L'università italiana produce poca ricerca. Risposta a De Nicolao.

/ Articolo / L'università italiana produce poca ricerca. Risposta a De Nicolao.
  • Condividi

In un mio articolo con Alessandro De Nicola, pubblicato su LaRepubblica il 12 Aprile 2012 col titolo Ridurre la spesa, il catalogo è questo, compare la seguente affermazione: "L' università continua a produrre con disarmante regolarità concorsi farsa e più in generale, anche se con alcuni distinguo, poca ricerca (Roberto Perotti docet)." Questo ha generato una piccata reazione di Giuseppe De Nicolao, pubblicata su Roars il 13 Aprile 2012 col titolo Università: Cio che Bisin e De Nicola non sanno (o fingono di non sapere). In questo post rispondo con un ritardo di cui mi scuso. 

Gentile De Nicolao,

Come le dicevo non trovo il suo tono molto piacevole. Non apprezzo, soprattutto il suo tentativo – peraltro reiterato – di far passare una mia nota in cui onestamente le dicevo di non conoscere i suoi dati (i dati Scimago) in una ammissione di fare “affermazione perentorie” senza sapere di cosa parlo.  Ancora meno apprezzo il suo suggerimento ai lettori che se non so di cosa parlo su questo, forse... Dopo tutto io ho accettato di dibattere, nonostante tutti (ma proprio tutti, non solo quelli tra i miei amici che si occupano a tempo pieno di screditare l’università italiana) mi consigliavano di lasciar perdere. Vi siete guadagnati una bella reputazione voi a Roars, complimenti!.

Ma il tono e' abbastanza soggettivi e capita spesso anche a me di essere meno che piacevole. E poi non mi piace rinnegare le promesse. Le rispondo quindi. Lo farò brevemente in alcuni punti. E lo farò senza cercare di fare lo spiritoso o di prendermi gioco delle sue affermazioni – non perché non sia facile farlo, ma per cercare di essere diretto e stilisticamente neutro nell’analisi. 

L’affermazione che ha scatenato la sua oltraggiata reazione appare essere che "L'universita [italiana produce] poca ricerca". Credo anche che il riferimento a Perotti, che mi par di capire lei e molti altri considerano un nemico della patria, abbia contribuito.

Senza pretendere di fornire una analisi completa della quantità e qualità della ricerca dell'università italiana, vorrei discutere brevemente alcuni aspetti diversi che a mio parere piu' che giustificano l'affermazione incriminata. In realta', sono proprio i dati Scimago, quelli che lei ha introdotto nella discussione,  a fornire le piu' chiare munizioni in supporto alla mia affermazione.  Inizio con tre note metodologiche. 

i) Tralascero' di considerare l'insegnamento, in questo post, e discutero' solo di ricerca, perché di  ricerca si sta discutendo. Tralascero' quindi di analizzare i dati sulla spesa per studente e quelli sul rapporto docenti-studenti, per quanto interessanti siano le questioni che quei dati impongono di affrontare: come definire uno studente, data l'anomalia tutta italiana dei  fuori-corso, e come definire un docente, dato il numero di contratti (integrativi e sostitutivi) censiti dal ministero (ringrazio Francesco Ferrante che mi ha fatto notare questo punto).  

ii) Confronterò l'Italia con il Regno Unito. Il Regno Unito infatti è paese simile all'Italia in popolazione e Pil ed è un paese il cui sistema universitario è notoriamente di grande livello - rappresenta probabilmente la frontiera in Europa. In altre parole, i miei confronti vanno interpretati come misure di quanto lontana sia l'Italia dalla frontiera. Ma un confronto piu' generale, tra paesi diversi, e' naturalmente possibile. In questo caso pero' bisogna normalizzare i dati, per il totale della popolazione e/o per una misura del reddito del paese. Lei non lo fa, purtroppo. Ma lo fa Andrea Moro in un post gemello a questo sul nostro blog. Senza voler rovinare la suspence, anticipo che l'Italia il 7-8 posto di cui lei e' cosi' fiero, De Nicolao, non lo mantiene proprio. 

iii) Anche se i miei commenti riferiranno all'universita', gli articoli e le citazioni nei dati includono quelli prodotti dai centri di ricerca  al di fuori dell'universita', che hanno un ruolo importante nella produzione di ricerca in Italia (si pensi al CNR) ma hanno un ruolo essenzialmente irrilevante nel Regno Unito. Se li togliessi dall'analisi (non lo faccio; si possono produrre buone argomentazioni pro e contro) il risultato sarebbe un peggioramento del giudizio sulla produttivita' relativa dell'universita' italiana in termini di ricerca. In sostanza, sto implicitamente assumendo, a favore dell'Italia,che  la ricerca che in Italia fa il CNR nel Regno Unito viene fatta in universita'

1.Concorsi. L'università italiana e la sua produttività in termini di ricerca sono il risultato di decenni di selezione attraverso concorsi. L'impressione che molti (tra cui io) hanno di questo meccanismo è che esso sia stato spesso "corrotto" (con alti e bassi a seconda anche della legislazione; legislazione peraltro motivata proprio da questa generale impressione di "corruzione"). Parlo di impressione perché ovviamente è difficile produrre una analisi statistica del fenomeno. Però il mio blog riceve ancora oggi spesso appelli da parte di chi si ritiene danneggiato da membri interni, parenti o amici; quasi ogni conversazione con amici accademici finisce per ricordare il tal o il tal altro concorso maneggiato dal tal o tal altro barone; il nemico della patria Perotti racconta storie interessanti a questo proposito nel suo libro. Nulla più di aneddoti, ovviamente.

Vorrei però citare anche due analisi statistiche centrate sul nepotismo (un estremo ma probabilmente minimo indice della "corruzione" del sistema universitario), precise ed attente: 

2. Dottorati di ricerca etc. In tutto il mondo la ricerca avviene "intorno" ai dottorati di ricerca, dove studenti con ambizioni accademiche sono formati nelle rispettive discipline. Non è necessario che sia così,  esistono ottimi centri di ricerca non universitari e/o università con pessimi dottorati, dove si produce ricerca di prim'ordine. Ma queste sono eccezioni, non la norma. Un indicatore fondamentale della qualità dei dottorati è dato dal flusso di studenti che essi ricevono da altri paesi. Questo perché in effetti si è formato un "mercato" internazionale degli studenti per cui le università competono sulla base della propria qualità nella ricerca (ma anche, recentemente, con borse di studio e altri meccanismi).  Il confronto tra Italia e Regno Unito a questo proposito è drammatico:

Tabella A: Brain Gain

Paese% studenti di dottorato dall'estero nel 2000
Italia2
Regno Unito35

Dati: European Commission (2003) - in Lo splendido isolamento dell’università italiana, Stefano Gagliarducci, Andrea Ichino, Giovanni Peri, Roberto Perotti, 2005; l'intera Tabella 4 nel testo è molto istruttiva.  

