Lezioni dal calcio

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Il calcio ci può insegnare molte cose. Cerchiamo di vedere quelle piacevoli ma oggi, soprattutto, quelle spiacevoli.

Noi di nFA, si sa, siamo favorevoli alla competizione in tutti i campi a condizione che questi campi siano ben livellati. Pensiamo infatti che la competizione sia il modo migliore per mettere la persona giusta al posto giusto, ossia per massimizzare i frutti del talento individuale.

Ogni persona, infatti, ha qualche talento (magari nascosto all'osservatore esterno), chi più chi meno ma tutti ugualmente utili fatte le dovute proporzioni. Quando questi talenti sono allocati in modo da massimizzarne i frutti c'è un ovvio beneficio per tutti, non solo per chi il talento lo possiede. Gli economisti dicono che questo ci porta sulla "frontiera paretiana"

Il modo migliore per realizzare questa allocazione ottimale è far si che vinca sempre e comunque il migliore in una competizione che sia equa e ben regolata. Questo permette al talento di rivelarsi. In una competizione equa e ben regolata, infatti, non contano cose come le connessioni sociali, l'appartenenza a una parte o a un'altra, le posizioni iniziali (se non nella misura in cui queste già riflettono il talento), eccetera. Per cui il talento, in media, si manifesta necessariamente in competizioni fatte cosi'

Per esempio, su nFA e altrove si denunciano episodi in cui i vincitori di un concorso per professore in qualche università non siano assegnati con criteri di merito, perché così non avremo mai la migliore università possibile, ma sempre una mediocre.

Abbiamo quindi sempre visto con simpatia il calcio (senza nulla togliere alle altre competizioni sportive) perché ci sembra possa insegnare quanto funziona bene il principio della selezione attraverso la competizione. Tutti capiscono che se un club vuole vincere la Champions League, o una nazionale la Coppa del Mondo, non può selezionare la formazione sulla base di simpatie, alleanze, e patti nascosti. In campo deve andare il migliore. Tutti capiscono che se un giocatore fa la differenza in campo, allora è necessario pagarlo quanto vale, e stipendi di milioni di euro sembrano perfettamente giustificati. E tutti capiscono anche che questo talento a volte va cercato all’estero. E tutti capiscono che il talento è cieco ai colori come li vediamo noi: se per caso un talento italiano in attacco ha la pelle scura, ben venga in nazionale. Lo sport in generale, insomma, può insegnare molti valori: competizione, tolleranza, accettazione del successo altrui. E il calcio in particolare (in Europa almeno, vista la dimensione del mercato) insegna che il mercato stabilisce il giusto prezzo del talento quando la competizione è equa.

Così, a chi si chiedeva perche nelle università italiane ci siano pochissimi professori non italiani e perché le università non italiane pullulino di talenti italiani avremmo risposto che il motivo è che gli italiani non sanno apprezzare il talento, in particolare quello che che viene da fuori, e che questo disprezzo del talento è dimostrato dal modo in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, si assegnano i posti di lavoro e si decidono le promozioni nelle università e negli altri comparti della pubblica amministrazione.

E avremmo indicato squadre di club come l'Inter il cui allenatore (che era venuto da fuori) mette spesso e volentieri undici giocatori in campo che vengono dall’estero. Insomma, avremmo osservato che per le cose che prendiamo sul serio (gli italiani prendono il calcio molto sul serio) sappiamo benissimo come fare per vincere. Sappiamo benissimo come scovare, valorizzare e ben remunerare il talento. Quindi la prescrizione era chiara: facciamo come si fa nel calcio e andremo bene.

Questo solo fino a ieri, quando Jose' Mourinho ha confermato se ne va. Certo, si tratta di un caso e ci sono molti altri talenti che non se ne vanno, ma la vicenda pone comunque una domanda: forse l'Italia anche nel calcio, un settore dove sa attrarre, valorizzare e ben remunerare i talenti, non è poi capace di trattenerli questi talenti? La domanda è cruciale, perché se così fosse allora andrebbe ripensato il modo in cui concepiamo il problema della fuga dalle università e dagli altri centri di ricerca, ad esempio: forse il brain drain che vediamo non è solo questione di soldi che paghiamo o di strutture che offriamo? C'è qualcosa di più profondo? Cosa ci insegna il caso Mourinho?

