problemi. Un imprenditore, il cui patrimonio è spesso rappresentato principalmente dalla sua azienda, deve mettere sullo stesso piano (salvo il limitato spazio di manovra della quota disponibile) il figlio che collabora con lui giorno e notte in fabbrica, col mona scapestrato che passa il suo tempo al bar o con la figlia che ha scelto di vivere in una comune new age e nulla sa di bilanci e produzione. La successione in azienda rischia così di ingenerare una guerra tra eredi il cui unico risultato è spesso quello di impoverire l'impresa e di disperderne il patrimonio di competenze.
Una prima modesta riforma è stata tentata nel 2006 con l'introduzione del patto di famiglia (art. 768bis c.c). Senza entrare troppo nel dettaglio (qui una descrizione più analitica) si può dire che il patto di famiglia è un contratto col quale l'imprenditore trasferisce la sua azienda o la partecipazione di controllo in una società, ad uno o più dei suoi discendenti, liquidando in danaro o altri beni gli altri discendenti non assegnatari o consentendo che questi rinuncino alla liquidazione, rendendo così inattaccabile la assegnazione.
In altre parole, si tratta di una sorta di patto successorio lecito, che tuttavia non risolve i problemi, dato che per la sua validità ha bisogno della partecipazione di tutti gli interessati (coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari) col risultato che se non si è tutti d'accordo il patto salta e i problemi si ripresentano.
Da tempo gli addetti ai lavori, soprattutto notai ed avvocati, ma anche economisti, sollecitano una radicale riforma della materia dei patti successori e della legittima e la vicenda privata di Berlusconi potrà forse essere ora la molla capace di dare il via alla riforma.
La possibilità sono molteplici.
- Abolire del tutto la legittima o ridurne notevolmente il peso: del resto l'Italia è quella che, tra la varie nazioni con ordinamenti giuridici o peso economico simili, vanta la più alta quota di legittima e quindi, se non si vuole una totale soppressione dell'istituto, c'è certamente spazio per un suo ridimensionamento.
- Consentire i patti successori, quanto meno quelli rinunciativi, coi quali cioè si rinuncia ad una futura eredità o ad impugnare una donazione e che sono presenti in molti ordinamenti simili al nostro
- Sopprimere i diritti successori del coniuge sin dalla separazione, senza attendere il divorzio o quanto meno abbreviare i termini per ottenere il divorzio dopo la separazione
- Limitare drasticamente il diritto di recuperare i beni donati verso i terzi acquirenti, convertendolo in un diritto di credito pari al valore del bene.
Ciascuna di queste soluzioni, meglio se integrate tra loro, renderebbe più agevole e sicura la sistemazione dei patrimoni familiari, garantirebbe la certezza dei diritti, limiterebbe le liti successorie e, nel campo imprenditoriale, consentirebbe all'imprenditore di pianificare la successione nell'impresa, che ne verrebbe così rafforzata e tutelata. In particolare, ciascuna di queste soluzioni sarebbe anche utile al Presidente Berlusconi per sistemare le sue cose in famiglia.
Poiché questa maggioranza ci ha abituato alla approvazione di leggi al servizio degli interessi privati di alcune persone, potrebbe essere l'occasione per approvare un'altra legge ad personam che, una volta tanto, sarebbe utile oltre che al cittadino Silvio Berlusconi, anche a tutti i Cittadini.
Avevo scritto anche io ieri sulla Voce, insieme a Marco Pagano, un piccolo pezzo sul tema. Grazie a Sabino per la citazione, in ogni caso.