3. Produttività nella ricerca. Se i punti 1 e 2 riferiscono alla quantità e qualità della ricerca nell'università italiana solo in modo indiretto, veniamo ai  dati Scimago.

Tabella B: Articoli e citazioni

PaeseArticoli - in migliaia; 2006-2010Citazioni - in migliaia; 2006-2010
Italia 7629.862
Regno Unito1.53324,535

Dati: Scimago; riportati da De Nicolao, Roars il 13 Aprile 2012.

L'Italia produce metà articoli del Regno Unito e meno di meta' citazioni! Si noti che il numero di citazioni per articolo è circa 13 in Italia e 16 nel Regno Unito, il che indica seppur rozzamente una minore qualità dell'articolo  medio in Italia che nel Regno Unito (questo indicatore, usato da Perotti è ridicolizzato da De Nicolao perché dipende in modo drammatico dalla dimensione del paese; ma Italia e UK sono essenzialmente uguali in popolazione e PIL...).

4. Produttività nella ricerca per unità di spesa. Se la produttività in Italia è bassa rispetto al Regno Unito, questo può essere dovuto al fatto che l'Italia spende poco per la ricerca. 

Tabella C: Articoli e citazioni per unità di spesa

PaeseArticoli - per milione di dollari; 2010Citazioni - per milione di dollari; 2006-2010
Italia 8190
Regno Unito10 

270

 

Dati: Scimago; riportati da De Nicolao, Roars il 13 Aprile 2012 [I numeri riportati in tabella sono approssimati; estratti "a occhio" da questa Tabella, riportata nel post di De Nicolao. 

Se è vero che per unità di spesa il divario con il Regno Unito non appare così elevato, resta comunque vero , nelle citazioni (cioé in una misura che tiene conto seppur rozzamente della qualità della ricerca stessa) che il Regno Unito produce il 42% più citazioni per unità di spesa dell'Italia (e 25% piu' articoli). C'è un altro punto importante qui: la spesa cui i dati della tabella di De Nicolao riferiscono è quella che l'OCSE definice HERD (Higher Education Research and Development Spending) che non include la spesa per il CNR. Se assumiamo che la ricerca che in Italia fa il CNR nel Regno Unito viene fatta in universita' (come dobbiamo fare perche' il confronto tra articoli e citazioni sia valido; vedi nota medodologica iii sopra) allora stiamo drammaticamente sopravvalutando articoli e citazioni per unita' di spesa in Italia in relazione al Regno Unito. 

5. Ranking delle università. Ci sono tanti rankings quante università, ma quello più utilizzato e più noto è lo  Shangai Ranking, prodotto da Academic Ranking of World Universities. 

Tabella D: Ranking delle università.

PaeseUniversità nelle prime 100
Italia0
Regno Unito11

Dati: Academic Ranking of World Universities, 2011. 

Alcuni commenti a mò di conclusione sono necessari. Innanzitutto, l'affermazione che l'università italiana produce poca ricerca è drammaticamente confermata nei dati, anche e soprattutto in quelli di De Nicolao. De Nicolao è giunto a conclusioni opposte perché ha evidentemente evitato il confronto tra Italia e Regno Unito, preferendo quello con la Francia  (e a volte il Giappone). La Francia è sì simile all'Italia in molti aspetti, anche se non tanto quanto il Regno Unito ad esempio in termini di popolazione, ma non è alla frontiera della ricerca - questo è abbastanza sorprendente e ringrazio De Nicolao per averlo così ben documentato.

Lo scuorfano è bello a mamma sua, e tutti noi ci accontentiamo di noi stessi, ma davvero dobbiamo essere entusiasti di un paese che produce la metà del Regno Unito? Si può davvero essere arroganti come lei è, De Nicolao, nel suo post quando ha davanti dati di questo tipo? Che non solo dimostrano che la produttività totale della ricerca in Italia è metà di quella del Regno Unito ma che anche la produttivita'  per unità di spesa è anche molto inferiore? Non voglio nemmeno pensare a cosa succederebbe se togliessimo la ricerca prodotta dal CNR. 

La mia affermazione sulla ricerca in Italia era nel contesto di una lista di possibili risparmi di spesa pubblica. Lei, De Nicolao, a questo proposito afferma 

 

Difficile pensare che siano possibili grandi risparmi senza precipitare nel terzo mondo [addirittura in neretto nel testo; ndr].

 

Mi permetta di spiegarle come si fa. E' davvero molto semplice. Michele Ciavarella  e Vito Ricci hanno calcolato, per gli  anni 2004-2010,    una misura della percentuale dei docenti italiani del tutto improduttiva, sia come citazioni, sia persino come pubblicazioni:  

Tabella E: Docenti con zero pubblicazioni

Fascia% con 0 articoli% con 0 citazioni
Ordinari26,833,7
Associati26,533,3
Ricercatori29,436,0

Dati: Michele Ciavarella  e Vito Ricci su ItalianScientists; elaborazioni da Scholar Search (database in inglese e italiano), per gli  anni 2004-2010. 

 Il 30% di docenti italiani ha zero pubblicazioni. Speculo: il 50% produce ricerca minima e/o irrilevante. Io non credo che queste percentuali siano particolarmente elevate per l'Italia (ma sono disposto ad essere sorpreso) - docenti che non fanno ricerca o ne fanno pochissima ce ne sono dappertutto. Ma solo in Italia sono pagati esattamente come gli altri, e hanno lo stesso carico di insegnamento degli altri. Non crede che si possa risparmiare qui senza finire nel terzo mondo, De Nicolao?  

Indietro

Commenti

Ci sono 156 commenti

Mi pare di avere letto che i dati di scholar search siano totalmente inaffidabili e che quindi i dati sulla produttività nulla di alcuni docenti italiani siano inaccurati.

penso anch'io. Google scholar è come minimo molto rozzo: prende cose irrilevanti (tipo interventi a convegni o seminari di cui esistano slide sul web) e ne trascura altre perché la casa editrice non è indicizzata (il che può essere un indicatore negativo, ma non è necessariamente vero). Andrebbe magari integrato con google web o altre fonti.

dato che non sono un esperto forse facevo meglio a fermarmi alla prima parte dell'articolo di Andrea Moro. Prendete ciò che segue come banali dubbi.

 

Mi pare di capire che i residui vengono usati come misura di quanto si fa meglio/peggio della media. In entrambe le tabelle vedo i famosi e virtuosi paesi scandinavi, la svizzera e Israele tra gli ultimi posti mentre tra i primi posti in classifica troviamo Egitto, Brasile, argentina e Turchia. L'ipotesi di linearità e' troppo grezza? O altro?