Iniziamo dal capire perché se ne va. Una spiegazione Mourinho l'ha data alla fine del campionato:

C'è stato un momento della stagione in cui non mi sentivo nel mio habitat, e pensavo che questa non era la mia casa e questo non era il Paese dove io potevo essere felice lavorando, poi però non ho avuto più tempo per pensare a questo.

Evidentemente dopo ha trovato il tempo per pensarci e ha preso la decisione. La parte in grassetto l'abbiamo enfatizzata noi, perché è quello che potrebbe dire uno qualunque degli italiani che affollano le università in USA, UK, Spagna, Germania, Francia, Svizzera, e chissà quanti altri paesi. E non solo le università, s'intende, perché il brain è fenomeno intersettoriale. Cioé, molti accademici espatriati pensano esattamente questo: in Italia puoi vivere felice ma è davvero difficile, se vuoi fare ricerca, vivere felice e anche lavorare felice. Perché? Cosa c'è che congiura?

Quanto sei pagato è certamente parte della storia, ma non è tutto. Impariamo ancora dal caso Mourinho: José è pagato profumatamente eppure non può vivere e lavorare felice. Il perché non poteva lavorare felice l'ha suggerito fra le righe più volte: in Italia non si sente a casa, perché da dieci punti di vantaggio l'Inter si è trovata sotto di uno (poi ha vinto comunque e gli interisti devono ringraziare solo la Sampdoria ricorda il sampdoriano GZ all'interista AR), perché molte partite le ha dovute vedere dalla tribuna, perché in Italia non si parla mai dei problemi veri, ed è per questo che abbiamo avuto calciopoli. Insomma Mourinho ci sta dicendo che non capiamo il fair play, che anche nel calcio portiamo un veleno, un'amarezza che poi si estende a (riflette, precisiamo noi che siamo scienziati sociali :-)) tutte le altre attività. In sostanza, che non capiamo la cosa più importante: che voler vincere, volerlo fortemente, non ci dovrebbe impedire di ammirare e riconoscere le qualità e il successo degli altri. E ripensando al calcione che l'italiano Totti ha rifilato all'italiano Balotelli quando era chiaro che la Roma avrebbe perso la Coppa Italia, oppure all'invito a vergognarsi che la presidenza della Roma ha rivolto alla presidenza dell'Inter dopo Lazio-Inter sostiamo, pensosi.

I giornalisti sportivi non l'hanno mai amato e non ne hanno mai fatto un segreto. Per loro era uno sbruffone arrogante e come tale andava trattato. Lui d'altra parte non ha cercato l'inciucio con loro: giudicatemi per il mio lavoro, avrà pensato, non per quanto sono piacevole con voi. Ci pare la metafora del perché se vuoi lavorare seriamente hai vita difficile in Italia.

Noi non sappiamo se Mourinho sia sincero oppure no. Il fatto che la mattina dopo la vittoria a Milano a celebrare ci fosse tutta la squadra senza di lui ci fa pensare che forse il suo attaccamento principale, forse esclusivo, è a José Mourinho, un uomo ambizioso che insegue il successo personale. Ma cerchiamo di prendere un insegnamento: questo successo personale poteva (continuare a) realizzarlo anche in Italia -- persino essere l'unico allenatore ad aver vinto tre volte la Champions con tre squadre diverse visto che l'Italia ha tre squadre in Champions League oltre all'Inter (ma proprio oggi e' stata rilasciata la parte inedita dell'intervista a Marca: le tre Champions vanno vinte con squadre inglesi, italiane e spagnole per fare il grande slam). E invece se ne va. Lui come tanti altri, fuori e dentro il calcio. Forse questi talenti in fuga ci stanno mandando un segnale importante che non cogliamo? (Si, lo sappiamo c'è anche il messaggio del talento che non se va, ma questo è un post su chi non viene o se ne va, non su chi resta.)

