Una lezioncina di economia sulla Fiat

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Una cosa semplice semplice, a uso di politici, giornalisti, sindacalisti, magistrati, sociologi, economisti neo-marxiani e post-sraffiani.

La questione di Mirafiori (e di Pomigliano) aperta dall'AD della Fiat, Sergio Marchionne, sta generando urla sguaiate da tutte le parti. Persone altrimenti ragionevoli come Furio Colombo scrivono:

Nella visione di Marchionne, l’impresa è una cattedrale senza Dio. [...] L’impresa è una tastiera di uomini e cose altrettanto regolate, altrettanto ubbidienti. In questa visione, il sindacalista diventa un kapò [...]

Per non parlare di Luigi De Magistris e Beppe Giulietti, cui l'iperbole deve essere oggettivamente sfuggita di mano. Rispettivamente:

Mirafiori e Pomigliano: benvenuti nell’era del nuovo schiavismo, della riduzione del lavoratore a merce nel mondo della mercificazione globale, dell’emarginazione del sindacato fedele a se stesso, della distruzione dell’unità sindacale e del Contratto nazionale di lavoro, della soppressione della Costituzione, della morte della concertazione, del tramonto del conflitto sociale per mezzo del quale i deboli tentano di ridefinire gli equilibri di forza in loro favore, dello stravolgimento dei rapporti industriali a vantaggio datoriale.

 

“O si, o si”, questo sarà il quesito referendario che le lavoratrici e i lavoratori della Fiat si troveranno sulla scheda, sarà una innovazione interessante che finalmente ci metterà alla pari con le più avanzate democrazie liberali: dalla Cina alla Corea del nord, passando per la Birmania.

 

Bum!

Infine, il sociologo Luciano Gallino se la prende con l'Amerika (e con chi altri, se no?):

[...] l'ad Sergio Marchionne pensa evidentemente di importare in Italia non solo le auto, ma anche le relazioni industriali degli Usa. Il motivo è chiaro: legislazione e giurisprudenza statunitensi sulle libertà sindacali sono assai più arretrate che in Europa. [...] Assumendo crumiri al posto di lavoratori in sciopero, ad esempio, oppure esercitando pressioni inaudite sul singolo lavoratore affinchè non segua le indicazioni del sindacato. Il tutto nel rispetto della sottosviluppata legislazione del luogo.

A Gallino deve piacer da matti definire la legislazione amerikana arretrata e sottosviluppata. Contento lui...

Per cercare di capire onestamente cosa sta succedendo, ho trovato utili solo il post di Marco Esposito e quello di Pietro Ichino sulla questione sindacale. Vorrei provare a contribuire con un semplice modellino di economia internazionale. Semplice, semplice. Il modello serve a chiarire (a se stessi e agli altri) quali siano gli elementi importanti della questione e quali non lo siano. Per questo le ipotesi sono eroiche e i risultati estremi.

Il modello. La nostra economia mondiale ha i=1,2,...,N paesi. In ognuno di essi una impresa, che chiameremo col nome del paese, i, produce automobili. Supponiamo che esista un solo tipo di auto, la Pippo. La tecnologia per produrre la Pippo è identica in tutto il mondo: 1 lavoratore e 1 unità di capitale producono A(i) Pippo (evito di avventurarmi con il plurale, che può essere rischioso); dove A(i) è la produttività totale del paese i - una misura di come infrastrutture e istituzioni (porti, aeroporti, strade, scuole, giustizia, …) funzionano nel paese.

Libero commercio di beni e capitali. Ogni impresa produce nel proprio paese e vende in tutto il mondo. Per semplicità, e per avere risultati più chiari, supponiamo che non vi siano costi di trasporto. I capitali sono liberi di muoversi senza vincoli, per cui il rendimento del capitale è uguale in tutto il mondo. Chiamiamo R il rendimento del capitale. Ipotizziamo invece che il lavoro sia locale, cioè che i lavoratori non si muovano tra paesi. Il salario nel paese i è w(i).

Il costo di produrre una Pippo nel paese i è:

c(i)=(R+w(i))/A(i).

Assumiamo, essenzialmente senza perdita di generalità, che i costi per paese siano ordinabili:

c(1)>c(2)>c(3)>......>c(N)

In questa economia, in equilibrio - dopo che il capitale si è spostato dove preferisce spostarsi - l’impresa del paese N produrrà tutte le Pippo del mondo. Il prezzo di  vendita è p=c(N-1), ossia il costo del concorrente con il secondo costo più basso (un prezzo più alto farebbe entrare nel mercato anche l'impresa del paese N-1, e l'impresa del paese N non vuole questo).

Investimenti diretti dall'estero. Supponiamo ora che le imprese di un paese siano libere di produrre dove vogliono, in particolare anche in paesi esteri. Il mercato del lavoro è locale come sopra. Le cose non cambiano molto.

In questa economia, tutte le imprese, in equilibrio, producono nel paese N (ossia ''delocalizzano'', nella curiosa parlata corrente). Il prezzo a questo punto risulta essere p=c(N), dato che la concorrenza tra le imprese spinge il prezzo del prodotto al costo marginale. Le Pippo costano meno e i consumatori ci guadagnano. Per quanto riguarda i lavoratori, continueranno a essere occupati nella produzione di auto solo nel paese N. [A volere essere precisi, dato che si fa qualche auto in più (il prezzo di vendita è più basso, quindi se ne vendono di più) ci sarà qualche lavoratore in più nel paese N occupato a far auto]. 

Fino ad adesso abbiamo tenuto i salari fissi. Se il salario si aggiusta per adattarsi alla produttività totale, in modo che (R+w(i))/A(i) sia uguale in ogni paese, allora avremmo in tutti i paesi lo stesso costo per ogni Pippo prodotta. Al di là dei dettagli, questa non è una ipotesi assurda. Il lavoro in Bangladesh costa meno che in Germania; ma in Bangladesh non c’è nulla che funzioni. Non è ovvio quindi che produrre Pippo in Bangladesh sia conveniente, anche se i salari nel Bangladesh sono enormemente inferiori ai salari tedeschi. E’ per questo che sono la Polonia e la Serbia a concorrere con Mirafiori - perché le infrastrutture e le istituzioni in Serbia e Polonia sono ormai non troppo arretrate rispetto all’Italia, ma il costo del lavoro (al momento) è sostanzialmente minore in quei paesi. Il problema degli operai di Mirafiori è che le Serbie e le Polonie di questo mondo sono sempre di più: Brasile, India, Cina,...

Ma tant'è. Mettiamoci adesso nella posizione del paese i, un paese qualunque che, in equilibrio, non produce auto. Cosa può fare tale paese per far lavorare i propri lavoratori nell'industria dell'auto? D'accordo, nel lungo periodo può migliorare istituzioni, infrastrutture, sistema giudizario e tutto il resto che fa aumentare la produttività, ossia A(i). Ma non è facile e in ogni caso, al momento, stiamo guardando il breve periodo.

Bene, nel breve periodo ci sono essenzialmente tre possibilità:

  1. Abbassare i salari. Specificamente, abbassare w(i) fino a un livello per cui (R+w(i))/A(i) è uguale a (R+w(N))/A(N).
  2. Sussidiare l’impresa (l’industria dell’auto), ossia dare all'impresa un sussidio (s) per ogni Pippo prodotta, tale che c(i)-s sia minore o uguale a c(N).
  3. Concedere potere monopolistico all’impresa nazionale, impedendo alle altre di vendere nel paese i (o imponendo pesanti dazi doganali - che è la stessa cosa).

Stiamo qua ignorando possibili reazioni dei paesi terzi, che possono a loro volta abbassare salari, concedere sussidi e imporre dazi, magari per altre industrie. È per scongiurare tali guerre commerciali che si sono creati organizzazioni come il WTO, ma facciamo finta che questo non sia un problema. Torniamo quindi ai nostri tre casi e ignoriamo le possibili reazioni.

Nel primo caso pagano i lavoratori, dato che l'aumento dell'occupazione nel settore dell'auto avviene a spese dei salari. Nel secondo pagano i contribuenti: i sussidi non possono che essere finanziati attraverso imposizione fiscale. Nel terzo pagano i consumatori, che nel paese i finiscono per pagare le auto più care.

 

I risultati del modello sono chiari. [Ma forse è il modello a non cogliere aspetti importanti; non credo, ne discuto nell'appendice - qualunque post con un modello ha una appendice.] Non resta che scegliere chi paga. Il resto è nebbia.

In Italia: il costo del lavoro è relativamente alto, in termini di margine sulla produttività (e il lavoro relativamente protetto); l’impresa i (la Fiat) ha tradizionalmente goduto di sussidi e di potere monopolistico a iosa; la produttività totale è bassa, assurdamente bassa. [Importante: il costo del lavoro è alto ma il salario netto che va in tasca ai metalmeccanici è basso a causa della imposizione fiscale - si torna alla questione della produttività totale bassa.]

Io non vedo spazi di manovra - a meno di lavorare a infrastrutture e istituzioni per aumentare A(i), ma chi vogliamo prendere per i fondelli? Tutta la mia simpatia emotiva ai metalmeccanici - che lavorano duro per un salario netto basso. Le condizioni economiche sono contro di loro. Non v'è molto che la Fiom (o il governo) possa fare, senza addossarne il costo ai contribuenti e ai consumatori, che sono ormai alle corde.

Sostenere

Il costo del lavoro più basso dei cinesi ci mette fuori mercato. Quindi la globalizzazione è disumana, l’economia è disumana, la logica del profitto, l’efficienza è disumana: chiudiamo la globalizzazione.

come fa Luciano Gallino (come citato da Piergiorgio Gawronski; non ho trovato l'originale) significa semplicemente rispondere che a pagare devono essere i contribuenti e i consumatori. Oltre ovviamente agli operai cinesi che torneranno a morire di fame; a quanto pare Gallino non pensa che ciò sia disumano.

A meno di andare di fantasia, e vivere nel mondo dei sogni e della magia. Ancora Furio Colombo:

Prezzo e volume di vendita, vi direbbe qualunque tecnico di impresa, sono due fattori che dipendono dalla fabbrica solo in caso di guerra (costo delle materie prime) o di rivoluzione (scioperi a oltranza). [Grassetto nell'originale; ndr]

E poi Piergiorgio Gawronski:

i costi per unità di prodotto sono sempre all’incirca simili nelle diverse aree del mondo [...]    Perché? Vi sono vari meccanismi di riequilibrio della competitività! Il più efficace sono i cambi. [Grassetto nell'originale; ndr]

No. La svalutazione è una tassa sui consumatori. Non si scappa.

Non si scappa. Non resta che scegliere chi paga. Il resto è nebbia. O magia.

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Appendice.

