Si vocifera che, alla fine di questa settimana, il governo dovrebbe presentare il proprio “piano per lo sviluppo”. Visto che non vi è motivo per aspettarsi alcunché di buono, è ipotizzabile – o meglio, auspicabile – che si realizzi lo scenario in cui la Marcegaglia dia finalmente corso alle sue ripetute minacce e stacchi la spina a questo governo, composto oramai da fuggiaschi atterriti. Nell'attesa speranzosa di una rapida uscita di scena del Sultano dell'Olgettina, colgo l'occasione per condividere alcune riflessioni attorno all'operato, in termini di politiche fiscali, dei vari governi presieduti da Berlusconi. Lo scopo che mi prefiggo è di confutare tre luoghi comuni, diffusi in 17 anni di retorica berlusconiana e inghiottiti senza riserva da una parte dell'elettorato.
I tre luoghi comuni si riassumono nella credenza che i governi Berlusconi:
a) abbiano tenuto “in sicurezza” i conti pubblici, grazie sopratutto all'indefesso Voltremont;
b) siano stati un argine contro la dilagante spesa pubblica;
c) siano stati un argine contro l'oppressione fiscale.
Smentire questi luoghi comuni vuol dire in fondo smentire la credenza che la politica di bilancio berlusconiana abbia avuto alcunché di simile a ciò che viene genericamente identificata come una politica fiscale di “destra liberale”. Anzi, vi dirò di più, il colmo dei colmi è che c'è concreta evidenza che pure le sconquassate politiche del centrosinistra siano riuscite a fare meglio di Berlusconi rispetto ai punti a) e b), e fondamentalmente non peggio rispetto al punto c).
I conti in sicurezza. L'avanzo primario è un importante indicatore utilizzato per giudicare la solidità delle politiche di bilancio di Paesi che, come l'Italia, hanno un alto debito pubblico. L'avanzo primario è dato dalla differenza fra entrate e la spesa primaria del governo, dove per spesa primaria si intendono tutte le spese tranne quelle per gli interessi pagati sullo stock di debito pubblico. Chiaramente, se dall'avanzo primario sottraiamo la spesa per interessi otteniamo il deficit dello Stato. Per paesi ad alto debito pubblico e con limitate capacità di crescita, la presenza di un solido avanzo primario è condizione cruciale per una sana e prudente gestione di bilancio. Infatti, l'avanzo primario permette di pagare interessi e quota capitale sul debito pubblico senza ricorrere a nuove emissione di debito. Inoltre, un solido avanzo primario mette il bilancio pubblico al riparo dalle oscillazioni dei tassi di interesse che, come vediamo in questi giorni, possono avere serie conseguenze. In conclusione, un ragionevole avanzo primario è quello che permette ad un Paese altamente indebitato di progredire con sicurezza sulla strada del risanamento.
La conclusione da trarre dalla figura è immediata: i governi Berlusconi si sono sempre adoperati per diminuire l'avanzo primario aumentato dagli altri governi (nei periodi 1996-2001 e 2006-2008; *correzione*), minando così alla base il percorso di risanamento delle finanze pubbliche, e riducendo la tenuta del bilancio di fronte a improvvisi shock esterni. Nel periodo conclusosi nel 2005, l'avanzo primario si era ridotto, in rapporto al Pil, di quasi il 6% (i prossimi punti spiegano come).
Ne paghiamo oggi le conseguenze.
[Nota tecnica per i curiosi. La drastica riduzione dell'avanzo primario non si è tradotta in una altrettanto forte esplosione del deficit solo perché, in contemporanea ed esogeneamente all'opera dei governi Berlusconi, si è ridotta drasticamente la spesa per interessi sul debito pubblico. Una riduzione che, come purtroppo oggi verifichiamo, era di natura temporanea e legata alla riduzione dei premi al rischio sul debito italiano conseguente alle misure intraprese successivamente al '93 e all'ingresso nell'euro. Quindi sì, il governo Berlusconi si è mangiato il frutto della riduzione della spesa per interessi. Back to square one, cioè al 1992.]
Un argine contro la dilagante spesa pubblica. Come detto precedentemente, la spesa per interessi sul debito è, almeno nel medio periodo, in larga misura fuori dal controllo diretto del governo. Ne discende che la spesa primaria (definita sopra) è la misura più appropriata se vogliamo valutare la serietà di un governo nel contenere la spesa pubblica.
