Paradisi informatici

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Mentre in Italia si cerca di zittire i blog, l'Islanda lancia un programma per consentire la massima libertà di espressione in rete.

Nel famigerato "decreto intercettazioni" sono incluse norme che estendono la disciplina dell'obbligo di rettifica a siti internet e blog, senza distinguere tra siti "istituzionali" e personali. Non importa se un sito sia gestito da un privato nei ritagli di tempo o abbia una vera redazione: è comunque tenuto a pubblicare una rettifica entro 48 ore dalla richiesta, con pene fino a 12.500€.

Evidentemente questa storia, che un qualunque cittadino possa parlare a più persone di quante ne trovi al bar sottocasa, non va proprio giù ai politici italiani, vista l'insistenza con cui si ripropongono queste limitazioni alla libertà di espressione in rete.

In Islanda invece han deciso di fare il contrario, adottando una legislazione innovativa che consente la più ampia libertà di espressione e candidandosi apertamente a diventare un "paradiso" per il giornalismo investigativo e la trasparenza.

L'hanno chiamata Icelandic Modern Media Initiative (IMMI) e consiste in modifiche a ben 14 leggi: si stima che ci vorrà un anno perchè sia del tutto operativa, ed ovviamente non mira a creare una situazione stile "far west" in cui chiunque può pubblicare qualunque cosa senza renderne conto a nessuno, ma piuttosto a limitare l'uso strumentale ed intimidatorio delle leggi contro la diffamazione.

Dal sommario, verrà garantita:

  • protezione degli informatori;
  • protezione dell'anonimato delle fonti (tradire una promessa di anonimato sarà un reato);
  • protezione delle comunicazioni tra giornalista e fonti prima della pubblicazione;
  • limiti alle restrizioni preventive;
  • immunità degli intermediari, come gli ISP e le società di telecomunicazion;
  • protezione dalle legislazioni straniere: si considerano irrilevanti le sentenze provenienti da altri paesi che restringano la libertà di espressione oltre quanto previsto dalle leggi islandesi, e si introduce la possibilità di controquerelare in Islanda le controparti straniere;
  • limitazione della responsabilità degli editori (1);
  • protezione dagli abusi processuali (cause pretestuose, ecc. ) contro la libertà di espressione;
  • società a responsabilità limitata virtuali (2) (???).

Vengono citati anche un premio internazionale per la libertà di espressione ed una "legge ultramoderna sulla libertà di informazione", espressione che in se non significa nulla e credo sia una scatola per il resto.

Come detto, il tutto sarà operativo solo tra un anno o più e per dare un giudizio definitivo bisognerà vedere l'implementazione pratica dei principi, ma resta un'iniziativa encomiabile. Anche perchè è probabile che finisca per attirare in Islanda le iniziative più controverse e con esse varie grane internazionali. Ed in un momento in cui il paese è già sotto attacco per motivi pretestuosi.

A maggior gloria degli islandesi va ricordato che un po' ovunque ci sono iniziative per limitare la libertà di parola in rete. Per esempio, una legge sulla censura di internet è da tempo in discussione in Australia; in Svezia una legge che consente allo stato di spiare telefoni ed internet ha spinto un grande numero di persone a votare in massa per il PiratPartiet, giunto al 7%; perfino certi regolamentiinternazionali si occupano della faccenda, soprattutto per la protezione dei copyright.

Anche in Islanda la legge corrente aveva consentito ad una banca di vietare la pubblicazione di informazioni sul suo stato di salute. Quando Wikileaks lo ha reso noto la pressione dell'opinione pubblica ha obbligato il tribunale a ripensarci ed ha ispirato al parlamento l'iniziativa IMMI.

(1) Pare che recenti norme europee considerino ogni visione di una pagina web una nuova pubblicazione (non ho trovato riferimenti); per questo, sembra, molti giornali vanno rimuovendo gli articoli vecchi di anni per limitare i potenziali contenziosi.

(2) In inglese: "Virtual limited liability companies", non ho ben capito di che si tratti in pratica, e se siano le società o la responsabilità ad essere virtuale. Suppongo la prima, ma la descrizione non chiarisce. Si dice ispirata alla legislazione LLC del Vermont: qualcuno la conosce?

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Commenti

Ci sono 25 commenti

Trovo estremamente apprezzabile l'iniziativa islandese, da informatica, blogger nel passato e probabilmente nel futuro.

Credo che sia un baluardo importante, avere garantiti questi diritti e queste protezioni dalle iniziative di soggetti molto più forti del singolo in almeno un Paese nel mondo. Per molti blogger italiani, sarà sufficiente avere l'hosting del proprio blog in un estero generico, credo: non molto spesso converrà perseguirli, da un punto di vista economico. Ma per le informazioni più importanti e le testate online (blog o giornalistiche) più in vista sarà fondamentale, vedi anche solo le battaglie giudiziarie in cui è stata coinvolta Wikilieaks.