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Commenti

Ci sono 17 commenti

interessante e condivisibile

 

L'analisi proposa mi sembra valida e condivisibile. La frase "questo non era il Paese dove io potevo essere felice lavorando" è proprio azzeccata e molti, come detto, la fanno propria. Com'è che ci siamo evoluti? Se parlate con gente di una certa età ne esce un generale scoramento...

Il passo successivo potrebbe essere analizzarne l'origine e proporre soluzioni.

Anni fa ricordo come chi andava in pensione viveva questo momento della vita come una pena, un dispiacere di lasciare amici e colleghi, tant'è che spesso vi erano "feste" di commiato. Oggi sempre più vedo gente che non ne può più di un ambiente di lavoro avvelenato. Questo, probabilmente, causa quasi sicuramente una notevole diminuzione nella produttività. E' una delle preoccupazioni in aziende USA e Japan (per es), in cui l'obiettivo è (anche) rendere felice il lavoratore.

A come si è giunti a questo? Non lo so, ma esterno le mie sensazioni di "sempliciotto":

1) un clima di aggressività politica che si è sempre più esteso e propagato al popolo.

2) le ingiustizie palesi creano tensioni, sottovalutate, e non si cerca di porre rimedio.

3) una certa miopia nel non saper vedere oltre il muro del proprio giardino: insomma, mancanza di statisti (che sono diversi dai politici): prevale in concetto "arraffo tutto quello che posso subito" piuttosto che "cerco di essere lungimirante"

 

 

E' una delle preoccupazioni in aziende USA e Japan (per es), in cui l'obiettivo è (anche) rendere felice il lavoratore.

 

Anche nelle aziende tedesche, più "rudi" nei rapporti umani rispetto ai nostri standard, si cerca comunque la "felicità" del dipendente, in un modo che non ho mai riscontrato nelle mie esperienze lavorative con aziende italiane, dove sembrerebbero non porsi nemmeno il problema (ma parlo solo della mia esperienza lavorativa non ho dati al riguardo).

PS

Il post è interessante, ma prende spunto da un personaggio professionalmente indiscutibile che, secondo me, umanamente non merita e forse neanche moralmente.

 

 

una certa miopia nel non saper vedere oltre il muro del proprio giardino: insomma, mancanza di statisti (che sono diversi dai politici): prevale in concetto "arraffo tutto quello che posso subito" piuttosto che "cerco di essere lungimirante"

 

Questo è un buon argomento. Tanto buono che, in realtà, non pare riguardare solo quel microcosmo chiamato "politica". Per sgradevoli esperienze personali - anche recentissime - sono certo di poter dire che atteggiamenti da "arraffo tutto quello che posso subito" siano assai diffusi, in tutti gli ambienti che prevedono una gerarchia in qualche modo "elettiva", talvolta anche solo formalmente tale. Cito, ad esempio, Confindustria. Non perché sia peggio di altre organizzazioni, ma perché ne posso parlare in prima persona e, soprattutto, posso guardare ad episodi che costituiscono ottimi esempio di un "arraffo" che non deve per forza essere di carattere monetario: in questo caso lo è molto meno di quanto si pensi e le logiche in gioco riguardano più il prestigio del ruolo. Rimane, dunque, il fatto che in diversi casi piccole consorterie - intese come consorterie di "piccoli uomini" - mettono le ambizioni personali davanti ad una lungimiranza nemmeno tanto difficile da avere. Magari sono i tempi, di cui i comportamenti sono sintomo. O, magari, così è sempre stato ma oggi è più evidente od anche solo noto. Ma non responsabilizzerei in particolare la politica, che mi pare solo una espressione del tutto.

 

Per esempio, su nFA e altrove si denunciano episodi in cui i vincitori di un concorso per professore in qualche università non siano assegnati con criteri di merito, perché così non avremo mai la migliore università possibile, ma sempre una mediocre.