Anche qui, la performance dei governi Berlusconi è pessima. Nel 2000, alla fine dei cinque anni di governo di centrosinistra, la spesa primaria in percentuale del PIL era a 39.9%, il valore più basso registrato dal 1990. Col cambio di maggioranza e l'avvento del nuovo governo Berlusconi, la spesa comincia a salire per arrivare nel 2006 (cioè con finanziaria votata a fine 2005) al tetto del 44.6%, il livello più alto mai raggiunto fino a quel momento. Dal 2000 al 2006 la spesa quindi sale di quasi il 5% in rapporto al Pil, andando ad intaccare, per il medesimo ammontare, l'avanzo primario. Il tentativo nel 2007 da parte del nuovo governo di centrosinistra di ridurre nuovamente la spesa viene definitivamente interrotto dalla crisi finanziaria, che dal 2008 fa salire automaticamente la spesa in rapporto al PIL.
Un argine contro l'oppressione fiscale. La figura qui sotto riporta l'andamento della pressione fiscale – cioè del rapporto fra tasse e contributi sociali e PIL. I dati fino al 2009 sono di fonte OCSE, mentre i dati dal 2010 in poi provengono dalla Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza. La nota è stata pubblicata dal Ministero dell'Economia in data 22 Settembre 2011, e contiene dunque le previsioni aggiornate che tengono conto sia degli effetti delle varie manovre finanziarie estive, sia della revisione al ribasso della crescita del PIL.
Ci sono varie cose che saltano all'occhio. La prima è che la pressione fiscale non ha avuto grossi cambiamenti negli ultimi 17 anni, oscillando fra il 41% e il 43% del PIL. Tra queste piccole oscillazioni ce ne sono due di particolare interesse, cioè la discesa della pressione fiscale fra il 2000 e il 2005, ed il suo incremento dal 2006 in poi. In generale, sembra che i governi Berlusconi siano stati caratterizzati da una pressione fiscale leggermente più bassa. Per confermare questa impressione, la tabella seguente riporta la media della pressione fiscale durante i governi di centrosinistra e i governi Berlusconi. Dal calcolo ho escluso gli anni delle elezioni, cioè il 1994, 1996, 2001, 2006, 2008. Ciò è opportuno perché il risultato fiscale in questi anni è difficilmente attribuibile ad una singola maggioranza, principalmente in considerazione del fatto che le manovra finanziarie approvate in un anno e da un certo governo hanno effetto sull'anno successivo.
| Pressione fiscale (1995-2011) | Pressione fiscale (1995-2014) |
Governi centrosinistra | 42,6% | 42,6% |
Governi Berlusconi | 41,7% | 42,3% |
Prendendo come campione il periodo 1995-2011, i governi Berlusconi sono stati caratterizzati da una pressione fiscale dello 0,9% inferiore a quelli di centrosinistra. Qui è dove il ridicolo si tramuta in tragico. La parte ridicola è che lo 0,9% in meno è un nulla rispetto ai proclami di chi per anni si è costruito a parole una facciata di presunto paladino anti-tasse. Ma il tragico è che lo 0,9% in meno è, paradossalmente, troppo! Infatti sarebbe importante mettere in chiaro che abbassare, anche di poco, le tasse non è sempre e comunque un'attività da applaudire. Su questo sito si è spesso detto che la pressione fiscale andrebbe ridotta. Tutti d'accordo anche sul come ciò andrebbe fatto: riducendo la spesa primaria. Perciò abbassare la pressione fiscale dell'1,5%, come è stato fatto fra il 2002 e il 2005, mentre contemporaneamente si alzava del 2% l'incidenza sul PIL della spesa primaria è opera da folli. Anzi no, è un'opera studiata nel dettaglio e frutto del populismo più becero. Le conseguenze di queste scelte sono sotto gli occhi di tutti. La distruzione dell'avanzo primario da parte di Berlusconi e compagnia ha avuto le prevedibili conseguenze di 1) bloccare il processo di stabilizzazione del bilancio pubblico messo precedentemente in moto e quindi 2) rendere l'Italia vulnerabile ad improvvisi cambiamenti esogeni nei tassi di interesse, nell'appetito al rischio degli investitori, nella crescita globale. Questi shock esogeni sono esattamente il motivo per cui è importante “tenere in sicurezza” i conti di un paese ad alto debito. Sono shock che capitano, come ogni macroeconomista sa. Non essendo stata accompagnata da riduzioni di spesa primaria, l'abbassamento della pressione fiscale è stata una pura illusione, una sostituzione intertemporale, in cui meno tasse oggi sono pagate con più tasse domani, cioè quando vengono al pettine i nodi della crisi fiscale messa in moto dall'eliminazione dell'avanzo primario di bilancio. La prova di ciò sta nei dati e nei documenti governativi. Guardate per esempio il grafico con la pressione fiscale che indica come l'ultima fase del governo Berlusconi ci abbia regalato la pressione fiscale più alta dell'intera storia repubblicana (il picco storico finora raggiunto è quello del 2009). Oppure guardate la pressione fiscale media calcola sul periodo 1995-2014: la media è praticamente la stessa fra i due gruppi di governo, con la differenza che Berlusconi ha abbassato le tasse in tempi tranquilli, aumentandole (o prevedendo di aumentarle) durante i periodi di crisi – follia allo stato puro.