 

In ogni caso, non sono proprio i risultati che mi aspetterei.

ad una scorsa veloce dei dati, la linearita' non mi pare un'ipotesi fuori dal mondo. Il punto e' capire che la posizione alta di egitto non significa che in egitto si faccia tanta ricerca. Se ne fa tanta rispetto al  proprio pil, che e' bassino, e alla popolazione. 

La posizione dell'Italia nella produttivita' scientifica, intorno alla 20a posizione del mondo, e' paragonabile alla posizione dell'Italia nell'indice di sviluppo umano compilata dalle Nazioni Unite. Parlare di 7a-8a posizione nel mondo senza considerare la popolazione e' fuorviante.

De Nicolao parla di una posizione in classifica, mentre AB fa un confronto con il Regno Unito.

A mio avviso, se si vuole avviare una discussione seria, bisognerebbe (come minimo) cercare di mettersi d'accordo su quali siano i criteri di valutazione e sulla metodologia. Altrimenti invece di un dibattito si fa uno scazzo da bar (scazzo sofisticato magari, ma pur sempre scazzo).

Quali sono gli indicatori significativi? Per cosa bisogna normalizzare? Per il PIL? Per la popolazione? Per la quantità di finanziamenti ricevuti?

Da insider sono convinto che l'università Italiana sia abbastanza in linea col resto del paese: non è certo tutto da buttare, ma ci sono ampi margini di miglioramento.

La questione rilevante, sulla quale sarebbe utile confrontarsi, è la seguente: quali sono le proposte per migliorare? Io sono convinto che lasciare tutto com'è non sia una soluzione, ma ho anche l'impressione che quanto è stato fatto negli ultimi anni sia stata una 'medicina' peggiore del male.

Bhe', ogni indicatore indica quello che indica. Se la domanda e': produciamo piu' noi o la Svizzera, la risposta e' noi. Se la domanda riguarda la produttivita' relativa del sistama universitario, in qualche modo bisogna normalizzare (per Pil, popolazione,...).  Per questo uso il Regno Unito. Perche' da' un'idea di cosa potremmo fare a parita' di popolazione e di Pil se avessimo un sistema universitario diverso!!

Trovo improprio normalizzare i dati rispetto alla popolazione o al PIL: sarebbe più corretto normalizzarli rispetto al numero di ricercatori e all'investimento in ricerca. Secondo le tabelle che si trovano qui www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/Ricercatori-italiani-uguale-fannulloni i risultati sarebbero diversi, con un numero di pubblicazioni per ricercatore che vede l'italia terza nel mondo nel periodo 1996-2007.

 

Trovo improprio normalizzare i dati rispetto alla popolazione o al PIL: sarebbe più corretto normalizzarli rispetto al numero di ricercatori e all'investimento in ricerca. Secondo le tabelle che si trovano qui http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/Ricercatori-italiani-ugua... i risultati sarebbero diversi, con un numero di pubblicazioni per ricercatore che vede l'italia terza nel mondo nel periodo 1996-2007.

 

Ritengo corretto normalizzare per il numero di ricercatori e per l'investimento in ricerca. A.Bisin ha esposto i dati anche su risultati / investimento, e rispetto all'Inghilterra l'Italia e' molto indietro. Riguardo ai dati per ricercatore, ritengo non corretto non disaggregare ulteriormente tra ricercatori statali e privati, come fa l'articolo che citi.  Per quanto riguardo la spesa per ricerca, e ritengo anche il numero dei ricercatori, l'Italia spende a spanne il 70% della media OCSE per ricerca statale e il 20-40% della media OCSE per la ricerca privata.  In termini di pubblicazioni la ricerca statale, in tutti gli Stati, supera quella privata perche' e' piu' di base, meno applicativa, piu' generale e meno settoriale. Quindi e' opportuno confrontare l'Italia con gli altri separatamente per i ricercatori statali e per quelli privati. Quando non lo si fa si ottengono dati che dovrebbero sorprendere chi li pubblica, come ad esempio, cito: "I ricercatori più produttivi al mondo nel 2007 sono stati gli svizzeri. Seguiti, al secondo posto, dai ricercatori italiani (Tabella 5). Che hanno una produttività doppia rispetto ai colleghi francesi, tedeschi o spagnoli.".  Ti sembra realistico un risultato del genere? Quando francesi e tedeschi sono piu' ricchi, hanno un significativamente migliore indice di sviluppo umano, hanno una societa' notoriamente molto meglio funzionante di quella italiana, concorsi piu' onesti, non hanno corridoi universitari infestati di consanguinei e cognati, hanno apertura internazionale 4 volte quella italiana, e infine hanno una classe politica di qualita' significativamente superiore? Sono piu' fondati i risultati di R.Perotti, che confronta i ricercatori statali, e trova quelli italiani nella media per numero di pubblicazioni, e un po' carenti nelle citazioni.

Ho seguito i calcoli tecnici fino ad un certo punto, ma mi sembra di aver capito il discorso. Se la questione è il rapporto costo/risultati, oppure mole di ricerca/popolazione, l'Italia è abbastanza scarsina, e ok.

Poi però mi chiedo: il dato assoluto non ha cmq un valore, ehm, assoluto?

Voglio dire: mettiamo che in uno stato minuscolo come Tonga ci sia, per opera dello spirito santo, un campus meravigliosissimo che produce ricerca di altissimo livello. In termini percentuali questo farebbe di Tonga uno stato all'avanguardia (e lo sarebbe), ma ciò non toglie che il suo contributo su scala mondiale sarebbe ridottissimo.

Immaginiamo ora una Cina che in ricerca spenda procapite un millesimo di quel che spende Tonga. Poco, ma in Cina sono un miliardo e rotti e questo farebbe sì che la ricerca prodotta, in definitiva, sarebbe assai di più che a Tonga.

Dovessi pescare un cinese a caso nella popolazione, avrei molte meno probabilità di imbattermi in uno scienziato che a Tonga, ma ciò non toglie che se devo chiedermi quale paese produce abbastanza ricerca per portare a termine, chessò, una sperimentazione militare, la risposta sarà senz'altro la Cina.

Quindi il dato che l'Italia è settima/ottava per massa assoluta di pubblicazioni (sto prescindendo dalla qualità...), non è comunque significativo, e positivo?

La domanda di partenza era se si possono tagliare sprechi nella ricerca italiana, e quindi sto andando fuori traccia, ma mi sembrava che quel dato iniziale, "gross", fosse alla fine cmq sottovalutato.

(Ammetto di avere un po' paura delle possibili risposte...so di non essere nel mio campo...).

 

Quindi il dato che l'Italia è settima/ottava per massa assoluta di pubblicazioni (sto prescindendo dalla qualità...), non è comunque significativo, e positivo?