Si noti che il modello è il più simile possibile a un modello superfisso. Esiste una sola tecnologia di produzione ed è a coefficienti fissi. I salari sono essenzialmente variabile indipendente nel modello, come da tradizione neo-marxista e post-sraffiana. Questo è per rendere la vita il più difficile possibile a tutti i liberisti anglofili.

L'analisi  non cambierebbe molto se lavoro e capitale fossero sostituibili, ossia se si potesse scegliere tra diverse tecnologie a maggiore o minore intensità di capitale. Non cambierebbe molto nemmeno includendo costi di trasporto. Arricchendo il modello con questi elementi si eviterebbe il risultato estremo di concentrazione dell'industria dell'auto in un singolo paese, ma la logica di fondo resterebbe la stessa.

Lo stesso vale se introduciamo differenziazione del prodotto, per cui non si producono solo le Pippo ma anche le Paperino, Topolino (questa l'hanno prodotta sul serio) e le Qui-Quo-Qua. Anche qui non molto cambierebbe, a patto di considerare comunque una industria matura come quella automobilistica dove, per definizione, l'innovazione tecnologica di prodotto e di processo è limitata.

Se i mercati dei capitali non fossero liberi ogni paese avrebbe il suo tasso di rendimento del capitale, R(i). I paesi più inefficienti (o i cui capitalisti sono più esosi), avrebbero R(i) più elevati. In tal caso si può pensare di rendere il paese competitivo riducendo R(i), anziché ridurre w(i). Questo sembra essere quello che molti critici della Fiat hanno in mente, quando dicono per esempio ''l'Italia vi ha dato un sacco di sussidi in passato, adesso non potete andarvene''. Ossia, dovete star qui e accettare un rendimento del capitale inferiore a quello che potete ottenere altrove.

Questa strategia può magari funzionare nel breve periodo, ma richiede restrizioni al movimento dei capitali. Se una tale strategia venisse attuata è lecito attendersi una diminuzione degli investimenti sia domestici sia stranieri. Lascerei stare. Ma se qualcuno ha in mente di ripristinare i controlli sui movimenti di capitale per favore lo dica e chiarisca che si punta all'autarchia, non si limiti agli strali sul nuovo schiavismo.

Mi fermo qui. Sono curioso di considerare qualunque ipotesi che sia ad un tempo ragionevole (non ovviamente in contraddizione con i dati) e che cambi le implicazioni del modello.

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Commenti

Ci sono 155 commenti

Vediamo se ci riesco:

1) R (o R(i)): preferisco ragionare in termini di R(i) perchè mi pare più che mai plausibile (oltre che empiricamente sostenibile) che ci siano imperfezioni sul mercato dei capitali (basti pensare alla semplice differenza tra tassi creditori e debitori). Posta una certa eterogeneità su R, beh allora bisogna considerare anche che le imprese non sono solo "produzione", ma diciamo che hanno un'altra attività (complementare/sostituta?) che è la gestione finanziaria: allora ad esempio il livello di tassazione sulle rendite finanziarie in Italia si sa essere molto basso, al di sotto di qualunque livello di "arbitraggio" rispetto al capitale produttivo. Quanto costerebbe aumentare dal 12.5% ad un livello almeno europeo le rendite finanziarie? Le possibilità:

  1. si riducono gli investimenti se parte dei proventi finanziari sono usati come fonte di finanziamento produttivo oppure 
  2. non cambierebbe nulla, ma semplicemente le aziende sposterebbero le loro attività finanziarie da un'altra parte.

A questi punti, mi verrebbe solo di aggiungere che non mi pare che le attività finanziarie (specialmente in Italia) siano correlate con le necessità produttive. Le conseguenze: beh almeno si scaricherebbe sulla parte finanziaria dell'impresa parte dei costi "sociali", magari riducendo anche le aliquote fiscali sul lavoro. Uno mi dirà ma metti da una parte e togli dall'altra? Siamo sicuri che sia un gioco a somma zero?

2) w(i): non volendo andare tanto indietro da arrivare ai salari di efficienza, cosa ce ne facciamo delle teorie sull'efficienza individuale che giustifica un salario alto (cosa che tra l'altro non è nemmeno prevista nel caso FIAT)? Mi riferisco a limited attention (uno tiene i problemi a casa perchè è senza un soldo ed è meno concentrato ed efficiente sul lavoro) o ancora a tutta quella parte su salute ed efficienza sul posto di lavoro (mangio poco, male e sono meno produttivo).

3) A(i): è vero che richiede molto tempo per modificarla, ma alcune cose si possono fare anche nel breve. Ricordo un post mi sembra di Giulio Zanella su questo punto.

Infine, breve periodo: ma se avessero iniziato almeno 20 anni fa ad agire su A(i) come staremmo?Quindi l'approccio di breve secondo me non dice molto; continueremmo solo ad imporre una mancanza di prospettiva e politica industriale del nostro paese. Nell'immediato, in Italia non ci sono soldi, ma chissà come mai che quando servono "veramente", poi i soldi stranamente escono.

 

Differenze in R(i) sono peanuts. Bastasse indebitarsi a Wall Street alla Fiat per risolvere i problemi...E comunque la Fiat e' quotata a WS

3) A(i): è vero che richiede molto tempo per modificarla, ma alcune cose si possono fare anche nel breve. Ricordo un post mi sembra di Giulio Zanella su questo punto.

Forse hai mente l'esempio dell'ascensorista inutile. Vero, la riorganizzazione della produzione qualcosa puo' fare anche nel breve, ma (1) non ho idea di quali siano gli effetti quantitativi realistici di riorganizzazioni non "rivoluzionarie" (non alla Henry Ford, per dire, e tanto poi queste le possono copiare tutti gli altri) e (2) Marchionne l'ha gia' fatto a Pomigliano e sia le possibilita' sia i margini sembrano davvero bassi.

 

Come sempre chiaro e preciso, fino al terrore: dove finiremo, se la logica economica e questa, come indubbiamente vero.

Ma, alla luce dell'esemplificazione appena illustrata, il nostro Paese ha possibilità ancora di mantenere una produzione manifetturiera significativa? O siamo destinati al solo terziario, a giochi di illusionismo parolaio e dei numeri truccati dell'alta finanza?

Ne approfitto per formulare i più cordiali auguri per il Nuovo Anno (non per la befana e befanini).

Che male ci sarebbe ad essere destinati solo al terziario?

In ogni caso, non è la produzione manifatturiera il problema. È il tipo di produzione manifatturiera. La produzione manifatturiera puo' esserci anche nei paesi ricchi, solo che deve essere ad alto contenuto tecnologico ed innovativo, e per quello servono infrastrutture, servizi efficienti e capitali.

 

Infatti. Ci sono imprese manifatturiere nel settore delle macchine (macchinari e strumenti) che sono tra le piu' avanzate nel mondo ed esportano. I trucchi non portano da nessuna parte se non all'impoverimento collettivo. Solo il lavoro duro e creativo porta frutti.

Due osservazioni

i) lo scontro, se ho capito bene, non è sui soldi ma sulla possibilità di scioperare contro il contratto e quindi in ultima analisi sul potere del sindacato di controllare la gestione. Se ho capito bene, la FIOM non accetta che il contratto  vieti di scioperare qualora la FIAT chiedesse più straordinari perchè la domanda miracolosamente tira. Uno sciopero in queste circostanze metterebbe la FIAT in gravi difficoltà. Se la FIOM potesse minacciarlo credibilmente, si garantirebbe un potere di veto sull'utilizzazione dei lavoratori e quindi l'azienda non avrebbe quella flessibilità che chiede. D'altra parte, la FIOM è di fronte ad una scelta impossibile. Se non firma non è riconosciuta come sindacato e quindi non può proclamare scioperi (contrariamente a quanto scritto da qualcuno, il diritto di scioperare non è assoluto - devi essere un sindacato riconosciuto per proclamarlo, ci vuole un certo preavviso etc.). I lavoratori che scioperassero potrebbero essere licenziati. Se firma, si lega le mani e non può più proclamare scioperi (oltre a dar ragione a CISL e UIL)

ii) per quanto riguarda il post, mi sembra che il punto essenziale sia

 

Lo stesso vale se introduciamo differenziazione del prodotto, per cui non si producono solo le Pippo ma anche le Paperino, Topolino (questa l'hanno prodotta sul serio) e le Qui-Quo-Qua. Anche qui non molto cambierebbe, a patto di considerare comunque una industria matura come quella automobilistica dove, per definizione, l'innovazione tecnologica di prodotto e di processo è limitata.

 

 L'industria dell'auto è fortemente caratterizzata da concorrenza monopolistica. Il consumatore è disposto a pagare le Paperone molto di più, in parte per la loro migliore qualità intrinseca ed in parte per fattori emozionali (design, brand). La prima non conta, nella misura in cui richiede più lavoro, ma i fattori emozionali  creano una rendita, che può essere divisa fra i lavoratori ed impresa. Non a caso, la Ferrari è considerata uno dei  posti migliori dove lavorare, anche se per gli operai formalmente vale lo stesso contratto dei metalmeccanici (arricchito, credo, da generosi incentivi e superminimi). Uno può comprarsi una Panda fatta in Serbia, ma credo che pochi  comprerebbero una Ferrari non fatta a Maranello. Lo stesso se si introduce la possibilità che per produrre le Paperone sia necessario lavoro più qualificato.

 

Lo scontro e' sulle relazioni del lavoro, siamo d'accordo. Marco Esposito mi (ci) ha convinto che i soldi e anche le condizioni di lavoro su cui si discute non siano poi rilevanti. Nel post pero' volevo anche suggerire che anche la questione sindacale non e' cosi' rilevante - che ormai la torta e' cosi' piccola che c'e' poco che Fiom possa fare (anche se lo volesse). 

E sono anche d'accordo che al margine le Ferrari siano un altro mondo. Ma la gente viaggia sulle Pippo, per la maggior parte. Ancora di piu' in futuro in Cina e India, credo. 

 

post molto chiaro ed utile... anche ai non addetti ai lavori.

Ho pero' una domanda. Dove si tiene conto del mercato? Nel senso di nazione dove viene principalmente venduto il prodotto. Sarei portato a pensare che la merce viene prodotta nelle nazioni dove il lavoro costa meno per essere venduta nelle nazioni dove i consumatori sono pagati meglio. Ma se spostiamo il lavoro riduciamo il potere di acquisto delle nazioni piu' ricche...

questo potrebbe essere marginale, se consideriamo una sola tipologia merceologica, ma se estendiamo a tutta la produzione possibile... ?

Quello a cui si andrebbe incontro e' un equilibrio globale economico fra tutte le nazioni (noi piu' poveri, e l'oriente piu' ricco): ma... un'equa ripartizione della ricchezza fra tutti gli abitanti e' sufficiente a mantere il ritmo dei consumi?