Avevo trovato l'iniziativa lodevole e, soprattutto, sacrosanta.

Questa norma protegge un bene pubblico, che come tutti i veri beni pubblici non consiste solo in belle parole, ma ha dei risvolti positivi sul piano concreto del benessere del paese (leggi: economia che gira meglio).  La chiave di volta di tutta questa iniziativa si intravede infatti in questo paragrafo:

Anche in Islanda la legge corrente aveva consentito ad una banca di vietare la pubblicazione di informazioni sul suo stato di salute.

Fra i motori di questa legge c'è senza dubbio l'esigenza di una maggiore trasparenza nell'informazione sull'economia del paese, e probabilmente questo risultato verrà ottenuto.

vermontvirtual.org/Main_Page

Mi pare di capire che la "virtualità" riguardi il modo di operare della società, che è totalmente online, senza registri, libri verbali etc. etc.

Tuttavia sembra non sia ancora operativa

vermontvirtual.org/Terms_of_Service

 

 

 

Grazie, direi che questo chiarisce tutto: l' idea è di consentire a chiunque di aprire società in Islanda senza richiedere una presenza fisica, in modo da usufruire delle protezioni alla libertà di parola.

Sull'obbligo di rettifica per i blog vado in controtendenza. Mi spiego con un esempio.

Il signor Rossi Mario scrive sul suo blog che il signor Bianchi Palmiro e' un ladro o uno stupratore (o un epiteto a piacere) senza che sia assolutamente vero (o magari e' un caso di omonimia). Il blog del signor Rossi ha tre o quattro lettori, pero' viene raggiunto dagli spider di Google. Quindi chiunque faccia delle ricerche sul signor Bianchi Palmiro (ad esempio un datore di lavoro, un elettore, la fidanzata, o il padre della fidanzata) inserendo il suo nome nel motore di ricerca trova scritto che e' un ladro, uno stupratore etc.

Problema: come puo' fare il signor Bianchi per cancellare questa calunnia da internet? Querelare il singor Rossi? Ma per una sentenza ci vogliono anni e bisogna pagare l'avvocato. E nel frattempo? Anche se il signor Rossi venisse condannato, magari la calunnia potrebbe essere stata riportata da altri blog o altri siti e in pratica non sara' possibile eliminarla del tutto dalla rete anche se il giudice dovesse decretare l'oscuramento del blog del signor Rossi (che se proprio non sopporta il signor Bianchi lo re-installa in Islanda).

Insomma l'obbligo di rettifica su materiale contenuto in rete non e' necessariamente un provvedimento illiberale. Secondo me basterebbe limitare il diritto di chiedere la rettifica alla persona direttamente interessata, e solo in caso di affermazioni palesemente false (le opinioni non sarebbero incluse). Aggiungerei che tale diritto dovrebbe essere tutelato soprattutto per gli individui che non hanno un ruolo pubblico.

 

 

Beh, l'istituto della diffamazione (magari a mezzo stampa) è lì per quello.  Su internet è particolarmente efficace proprio perché scripta manent e uno non può inventarsi di non aver sparlato di tizio o caio.

Sta poi anche all'intelligenza degli utenti utilizzare con cognizione di causa le informazioni reperite.

In ogni caso, l'obbligo di rettifica su internet rischia di non essere solo inutile (come in sostanza lo è sulla stampa tradizionale), ma per di più dannoso, dal momento che la rettifica rischia di aumentare la rilevanza dell'articolo originale e di conseguenza la visibilità della cosa da rettificare.

 

Il diavolo è nei dettagli.

La regola in questione è pensata per un quotidiano: 2 giorni di tempo e 12k€ di multa sono ragionevoli, se vuoi pure blanda.

Una multa simile comminata a Mario Rossi che il blog lo cura nei ritagli di tempo, e magari è in ferie in Nepal e guarda la mail ogni 10 giorni è assurda.Per di blog non professionali vedrei più sensata una cosa tipo 10 giorni/500€ (o se preferisci, 5 giorni estendibili a 20 con giustificazione).

Poi la diffamazione è un' altra partita.

Sull'obbligo di rettifica per i blog vado in controtendenza. Mi spiego con un esempio.

Sarebbe interessante conoscere il fenomeno come si è evoluto finora in assenza di norma come quella qui in discussione. Non mi pare che siano nati contenziosi durissimi o fenomeni ripetuti, gravi e diffusi di diffamazione che, sia pure con la lentezza della giustizia ordinaria sarebbero pereguibili da parte del diffamato. In ogni caso, dati i precedenti tentativi di limitazione e/o controllo dei blog, pensar male ed allarmarsi è doveroso .

 

Il blog del signor Rossi ha tre o quattro lettori, pero' viene raggiunto dagli spider di Google. Quindi chiunque faccia delle ricerche sul signor Bianchi Palmiro (ad esempio un datore di lavoro, un elettore, la fidanzata, o il padre della fidanzata) inserendo il suo nome nel motore di ricerca trova scritto che e' un ladro, uno stupratore etc.