 

Secondo me proprio no. Supponiamo che l'Italia sia divisa in 20 regioni indipendenti, e che quascuna di queste produca ricerca pari al 50% della svizzera. Poi uniamo formalmente queste 20 regioni senza cambiare nulla, e opla' la ricerca prodotta e' 10 volte la Svizzera. Per quale motivo la seconda situazione dovrebbe essere meglio della situazione precedente??? Secondo me poi uno Stato popoloso non ha alcuna ragione e giustificazione di esistere se non rendere possibile fare qualcosa di piu' che la semplice somma delle parti.

Si possono trovare sul sito di Thomson Reuters che, utilizzando i propri database, pubblica una gran mole di dati, classifiche e comparazioni sulle principali ricerche nei vari campi. Nella sezione countries si trovano le classifiche in relazione alle varie nazioni. Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Si va dalla classifiche per pubblicazioni prodotte in tutti i campi, a quelle settoriali (fisica, chimica, medicina ecc.) ripartite per anno, decennio quinquennio e così via. Dal numero totale di citazioni e quello di pubblicazioni. Ripeto, non c'è che da scegliere. In effetti, mediamente, l'Italia si piazza dalle parti dell'ottavo posto per le citazioni (poco sotto la Cina e con unmilione di citazioni sopra l'Olanda, che ha però molti meno abitanti). ecco il link sciencewatch.com/dr/cou/2012/12janALLgraphs/

ed ecco il link (datato 2008) con i piazzamenti nelle varie materie 

http://sciencewatch.com/dr/cou/2009/09marItaly/

ed il link (datato 2011), particolarmente rilevante, con le percentuali di pubblicazioni italiane rispetto al resto del mondo e il citation impact rispetto alla media mondiale, da questa classifica emerge che i punti di forza italiani sono scienze spaziali, fisica e medicina clinica, i punti deboli.... economia (-19 rispetto alla media mondiale)

http://sciencewatch.com/dr/sci/11/sep4-11_1/

Grazie Sabino. 

 

da questa classifica emerge che i punti di forza italiani sono scienze spaziali, fisica e medicina clinica, i punti deboli.... economia (-19 rispetto alla media mondiale)

 

Bé, si potrebbe dirottare i fondi dai settori improduttivi verso quelli più efficienti :)

Vorrei passarvi un'informzione che forse non vi immaginate, da tanto e' una porcata. Quando si fa una convenzione, qui in universita' da me, con una ditta privata interessata ad usare le competenze degli universitari per fare della ricerca su un qualche nuovo campo innovativo (alcuni ritengono che non sia "ricerca", ma "sviluppo del prodotto" perche' di deve per forza arrivare ad un risultato e spesso gli accademici non riescono a capire questa "cosa strana" del risultato da ottenere), una prima fetta di finanziamenti finisce in pagamento iva (21%) che non si recupera piu', poi una fetta considerevole (40%) dei soldi previsti dalla convenzione se li ciuccia il dipartimento per spese amministrative (?) e per passarne una parte all'amministrazione centrale. In particolare ho scoperto con raccapriccio che una certa percentuale, (1 o 2%) viene destinata ad un fondo che a fine anno viene spartito tra tutti i dipendenti dell'universita' non professori o ricercatori. In pratica il portiere o il bidello di filosofia riceve dei soldi dalle convenzioni di ricerca di tutti dipartimenti, da fisica a ingegneria. Quando ho provato a chiedere conferma a dei docenti di lungo corso cosa era questa porcheria e se si poteva annullare, mi e' stato risposto che alla fine dell'anno sono alcune migliaia di euro pro capite e che a solo provare di eliminrli si sarebbe scatenata una sommossa. Insomma, alla fine dei giri, della cifra stabilita dalla convenzione e sborsata dall'azienda, per acquistare strumentazione ed attrezzatura, o per pagare spese direttamente correlate alla ricerca (andare a congressi, usare laboratori all'estero...) resta un cifra molto inferiore della meta'. E siccome io sto cercando strumenti per una ricerca in atto, mi vedo costretto a mendicare presso i fornitori per avere uno sconto o per usare apparecchi meno costosi di quelli fatti apposta, modificandoli in laboratorio di persona. Ecco, forse vengono imputati alle "spese per la ricerca" su cui sonbo fatti i calcoli della produttivita' anche uscite che con la ricerca nulla hanno  che vedere, ma che si e' costretti a versare per evitare sommosse  o problemi con l'amministrazione centrale. A questo si aggiunge che coi fondi personali di finanziamento ordinario (FFO) si fa fatica a comperare un computer, visto l'esiguita' delle cifre in gioco e l'impossibilita' di cumulare piu' anni di finanziamento tra di loro per comperare strumenti appena appena costosi. Personalmente mi pago coi miei soldini personali, del mio conto corrente, attrezzature, la partecipazioni a scuole estive e congressi, sottraendoli daal mio budget familiare e rinunciando a vacanze con la mia famiglia. Insomma, io vorrei spezzare una lancia per i pochi che si sbattono per cercare di fare ricerca con gli ossi della polenta, perche' ogni giorno che passa e' sempre piu' scoraggiante e tra un po' mando tutti a cagare e smetto di pagare di tasca mia. Poi che mi licenzino pure, se non pubblico piu' nulla, ma se i pochi soldi che arrivano servono per pagare gli amministrativi ed i bidelli, cosa devo fare io? Faro' quello che posso, come fanno in tanti.

Sul fatto che la spesa per la ricerca andrebbe detassata (assurdo pagarci l'iva) sfondi una porta aperta. Sull'ammontare del prelievo locale, non saprei dire.

Però un certo prelievo penso sia giusto, per evitare che i soliti furbetti faccian passare sotto la voce R&S lavori di routine subappaltati a personale universitario (o, peggio, ai soliti precari).

 

A questo si aggiunge che coi fondi personali di finanziamento ordinario (FFO) si fa fatica a comperare un computer, 

 

qui non ti sembra di esagerare?

Io coi fondi FFO mi ci sto pagando le missioni (visto che quest'anno ci han segato il PRIN), e sto anche tenendo da parte qualche slodino nell'eventualità che il mio vecchio PC del 2004 dovesse tirar le cuoia ed io dovessi comprarne uno nuovo.

 

 visto l'esiguita' delle cifre in gioco e l'impossibilita' di cumulare piu' anni di finanziamento tra di loro per comperare strumenti appena appena costosi. 

 

qui ti do ragione. La burocrazia è il peggior nemico dell'uomo :)

In nessuno dei due post collegati sull'argomento mi sembra che venga messa in discussione la linearità dell'associazione tra spesa per la ricerca e risultati della stessa.

 

Mi spiego con un esempio: se offro a 10 bravi ricercatori 2000 euro al mese posso pensare che 1 su 10 decida di rimanere in Italia, se offro 6000 euro al mese magari rimangono in Italia tutti e 10 (e non 3 come potrebbe far pensare la semplice triplicazione del compenso).