 

Provo a rispondere: 

Gli abitanti degli altri paesi si concentreranno sulla produzione di altri beni, in quanto non tutto si può produrre in N. N produrrà le macchine, mentre gli altri chessò...treni, aerei, frigoriferi, vestiti....

 

Se poi si facessero variare altri aspetti (es: tecnologia) gl ialtri paesi potrebbero produrre macchine più sofisticate :))

L'osservazione che mi viene da fare è che sì, è vero che FIAT è stata sussidiata, verissimo che ha goduto di monopolio, sacrosanto ed innegabile che i salari netti sono bassi. Mi pare però stranissimo che non sia chiaro che volendo cominciare a fare davvero impresa e competere, FIAT non può che utilizzare le leve disponibili come il modello dimostra.

A margine e relativamente fuori tema, la Regione Sicilia ha in corso la stabilizzazione di 25.000 precri circa e giungerà ad un totale di 144.000 stipendi pubblici. I delicati difensori dei diritti dei lavoratori sembra se ne sbattono dei diritti dei contribuenti a non essere derubati.

Aggiungo in un momento successivo al commento. Mi aspetto di eggere qualche commento dello scienziato di turno che verrà a pontificare che no! Non si tratta di numeri o sciocchi modelli, ma di valore della persona, di necessità sociali.....

 

Secondo me esistono altre variabili al di là dei costi che possono dare vantaggio ad una industria automobilistica

--- stile

--- marketing

--- pubblicità

--- assistenza post vendita

purtroppo nelle prime tre non mi pare che FIAT eccella , la terza è applicata con arroganza che ignora il concetto di servizio.

lo stile è spesso decisivo nella scelta 

marketing e pubblicità possono convincere i clienti ad acquistare anche a prezzi più alti indipendentemente dal contenuto economico del prodotto

una assistenza carente fa perdere clienti

il tutto contribuisce a saturare gli impianti

tornando alla equazione dell'articolo 

C(i)=(R+w(i))/A(i)

a mio avviso bisognerebbe anche introdurre ( se non altro per dare un po' di dignità anche al lavoro non strettamente manifatturiero ) 


C(i)(s)=(R+w(i))/A(i)(s)

dove C(i)(s) = costo prodotto in saturazione degli impianti ; A(i)(s) numero di prodotti producibili con R+w(i) in saturazione; ¶ = A(i)/A(s)

allora C(i) = C(i)(s) / ¶

e qui a mio avviso cade l'asino FIAT specialmente in Italia dove gli impianti sono tutt'altro che saturati ( vedi CIG , 30%? )

e la capacità di saturare gli impianti non è responsabilità dei lavoratori del manifatturiero ma della capacità di pianificazione strategica e delle funzioni citate all'inizio.

e per fortuna che con la CIG w(i) si riduce quasi proporzionalmente al volume , vantaggio che Germania e Francia non hanno.

E la CIG è pagata dai lavoratori e dai contribuenti per cui è falso affermare che FIAT rinuncia ad aiuti pubblici se non si paga da sé la CIG.

Sempre per la stessa ragione mi fanno ridere i confronti di produttività pubblicati negli ultimi giorni da vari giornali ed espressi su #auto prodotte / dipendente senza che i dipendenti siano :

--- diminuiti dalle unità non manifatturiere che in Italia ( so far headquarter ) sono notevoli

--- corretti con l'inattività durante i periodi di CIG  


 

 

 

e la capacità di saturare gli impianti non è responsabilità dei lavoratori del manifatturiero ma della capacità di pianificazione strategica e delle funzioni citate all'inizio.

 

 E no! E' anche responsabilità dei sindacati, o almeno lo è stato in passato, nella misura in cui si sono sempre opposti alla chiusura di impianti troppo piccoli e/o antieconomici (Termini Imerese)  per saturare quelli efficienti (Melfi)

"il nostro Paese ha possibilità ancora di mantenere una produzione manifatturiera significativa"

"Che male ci sarebbe ad essere destinati solo al terziario"

Qui non è male citare qualche dato che si riferisce al 2009 (tratto dal sito dell' ILO):

quota dell' occupazione industriale: Germania 29,7; Italia 29,7; Francia 23,1; Stati Uniti, 20,6; UK 21,4

La quota è superiore in genere nel caso delle economie in transizione, con il record della Repubblica Ceca: 40,5, ma non credo sia il caso di essere invidiosi.                         

Quota dell' occupazione nel terziario: Germania 68,1; Italia 66,3; Francia 72,9; Stati Uniti 78; UK 76

Quello che ci difetta quindi non è l' industria, ma, invece, notoriamente, la grande industria (dove altrove ci sono le risorse per la ricerca tecnologica e l' innovazione). Ma qui la Cina non c' entra proprio per niente. Probabilmente c' entrano di più la "lotta di classe", la conflittualità sindacale, lo statuto dei lavoratori e il modo con cui è stata gestita a suo tempo l' industria di stato (dai cui passivi è nata una parte consistente del nostro debito pubblico). Se alla fine chiude anche la FIAT siamo a posto.

A proposito di Gallino, qui a Pisa gli vogliono dare la laurea honoris causa...


 

A proposito di Gallino, qui a Pisa gli vogliono dare la laurea honoris causa...

:)

 

Ricordo che a Siena l'anno scorso Brancaccio rispose a una domanda dal pubblico sul modello ''superfisso'' e disse una cosa così: ''La definizione di 'modello superfisso' è una emerita idiozia, dal momento che la distinzione tra prezzi di produzione e prezzi come indici di scarsità sussiste comunque, anche in presenza di coefficienti perfettamente flessibili''. Questa affermazione mi ha un po' sconcertato, ma allora non ebbi il coraggio di ribattere ne' di chiedere. Leggendo Brusco avevo capito che la ipotesi chiave dei modelli sraffiani fossero i coefficienti fissi. Ma ora Bisin conferma che non è così? Non ci capisco più molto.  

Non capisco nemmeno cosa voglia dire l'affermazione di Brancaccio. Chi ha mai parlato di prezzi di produzione... di cosa stiamo parlando? 

L'ipotesi di coefficienti fissi e' cruciale in Produzione di merci..., per avere il salario indipendente. In questo post semplicemente il mio punto non dipende dal fatto che i coefficienti siano fissi o no. Quello che e' cruciale per una cosa non lo e' per un'altra. 

Ma non sono sicuro di aver risposto perche' non sono sicuro di avere capito.

l'ottimo sociale sarebbe ignorare quello che dice Brancaccio, a prescindere. Just saying...

Qualcuno dovrebbe spiegare a De Magistris & Giulietti che le aziende italiane non delocalizzano solo verso paesi con salari molto bassi, ma anche verso paesi con salari più alti:

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/201010articoli/59539girata.asp

D'altra parte, se secondo loro gli imprenditori sono malvagi e incapaci, perchè si preoccupano se se ne vanno?

 

Una cosa semplice semplice, a uso di politici, giornalisti, sindacalisti, magistrati, sociologi, economisti neo-marxiani e post-sraffiani

Premesso che il post è chiaro e convincente, e non voglio essere tra coloro che difendono l'indifendibile a oltranza, volevo però sentire una cosa. Che diciamo agli operai? Non ai sindacalisti, politici, sociologi ecc. Qual è il sol dell'avvenire che possiamo loro promettere, nel caso venisse realizzato il nuovo modello aziendale FIAT?

Spero che non sia questa schifezza, retrograda, paternalistica, sessista, e in generale offensiva della dignità e delle capacità intellettive degli operai (e di chiunque), uscita recentemente sui giornali (la FIAT gentilmente spiega all'operaio quanto è godurioso il turno di notte, cosa deve fare nel tempo libero, e in quale chiesa deve portare i figli la domenica). Qui e qui gli inquietanti disegnini, stile anni '50, che accompagnavano il testo dell'articolo (sono diventati curiosamente introvabili, per cui ho dovuto postarli in modo pirata, scusate).

 

Che diciamo agli operai?

Magari quello che gli dicono in Germania. Ma gli si dovrebbe chiarire bene che i bassi salari che si mettono in tasca corrispondono ad alti costi del lavoro per ragioni fiscali. In secondo luopgo gli si potrebbe spiegare che è con il miglioramento della produttiività nasce il miglioramento dei salari.

Che diciamo agli operai? Non ai sindacalisti, politici, sociologi ecc. Qual è il sol dell'avvenire che possiamo loro promettere, nel caso venisse realizzato il nuovo modello aziendale FIAT?

Purtroppo c'e' poco da dirgli, agli operai, con o senza nuovo contratto aziendale. 

E se provassimo a dirgli la verita'?

non diceva Gramsci buonanima che quella, la verita', e' sempre rivoluzionaria?

"L'analisi  non cambierebbe molto se lavoro e capitale fossero sostituibili, ossia se si potesse scegliere tra diverse tecnologie a maggiore o minore intensità di capitale. Non cambierebbe molto nemmeno includendo costi di trasporto. Arricchendo il modello con questi elementi si eviterebbe il risultato estremo di concentrazione dell'industria dell'auto in un singolo paese, ma la logica di fondo resterebbe la stessa."

Ok nel breve periodo. Ma nel medio, inteso come orizzonte temporale di 5-10 anni, i costi di trasporto potrebbero diventare importanti. Da questo interessante sito che ho trovato per caso in rete, le vendite di auto di FIAT in Europa ed Italia, particolarmente dopo la non prosecuzione degli incentivi statali alla rottamazione, appaiono in decrescita. Al contrario, in paesi emergenti come Brasile (619.000 auto con brand FIAT vendute nel 2009? Minchia!), Russia ed India, la domanda di auto sembra crescere, a beneficio di FIAT come di altri produttori.
Il perché si preferisca qui da noi acquistare altro che non automobili rispetto al passato, non lo so. Ma comunque, rimane il fatto che posizionare gli stabilimenti vicino ai mercati di sbocco può ridurre i costi di logistica. In scenari con costi di trasporto crescenti (es. peak oil), e vista la natura del bene in oggetto che è materiale ed ingombrante, la cosa potrebbe contare, anche parecchio.

Includendo i costi di trasporto ed i mercati di sbocco nel modello, non solo si ridurrebbe la concentrazione delle produzioni in un solo paese, ma aumenterebbe anche la minore appetibilità, a salari, tecnologie, e sussidi invariati, dell'Italia quale sito produttivo. I salari italiani dovrebbero quindi diminuire più che linearmente per compensare tali differenziali e rendere convenienti FDI nel nostro paese? È un risultato perfino più sconfortante di quello di Bisin.

<em>Costi di trasporto<em>

Il problema non si pone quasi. La tendenza è quella di localizzare impianti vicini ai mercati di sbocco.