 

Google indicizza principalmente in base al numero di visite, se il blog del signor Rossi ha pochi lettori, pochi lo vedranno, a meno che non facciano una ricerca molto specifica (tipo "bianchi palmiro stupratore/ladro").

Se invece il blog del signor Rossi ha molti lettori, allora 48 h + il tempo che Palmiro Bianchi ci mette a leggere l'articolo sono tempo sufficente perchè l'articolo faccia il giro del mondo e sia copiato e tradotto da una decian di altri blog (rendendo l'obbligo di rettifica inutile). Probabilmente, una richiesta di rettifica a quel punto verrebbe interpretata dai più come un tentativo di censurare il signor Rossi, ottenendo l'effetto contrario.

Tutto vero quello che dici.

Il fatto però che la rettifica non sia da sola capace di riparare il torto e che comunque l'articolo diffamatorio sia capace di rigenerarsi in mille altri blog, (in fondo una variante moderna de "la calunnia è un venticello") non toglie che un tentativo di riparare il torto sia meglio che lasciare il torto indisturbato.

Tra l'altro è vero che l'articolo può essere copiato e incollato in altri siti, ma non vedo perchè questo non possa avvenire anche per la rettifica.

 

Pongo una domanda:

Se io, gestore amatoriale di un blog o di un forum, trasferissi il mio sito su un provider islandese (cioè al posto di usare un sito con estensione .it passerei a .is) rimarrei soggetto alla normativa italiana o no?

Perchè in questo caso l'attacco alla libertà della rete verrà facilmente parato: tutti i blogger sposteranno i loro siti in un altro paese.

 

Credo che il server basato in Islanda possa tranquillamente ospitare un sito con estensione .it, quindi il caso islandese è proprio questo: sposteranno il sito su un server islandese e buonanotte, senza nemmeno modificare l'indirizzo.

Non credo sia così semplice: da un lato come dice Marco puoi usare un server in islanda e lasciare il dominio .it, dall' altro se tu hai violato la legge italiana e sei in italia sei perseguibile a prescindere da dove si trovi il server.

Se però non è possibile risalire a te (per esempio perchè il dominio non è tuo e hai postato anonimamente) senza supporto dalle autorità islandesi, allora dovresti esserne protetto.Credo che qualche protezione dalla calunnia sia prevista anche dall' ordinamento islandese, ma dovrebbero avviare una causa li solo per sapere con chi devono prendersela.

Premessa: nessuna intenzione di calunniare qualcuno o di usare internet per insultare o altro. Ma una legge come quella italiana mette una persona che gestisce un blog o un forum a livello amatoriale in una posizione molto difficile (per esempio se qualcuno posta una cosa offensiva e io non faccia a tempo a rimuoverla per le 48 ore).

Quindi la soluzione è usare un provider islandese con un nome diverso dal mio: l'unica alternativa per chi si sentisse offeso sarebbe quella di iniziare una causa in Islanda con tutti i costi del caso. In Italia sarebbe facilissimo farmi pagare i 12.500 euro di multa, invece perchè uno si sobbarchi tutta la trafila con le autorità islandesi dovrebbe essere una cosa molto seria.

Confermate?

 

purtroppo in Italia alcuni blog vengono gia' oscurati adesso, vedere qui e qua, e cio' che colpisce e' che, a fronte di una presunta diffamazione che deve ancora essere giudicata in tribunale, si oscuri un intero blog e non le sole parti che si ritiene siano oggetto di diffamazione (che ad oggi e' solamente presunta). Chissa' cosa puo' succedere con le modifiche previste dal "decreto intercettazioni"........

 

non va proprio giù ai politici italiani, vista l'insistenza con cui si ripropongono queste limitazioni alla libertà di espressione in rete.

 

la libertà di espressione non va proprio giù agli italiani tout court, altrimenti nessuno avrebbe nemmeno miniamente pensato che uno come Minzolini potesse fare un minimo di audience.

la libertà di espressione viene interpretata come la mia libertà contro la tua (=io posso esprimermi, tu no). chi non capisce questo non riesce a capire come il pluralismo in Italia sia una somma (o una differenza ) di faziosità, non il diritto condiviso a che ognuno dica la propria.

In ogni caso i blogger sono quasi tutti di sinistra quindi limitarne il potere comunicazionale non ci toglie voti. Se poi c' è qualche blogger di destra, pazienza, lo  faremo scrivere su qualche foglietto di partito.

 

 

La notizia è un po' vecchia, ma mi sembra in tema:

http://www.timesonline.co.uk/tol/news/politics/article5439604.ece

In sintesi: la polizia inglese può entrare nei nostri computer senza mandato. Quasi non fosse abbastanza, l' UE ha dato alle forze di polizia dei suoi stati membri il permesso di aggirare le norme dei loro paesi, chiedendo che la polizia inglese hackeri computer per loro (sempre senza mandato).