Due punti di commento veloce:

- sul principio non posso che essere d'accordo. Peccato che, dopo tutto il parlare di con-correnza qui e con-correnza là (sul cui ruolo e sulla cui pervasività potrei comunque avere, nel concreto, delle difformità di opinione), gli economisti di lingua italiana mi cadono sul con-corso... dicendo che siccome appunto non vengono quasi mai usati i criteri di merito (nei loro settori disciplinari, NB), bisognerebbe abolirlo e fare la c.d. "chiamata diretta", che io non ho mai capito cosa sia, ma che in concreto pare (anche stante la situazione concreta del ddl Gelmini in Senato) che significhi poter disporre di una maggioranza in Consiglio di Dipartimento per battere altri eventuali "abilitati", interessati al posto. Sarebbe come se, rilevato un problema di sicurezza nell'ammissione dei passeggeri aerei, si decidesse che la decisione va affidata al voto di un Consiglio Aeroportuale, con l'idea che se magari "decidono bene" e non ci saranno problemi, toh, l'Aeroporto potrebbe ricevere in futuro maggiori finanziamenti. Gli Stati Uniti, che non si sono evidentemente ancora fumati il cervello, ti hanno invece imposto maggiori controlli, e in futuro il body-scanner...

- il merito non è una quantità, e segnatamente non è una quantità fisica. Coloro che tentano di usare "paradigmi" e metodi delle scienze naturali in modo ingenuamente analogo, rischiano di andare allo sbaglio. Per questo, tutti i tentativi di approfondire a consolidare una cultura della valutazione dovrebbero essere incoraggiati. Pare che invece esistano in giro dei saccenti che hanno la ricetta pronta, tipicamente nella forma di qualche formula matematica, che così fa più figo.

RR

 

L'articolo è condivisibile, solo se si parla di calcio europeo...

...se invece si circoscrive il tutto al panorama italiano, mi sembra che l'organizzazione calcistica del nostro paese rispecchi al suo interno i vizi peggiori che denunciate voi con grande cura nel blog: distribuzione impari della torta ($oldi, vil d€naro...perchè Inter, Milan e Juve si dividono gran parte del gruzzolo, lasciando agli altri club solo le briciole???), corruzione a tutti i livelli, deferenza e leccaculismo verso i più potenti, partite truccate, doping amministrativo, società calcistiche al collasso economico tenute in vita (o per le palle?!?) da alcune banche ecc. ecc.

Marco

Secondo me siamo noi Italiani che diamo un'immagine talmente negativa del nostro paese, attraverso il nostro pessimismo e la nostra passione nell'ingigantire problemi nostrani senza riuscire ad essere obiettivi con i paragoni col resto del mondo, che alla fine ci credono anche tutti quelli che vengono da fuori; dando così l'idea di un paese scadente e mediocre. All'Italia (intesa non troppo scherzosamente in senso aziendalistico) manca quella buona dose di marketing, che al di là degli aspetti qualitativi "reali" darebbe più fiducia a restare. Anche solo l'illusione di creare un ambiente vincente e confortevole potrebbe essere stimolante e produttivo, poiché sappiamo tutti che siamo ricchi di potenzialità e i cervelli di nostra fattura sono davvero ottimamente istruiti a livello teorico e molto produttivi. 

Purtroppo devo dire che è una questione meramente culturale, e tentare di cambiare con la politica questo fattore equivale ad effettuare propaganda; cosa che è sempre risultata scadente nella storia. E nemmeno eticamente troppo bella.

Come ho sempre affermato serve una spontanea rivoluzione culturale in Italia: probabilmente questo la allontanerebbe dalle sue lacrime autocommiserative e tanti studenti (o lavoratori esteri) sarebbero motivati a restare. 

 

Letizia Moratti, sindaco di Milano e cognata di Massimo, ha appena capito perché Mourinho se ne va a Madrid: perché la stampa italiana è troppo aggressiva ed eccessivamente critica verso gli allenatori. Contrariamente a quella inglese e spagnola, secondo il sindaco. 