Secondo me, il modello è corretto in sé, ma descrive solo un sottoinsieme degli elementi in gioco ed è quindi uno strumento fuorviante. Non compare infatti la struttura geopolitica reale: nel modello i "paesi" N potrebbero essere regioni di una stessa nazione, villaggi confinanti, quartieri di una città... da cui consegue la perplessità dell'autore sul significato del termine delocalizzare. Insomma, è un modello valido per un mondo unito in un'unica nazione, con una sola moneta ed una sola politica sociale ed economica, sia pur con condizioni locali potenzialmente diverse ed una scarsa o nulla propensione allo spostamento della forza lavoro.

Gli squilibri che si vengono a creare a causa delle diverse A, R, w dovrebbero essere valutati piuttosto in un contesto nel quale:

1) ogni nazione N produce a proprio nome una parte del capitale globale, adotta politiche fiscali autonome, ha obiettivi economici e sociali autonomi;

2) la forza lavoro si sposta anche massicciamente.

Infatti sono esattamente queste le condizioni reali in cui ci troviamo.

 

Secondo me, il modello è corretto in sé, ma descrive solo un sottoinsieme degli elementi in gioco ed è quindi uno strumento fuorviante. Non compare infatti la struttura geopolitica reale: nel modello i "paesi" N potrebbero essere regioni di una stessa nazione, villaggi confinanti, quartieri di una città... da cui consegue la perplessità dell'autore sul significato del termine delocalizzare. Insomma, è un modello valido per un mondo unito in un'unica nazione, con una sola moneta ed una sola politica sociale ed economica, sia pur con condizioni locali potenzialmente diverse ed una scarsa o nulla propensione allo spostamento della forza lavoro.

Assolutamente no, chemist. il paese i e' implicitamente definito da condizioni simili in termini di A(i) e w(i). Cioe', cio' che definisce un "paese" e' l'identita' delle istituzioni. E si' forse l'Italia in questa definizione e' divisa in due.

 

Grande Alberto. Mi sembra però che la discussione non colga una cosa importante di quello che sta succedendo. Quando dici

D'accordo, nel lungo periodo può migliorare istituzioni, infrastrutture, sistema giudizario e tutto il resto che fa aumentare la produttività, ossia A(i). Ma non è facile e in ogni caso, al momento, stiamo guardando il breve periodo.

escludi completamente la possibilità che la produttività sia almeno in parte determinabile dall'impresa. A me sembra questa la scommessa di  Marchionne: introdurre nuove tecnologie di produzione e nuova organizzazione del lavoro che permettano di alzare A(i) senza aspettare Salerno-Reggio Calabria, riforme della giustizia, ..., e, nello specifico, del sistema di contrattazione. Fa in house quello che può fare. Che basti è tutto da vedere. Probabilmente no, dato anche il casino che si è creato. Ma mi sembra questa la scommessa. Infatti in tutto questo bailamme per ora non si è parlato nè di salari più bassi, nè di aiuti nè di barriere commerciali.  

Sono d'accordo. Fiat e' abbastanza grande da poter pensare di muovere A(i) di per conto suo. E il mercato del lavoro e' una parte importante di A(i). Ma e' comunque solo una parte. E poi Fiat lo fa pro domo sua. Ad esempio, era necessario umiliare la Fiom? Forse si'. Non sono certo, pero'.

Il pezzo e' dettagliato e giusto, pero' non sono sicuro che riuscira' a far capire il nocciolo del discorso a chi non vuole/ puo' capire. Non sono sicuro, ma immagino che solo ad inserire un A=B+C in un testo gia' si elimina dalla lettura una buona proporzione di persone a cui l'articolo e' destinato (che, ovviamente, sono una piccola proporzione dei lettori di nfa).

E' qui che loro, quelli che non vogliono/ possono capire, attaccano "voi ekonomisti" (possibilimente amerikani); si trovano spiazzati dalle lettere maiuscole, le parentesi, e i segni di addizione e moltiplicazione. Pensano che siano simboli del diavolo; tremano. E quindi, spalle al muro, non hanno altra possiiblita' che aggrapparsi alle loro certezze, e ringhiare agli economisti.

Ammetto che l'ho fatta un po' tragica, e spero comunque di sbagliarmi.

Secondo me uno degli argomenti piu' forti contro questa vulgata conservatrice di sinistra e' il riferimento alle conseguenze delle scelte. I detentori delle verita' conservatrici di sinistra di solito si beano di buoni propositi (con cui siamo tutti d'accordo, ci mancherebbe!), ma evitano accuratamente di enunciare a quali conseguenze porterebbe il loro punto di vista (forse questo paragrafo e' un po' ermetico ma non ho tempo e voglia di ampliarlo, spero si capisca).

Grazie dell'articolo, elementare ma chiaro. Mi permetto qualche osservazione ed un paio di domande.

Hai ovviamente ragione nel notare che qualcuno deve comunque pagare. E' giustissimo dirlo chiaramente. Quello che e' meno evidente, nell'ottica del tuo modello, e' perche' siano proprio i lavoratori del settore auto a dovere pagare. Prima di tutto e' ovvio che questi ultimi sono un sottoinsieme sia dei contribuenti che dei consumatori. E' vero, come tu dici, che consumatori e contribuenti in Italia sono gia' abbastanza stremati (anche perche per la maggioranza sono comunque lavoratori in qualche settore in crisi), ma resta il fatto che il costo pro capite per mantenere competitiva l'industria automobilistica intervenendo sul costo del lavoro w(i) sia notevolmente inferiore se spalmato su tutti i contribuenti e/o consumatori tramite sussidi e/o dazi invece che se pagato dai soli lavoratori del settore auto (naturalmente sto tralasciando i cinesi che tornerebbero a morire di fame).

Ora qualcuno dira', si', ma perche il contribuente tizio deve pagare le scelte sbagliate o sfortunate di caio che ha scelto di fare il metalmeccanico? Giusta obiezione in uno stato con una grande mobilita' sociale, obiezione per me meno corretta in Italia dove la mobilita' sociale e' bassissima (e pure in diminuzione, pare). Certo, ci sono i figli dei metalmeccanici che accedono a lavori piu' remunerativi, ma quanti sono in percentuale? Soprattutto se confrontati con chi proviene da altre classi sociali? E quanti sono i figli d'avvocati che finiscono a fare i turni in fabbrica? Per farla semplice, piu' e' vero che in Italia metalmeccanici ci si nasce e non ci si diventa, meno e' corretto fare spallucce e lascarli pagare da soli tutto il peso dei cambiamenti. Se no torniamo sempre al solito punto che a pigliarla in quel posto sono sempre gli stessi (e i figli degli stessi).

Naturalmente sono perfettamente consapevole che le cose non sono cosi' semplici. Scegliere i dazi e/o i sussidi non solo spalma il costo su consumatori e/o contribuenti, ma riduce la competizione, abbassando la qualita' dei prodotti. Quindi sono d'accordo che siano soluzioni sbagliate e che bisogni cercare un'altra strada. Io non ho certo la soluzione, ma le uniche opzioni che mi vengono in mente sono i) aumentare la produttivita' A(i) ii) riqualificare i lavoratori per attivita' a piu' alto contenuto tecnologico. Naturalmente entranbe hanno un costo, da scaricare comunque sui contribuenti (o sui consumatori se si trovano privati che investano in infrastrutture). Pero' sono investimenti che dovrebbero comunque rendere sul medio/lungo periodo. Mi sbaglio?

 

Lo stesso vale se introduciamo differenziazione del prodotto, per cui non si producono solo le Pippo ma anche le Paperino, Topolino (questa l'hanno prodotta sul serio) e le Qui-Quo-Qua. Anche qui non molto cambierebbe, a patto di considerare comunque una industria matura come quella automobilistica dove, per definizione, l'innovazione tecnologica di prodotto e di processo è limitata.

 

I commentatori piu' attenti hanno avanzato l'obiezione che nel mercato dell'auto il costo del lavoro w(i) non sia il fattore piu' importante. Affermano che la lotta non si giochi tanto sul costo del lavoro, ma sulla ricerca, e quindi sulla qualita' e la varieta' della gamma vetture offerta da una certa azienda. Sia a livello di costi (un paio di modelli sbagliato che non vendono devono costare un patrimonio in perdite) che a livello di appetibilita' per il consumatore.Tra l'altro la produttivita' A(i) mi sembra debba dipendere sia da fattori esogeni all'azienda (infrastrutture, elgislazione del lavoro, etc.) che endogeni (tecniche produttive). Un esempio spesso citato e' proprio Wolkswagen vs. FIAT. Si sbagliano? L'industria e' cosi' matura da rendere ragionevoli le tue semplificazioni? E d'altro canto un'industria matura non dovrebbe essere meno sensibile (in termini di qualita' del prodotto) alla perdita' di competivita' di un mercato protetto?

 

In Italia: il costo del lavoro è relativamente alto, in termini di margine sulla produttività (e il lavoro relativamente protetto); l’impresa i (la Fiat) ha tradizionalmente goduto di sussidi e di potere monopolistico a iosa; la produttività totale è bassa, assurdamente bassa. [Importante: il costo del lavoro è alto ma il salario netto che va in tasca ai metalmeccanici è basso a causa della imposizione fiscale - si torna alla questione della produttività totale bassa.]

 

Mi sembra che tu stai affermando che, da un lato w(italia) < w(k), dall'altro w(italia)/A(italia) > w(k)/A(k) ad esempio, dove k e' tipo la francia o la germania. Ragionevole. Pero' - tralasciando pure la parte endogena di A(i) - come mai il fatto che in generale A(italia)<A(k) comprime soprattutto (se non solo) i salari dei lavoratori dipendenti meno qualificati? La produttivita' di altre figure (professionisti, manager, etc.) e' piu' alta? E' meno importante? Insomma com'e' che dai e ridai ce l'hanno sempre nel culo gli stessi?

 

Francesco: alcune risposte.

1. No, assolutamente non penso che siano i lavoratori auto a dover pagare. Se c'e' una categoiria che rispetto sono i metalmeccanici (per tradizione ideologica e familiare). Pero' mi piacerebbe che fosse chiaro che questo stanno chiedendo. Poi si discute. Mi infastidisco quando qualcuno sostiene che e' un diritto essere sussidiati - e mi infastidisce che lo facciano i metalmeccanici (o i giornalisti che credono di supportarli) o le banche USA.

2. La ricerca nella produzione auto e' secondo ordine.

3. I professionisti vendono un prodotto "non-tradable" sui mercati internazionali. Supponi che in Italia si decida di parlare Inglese e di adottare il sistema legale amerikano. Quanto credi che i miei amici avvocati a Milano resisterebbero?  

Il post è ottimo e spiega bene perchè i margini siano pochi, ma non c'è solo quest'aspetto negli accordi.