Esempi analoghi potrebbero essere pensati per fondi di ricerca, strumentazione che a volte può essere comprata o meno (e non comprata "a metà" con la metà dei soldi). 

 

Vorrei capire inoltre se viene tenuto conto il vantaggio della lingua nei paesi anglosassoni: si può dare per scontato che qualsiasi ricerca di qualità effettuata in Italia produca prima o poi almeno una pubblicazione in inglese (quindi reperibile e citabile dalla comunità scientifica mondiale), d'altro canto esisteranno un buon numero di ricerche non così importanti (ma non per questo disprezzabili) che potrebbero non produrre neanche una pubblicazione in lingua inglese. Viceversa è evidente che qualsiasi pubblicazione di un paese anglosassone, indipendentemente dall'importanza e dalla qualità, sarà sempre reperibile e citabile da un pubblico internazionale. Questo può alterare le misure che fate sopra.

 

 

 

Riguardo alle pubblicazioni in italiano/inglese secondo me c'e' anche un altro punto da prendere in considerazione. Ci sono settori che pubblicano quasi esclusivamente su riviste in lingua inglese (fisica, per quanto mi concerne), ed altre (alcune umanistiche, presumo) che pubblicano quasi esclusivamente in lingua italiana. Nel primo caso ha senso considerare una classifica "mondiale", in quanto vi e' una competizione per le medesime risorse (articoli sulle riviste) e si puo' calcolare, per unita' di spesa, chi ne ottiene di piu'. Nel secondo caso il confronto non e', perlomeno a mio avviso, cosi' immediato.

L'analisi - assieme a quella gemella di Andrea Moro - mi sembra sicuramente interessante. Ho però alcuni dubbi, che cercherò di esprimere il più chiaramente possibile (se scrivo cose formalmente idiote siete pregati di avvertirmi, non è affatto impossibile).

Il mio primo dubbio è relativo al  fatto che, secondo me, molto di questa analisi è applicabile esclusivamente - o quasi - alla ricerca in ambito scientifico/tecnologico, e in parte di alcune scienze sociali (sostanzialmente, l'economia). Per molte altre discipline le banche dati analizzate e i sistemi di valutazione, soprattutto quelli sovranazionali, hanno pochissimo senso.  Oltretutto, come fatto notare giustamente sopra per quel che riguarda la diversa produttività relativa dei fisici italiani rispetto agli economisti italianii, anche all'interno dell'ambito peer cui questi dati sono significativi ci sono probabilmente moltissime differenze. Non che pretenda da voi un'analisi disaggregata per materie, ci mancherebbe: però certo sarebbe più facile fare un discorso "di sistema" (i.e. spiegare la causa dela bassa produttività globale, che prendo per buona soprattutto sulla base dei dati di Moro, con il funzionamento del sistema universitario/di ricerca italiana) se si avessero dei dati piùà completi, e soprattutto più omogenei. Temo che alo stato attuale non sia possibile.

 

Il secondo punto è un po' più specifico, e riguarda la scelta di prendere come esempio il Regno Unito: mi sembra un po' scorretto, per motivi storico/linguistici. In particolare per quel che riguarda l'itnernazionalizzazione, è evidente che l'Italia parte ad Handicap rispetto a quasi tutti gli altri paesi Europei (si pensi al numero di persone nel mondo che parlano Spagnolo e Francese e che hanno un rapporto comunque privilegiato con quei due paesi in virtù del passato coloniale), e a maggior ragione con il Regno Unito. Anche i questo caso, si potrebbe sostenere  che dovremmo abbandonare l'italiano e dedicarci all'inglese come lingua della ricerca: ma a parte il fatto che non sono del tutto convinto che sia una buona idea, in termini culturali, e a parte il fatt che anche questo è un discorso che andrebe disaggregato per ambiti di ricerca, temo che il discorso non cambierebbe molto proprio per motivazioni storiche - non abbiamo le basi di internazionalità e colonialismo per competere alla pari. Anche in questo caso: si dovrebbe fare meglio? Di sicuro. Si potrebbe essere a livelli paragonabili con gli altri grandi paesi Europei? Non sono così convinto, quindi il confronto che si aspetti questo è fuori fuoco.

Francamente trovo l'obiezione linguistica irrilevante, con la parziale eccezione di alcuni settori umanistici iper-specializzati. Ormai quasi tutti gli scienziati scrivono esclusivamente in inglese. Lo stesso gli economisti e una parte degli scienziati sociali.  Si impara relativamente presto, sopratutto cominciando da giovani, è facile trovare qualcuno che ti corregge gli svarioni e comunque la qualità della lingua non è un requisito per la pubblicazione. Al massimo l'editor ti chiede di fare rivedere il testo prima della pubblicazione da un native speaker

Secondo me il punto fondamentale è come vengono usate le risorse, come vengono suddivise e quanto è produttivo un incremento di risorse. Il discorso di Nicolao ed anche la regressione di Alberto non si occupano di questo aspetto che presenta drammatiche rassomiglianze con quanto succede per con la tassazione in termini di carico fiscale ed evasione.

 

Nella mia esperienza (dall'azienda ho lavorato con molte università coordinandole per progetti europei in ambiti vari aerospaziale, sicurezza, comunicazioni) il sistema italiano potrà pure produrre ma lo fa come al solito gravando sulle spalle di pochi produttivi il carico di un gruppone di sanguisughe.

 

  Ci sono quantità elevate di persone che lavorano con passione e senza alcuna prospettiva mediamente a produrre per sostenere anche l'ignobile casta universitaria di baroni, baroncini, figli, nipoti et similia.

 

Da quel che ho visto io e' pratica comune mettere dentro i figli e le figlie retribuendoli con consulenze e borse ben più laute di chi meriterebbe.

Ho visto far vincere un concorso da tecnico ad uno dei propri pupilli per dargli uno stipendio. Cosicchè non solo non e' nel sistema ma prende soldi pubblici e toglie il servizio a tutti gli altri.

Come evidenziava Carlo è pratica comune usare i soldi delle aziende per fare qualunque cosa, per poi lamentarsi che le aziende investono poco.

E' altresì pratica comune acchiappare i soldi e poi tentare di fare "il pacco", cioè rifilarti qualcosa di tirato via o già pronto cosi hai tirato fuori qualche quattrino per dedicarti ai tuoi "veri interessi"

 

Tutto questo fa si che sia mediamente più facile assai lavorare con tedeschi o inglesi e che personalmente ritenga che moltissima della produzione che ho visto fare sia poco significativa come inpatto reale sul proprio mainstream. Inoltre ( ma qui non sono esperto) in altri paesi i giovani dottorandi e postdoc possono contare su delle prospettive ragionevoli anche se a termine. Ad esempio in DLR (il gruppo dei centri tedeschi di ricerca aerospaziale) prendono i postdoc per 4/6 anni.