Molto d'accordo sul prendere la costruzione dell'Inter 2009-2010 come modello positivo dal punto di vista del talento e della competitività. Per ogni ruolo, sia l'allenatore che la società hanno cercato di prendere il migliore che offriva il mercato, oppure quello che si adattava meglio allo schema di gioco studiato da Mourinho. Poco importa se argentini, brasiliani, olandesi, camerunensi, serbi etc. Questa infatti è l'obiezione più ridicola mossa dall'opinione pubblica, ossia che nell'Inter non c'è nemmeno un calciatore italiano (a parte qualche vecchia gloria e Balotelli ovviamente). Che importa? L'obiettivo era quello di costruire una squadra forte, non una squadra italiana (sarà mica colpa di Moratti se i cross perfetti li fa un olandese e non un piemontese, tanto per dire una regione a caso).

E parlando di obiettivi, mi sembra che il post trascuri un aspetto importante, giustappunto l'obiettivo, e le motivazioni, che pure hanno un certo peso. Da quello che si sa (ma chissà cosa c'è scritto sul contratto), Mourinho già l'anno scorso doveva andare via, ma il contratto fu ridefinito con l'obiettivo Champions in 3 anni.

Ora, una volta raggiunto l'obiettivo, da un lato non ci sono più stimoli - e non c'è più una squadra da stimolare, cosa in cui pare eccellere il portoghese - dall'altro è perfettamente logico che Mourinho tenti, all'apice del successo e avendo praticamente realizzato un mezzo miracolo, di spuntare un contratto milionario in un calcio che sempre di più tira la cinghia. Non più tra un anno o due, ma ora, che ha battuto tutti i più grandi allenatori del mondo - compreso il suo maestro - ed ha davvero riportato un sogno a una tifoseria che lo aspettava da 45 anni. Un mago da pagare a peso d'oro che deve sfruttare il momento. Fallirà? Riuscirà? Lui è sicuro di sé, ma sa bene che le sue quotazioni potrebbero cadere nel giro di una o due stagioni.

Infine, nelle conclusioni c'è un'osservazione un po' ingenua: Mourinho avrebbe potuto scegliere un'altra squadra italiana. Non è vero: nessuna squadra italiana in questo momento può pagare Mourinho. Che, anche se si commuove e lancia avvertimenti al Real del tipo "non sono i soldi o la maglia ma la mentalità e la famiglia che fanno vincere", non si accontenterebbe di un ingaggio medio-alto. Giustamente!

 

 

Vivendo in Inghilterra, mi sono fatto un'idea completamente diversa del personaggio Mourinho. Qui era osannato dai tifosi e dalla stampa (the "special one"), pur avendo vinto poco e meno di molti altri (Ancellotti ha gia' fatto meglio di lui nel primo anno). Si lamentava continuamente degli aribitri a cui attribuiva continuamente la ragione delle sconfitte. In Italia non gli hanno permesso (giustamente, giustamente) di dire a chi voleva quello che voleva. Mourinho e' una prima donna a cui i colori dell'Iinter non interessano. Se non fosse cosi', sarebbe tornato a Milano a festeggiare la Coppa. Ed invece ha preferito rimanere a Madrid per assicurarsi un nuovo contratto milionario alla guida di una squadra sulla carta molto piu' forte dell'Inter (Piccolo curiosita', non aveva detto di non aver avuto nessun contatto con i merenghe? Forse Florentino e' entrato negli spogliatoi a fine partita e gli ha chiesto se voleva restare a Madrid?).

Per quanto riguarda competizione e successo, paragonare il calcio all'universita' mi sembra una forzatura. Il calcio e' superato solo dalla premiership inglese (non sono infatti sicuro che la liga sia migliore) dato che qui hanno piu' soldi: gli stadi sono pieni, sky paga cifre stratosferiche per i diritti televisivi e si vendono migliaia di magliette. Alcune cause del divario possono essere risolte (per esempio, la qualita' degli stadi o la sicurezza), altre sono culturali/strutturali e non credo possano essere cambiate (per esempio, non credo vedremmo mai tanti italiani girare con la maglia azzurra per uscire a cena un sabato sera)

 

 

 

(per esempio, non credo vedremmo mai tanti italiani girare con la maglia azzurra per uscire a cena un sabato sera)

 

Meno male!