Nominare la RSU anzichè eleggerli, escludere il sindacato più rappresentativo, e proibire lo sciopero contro l'accordo sono aspetti molto importanti anche se poco dibattuti (ma non ho letto tutti i commenti) su NFA. Non credo che spingere FIOM e quindi CGIL su posizioni più estreme sia utile, a maggior ragione in questo momento storico. Da quel che ho letto anche Phastidio la pensa come me su quest'aspetto.

Tornando all'aspetto economico, fermo restando la razionalità delle argomentazioni di bisin, non si può non domandarsi il perchè si agisce solo su una componente che incide per il 10% sul prezzo finale (marchionne dixit, ma era nel periodo "liberal"), e non anche sulle altre componenti della produttività aziendale, processi in primis.

Comunque si risolva la questione, resta il fatto che parliamo di un settore maturo (direi decotto con 90 mln/anno come capacità produttiva installata e 55 mln /anno come produzione effettiva) che non può rappresentare il futuro per il paese, ma purtroppo non si vede nemmeno alla lontana qualcosa che possa sostituirlo.

 

Non credo che spingere FIOM e quindi CGIL su posizioni più estreme

 

Non so cosa farà FIOM, né credo sia Marchionne a spingeral su posizioni estreme: ci è andata da sola e son vent'anni che lo fa. E vent'anni che perde e sbaglia.

Su una cosa ti posso rassicurare: la CGIL non sopporta quanto sta accadendo in FIOM e siamo molto vicini alla resa dei conti. Dentro alla CGIL, dentro agli altri sindacati di categoria, fra quella gente che il sindacato lo fa e lo dirige, il fastidio, l'irritazione, direi l'incazzatura con i radical-chic che da un paio di decenni hanno preso in mano il sindacato che fu di Bruno Trentin e l'hanno trasformato in una cosa ridicola che fa danni ai lavoratori dipendenti, cresce ed è sostanziale.

Credimi, non parlo a caso. E la conferma, se ne avessi avuto bisogno, l'ho avuta allo spritz dell'Epifania. La FIOM è riuscita sino ad ora a tenere la CGIL sotto ricatto. È finita.

 

perchè si agisce solo su una componente che incide per il 10% sul prezzo finale (marchionne dixit, ma era nel periodo "liberal"), e non anche sulle altre componenti della produttività aziendale, processi in primis.

 

 

La mia impressione, dall'esterno (e dal post di Esposito) è che Marchionne non sia tanto interessato ai  costi del lavoro (salario) quanto alla flessibilità. Non vuole che la FIOM abbia un diritto di veto sull'organizzazione della produzione (turnazione etc.) e quindi impedisca alla FIAT di adeguarsi alle fluttuazioni della domanda

Ho letto in vari articoli, e quindi spero di non dire nulla di nuovo, che la Fiom e tutti i confederali hanno ampiamente utilizzato una normativa che garantiva loro rappresentanza sindacale (esclusiva?) in quanto firmatari di accordi contro altre sigle dell'associazionismo di base.

Su Fiat leggevo i volantini dello Slai-Cobas che nel '97 erano furenti su questi aspetti. Ovviamente non è che un dettaglio, ma chiarisce anche la strumentalità della discussione sulla "democrazia" in fabbrica sollevata quando il gioco apparecchiato non va come previsto.

ma il problema di marchionne (cioè il problema generato da marchionne) non si pone in termini economici - ma in termini politico\sindacali.

NON si può dire ai lavoratori: o così o me ne vado. queste non sono relazioni sindacali - sono ricatti (oltretutto ridicoli, vorrei vederla la fiat a campare da sola senza commesse statali e senza incentivi fiscali - oh sì, senza incentivi la fiat quest'anno ha segnato -27% di VENDITE in italia)

NON si può dire ai sindacati: chi non firma è fuori, ora e per sempre.

NON si può auto-escludersi da confindustria e dai contratti nazionali, perchè oltre a creare un precedente pericoloso, creerà delle imprese di serie A (quelle abbastanza grosse da fare come vogliono) ed imprese di serie B (quelle non grosse abbastanza).

e non si può non per motivi etici. cioè anche, e soprattutto, ma in particolare perché dubito che un sistema sociale\lavorativo già fortemente penalizzante per le giovani generazioni come quello italiano possa reggere a colpi del genere. non è il ritorno allo schiavismo che mi preoccupa. è il ritorno a qualche milione di giovani incazzosi per le strade che spaccano vetrine, fondano gruppetti violenti e gambizzano i managers in pullover che mi preoccupa. la questione della gambizzazione molto meno di tutto il resto, ovvio.

clà

Io infatti al posto di Marchionne non lo avrei detto: me ne sarei andato e basta.

E' ben la politica sindacale a tenere i giovani in strada disoccupati. E' cosi' difficile capirlo? A Marchionne dei giovani non gli puo' fottere meno, non ho dubbi, ma certo li sta aiutando.

E perché queste cose non si possono dire?

Non è una domanda retorica: che ritorni negativi può avere Marchionne per i suoi azionisti nel dirle?

A meno che tu non intenda che il policy-maker italiano non può permettere che Marchionne dica queste cose, ma di nuovo mi chiedo: perché non si possono dire?  E quali cose occorrerebbe dire?  IMHO, le posizioni di SM potranno pure non piacere ma non sono da contrastare di petto, bensì da utilizzare come trampolino per migliorare la situazione lavorativa in Italia (leggi: mettere solide basi per far crescere veramente A(Italia)); ho comunque seri dubbi che la classe politica attuale abbia un qualsivoglia modello economico coerente e nemmeno le capacità né la voglia di agire di conseguenza.

 

 

NON si può auto-escludersi da confindustria e dai contratti nazionali, perchè oltre a creare un precedente pericoloso, creerà delle imprese di serie A (quelle abbastanza grosse da fare come vogliono) ed imprese di serie B (quelle non grosse abbastanza).

 

è un pochino fuori tema, rispetto all'ottimo intervento didattico di alberto bisin, ma è una questione importante poco considerata finora.

la fiat può eccome uscire da confindustria, così come confindustria può smettere di esistere come l'abbiamo conosciuta finora. gli esiti sono naturalmente incerti, ma non è impensabile il rischio che la fine o quasi, del contratto nazionale comporti un aggravio consistente del costo del lavoro per tutte quelle medie e piccole imprese che vanno ancora abbastanza bene. lì la rivendicazione sindacale di base avrebbe buon gioco...

sarebbe anche giusto, naturalmente. però i tempi sono quello che sono, il clima acceso della trattativa fiat, che contiene almeno un aspetto illogico e probabilmente illecito (quello per tempo segnalato da sandro brusco) non fanno certo sperare in una moderazione.

il fragoroso silenzio che viene dal quel ministero di via dell'astronomia, alimenta questo sospetto: la confindustria è contro marchionne.

 

Orfeo, non ho capito: se i diktat li pone la FIOM, allora siamo di fronte a relazioni sindacali moderne che fanno il bene del Paese. Se i diktat li pone la FIAT, invece, siamo di fronte alla barbarie umana che genera terrorismo.

Credo ci voglia un attimo di coerenza e, soprattutto, bisogna decidersi: se vogliamo che le aziende investono dobbiamo anche dare loro qualche ragione per farlo. Non credi?

 

la fiat quest'anno ha segnato -27% di VENDITE in italia)

La piccola notazione specifica è che quel calo di vendite è determinato anche dalla cessazione della politica pazza delle auto a km zero vendute ed immatricolate dalle concessionarie. Le km zero avevano il duplice effetto di appesantire finanziariamente la rete, drogare il mercato ed accrescere artificiosamente il nmero delle immatricolazioni.  Forse è anche il caso di notare che i risultati operativi di FIAT sono stati positivi nonostante i cali di vendite. Bene fa Marchionne a fare pulizia imponendo a FIAT di fare per davvero impresa.

In merito ai ricatti. In ogni trattativa c'è una soglia al di là della quale uno dei contraenti non ritiene di poter andare per un qualunque motivo. Marchionne lo  ha esplicitato. Con durezza forse o se si vuole con protervia ma non cambia nulla. Questioni di etica non ne porrei, altrimenti dovremmo ritenere eticamente molto ma molto peggiore l'etica ideologica e pregiudiziale che ha generato le rigidità e le distorsioni del mercato del lavoro, la sua dualità, ha aiutato la disoccupazione ed il lavoro nero del sud ed amenità consimili.

 

Ok sul modello semplificato e sulla logica, pero' quando cambia w(I) (I per Italia) implementando il nuovo contratto?

Visto i costi del lavoro in D direi poco, cosiderato che diminuendo pause ecc si rischia forse piu' errori e minor efficienza. Nessun modello su cio'?

Inoltre precedenti esperienze nel settore chimico dimostrano che l'uso di questo contratto sarebbe "produciamo tutto il possibile ne minor tempo possibile e poi cassa integrazione" (ossia sussidio parzialmente pubblico).

Dato che i dati sono fondamentali vorrei poter leggere qlc sull'organizzazione del lavoro, produttivita', delocalizzazione di VW vs Fiat. Qualche suggerimento per le letture?

 quando cambia w(I) (I per Italia) implementando il nuovo contratto

nulla. questo e' il punto. e' tutto irrilevante per il paese. 

in effetti, come scritto anche da altri, la domanda è cosa succede ora ai vari contratti collettivi e a Confindustria, intanto Fincantieri ha annunciato la sua uscita da Confindustria nelle province di Genova e Gorizia. Riguardo al modello, se tutti gli Stati sono ricorsi in passato alla possibilità numero 2, cioè i sussidi, oggi potrebbe esserci un eccesso di capacità produttiva anche considerando i nuovi automobilisti cinesi e indiani

Grazie per l'analisi chiara e netta, che sostanzialmente corrisponde a quanto ogni persona di buon senso capisce da sé - indirettamente questo ci mostra quanto siano poche le persone disposte a farsi guidare dal buon senso e dall'oggettività anziché dalle ideologie.

E' ovvio che Marchionne sta facendo quello che nel breve periodo è la cosa migliore per la Fiat. Il mio sospetto, però, è che non stia facendo tutto il bene possibile, e che meno di lui l'abbiano fatto i suoi predecessori. Non vedo segni di un tentativo di alzare la qualità o almeno migliorare il rapporto qualità - prezzo - insomma, non vedo segni di un tentativo, che forse si potrebbe fare, per recuperare quello che separa la Fiat dalla Wolkswagen.

 

I like this comment

Buongiorno a tutti, una doverosa premessa, data la mia mediocre cultura mi è alquanto improbo inserirmi in discussioni di questo livello mi scuso quindi in anticipo per lo scarso tenore dei miei interventi.