Ogni tanto verrebbe voglia di fermare il tempo. È sconfortante vedere come tutti i governi dal 1994 ad oggi non siano stati in grado di fare ciò che alcuni, tra cui il sottoscritto, auspicano da tempo, cioè ridurre la spesa primaria, riducendo contemporaneamente le tasse e mantenendo o migliorando la tenuta del debito pubblico. Di fronte a questo obiettivo tutti i governi prendono un voto insufficiente. Ma c'è un governo che prende un voto peggiore degli altri. È il governo della distruzione dell'avanzo primario, dell'aumento della spesa primaria, della dannosa sostituzione intertemporale delle tasse. Lo struggimento è tale da venir voglia di congelare nel tempo la situazione raggiunta nel 2000: avanzo primario stabilmente (o superiore) al 4,0%, spesa primaria stabilmente (o inferiore) al 40%, pressione fiscale attorno al 42.2%. Se dal 2002 al 2006 l'Italia avesse tenuto questa posizione, invece che seguire Berlusconi e Voltremont, l'incidenza sul PIL dell'avanzo primario sarebbe stata più alto di circa il 2,5% all'anno. Il maggiore avanzo primario si sarebbe tradotto meccanicamente in una riduzione annuale del debito pubblico pari al 2,5% del Pil. Facendo un calcolo approssimativo, questo avrebbe permesso all'Italia di affrontare la crisi finanziaria iniziata nel 2008 partendo da un rapporto debito/PIL di circa il 12,5= 2,5 x 5 punti più basso. Roba non da poco, visti i problemi in cui siamo ora. E mentre gli shock esterni arrivano in un modo o nell'altro e indipendentemente dal governo al potere, ci sono tuttavia governi irresponsabili che mettono i paesi nella condizione di soffrire drammaticamente di questi shock. Ecco l'opera del governo della spesa.
Libera nos a malo. Basta con i dati, mi pare ce ne siano a sufficienza. Dismetto quindi i panni dell'economista e concludo con alcune considerazioni storico-politiche. Io, come molti altri, mi occupo di finanze italiane nel tempo perso. Strano però che molti si sveglino solo ora e comincino a protestare chiedendo le dimissioni di Berlusconi. Un uomo che, fra le tante malefatte e danni al Paese (la storia e le sentenze del process Mills è illuminante, ma consiglio anche questo articolo del FT) è stato pure capace di creare il governo della spesa. Come mai, dunque, fino al 2008 c'erano così tante persone (magari con partita IVA...) che mi spiegavano come Voltremont avesse tenuto il bilancio in sicurezza e come, attraverso il suo colbertismo, amato da molti, avesse in fondo capito tutto? Come mai tanti elettori hanno focalizzato la propria attenzione semplicemente su un temporaneo e folle taglio di tasse, giustificando così la retorica berlusconiana del governo anti-tasse e anti-spesa? È bastata una retorica tanto spiccia e una politica tanto miope per infinocchiarli? Non si sono neanche accorti del trucchetto che si giocava sul banco di fronte a loro? E sì che di think tank e centri studi ce ne sono: cosa facevano nel 2004 o 2005, oltre a spellarsi le mani ad applaudire il governo del grande capitano d'impresa?
Per fortuna anche i più duri d'orecchi si sono finalmente svegliati, visto che oramai il frastuono delle campane è diventato assordante. E visto soprattutto che il grasso che c'era nel bilancio pubblico, con cui comprarsi il consenso, è già stato spartito tutto, fra aumenti di spesa e trasferimenti intertemporali di tasse. Libera nos a malo, il contributo di tutti a cacciare quest'uomo è di certo utilissimo, the right thing to do. E speriamo pure che, nel futuro, le sentinelle del Paese non si "addormentino" (eufemismo) più con tanta facilità, ma stiano anzi all'okkio, che sennò ne arriverà un altro, di Berlusconi.
Mi sembra che tu sia troppo ottimista: la Marcegaglia non ha i superpoteri.
Anche su questo punto, mi sembri eccessivamente ottimista: qualche elargizione si riesce sempre a rimediare. Una poltroncina da sottosegretario, una nomina alle poste, o anche solo l'appalto di una fiction RAI.
Il problema non e' tanto quanto ci vorra' al governo berlusconi per decomporsi, il problema e' che questa decomposizione (piu' o meno lenta) sta facendo marcire il paese.