Il modo migliore per realizzare questa allocazione ottimale è far si che vinca sempre e comunque il migliore in una competizione che sia equa e ben regolata. Questo permette al talento di rivelarsi. In una competizione equa e ben regolata, infatti, non contano cose come le connessioni sociali, l'appartenenza a una parte o a un'altra, le posizioni iniziali (se non nella misura in cui queste già riflettono il talento), eccetera. Per cui il talento, in media, si manifesta necessariamente in competizioni fatte cosi'

Non capisco, e chi decide se riflettono il talento? Se vinco la lotteria o ricevo un'eredità sono talentuoso? E se non lo sono questo significa che è concorrenza sleale? Quindi qualcuno deve tassarmi e redistribuire? In sostanza se i tuoi genitori sono più ricchi e puoi permetterti una scuola calcio migliore non va bene?

E poi che c'entra il talento con la nazionale? Rooney è un fenomeno, quindi dovrei cercare un bisnonno siciliano e convincerlo a giocare nell'Italia? Prescindendo dal discorso che riguarda Balotelli la cui non convocazione non ha nulla a che vedere con il razzismo (e il tentativo di tirare in ballo argomenti politically correct come il razzismo per criticare delle scelte che non ci piacciono è un atteggiamento penoso e tutto italiano), per quanto riguarda la nazionale il talento ha un colore, o meglio una nazionalità. Poi se non ci piace la competizione per chissà quale trita ragione politicamente corretta va bene. Basta ricordarsi che è calcio e non una guerra. Così se Amauri non viene convocato perchè non è italiano...take it easy, non muore nessuno.

Sul fatto che Mourinho sia bravo non ci sono dubbi, sul fatto che sia anche un personaggio triste voi ne avete? Ricordate quando durante inter barcellona si avvicina ad ibrahimovic che parlava con guardiola per dirgli "non sarai mai un campione"? Ricordate  quando disse che non sapeva come si chiamasse quel dirigente del catania? Ricordate altre 100000 occasioni in cui ha preso a pesci in faccia i giornalisti che non avevano fatto domande diverse da quelle normalmente sottoposte agli altri allenatori? Mourinho se ne va? E che c'entra il fatto che l'italia non sia pronta a trattenere il talento? Forse perchè non ci genuflettiamo davanti ai capricci di un bravo allenatore sbruffone? Nel calcio come nella vita gli esseri umani hanno il multitasking contrariamente all'Ipad. Possono avere talento ed essere contemporaneamente degli stronzi, e non è affatto detto che uno debba scegliere quello bravo e stronzo se ne può avere uno un po' meno bravo ma collaborativo, in grado di creare un ambiente rilassato, ecc. Se tu sai fare bene l'allenatore, ma sei un pezzo di m**** nelle interviste...io giornalista, non ho il diritto di giudicarti umanamente come un pezzo di m****? No, devo starmi zitto perchè sei bravo e devi essere valutato solo per questo? Ma da dove deriva questo frustrante e ristretto concetto di talento. Lippi ha vinto un mondiale con una squadra nettamente inferiore ad altre sul piano del talento così come lo intendete voi...Balotelli avrà grande talento ma è un pezzo di m**** e questo non ha assolutamente niente a che vedere con il suo colore della pelle (per intenderci Materazzi non mi fa meno schifo). Le qualità umane in un calciatore possono rivelarsi fondamentali molto più del talento strettamente inteso (vedere Cassano). Tecnicamente perdere Mourinho può essere negativo, umanamente non lo è di certo. Il calcio italiano sopravviverà benissimo senza di lui...abbiamo vinto l'ultima coppa del mondo, sfornato talenti e uomini veri come Maldini, Del Piero, ecc.

 

Concentriamoci su un altro problema tutto italiano piuttosto...il fatto che trovato il capro espiatorio nessuno se ne frega più delle telefonate di Facchetti.

Concentriamoci su un altro problema tutto italiano piuttosto...il fatto che trovato il capro espiatorio nessuno se ne frega più delle telefonate di Facchetti.

Ah ecco!

