Perche' Krugman non scrive su nFA

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Perche' leggo Krugman e m'incazzo ogni volta. E perche' mi dispiace.

Giovani ed inesperti laureandi in Bocconi, io e il mio amico Pino (che ci legge da Duke) andavamo a tutti i seminari, specie quelli internazionali, per capire se veramente economisti volevamo diventare. O se invece un bel posto in banca, come i nostri genitori, non garantisse vita migliore. Beh, i seminari di Paul Krugman (e Chuck Wilson, ma questo e' fuori tema) ci avevano davvero conquistati. Krugman e' stato anche mio collega, anni dopo a MIT. Tutto questo per dire che, per quanto io non sia ora piu' giovane e sia meno inesperto, ho grande rispetto per il Krugman economista.

Pero' questi articoli sul New York Times (sono vari anni ormai che scrive come commentatore due volte alla settimana) sono veramente tremendi. E' antipatico, saccente, noioso, di parte, ossessivo. Nulla di male in tutto questo; gli stessi aggettivi si applicano anche a noi a nFA, potreste dire. Ma Krugman ha deciso che essere antipatico, saccente, noioso, di parte, ossessivo e' sufficiente, senza bisogno di argomentazioni razionali. Questo nemmeno noi lo accetteremmo da noi stessi.

Un paio di esempi, tratti da articoli in cui Krugman parla di economia, perche' di economia se ne intende e non dovrebbe essere difficile per lui farne di argomentazioni razionali in questo contesto.

In Incentives for the dead, 20 Ottobre, discute dei salari dei managers. Prende la posizione dell'uomo della strada che dice che sono pagati troppo. Come la argomenta? Dice (traduco io):

 

il salario del manager ha poco a che fare con i risultati dell'impresa

 

Nessuna giustificazione dell'affermazione. Cosi'. Lui lo sa. Gli economisti sono 20 anni che teorizzano, stimano, sbagliano, aggiustano. E lui cosi', come un fatto, "il salario del manager ha poco a che fare con i risultati dell'impresa". (E, tra parentesi, la mia soggettiva lettura della letteratura e' che quelli che i salari dei managers tutte rendite sono non stanno affatto vincendo la battaglia intellettuale, anzi!) E poi giu' trucchi retorici il caro Krugman (se sapesse dipingere li disegnerebbe affamati mentre mangiano i bambini i manager, grassi e schifosi come nelle tavole di Grosz, che mangiano caviale spensierati mentre la barca affonda nella recessione):

 

Il manager vince se viene testa, e se viene croce lancia la moneta una seconda volta. Quello che lo scandalo delle opzioni pre-datate ci rivela e' che per molti managers questo non e' ancora abbastanza. [...] E non ditemi che tutto deve andare bene perche' il mercato azionario sale recentemente. Ricordatevi, e' salito ancora di piu' negli anni '90 e negli anni '20.

 

E poi la parte che mi fa arrabbiare di piu'. Un attacco feroce alla professione (la mia e la sua) degli economisti accademici, cosi' en passant, senza la ben che minima giustificazione o argomentazione.

 

Negli anni 60 e 70 i managers delle piu' grandi imprese erano pagati, in media, 40 volte piu' di un lavoratore. Ma i manager volevano di piu' - e i professori delle business schools hanno prodotto una teoria che giustifica salari molto piu' alti per i managers.

 

Avro' anche un conflitto di interessi. Difendero' la mia professione, ma questa e' una schifezza. Si puo' anche argomentare che gli accademici siano al soldo dei managers, si puo' anche argomentare che siano tutti pervertiti, ma almeno uno straccio di esempio, se non un'argomentazione compiuta, ci vuole. Cosi' e' uno schifo. Allora e' piu' solida la posizione di Bush che gli accademici sono tutti comunisti anti-americani fiancheggiatori dei terroristi. Poi, proprio lui parla, Krugman, che fa la pistoletta a pagamento dei peggiori Democratici [Alessandro dice che questo non avrei dovuto scriverlo che non ho argomenti per dirlo; ha ragione! Mi sono fatto trascinare. Come non lo avessi scritto].

Passiamo ad altro. In The war against wage, 6 Ottobre, discute dei salari dei lavoratori.