 

Tutto questo per dire che investire è poco praticabile  in quanto il beneficio si ridistribuisce in maniera non efficiente e soprattutto non equa 

 

Come controprova, visto che siamo da anni in fase di "taglio" almeno in teoria, tutti questi anni di compressione delle risorse hanno influenzato significativamente la produttività ?

 

 Da quel poco che capisco non sembra.

Ecco, questo mi sembra essere un buon punto di partenza.

 

Sul fatto che nell'università Italiana si verifichino episodi indecenti (possibili a causa della mediocrità dell'ambiente circostante) penso possiamo essere tutti d'accordo, compresi i redattori di ROARS.

Parimenti tutti ben sappiamo che l'università non è solo questo: infatti, oltre ad alcune punte di eccellenza, ci sono anche moltissimi gruppi che lavorano sodo, e con ottimi risultati. Anche qui siamo tutti d'accordo, conpresi i redattori di nFA (presumo).

 

Quindi ciò su cui (quasi) tutti saranno d'accordo è che la in Italia varianza della qualità della ricerca è notevole. Di conseguenza, invece di fare sofisticati ragionamenti a base di medie su campioni non omogenei e normalizzazioni discutibili, sarebbe più utile ragionare su come fare arrivare più risorse a chi lavora sodo.

 

Il motivo per cui anche io ho trovato fastidiosi (e controproducenti) alcuni interventi di Perotti & Co. (sui media, non come studioso) è quello che, dipingendo un quadro indistintamente grigio (mediante un uso piuttosto malizioso degli strumenti statistici) ha finito per avallare una serie di tagli orizzontali che hanno colpito tutti, indistintamente.

Altri dati interessanti per confrontare la situazione all'interno dell'europa potrebbero essere quelli su come vengono distribuiti i fondi di ricerca europei (ERC grants)

erc.europa.eu/statistics

Al primo posto c'è sempre invariabilmente lo UK, e mi pare i numeri siano abbastanza indicativi sulla capacità di attirare investimenti e qualità della ricerca

Grazie, ottima idea

 

Altri dati interessanti per confrontare la situazione all'interno dell'europa potrebbero essere quelli su come vengono distribuiti i fondi di ricerca europei (ERC grants)

 

I grant sono interessanti perche' misurano almeno due quantita'.  Ai grant ERC possono partecipare ricercatori di tutto il mondo, ma la ricerca deve essere fatta in Europa. La percentuale di vincitori italiani, oppure il rapporto vincitori / partecipanti Stato per Stato dice qualcosa sulle competenze dei ricercatori, mi sembra che quelli italiani siano nella media. Poi ci sono gli enti che ospitano i ricercatori che ottengono finanziamenti ERC e gestiscono i fondi. Qui e' il piu' grande fallimento italiano: l'Italia riceve indietro dall'ERC solo circa il 50% del suo contributo, e quindi i soldi italiani ERC vanno al 50% a finanziare enti di ricerca europei, dalla Spagna alla Svezia. Credo che la performance italiana sia tra le peggiori di tutta Europa.

Scusate la domanda ingenua ma che senso ha normalizzare le statistiche sulla produzione scientifica usando al denominatore il PIL o la popolazione?

Se la tesi di De Nicolao è, approssimativamente, che l'università italiana è piuttosto produttiva in relazione alle risorse impiegate, occorrerebbe normalizzare i dati sulle pubblicazioni per le risorse (numero di ricercatori/spesa per la ricerca). E' ovvio che se l'Italia spende poco per la ricerca il rapporto ricercatori/popolazione e risorse per la ricerca/PIL è basso e, quindi, tutto il ragionamento di Moro perde di significato.

Possibile che insigni studiosi come voi possano prestare il fianco a critiche così banali?

 

il mio calcolo serve come prima approssimazione ad indicare che non e' chiaro che l'Italia faccia cosi' bene come scritto da De Nicolao. Ovvio che avere dati migliori servirebbe, ma questi bastano per dire che, in prima approssimazione, ci vogliono dati migliori. La mia era una risposta a De Nicolao che si accontentava del  settimo posto della  classifica generale del numero di articoli. 

 

In ogni  caso, il mio ragionamento non perde di significato,  serve invece ad indicare che come sistema, in Italia si fa malino. Che poi questo sia dovuto all'esiguita' delle risorse impiegate, certamente, va chiarito con dati/analisi migliori. 

mi ero posto lo stesso problema per cui ho cercato in Eurostat gli stanziamenti o le spese a fronte della ricerca (il dato, per il 2007, pare si riferisca a tutto l'R&D universitario e non ed è disponibile solo per 21 paesi dei primi 28 della lista di Andrea ) quindi partendo dai dati di Andrea (citazioni/pil) ho elaborato la tabella seguente:

 

 

con tutti i limiti (1) in questo insieme di paesi la posizione dell'Italia e dei primi e ultimi paesi non cambia considerando il PIL o la spesa pubblica per R&D.

 

(1) i limiti per cui non ho postato prima la tabella (spesso non estranei ad altri ranking) sono:

1) la spesa è verso la ricerca ma anche lo sviluppo, universitari e non

2) un intervento di G.Bonaga mi ha convinto che la % della prima colonna dovrebbe essere moltiplicata per un ulteriore parametro che misuri l'efficienza della spesa (quota che arriva alla ricerca e non è dispersa in overheads burocratici o peggio /spesa totale) 

3) penso che il dato di ogni paese possa essere influenzato dal mix delle discipline di cui si compone la ricerca: letteratura o filosofia costano sicuramente meno di fisica sperimentale. Questo forse spiega la modesta performance degli U.S. e l'alta della Grecia. Alcune discipline comportano spese per sviluppo altre no. Le discipline che costano di più producono meno papers in rapporto al tempoX ricercatore impiegato.

 

La mia conclusione è che stabilire dei rankings inattacabili è impossibile ma che se molti criteri di indicizzazione portano per alcuni paesi allo stesso risultato questo molto probabilmente illustra con fedeltà le situazioni relative dei paesi stessi.

 

Un indicatore fondamentale della qualità dei dottorati è dato dal flusso di studenti che essi ricevono da altri paesi.

 

Leggendo questo punto mi e` venuto in mente che non conosco corsi in Italia erogati in inglese... e tra gli stranieri che conosco, pochissimi hanno dimistichezza con l'italiano (salvo i linguisti). Ha senso questo usare indicatore per valutare la capacita` italiana di produrre ricerca? E, ammesso che lo sia, quanto vale il confronto con gli UK in questo caso? Non sarebbe meglio paragonarsi con una nazione non-anglofona?

Peraltro, non so quanto gli altri indicatori (specialmente il numero di citazioni) siano normalizzati sulle lingue diverse dall'inglese.

 

Leggendo questo punto mi e` venuto in mente che non conosco corsi in Italia erogati in inglese... e tra gli stranieri che conosco, pochissimi hanno dimistichezza con l'italiano (salvo i linguisti). Ha senso questo usare indicatore per valutare la capacita` italiana di produrre ricerca?

