Nel ricordo: Peppino Impastato, poesie

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Per ricordare Peppino Impastato, ucciso il 9 maggio 1978.

Natalia, prima di congedarsi, aveva gia' impostato alcuni post per il futuro. E' donna altamente produttiva. Ne approfitto e ne pubblico uno, che altrimenti il 9 maggio s'allontana troppo nel tempo. Spero, e credo, di farle cosa gradita. Se non lo e', mi perdonera'. MB

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Negghia

 

Paisi antichi comu lu tempu

 

fannu li vegghi a lu cori di la negghia

 

ma li pinseri vonnu passari

 

pi taliari se c'è un muru ca ni nega lu futuro

 

Comu furmichi senza abbentu

 

chi carriànu lu furmentu

 

ammuttamu sulu cu lui mani

 

suli trasi cu li mani

 

a negghia arrasi

 

Quannu spunta la matina

 

accarizzi l'acquazzina

 

e sta terra s'arrusbigghia

 

e addiventa meravigghia

 

Quanti pinseri hannu circatu lu cori di la negghia

 

quanti vrazza hannu pruvatu ad abbattiri stu muru

 

quantu cori

 

*

 

Seduto se ne stava

 

e silenzioso

 

stretto a tenaglia

 

tra il cielo e la terra

 

e gli occhi

 

fissi nell'abisso.

 

*

 

Fiore di campo nasce

 

sul grembo della terra nera,

 

fiore di campo cresce

 

odoroso di fresca rugiada,

 

fiore di campo muore

 

sciogliendo sulla terra

 

gli umori segreti.

 

*

 

Un mare di gente

 

a flutti disordinati

 

s'è riversato nelle piazze,

 

nelle strade e nei sobborghi.

 

E' tutto un gran vociare

 

che gela il sangue,

 

come uno scricchiolo di ossa rotte.

 

Non si può volere e pensare

 

nel frastuono assordante;

 

nell'odore di calca

 

c'è aria di festa

 

*

 

E venne da noi un adolescente

 

dagli occhi trasparenti

 

e dalle labbra carnose,

 

alla nostra giovinezza

 

consunta nel paese e nei bordelli.

 

Non disse una sola parola

 

né fece gesto alcuno:

 

questo suo silenzio

 

e questa sua immobilità

 

hanno aperto una ferita mortale

 

nella nostra consunta giovinezza.

 

Nessuno ci vendicherà:

 

la nostra pena non ha testimoni.

 

*

 

Lunga è la notte

 

e senza tempo.

 

Il cielo gonfio di pioggia

 

non consente agli occhi

 

di vedere le stelle.

 

Non sarà il gelido vento

 

a riportare la luce,

 

nè il canto del gallo,

 

nè il pianto di un bimbo.

 

Troppo lunga è la notte,

 

senza tempo,

 

infinita.

 

*

 

I miei occhi giacciono

 

in fondo al mare

 

nel cuore delle alghe

 

e dei coralli.

 

*

 

Passeggio per i campi

 

con il cuore sospeso

 

nel sole.

 

Il pensiero,

 

avvolto a spirale,

 

ricerca il cuore

 

della nebbia.

 

*

 

Stormo d'ali contro il sole,

 

capitombolo nel vuoto.

 

Desiderio,

 

erezione,

 

masturbazione,

 

orgasmo.

 

Strade silenziose,

 

volti rassegnati:

 

la notte inghiotte la città.

 

*

 

Nubi di fiato rappreso

 

s'addensano sugli occhi

 

in uno stanco scorrere

 

di ombre e di ricordi:

 

una festa,

 

un frusciare di gonne,

 

uno sguardo,

 

due occhi di rugiada,

 

un sorriso,

 

un nome di donna:

 

Amore

 

Non

 

Ne

 

Avremo.
 

 

Peppino Impastato
___________________

 

 

Nota biografica estratta dal sito “Peppino Impastato, una vita contro la mafia”

Nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La famiglia Impastato è bene inserita negli ambienti mafiosi locali: si noti che una sorella di Luigi ha sposato il capomafia Cesare Manzella, considerato uno dei boss che individuarono nei traffici di droga il nuovo terreno di accumulazione di denaro. Frequenta il Liceo Classico di Partinico ed appartiene a quegli anni il suo avvicinamento alla politica, particolarmente al PSIUP, formazione politica nata dopo l’ingresso del PSI nei governi di centro-sinistra. Assieme ad altri giovani fonda un giornale, “L’Idea socialista” che, dopo alcuni numeri, sarà sequestrato: di particolare interesse un servizio di Peppino sulla “Marcia della protesta e della pace” organizzata da Danilo Dolci nel marzo del 1967: il rapporto con Danilo, sia pure episodico, lascia un notevole segno nella formazione politica di Peppino. In una breve nota biografica Peppino scrive:

“Arrivai alla politica nel lontano novembre del ’65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare ormai divenuta insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale. E’ riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività. Approdai al PSIUP con la rabbia e la disperazione di chi, al tempo stesso, vuole rompere tutto e cerca protezione. Creammo un forte nucleo giovanile, fondammo un giornale e un movimento d’opinione, finimmo in tribunale e su tutti i giornali. Lasciai il PSIUP due anni dopo, quando d’autorità fu sciolta la Federazione Giovanile. Erano i tempi della rivoluzione culturale e del “Che”. Il ’68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l’adesione, ancora na volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti, la Lega. Le lotte di Punta Raisi e lo straordinario movimento di massa che si è riusciti a costruirvi attorno. E’ stato anche un periodo, delle dispute sul partito e sulla concezione e costruzione del partito: un momento di straordinario e affascinante processo di approfondimento teorico. Alla fine di quell’anno l’adesione ad uno dei due tronconi, quello maggioritario, del PCD’I ml.- il bisogno di un minimo di struttura organizzativa alle spalle (bisogno di protezione ), è stato molto forte. Passavo, con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava sempre più una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all’altro, da una settimana all’altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia. E mi beccai i primi ammonimenti e la prima sospensione dal partito. Fui anche trasferito in un. altro posto a svolgere attività, ma non riuscii a resistere per più di una settimana: mi fu anche proposto di trasferirmi a Palermo, al Cantiere Navale: un pò di vicinanza con la Classe mi avrebbe giovato. Avevano ragione, ma rifiutai.

Mi trascinai in seguito, per qualche mese, in preda all’alcool, sino alla primavera del ’72 ( assassinio di Feltrinelli e campagna per le elezioni politiche anticipate ). Aderii, con l’entusiasmo che mi ha sempre caratterizzato, alla proposta del gruppo del “Manifesto”: sentivo il bisogno di garanzie istituzionali: mi beccai soltanto la cocente delusione della sconfitta elettorale. Furono mesi di delusione e disimpegno: mi trovavo, di fatto, fuori dalla politica. Autunno ’72. Inizia la sua attività il Circolo Ottobre a Palermo, vi aderisco e do il mio contributo.Mi avvicino a “Lotta Continua” e al suo processo di revisione critica delle precedenti posizioni spontaneistiche, particolarmente in rapporto ai consigli: una problematico che mi aveva particolarmente affascinato nelle tesi del “Manifesto” Conosco Mauro Rostagno : è un episodio centrale nella mia vita degli ultimi anni. Aderisco a “Lotta Continua” nell’estate del ’73, partecipo a quasi tutte le riunioni di scuola-quadri dell’organizzazione, stringo sempre più o rapporti con Rostagno: rappresenta per me un compagno che mi dà garanzie e sicurezza: comincio ad aprirmi alle sue posizioni libertarie, mi avvicino alla problematica renudista. Si riparte con l’iniziativa politica a Cinisi, si apre una sede e si dà luogo a quella meravigliosa, anche se molto parziale, esperienza di organizzazione degli edili. L’inverno è freddo, la mia disperazione è tiepida. Parto militare: è quel periodo, peraltro molto breve, il termometro del mio stato emozionale: vivo 110 giorni di continuo stato di angoscia e in preda alla più incredibile mania di persecuzione”

Nel 1975 organizza il Circolo “Musica e Cultura”, un’associazione che promuove attività culturali e musicali e che diventa il principale punto di riferimento por i giovani di Cinisi. All’interno del Circolo trovano particolare spazio ìl “Collettivo Femminista” e il “Collettivo Antinucleare” Il tentativo di superare la crisi complessiva dei gruppi che si ispiravano alle idee della sinistra “rivoluzionaria” , verificatasi intorno al 1977 porta Giuseppe Impastato e il suo gruppo alla realizzazione di Radio Aut, un’emittente autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Nel 1978 partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali a Cinisi. Viene assassinato il 9 maggio 1978, qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo l’esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani. Le indagini sono, in un primo tempo orientate sull’ipotesi di un attentato terroristico consumato dallo stesso Impastato, o, in subordine, di un suicidio “eclatante”.

Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesi”. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.

Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.

Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo. Badalamenti e Palazzolo sono successivamente deceduti.

Il 7 dicembre 2004 è morta Felicia Bartolotta, madre di Peppino.

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