 

Professor Rustichini, Professor Zanella,

Il messaggio di fondo dell'articolo è importante, fondamentale: meriterebbe tesi di phd, libri e conferenze. E' anche un tema che a me sta particolarmente a cuore perchè -- pur senza essere chissà che cervello -- sono uno di quelli che non torna in Italia neanche a parità di salario / condizioni lavorative varie. Insomma, l'interesse per il tema e qualche personalissima opinione ce la avrei pure ma... 

...qui si sbatte contro un muro di gomma: il riferimento al calcio, in Italia. Purtroppo, appena si sfiora l'argomento, gli occhi si irrorano e la mente si annebbia, anche nei cervelli piu' fini, in fuga o in quiete. Tanto per chiarire, non mi sto riferendo a nessuno dei post precedenti, parlo di me e delle mie esperienze personali. E, vieppiu', non mi considero affatto superiore:

Sebbene, come accennato, mi sarebbe tanto piaciuto leggere una discussione (e forse anche intervenire io stesso) sul tema "Forse il brain drain non è solo questione di soldi?", in questa sede non ci riesco perchè.... è piu' forte di me: come faccio a scrivere o a leggere serenamente di brain drain e "motivazioni personali che esulano dai quattrini" su un post in cui si parla bene di Mourinho???

La mia parte piu' razionale pensa che l'accostamento sia come il diavolo e l'acqua santa: da un lato, ci sono ricercatori che vogliono solo lavorare sulle cose che piu' li interessano ed essere felici nella vita privata; dall'altro, un tizio che vive una vita quotidiana che non ha nulla a che vedere con quella di un italiano medio e che non puo', per forza di cose, avere le stesse motivazioni per andarsene.

La mia parte piu' genuina, poi, rifiuta l'accostamento e non puo' fare a meno di scrivere: che c'entro io con un tizio che è arrivato in Italia insultando i colleghi (quello è vecchio, è un perdente, io vinco... roba da asilo nido) e poi se ne va dall'Italia perchè tutti lo odiano e non si prostrano ai suoi piedi solo perchè sa vincere. E sarà vero, poi? Oppure è semplicemente facile andarsene da vincitore: trattasi di un allenatore che sistematicamente scompare dalla sala stampa quando l'inter perde...e io che ho da imparare da lui, la competizione? ah ah ah...

Ecco, l'ho scritto. Sono un perfetto italiano medio, quando ci metti il calcio di mezzo si parte per la tangente.

Insomma, Professor Rustichini, Professor Zanella:

Vi andrebbe di venirmi (venirci, se qualcuno è d'accordo con me) incontro? Vi va di ritirare fuori l'argomento "Forse il brain drain non è solo questione di soldi?" in un'altra sede senza fare riferimenti a Mourinho -- o ancor megliio al calcio in generale?

Mi interesserebbe tanto, tantissimo leggere cio' che pensano gli altri che, come me, non hanno alcuna intenzione di tornare in Italia...i perchè e i percome... buttare via l'argomento sarebbe proprio un peccato.

Saluti da Zürich

Quello che dite sarebbe vero se il calcio, in particolare quello italiano, fosse un mercato concorrenziale.

Ma cosí non e'. Basta spulciare i bilanci delle societá, per vedere come l'essere virtuosi economicamente non paga. In un mercato concorrenziale dopo x anni di bilancio in rosso la societa' chiude e sul mercato rimangono le societa' in grado di garantirsi utili sufficienti.

Nel calcio questo non avviene per molti motivi che rendono il calcio tutto fuorche' un mercato concorrenziale.

L'Inter da voi citata, a parte il regalo del Barcellona dello scorso anno (Eto + 40 Miliardi per Ibra) e' una societa' che in un mercato vero sarebbe fallita dopo qualche anno.

Per non parlare poi della gestione dei diritti televisi, e dei procuratori sportivi (vedi il caso GEA) che rendono lo stesso mercato dei calciatori non concorrenziale (dalla serie lo stesso calciatore se lo comprava la Juventus costava 10, mentre se lo voleva un'altra societa' costava 50...)

Ora tutti contenti che una squadra italiana abbia vinto. Pero' per tifo evitiamo di portare ad esempio di libero mercato, un mercato, quello calcistico, che e' tutto tranne che libero...