 

Secondo me per l'internazionalizzazione l'Italia va confrontata con Paesi comparabili linguisticamente come Francia, Germania e Spagna, che credo abbiano 2-4 volte gli studenti di dottorato stranieri dell'Italia. Si potrebbero per Francia e Spagna scorporare gli studenti risp. stranieri francofoni e latinoamericani.

al politecnico di Milano dal 2014 solo corsi in inglese per il biennio specialistico

alla Università Bocconi molti corsi sono già in inglese.

Concordo sul fatto che confrontare l'attrattività dei Dottorati con UK è molto discutibile. La questione della lingua è infatto evidente, e gioca anche a favore di altre nazioni (Spagna sicuramente). Cmq al Politecnico di Milano (e non solo) da alcuni anni esistono corsi di laurea magistrale e di Dottorato in Inglese e, dati certi, le richieste di iscrizioni di studenti stranieri sono in significativo aumento, con aumento anche della loro qualità. Prova che anche l'università italiana può essere attrattiva, in certe condizioni. In effetti al PolimMi esiste il progetto di attivare in Inglese TUTTE le magistrali dal 2014. Decisione delicata che ha suscitato un dibattito interno animatissimo. Cmq da questo punto di

vista non mi sentirei di dire che non esiste attrattività verso l'estero, quando si creano le condizioni.

Inoltre: questo thread contiene osservazioni interessanti ma scoprire che IT è più in basso di UK francamente mi sembra banale. Esistono infinite motivazioni storiche e sociali per questo.

 

Maurizio

Voi economisti avete il gusto di usare modelli sbagliati. La popolazione e il PIL? Follia!

 

Se si spende 1/2 degli altri paesi e il numero di ricercatori e' la meta' (vedi post del direttore delle Scienze sul suo blog), e' chiaro che l'output sara' penalizzato! In piu' c'e' il discorso della scala e della didattica e degli impegni amministrativi. Uno deve poter avere studenti e seguirli. Se un fisico della Sapienza deve insegnare a un corso per fisioterapia a Viterbo e' chiaro che il tempo gli viene a mancare. Cosi' se deve fare il bilancio annuale dei propri progetti.

 

In Australia ci sono gruppi universitari che fanno solo ricerca. In Francia e Germania ci sono enti che aggregano e attirano il personale piu' qualificato da tutta Europa.

 

Voi economisti dite che la qualita' della ricerca italiana e' bassa e state proprio parlando di voi: troppa politica, troppe chiacchiere, troppi errori metodologici. Contribuite al pensiero anti-scientifico che ha rovinato questo paese.

 

Grazie, andate avanti cosi'!

Prego. Contributo alla discussione interessante nel mondo delle parole in liberta'.

Andrea, per favore leggiti questo e poi fermati a riflettere un secondo. Stai parlando di cose che evidentemente non conosci e quindi non capisci. Lo dico essendoci passato pure io per una fase del genere (sebbene con toni piu' diplomatici).

Un argomento (aggravante) riguardo all' articolo, e di cui poco si parla, è l' allergia alla matematica/fisica/statistica che affligge l"cultura umanistica" italiana. Ovviamente nessuna riforma scolastica produce da sola i Gauss od i Fermi, però qua si esagera. L' Istat ha detto che 7 diplomati/laureati su 10 non sanno fare semplici calcoli con le percentuali: se ci mettiamo anche quelli  con la sola licenza media, figuriamoci; i test PISA ci mettono dietro ai ragazzi turchi, l' umanista medio si vanta di non sapere nemmeno il teorema di Pitagora, ecc. ecc. . Io penso che la cultura matematica sia una grandissima palestra per la mente, che insegna a ragionare anche se ci si occupa di letteratura, e serve anche a rispondere per le rime ai capipopolo che spuntano ad ogni temporale, come i funghi. Ma, se queste sono le basi, direi che di ricerca se ne fa tanta in Italia: ad esempio la ricerca della raccomandazione.

un collega a me caro per ragioni professionali mi informo' che nel valutare le "pubblicazioni" nel caso delle "scienze (??" umane cosidette, come se i fisici fossero babuini...) verrano adottati due criteri "incommensurabili". 

una valutazione va data per tutte le riviste e pubblicazioni nel "mondo e uno equivalente ma non commensurabile per la rivista di pensieri galimbertidi dell'universita' di Rovigo....

con tutto il rispetto a Sandro che tiene alte le bandiere gloriose del rodigino...

Vorrei tornare su un commento di Carlo Carminati su Perotti

 

Il motivo per cui anche io ho trovato fastidiosi (e controproducenti) alcuni interventi di Perotti & Co. (sui media, non come studioso) è quello che, dipingendo un quadro indistintamente grigio (mediante un uso piuttosto malizioso degli strumenti statistici) ha finito per avallare una serie di tagli orizzontali che hanno colpito tutti, indistintamente.

 

Il commento di Carlo rappresenta una opinione abbastanza generalizzata. Molti nell'accademia italiana la vedono cosi' (anche se tipicamente esprimono molto piu' risentimento verso Roberto di quanto non faccia Carlo). 

 

Secondo me questo commento rappresenta una certa dose di ipocrisia (scusa Carlo - come gia' detto, apprezzo la tua pacatezza). Siamo chiari:  i tagli orizzontali non sono dovuti al fatto che Roberto ha parlato dell'universita' in TV, ma al fatto che l'universita' ha per decenni protetto se stessa - baroni, nepotisti, corrotti, e tutto. E' l'omerta' dell'universita'  che ha giustificato i tagli non Perotti. Se chi e' dentro e lavora non ha mai avuto il coraggio di lamentarsi pubblicamente di chi non lo fa, poi non ci si puo' lamentare che Perotti critica "indistintamente".  

 

Fatemi anche dire che il ragionamento e' analogo nel caso di Saviano e la mafia di Casal di Principe: i ragazzini di Casal di Principe si lamentano perche' Saviano ha portato alla ribalta il paese e loro ora si trovano con i camion della polizia nella piazza del paese; ma e' l'omerta' la causa di tutto questo, non Saviano. 

Sono perfettamente d'accordo. Difatti il mio commento precedente sulle varianze era proprio volto a chiarire come però il sistema tramite un pesante sfruttamento delle fasce basse nasconda piuttosto bene questa situazione

Concordo, la difesa corporativa degli universitari e' un elemento che motiva i tagli lineari, ben piu' delle critiche basate su dati quantitativi espressa da R.Perotti, pero' questo elemento non determina da solo e necessariamente  i tagli lineari che sono anche conseguenza di un'azione politica di bassa qualita' come quella generalmente espressa da governi e parlamenti italiani.