Venendo al sodo; le teorie economiche su cui ancora ci si confronta (liberismo e socialismo) sono state elaborate in un quadro mondiale completamente diverso da quello attuale, tre quarti del mondo erano sconosciuti, la popolazione mondiale era svariatamente inferiore per numero e soprattutto non ci si poneva minimamente il problema della fine delle risorse. Oggi sappiamo che non è più così per cui mi/vi chiedo come sia possibile teorizzare sviluppi "infiniti" sapendo di non avere a disposizione le risorse per realizzarli. In altre parole, che senso ha continuare a pensare di aumentare "la produzione" se non vi sono sbocchi per il prodotto? Nello specifico dell'automobile, ho sentito che a Pechino stanno introducendo misure restrittive alla circolazione dei veicoli privati a causa degli ingorghi quotidiano (la velocità media è sui 10km/h).

Al piacere di leggere le vostre risposte

 

Beh, insomma, sia socialismo che liberalismo hanno continuato e continuano a essere elaborati e sviluppati; grazie al cielo il numero di quelli che si limitano a ripetere ossessivamente i testi sacri è limitato. Quindi non è che la riflessione teorica sia ferma a quando i tre quarti del mondo erano sconosciuti (agli europei).

Il problema della ''fine delle risorse'' invece non è affatto banale. Certo, a un certo punto il petrolio finirà e bisognerà vivere in una società che usa meno petrolio. Significa anche che bisognerà usare meno energia? Dipende da come evolve la tecnologia per la produzione di energia. Ammesso di usare meno energia, significa dovremo consumare meno beni e servizi? Dipende da come evolve la tecnologia per la produzione di beni e servizi, e in particolare quanto sarà intensivo l'uso di energia. Sviluppi ''infiniti'', come li chiami tu, sono possibili se l'evoluzione della tecnologia è favorevole.

Tu dici che sappiamo che non avremo le risorse. Buon per te, io non so proprio fare previsioni a così lungo termine. Pensa per esempio alla produzione di informazione. Oggi produciamo informazione usando infinitamente meno carta, piombo, inchiostro anche solo di 15 anni fa. E' perfettamente possibile che nel futuro giornali e libri non richiederanno più né carta né inchiostro. Trent'anni fa simili previsioni sarebbero apparse fantascienza.

Per quanto riguarda in specifico il mercato dell'auto, immagino che a Pechino ci siano ingorghi e che abbiano preso contromisure, come d'altra parte sono state prese a Milano, Londra  e tanti altri posti. Però anche così mi pare che ci sia ancora una enorme potenzialità di vendita per nuove auto, a Pechino, in Cina e in tanti altri posti (a cominciare dall'India). Di nuovo, forse arriverà un giorno in cui il mercato mondiale dell'auto sarà completamente saturo e le uniche macchine vendute saranno quelle che rimpiazzano le vecchie, ma quel momento mi pare molto lontano.

Sito interattivo di Scientific American, settembre 2010

Un po' off topic.

Ma qual è l'attitudine degli italiani verso la vicenda Fiat? Esistono sondaggi che ci dicano cosa pensano quelli che non sono coinvolti direttamente nella trattativa? 

Sarà che io frequento solo sinistri, ma in linea di massima non sento UN commento a favore dell'azienda, ma manco uno...

 

Ringrazio Alberto per l'utilissimo esercizio, così come Marco Esposito per l'interessante analisi di qualche giorno fa.

Cerco di fare qualche passo oltre il modello proposto, dopo averlo sostanzialmente accettato, per domandarmi retoricamente in quale degli attori in gioco possano riscontrarsi caratteri di eccellenza. Sì, perché va bene tutto, ma in tutta questa vicenda, l'eccellenza dov'è? Temo che la risposta sia sconsolante.

1. Da un lato abbiamo Marchionne che sembra volere inseguire una maggiore produttività non tanto per la via maestra, cioè con investimenti e ricerca (da ogni parte si lamentano i ritardi della Fiat nell'annunciare nuovi modelli), ma spostandosi come l'omino del Pac-Man in tutti quei paesi dove - nel calcolo complessivo della produttività A(i) - la componente rappresentata dai sussidi statali sia predominante: cioè anticamente l'Italia, attualmente la Serbia o gli USA (leggi i soldi di Obama per la Chrysler), oppure ottimizzando – qui da noi - gli orari di lavoro all'inverosimile (come giustamente ha sottilineato Esposito, al termine di un turno di 10 ore sulla linea, puoi vedere la Madonna).

Ci sono due aspetti incrociati che non sono ancora stati citati: da un lato la Fiat sembra ancora fatta per l'Italia: ha ancora la dimensione di un'impresa nazionale. Curiosamente, ma non troppo, nel 2009 Fiat Group Automobiles ha consegnato 2.150.700 veicoli (di cui 1.843.400 autovetture, il resto sono veicoli commerciali), cioè un numero incredibilmente vicino alle immatricolazioni delle sole autovetture (di tutte le marche) dello stesso anno (in tutto 2.159.464) nel nostro paese.

Dall'altro lato l'Italia, sembra ancora fatta per la Fiat: incrociando i dati, e spero di non sbagliarmi, nel 2009 sono state immatricolate in Italia circa 710.000 autovetture del gruppo Fiat, il che significa che circa il 39% delle autovetture Fiat è ancora venduto nel nostro paese. E sono quasi certo che molti clienti lo fanno solo “perché Fiat è una società italiana”. Forse una delle ragioni (non considerata nel modello o rientra nel calcolo di A(Italia)?) per cui Marchionne non vuole andarsene del tutto dall'Italia è proprio questa: solo e soltanto in Italia esiste una così ampia fetta della popolazione (circa 33% di share nel 2009) disposta a comprarsi un'autovettura Fiat e smetterebbe di farlo se la Fiat se ne andasse.

Insomma: a Se', non me fai modelli nuovi, me punti ai sussidi dell'Italia, poi di Usa e Serbia, me imponi turni di lavoro visionari, me sforni auto che si vendono facilmente quasi solo in Italia e pur di non andartene mo' te ne vai allo scontro finale col sindacato più grosso. Finora miracoli non me ne hai fatti vedere, se non vogliamo considerare come tale il tentativo di riscrittura delle relazioni industriali a colpi di machete. (L'altro è anche il discreto andamento in borsa del titolo, cosa non da poco e lo ammetto: avevo 100 Fiat prima dello split).

2. Dall'altro lato però abbiamo dei lavoratori che, evidentemente, non hanno mercato. Il livello di automazione e la maturità del settore li ha resi poco o per nulla competitivi. Mio nonno, classe 1906, faceva il sellaio a Pistoia: la leggenda familiare vuole che l'avvento dell'automobile lo abbia costretto a emigrare per venire fare il controllore sui tram a Milano. Non ha avuto tempo di aspettare che l'equitazione tornasse di moda per realizzare costosissime selle per i ricchi figli di brianzoli (o perché no, toscani, rimanendo a Pistoia) come è capitato a un produttore delle mie parte che ora ha una piccola catena di negozi di articoli sportivi specializzati e fa soldi a palate. Mi piacerebbe che davanti a Mirafiori ci fosse un altro imprenditore più illuminato, o semplicemente più efficiente di Marchionne, in grado di pagare di più gli operai della Fiat (nel mio sogno magari loro stessi sarebbero anche più formati e pronti a nuove avventure) e che tutti loro, o almeno i migliori di loro, potessero fare un bel gesto dell'ombrello dall'altre parte della strada a Marchionne, ai suoi turni di 10 ore, alle sue pause di 10 minuti e al divieto di scioperare se non firmi l'accordo. Purtroppo non è così, perché il paese non è in grado di esprimere niente del genere.

3. Ovviamente il terzo attore in grave difetto è l'Italia stessa (il famoso sistema-paese) perché né Marchionne, né gli operai vivono nel vuoto pneumatico e le inefficienze sono sotto gli occhi di tutti (qui dentro ci mettiamo soprattutto la burocrazia e la politica, coi relativi costi economici e sociali dovuti a quel misto tra dolo, inettitudine, difesa delle rendite e incompetenza che tutti nel mondo ci invidiano). Non sto a tediare con la latitanza di una politica industriale, l'interim di SB, Romani ecc. 

4. Infine i sindacati che si dividono tra quelli che accettano i turni di dieci ore e il risarcimento di 0,18 centesimi e quelli che ritengono più importante il diritto di sciopero rispetto a una battaglia su un salario decente (come ha sottolineato Esposito). Anche qui: dov'è l'eccellenza?

C'è un punto però su cui mi sento tutto sommato di difendere la FIOM, cioè che la regola che solo chi firma l'accordo può avere rappresentanza sindacale, mi ricorda tanto il famoso Comma 22: "Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo".

Update: grazie a Michele Boldrin ho corretto il finale in "solo chi firma l'accordo può avere rappresentanza sindacale", mentre la precedente versione del finale riportava erroneamente "solo chi firma l'accordo può scioperare".  Di fatto, come sottolinea Palma, qui sotto e Mariotti in questo intervento sul sito di Pietro Ichino, si tratta di una paradossale eterogenesi dei fini dello statuto dei lavoratori.

 

 

Un miracolo Marchionne l' ha fatto: quando l'ha presa in mano Fiat era talmente decotta che GM ha pagato due miliardi di dollari per non doversela comprare, ed ha riportato in attivo Fiat auto dopo anni.

Son sicuro che non è tutto oro quello che luccica, ma il salto di qualità dell'azienda mi sembra evidente.Anche per questo motivo io ci penserei bene prima di criticare le sue strategie: il mercato dell' auto è sovrassaturo, tutti stanno incamerando sussidi e lottando per restare a galla.

Concordo che gli interessi stare in Italia per sfruttare il sentimento nazionale (ma è anche questione di rete di vendita, e quella non delocalizzerebbe), e che sarebbe meglio per tutti se riuscisse a trasforamre FIAT in VW, ma realisticamente l' obiettivo a breve/medio termine è la sopravvivenza.

Anche perchè cominciare a produrre come loro costa, ed i benefici arrivano man mano che il marchio conquista prestigio.

Infine, mi pare che Marchionne punti si ad incamerare quanti più sussidi possibile, ma anche ad avere un'azienda profittevole anche in loro assenza.Era ora!

Ed era anche ora che qualcuno suonasse la campanella, che in Italia si fan troppi discorsi a vanvera, e prima capiamo tutti che i "diritti inalienabili dei lavoratori"(tm) esistono solo in un'economia sana e vitale e difendere i primi a scapito della seconda è una stretegia suicida, meglio è.

Son sostanzialmente d'accordo con te su tutto, ma la situazione è questa.

Il comma 22 è uno schifo, ma c'è una guerra in corso e se tutti i piloti si danno per pazzi finiamo sotto le bombe.Loro per primi.

.................... l'eccellenza dov'è? Temo che la risposta sia sconsolante.