A parte che sia Perotti che Saviano si chiamano entrambi Roberto, vorrei giusto richiamare la vostra attenzione sul fatto che siete stati accusati di portare dati sbagliati o falsi per avvalorare la vostra tesi. I dati sbagliati sono quelli che ha portato Moro, ad esempio, perche' non ha alcun senso normalizzare al PIL o alla popolazione. Ma scusate, non siete economisti? Ma perche' non vi prendete un rapporto dell'OCSE e vedete come si fa a comparare i diversi paesi: non mi sembra ci siano nulla da inventare, pensate di essere i primi al mondo a porvi questo problema? I dati falsi, nel senso che sono manipolati in maniera arbitraria attraverso normalizzazioni ad hoc del tutto incosistenti per dimostrare una tesi preconcetta sono quelli di Perotti. E Lei ha il coraggio di paragonare un piccolo manipolatore di dati ad uno che ha denunciato il fenomeno della nuova camorra? Ma vergognatevi.

Il parallelo tra Perotti e Saviano rientra a mio avviso in quella classe di affermazioni che i francesi chiamano "n'importe quoi". Ricordo solo che Saviano a) vive sotto scorta, b) ha scritto un bestseller mondiale. Un dibattito civile richiederebbe più attenzione alle parole che si usano e maggiore rispetto: confrontare gli accademici italiani (tra i quali scienziati di fama mondiale) con Bidognetti, Schiavone, Iovine e Zagaria, oltre che insensato, è di pessimo gusto.

Nello specifico: nessuna presunta omertà (ma chi frequenta ambienti di ricerca di alto livello, perché dovrebbe denunciare i colleghi?) giustifica "tagli lineari", per il semplice fatto che l'accademia è pubblica, e i suoi risultati sono pubblicamente disponibili al punto che vi si possono fare statistiche che dimostrano, vedi i dati di Thomson Reuters, che vi sono settori (quelli scientifici in particolare) in cui la produzione è di livello elevato, mentre altre discipline (economia in particalre) soffrono di nanismo e afasia. 

Se la logica deve essere quella dei tagli, cosa su cui non concordo minimamente, sarebbe allora sensato punire i settori improduttivi e premiare quelli all'avanguardia.

Oops! mi son appena accorto che (causa problemi di connessione) il mio commento e'  per meta' saltato.
Visto che era articolato, e non ho tempo di riscriverlo ora, ho rimosso tutto.

 

PS: c'e' modo di eliminare un commento?

 

Il commento di Carlo rappresenta una opinione abbastanza generalizzata. Molti nell'accademia italiana la vedono cosi' (anche se tipicamente esprimono molto piu' risentimento verso Roberto di quanto non faccia Carlo).

 

La questione è la seguente: se uno dipinge il sistema come completamente marcio, bé allora qualsiasi intervento, anche il più maldestro, può essere spacciato come un meritorio tentativo di riforma. Ovviamente il povero Perotti non ha colpa di come son stati fatti i tagli. Purtroppo il risultato finale è quello descritto da Gilberto.

E i baroni, dopo la riforma, hanno più potere di prima. L'effetto dell'approssimazione con cui i media hanno dipinto i problemi dell'università mi ricorda un'altra moda mediatica, ovvero la retorica anticasta, qualche anno fa, a seguito del libro di Rizzo e Stella. La conseguenza di quella protesta è stata un rafforzamento della casta (che ovviamente non può essere imputato a Rizzo&Stella).

 

Secondo me questo commento rappresenta una certa dose di ipocrisia (scusa Carlo - come gia' detto, apprezzo la tua pacatezza).

 

Perché mai non dovrei esser pacato? in fondo da questa discussione non ha alcun effetto né sul mio stipendio, né sui miei fondi di ricerca :)

 

Siamo chiari: i tagli orizzontali non sono dovuti al fatto che Roberto ha parlato dell'universita' in TV, ma al fatto che l'universita' ha per decenni protetto se stessa - baroni, nepotisti, corrotti, e tutto.

 

I tagli orizzontali sono dovuti al fatto che Ministro e Ministero non erano in grado di discernere chi lavora e chi no; l'omertà non c'entra - a mio avviso. Anzi, l'unico criterio è stato tagliare solo dove era più facile: i precari son stati ridotti a striscioline, i baroni trattati coi guanti di velluto.

 

Last but not least:

 

E' l'omerta' dell'universita'  che ha giustificato i tagli non Perotti.

 

Proprio questo è il punto: ciascuno è corresponsabile di ciò che avviene nel suo campo d'azione. Quindi il concetto di responsabilità collettiva si può correttamente applicare ad un dipartimento o, in misura minore, ad una disciplina. Per questo motivo io sono convinto che sia inutile (e, visti i risultati, forse anche dannoso) impostare la discussione  su dati  aggregati.

Sommando quantità non omogenee, utilizzando una normalizzazione piuttosto che un'altra, o introducendo correttivi arbitrari (Perotti docet) si può plasmare la tesi desiderata.

Giovanni Federico, seguendo Sabino Patruno, mi fa notare il rapporto Thomson/Reuters sulla ricerca in UK. Molto interessante.

Non riesco a visualizzare il link che hai postato.

www.roars.it/online/ che mi aspetto di veder riportata su questo sito in maniera integrale.

www.roars.it/online/ che mi aspetto di veder riportata su questo sito in maniera integrale.

 

Io penso che la scelta migliore sia quella di mettere il link in evidenza. I duplicati -in genere- non sono inutili, sono dannosi.

Sono finito su questa pagina perchè stavo cercando alcuni dati e ho notato alcuni fatti che non tornano.

Se si vogliono valutare i risultati delle università, i dati del portale SCImago sono poco significativi. Non si tratta solo del 10% di produzione del CNR ma di una sessantina di istituti non universitari che producono circa il 30% delle pubblicazioni totali e il loro fattore d'impatto normalizzato (NI) è mediamente più alto di quello degli atenei. Tra le prime venti istituzioni in ordine di NI solo due sono università: Università Vita Salute San Raffaele (6°) e il Politecnico di Bari (20°), dati SCIR2011.

Un confronto filtrato per le sole università si trova qui. Ne parla anche De Nicolao il quale, commentando la seguente figura



scrive: “tutti gli atenei italiani tranne uno mostrano un impatto normalizzato superiore alla media mondiale”, che è vero, ma si dimentica dire che dalla media mondiale non si discostano di molto. Un risultato poco lusinghiero dato che nel campione ci sono molti paesi in via di sviluppo.

Infatti, se si considera il valore mediano del NI, l'Italia si colloca al 17° posto. Peggio ancora se si considera il 90° percentile, 21° posto. Tra i paesi occidentali fanno peggio di noi solo Spagna e Grecia.
I dati in forma tabellare si scaricano nella stessa pagina www.scimagolab.com/blog/2011/the-research-impact-of-national-higher-education-systems/