Credo che l'obiettivo vero di Marchionne non sia tanto e solo la produttività ma il governo della fabbrica con relativa riduzione di assenteismo e microconflittualità. Credo anche che le forzature che lei eividenzia nel suo commento siano, per l'appunto, forzature, messaggi a Sindacati e Confindustria perchè si occupino della questione della rappresentanza. Non mi pare che una situazione di dissidio sia utile a nessuno a partire da FIAT. Quanto ad un aspetto strategico della questione la situazione di partenza di FIAT era drammatica e, lungo il percorso per tentare di riemergere si è verificata la crisi e poi la vicenda Chrysler. Da qui la necessità di riscrivere daccapo la strategia vincolata dai limiti finanziari in cui FIAT si trova stretta. La volkswagenizzazione di FIAT è una strada obbligata e non lo ignora di certo Marchionne ma per ora, rimane un obiettivo a cui tendere nella speranza che è per l'eccellenza che si stia lavorando. Qualche segnale pure c'è.

C'è un punto però su cui mi sento tutto sommato di difendere la FIOM, cioè che la regola che solo chi firma l'accordo può scioperare,

Ma e' quella la regola? Non stai mischiando due regole che il contratto introduce?

- Chi firma l'accordo puo' organizzare rappresentanza in azienda, chi non firma non puo'.

- Chi firma l'accordo e poi ci sciopera contro, viene licenziato.

Intanto grazie per l'attenzione, al sig. Brusco direi che la questione del petrolio e delle tecnologie correlate non riguarda solo l'energia poichè la nostra vita si basa sui derivati di questa materia, lo stesso computer su cui stiamo scrivendo è, per la sua parte "meccanica" petrolio. Senza dimenticare la miriade di colle, vernici, plastiche varie ed assortite (ha mai pensato che il suo maglione di pile è fatto di petrolio?).

Il succo della questione sta proprio nel fatto che mentre Smith e Marx "vedevano lontano" i pensatori del XX secolo non sanno andare oltre il "bilancio in corso" e poco o nulla gli cale delle conseguenze generali delle loro scelte. Nessun paese (di qualunque orientamento politico) può permettersi di vivere alla giornata e ancor meno di lasciare il timone a personaggi che hanno come unico obbiettivo il massimo profitto e (sempre dal mio punto di vista ignorante) la recente crisi finanziaria è li a dimostrarlo.

Questi materiali (o dei ragionevoli sostituti) si possono ottenere anche in altro modo, da vegetali o altro.Si usano principalmente i derivati del petrolio perchè sono i più economici, al crescere del prezzo del petrolio ci si sposterà sulle alternative.

Non sarà semplice sostituire il petrolio, sia come fonte di energia che come materia prima, ma qualcosa troveremo.Nel peggiore dei casi, il nucleare è tecnologicamente maturo per produrre energia in quantità sufficiente per qualche secolo, per il resto si possono usare combustibili biologici, trazione elettrica e materiali alternativi.

Può darsi che dovremo ridurre i nostri consumi per compensare i maggiori costi di produzione dell' energia, ma non è detto.

Bene, troveremo un sostituto al petrolio e avremo risolto una serie di problemi.

Non però quello "sociale" per il quale vale il discorso fatto dal sig. Ardemagni a proposito di suo nonno.

Possiamo permetterci di fronte a qualche miliardo di persone che vivono al di sotto del dignitoso, di continuare a sprecare nel modo in cui lo stiamo facendo?

 

Possiamo permetterci di fronte a qualche miliardo di persone che vivono al di sotto del dignitoso, di continuare a sprecare nel modo in cui lo stiamo facendo?

Di fronte all'incertezza del futuro, c'è la certezza che la globalizzazione e questo modello di svilupp variamente declinato hanno migliorato il tenore di vita e sollevato dalla miseria centinaia di milioni di esseri umani. Fprse se ci si pensasse, non sarebbe male. La dimostrazione? si trovano dati dappertutto e quindi non mi pare necessario lingkarne.

 

 

 

della serie anche i bimbi crescono segnalo l'intervista di p.f d'arcais su marchionne alla zanzara su radio 24.

direi che è anche un esempio di come la sinistra-quella-sia ancora sotto il muro e di come il riformismo sia ben poco anche ivi.

una perla ..." marchionne taglia i salari degli operai e quindi non non compreranno le auto.."

non sapevo se postare sulla sezione giornalistica culturale o poetica del sito..

cancellato perchè editato nel 3-d sbagliato

 

Vorrei essere rassicurato, stamattina a "Tutta la città ne parla" di Radiotre è stata data una speiegazione della "strategia" che Marchionne sta conducendo negli Usa da cui ho capito che, il suo problema principale è saldare i debiti con il governo e che il reperimento dei fondi sta avvenendo attraverso altri prestiti, parte dei quali, (sempre se ho capito bene) chiesti ai suoi stessi creditori.

Qualcuno può illuminarmi, perchè se così fosse mi pare in primis che ci sia poco da stare tranquilli e, in secundis, che il soggetto non sia quel genio che vuol far credere.

Scusami Franco, non posso risponderti perché non so nulla delle strategie industriali e finanziarie di Marchionne, ma posso chiederti cosa ti preoccupa? Sei un azionista o un obbligazionista Fiat? Per conto mio ti confesserò che, sempre che l'interpretazione sia corretta, per me si tratta di buone notizie. Essendo un contribuente americano, che la Fiat restituisca i soldi al Tesoro mi pare ottima cosa. Come ci riescano non è cosa di cui devo preoccuparmi.

 

che il soggetto non sia quel genio che vuol far credere.

 

 

hai citazioni che illustrono che vuol far credere di essere un genio ?

....................il suo problema principale è saldare i debiti con il governo e che il reperimento dei fondi sta avvenendo attraverso altri prestiti, parte dei quali.................

Siccome il tasso di interessi sui finanziamenti pubblici è molto elevato e costa 1 bln di interessi annui, visto il miglioramento dei conti, operare per ridurre il costo del finanziamento mi sembra razionale, logico e positivo. Se per far questo bisogna essere un genio non lo so. Per ottenere i risultati che i numeri dicono che ha raggiunto bisogna essere sicuramente in gamba.

In passato qualcuno aveva calcolato, sommando i vari finanziamenti diretti, indiretti e trasversali   erogati a Fiat da tutti i governi italiani nel corso del tempo; che ogni italiano era (considerato il valore delle azioni pro-tempore) "azionista" per il solo fatto di essere vivo. Ma al di la delle spiritosaggini proprio in quanto contribuente USA sarei ancora più preoccupato perchè il giochetto di chiudere un buco facendone un altro (sempre se ho capito bene) lo sta facendo proprio (anche) con voi.

Inoltre (a detta anche di voci interne alla Fiat) è l'azienda che in questi anni ha meno investito sullo sviluppo del prodotto concentrandosi sugli aspetti economico/finanziari e (nella mia ignoranza) mi pare che proprio la "finanziarizzazione del'industria", o quantomeno i suoi eccessi, siano all'origine dei problemi che tutto il mondo sta attraversando ... o no?

Se avete modo, andate a rivedervi un vecchio film di Totò intitolato "La cambiale" secondo me spiega il meccanismo meglio di qualunque lezione di economia.

Poi, forse per un mio difetto formativo, secondo me anche "i metodi" hanno la loro importanza, sarò un inguaribile romantico?

 

Premesso che, non sono un economista, ne tantomeno studio o sono appassionato di economia, e quindi spero nessuno si offenda se dico delle scemenze, vi chiedo:

se per w(i) intendiamo il salario lordo (quindi netto più tasse), sarebbe praticabile e sufficiente in Italia, una politica di redistribuzione del reddito tale da permettere di abbassare il costo del lavoro in maniera significativa (e quindi diminuire w(i) senza intaccare il netto percepito) ?

Grazie

 

w(i) è > salario lordo : è il costo del lavoro

diminuendo il cuneo a parità di netto w(i) si riduce

vi segnalo questo:

http://www.goodwinbox.info/ : 

 

'E se toccasse ai lavoratori salvare il capitalismo?'<em>

aLcune proposte sono davvero insensate (!). Giudicate voi quali.

buona giornata

MZ

Quali?

Beh! ammetto che è una facile battuta ma (come dicevo in un altro messaggio) con quanto lo stato italiano ha messo nella fiat nel corso degli anni la "nazionalizzazione" era quasi avvenuta di fatto.

Quanto alla gestione, non mi pare che i vari dirigenti (Agnelli compresi) abbiano dato dimostrazioni molto migliori di tanti vituperati manager "pubblici". 

condivido, infatti bisognerebbe capire cosa intenda lui per 'nazionalizzazione'. Comunque, anche il paragone con Volkswagen è azzardato. Lo stato tedesco ha investito su VW, ma è anche vero che ne ha tratto grandi benefici. LO stato Italia ha investito/sprecato parecchio su Fiat e ne ha guadagnato poco!  

Semplicemente perchè, a differenza della VW, la Fiat dopo Valletta, o comunque da De Benedetti in poi, ha sempre avuto dei manager interessati più ai risultati "finanziari" che non a quelli industriali (il massimo dei danni in questo senso li fece Romiti). Purtroppo in Italia tra politica e industria vige (da tempo immemore) un patto per cui, ognuna delle parti chiude un'occhio sulle mancanze dell'altra ricevendo in cambio "un aiutino" in caso di difficoltà.

Caro Alberto Bisin,

 

ho letto tuo post (non i commenti), ho apprezzato chiarezza ed eleganza. Concordo sulle treopzioni che indichi per consentire alla Fiat di recuperare la competitività necessaria: (1) salari più bassi; (2) sussidi; (3) protezioni doganali. Ovviamente ce ne sono altre due: (4) produttività più alta – aumentare A(i) -, la soluzione Marchionne; (5) chiusura degli impianti – l’alternativa Marchionne.

 

Come scrivi, simpatia ai lavoratori, ma le condizioni economichesono contro di loro. Noto però che nel tuo modellino lo sono per ipotesi: l’analisi parte da “un paese che non produce auto”. E sempre per ipotesi queste situazioni difficili sono i costi unitari superiori ai concorrenti, non altro.

 

Il tuo modello assume inconsciamente  – così mi pare - la perfetta concorrenza nel settore: così eviti molte complicazioni. Però l’auto è un oligopolio: a ragionare in termini di concorrenza perfetta si comprendono male le strategie Fiat. (La Fiat ha interesse a mantenere aperto Mirafiori anche in leggera perdita). Ma capisco la logica della semplificazione.

 

Se il tuo modello intende analizzare il problema Mirafiori dal punto di vista aziendale, è molto chiaro. Tuttavia mi pare che non consente di andare oltre l’analisi del problema aziendale: non perché è di breve termine, ma, molto semplicemente, perché non è di equilibrio generale, e quindi non può andare oltre l’analisi aziendale. Ma nei commenti sembri voler andare su un piano più generale, e di policy (P.es. citi il governo, che “non può fare molto”, ecc.). Se è così, possiamo parlarne, ma secondo me è più facile farlo al di fuori del modello.

 

Il modellino, infatti, considera un solo settore produttivo. Ma i meccanismi di riequilibrio fra grandi aree valutarie si basano, come sai, sulla concorrenza di lungo termine fra settori diversi all’interno di un paese o area valutaria. I cambi reali (semplificando) tendono a riequilibrare i costi di produzione medi per unità di prodotto nelle diverse aree valutarie, ma non a livello settoriale: ciascun paese si aggiudica dunque alcuni settori, ma non tutti.

 

Il punto rilevante per me è il seguente. Nel lungo periodo, passata 'a nuttata (la crisi globale, la crisi causata dalla fine degli incentivi all’auto, ecc.), quando saremo di nuovo in “piena occupazione”, in equilibrio generale, dati (ammesso che vogliamo mantenerli) gli standard sociali, sindacali, democratici, ambientali, sanitari, previsti in Italia (Europa): la divisione internazionale del lavoro (ottimale) che prevarrà prevede un settore auto profittevole in Italia? O no? Questa è una domanda di lungo periodo, ma che ha rilevanza per le scelte di oggi.

 

E qui apro una parentesi. Non ho capito bene se c’è  - qual è -  il tuo dissenso con quanto ho scritto sul FQ. Perché siamo tutti perfettamente coscienti che il deprezzamento del cambio (quando avviene, sui mercati valutari) è una tassa sui consumatori/lavoratori. So what? Nel breve termine, dà anche un eccezionale sostegno ai produttori nei settori aperti; e questo effetto è quasi sempre nettamente dominante, sulla domanda aggregata, almeno in una situazione di disoccupazione (vedi Polonia 2009). (Tra l’altro l’Italia ha un deficit delle Partite Correnti che viaggia intorno al -3% del PIL: mica poco! Non pensi che sia un problema? Non saresti contento di vedere l’inflazione Europea al 3% e quella italiana al 0,8%, per qualche annetto?). Nel lungo termine è un meccanismo automatico di aggiustamento dei salari relativi che tende (tra mille imperfezioni) ad abbassare strutturalmente i salari relativi medi del paese meno competitivo. Se non inserisci i cambi (reali) nel modello, i salari relativi restano fissi per ipotesi e i meccanismi di expenditure switching non possono funzionare (così mi pare). E questo conta, per sapere se il problema Fiat è ciclico o strutturale, o se si tratta di un problema della Fiat o dell’Italia, e come va risolto.

 

Il punto del mio post sul FQ è che in piena occupazione, nel lungo termine, l’opzione (5) è del tutto accettabile dal punto di vista del paese: non ha senso per un paese aggrapparsi - nella mutevole divisione internazionale del lavoro -  a settori obsoleti, svantaggiosi sul piano comparato, impedendo una riallocazione dei fattori verso settori più vantaggiosi. E siccome l’occupazione non dipende dal livello di produttività o dalla “competitività” del paese con le altre aree valutarie, o dagli standard sociali, e si risolve in altro modo... ne segue che:  Leggi che fissano standard sociali e ambientali minimi avanzati sono del tutto compatibili con la globalizzazione. Questo punto sarà banale, ma non è scontato nella opinione pubblica.

 

Al contrario tu analizzi il breve termine. In questo caso il punto di dibattito più interessante a mio avviso sarebbe il seguente: in una situazione di disoccupazione conviene fare sacrifici (quali, come distribuirli fra lavoratori e i taxpayers, fra contrattazione e legislazione) pur di mantenere in vita Mirafiori? Se poi si vuole allargare l’analisi alla situazione ambientale in cui la Fiat opera, sorgono altre domande. Che ruolo ha la politica monetaria? (Considerato che l’attuale livello dell’Euro è accettabile, il recupero di competitività dell’Europa del Sud e dell’Irlanda sarebbe più facile se l’inflazione media europea fosse un po’ più alta). La politica di bilancio è davvero disarmata, o non si potrebbe votare in Parlamento una forte riduzione strutturale delle spese (un aumento strutturale futuro delle tasse) e insieme dare (a chi? come?) un sostegno temporaneo di breve termine all’economia? (Sì, il mercato italiano è ancora molto importante per Fiat). In tal caso, davvero gli effetti ricardiani annullerebbero ogni beneficio espansivo di breve, o la situazione di vincolo finanziario in cui si trovano “molti consumatori ... ormai alle corde” smentirebbe quella tesi? Davvero il governo non può usare l’arma della innovazione nella regolamentazione dei mercati dei beni per stimolare nuovi investimenti di breve (Obama: green economy)? Non dovrebbe l’Italia, con l’Europa, associarsi alle richieste di rivalutazione dello Yuan? Ecc. Insomma, non credi che di cose da fare ce ne sarebbero parecchie, per facilitare il compito alle imprese italiane?

 

Ma tutto ciò va oltre il tuo post, apre molti dibattiti, chissà, forse vuoi commentare su qualcuna delle cose che ho scritto.

 

Saluti cordiali.

 

PS.  Dimenticavo che la ragione primaria per cui ho scritto questo commento è per dire che Luciano Gallino non ha mai scritto o detto quanto riportato sul mio post in corsivo: si tratta di un mio riassunto del suo pensiero, spero corretto, ma certamente molto sintetico e meno raffinato di come lui di solito si esprime, di cui sono il solo responsabile. Mi spiace per l’equivoco, pensavo fosse chiaro.

Un paio di piccole domande da incompetente a fronte dei risultati finanziari.

Non sarebbe stato meglio rinunciare al dividendo e abbassare ulteriormente il debito?

Con che faccia chiedi la cassa integrazione a fronte di un risultato simile?

Oggi leggevo di una ricerca comparativa, condotta dell'associazione di Damiano, sui contratti di lavoro in Chrysler negli USA, Fiat in Italia e Volkswagen in Germania. Al solito l'articolo e' scritto un po' cosi', e non sono riuscito a trovare la fonte originale per controllare i dati. In ogni caso i dati che se ne evincono sono:

1. Minuti di pausa su 8 ore di turno: Chrysler 40 m, Fiat 60m (contando la mensa, erano 70 m prima dell'ultimo accordo) e VW 65m.

2. Orari settimanali: Fiat 40 ore, VW da 25 a 35 ore. Chrysler non pervenuta.

3. Straordinari: La Fiat puo' imporre fino a 120 ore annue di straordinari. In VW gli straordinari devono essere approvate dal consiglio di fabbrica (dove siedono i rappresentatni dei lavoratori). Chrysler non ci e' dato sapere.

4. Diritto di sciopero: Chrysler niente fino al 2015. In VW un sindataco puo' dichiarare lo sciopero se il 75% degli iscritti lo approva. In Fiat mi pare di capire che una volta firmato l'accordo poi non puoi piu' sciperare contro i punti dell'accordo stesso. Poi

5. Stipendi mensili medi: Fiat 1200 netti. Chrysler 1300 euro netti (ma hanno meno welfare, ad esempio non e' inclusa l'assicurazione sanitaria). VW 2500 netti (o 3700 lordi) con un turno di notte ed un figlio. Non ci e' il lordo italiano, ma immagino sia tra i 2200 ed i 2500.

Questi dati, per quanto incompleti sono corretti? Perche' a me pare che Marchionne avesse affermato che le condizioni dell'accordo Fiat erano standard per il resto d'Europa, ma questi dati sembrano smentirlo. Come stanno le cose? E come fa VW a permettersi queste condizioni per gli operai? Secondo un altro breve articolo sul modello VW, sembrerebbe che il segreto sia di produrre in Germania solo vetture che valgono oltre 20.000 euro (le Polo le fanno nella Repubblica Ceca). Questo sembrerebbe implicare che il costo del lavoro sia un fattore secondario (Marchionne stesso lo quantificava al 7%) e che le promesse di Marchionne di andare verso le condizioni del lavoro tedesche sono vuote senza una radicale ritrutturazione della gamma dei modelli Fiat. Qualcuno ha dati piu' precisi sulla questione?

 

Stai suggerendo per caso che gli operai della FIAT, anziche' dare retta alla FIOM, dovrebbero trasferirsi in massa in Germania proponendo alla VW di lavorare per 2499 euro netti al mese con 60 min di pausa?

Bravo Francesco. Siamo d'accordo su questo.

Questi dati, per quanto incompleti sono corretti?

non lo so, io però avevo notato in un altro blog che le tabelle su occupazione e produzione nell'edizione cartacea  erano sbagliate di brutto, come mi ha confermato una che ci lavora:

 

http://wordwrite.wordpress.com/2011/02/01/hans-john-e-francesco-ovvero-wolfsburg-detroit-e-torino/#comments

 

Oggi leggevo di una ricerca comparativa.......

E' un articolo di giornale che riporta alcuni dati senza spiegare alcun crterio metodologico. Nessun problema. Trovo solo fastidiosa e frutto di consueta malafede la frase finale: "Un ultimo particolare: l'azienda di Hans contende a Toyota e Gm la leadership mondiale." che denota solo gratuita volontà critica. Comunque sia ribadisco che gli accordi FIAT più che una focalizzazione sui livelli salariali avevano ad obiettivo il governo della fabbrica, la riduzione della conflittualità e la riduzione dell'assenteismo.

 

 

 

 la riduzione dell'assenteismo.

 

per ora gli riesce alla grande ridurre la Market share , una cosa alla volta : non mettiamo troppa carne al fuoco! 

Ha perso quasi 3 punti : per la prima volta sotto il 30%.

18:12 01/02/2011

<em>Auto Italia: -20,70% immatricolazioni gennaio, gruppo Fiat -27,7%<em>

Quota del Lingotto e' scesa al 29,2% Milano, 01 feb - Il mercato dell'auto in Italia a gennaio e' sceso del 20,7% verso un anno prima a 164.356 unita'. Lo comunica il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Per il gruppo Fiat il calo e' maggiore del mercato e si colloca al 27,7% con immatricolazioni pari a quasi 48mila unita' e una quota scesa al 29,2% dal 32% di un anno fa. pal-Y- 01-02-11 18:12:17 (0367)news,sms,TV 3

Concordo con il messaggio precedente il problema fiat non è nella "produzione" ma nella "vendita" e il calo di quest'ultima è solo in parte imputabile alla qualità del prodotto, poichè (nelle sue fasce di mercato) non è che la concorrenza offra cose strepitose. 

P.S

Io ho una vettura con 100K Km, va benissimo e non capisco perchè dovrei cambiarla visto che, quando me l'hanno venduta mi hanno detto che posso stare tranquillo fino ai 250/300K