 

Il Dow Jones cresce perche' gli imprenditori americani stanno combattendo con successo una guerra ai salari dei lavoratori. Se volete vedere come questa guerra e' combattuta e cosa sta facendo ai lavoratori americani e alle loro famiglie, guardate Wal-Mart. I managers di Wal-Mart hanno deciso che i loro interessi sono serviti al meglio trattando i lavoratori come merce da buttare, pagati al minimo e incoraggiati ad andarsene dopo un paio d'anni.

 

Questa e' roba da vergognarsi; pare Bertinotti. Nessuna comprensione di cos'e' un salario, di come funziona il mercato del lavoro, dell'offerta di lavoro degli immigrati (che lavorano da Wal-Mart): nessuna comprensione di niente. E l'articolo e' tutto cosi'. Ho citato le parti peggiori, naturalmente, ma non c'e' uno schifo di argomento intelligente da nessuna parte.

Peccato. Un'occasione persa. Un ottimo economista va alla lotta di classe dal suo salotto coperto di edera senza sapere di cosa parla.

 

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Commenti

Ci sono 14 commenti

Perché non voglio pagare i $50 annuali di abbonamento a TimesSelect.

Krugman è, o è stato, un grande economista e un ottimo divulgatore, ma non avrebbe dovuto cambiare mestiere. Quando parla di economia dice cose che mi potevo immaginare da solo, o che posso leggere gratis sul sito di Brad DeLong. Quando fa propaganda è invece stucchevole.

Gli altri opinionisti non meritano pure loro i $50. Sono anche bravini (a parte Maureen Dowd, che non so se è brava perché non ho mai capito quello che scrive) ma è difficile trovare fatti e/o opinioni che non riesco a reperire gratis altrove.

So, Alberto, save your money, your time e una buona dose d'incazzatura.

Non leggerti gli opinionisti del NYT.

 

Mah, non vorrei generalizzare, ma sull'Economist di 2-3 settimane fa si parlava di un Hedge Found americano che aveva perso qualche "billions $" su una errata valutazione del prezzo del gas.

Il "top Monager" (non è un errore di stampa, per chi di voi sa cosa vuol dire "mona" in veneto) aveva, l'anno primo, guadagnato 75 milioni di dollari per premi vari legati all'andamento della società. Li avrà rimborsati quest'anno? Non penso.

Magari Krugman (che non so chi sia, ma a prima vista mi è simpatico) non ha tutti i torti.

 

Mario, ti divertira' sapere che questa volta condivido il tuo punto di vista! Non su Krugman, che effettivamente irrita alquanto e scrive 9 pezzi su 10 che piu' scontati di cosi' non si puo', ma sui cosidetti top managers e CEOs.

Sono assolutamente convinto dai dati che non vi sia relazione tra il contributo (marginale o meno) di questi signori al valore aggiunto dell'azienda ed i loro emolumenti. Sul WSJ di ieri c'era quella del giorno: former CEO di UnitedHealth (la MIA assicurazione sulla salute), condannato e licenziato per aver fatto trucchi contabili con il dating delle stock options e lo strike price a cui potevano essere realizzate. Tutto bene, direte voi. No, tutto male, perche' a seguito del licenziamento e grazie al golden parachute che si era fatto esce con ... circa un miliardo (si': $ 1 billion) di bonus!

La ricerca economica sull'argomento e' molto scarsa, le differenze fra USA ed Europa sono minori di quanto sembra (in USA i veri padroni delle aziende sono i CEOs, in Europa ci sono gli azionisti di controllo che controllano e si portano via il panettone tipo Colannino e Tronchetti o Agnelli, fate voi), e vi e' molta poca comprensione del meccanismo.

Io, per primo, ammetto di non capire come sia possibile e si mantenga una tale mancanza di concorrenza ai livelli piu' alti e, piu' in generale, in tutto il mondo dell'investment banking e dei mercati finanziari. Non e' il mio campo, ma l'incapacita' di intendere come la situazione di monopolio si mantenga m'infastidisce alquanto. Quindi, on that one, sono con Krugman. Il che, e su questo concordo con Alberto, non lo autorizza fare affermazioni apodittiche come se fosse l'oracolo di Delfi. 

 

Tra l'altro l'esmpio che facevo non era quello di un monager ladro, semplicemente quello di uno che aveva puntato qualche billions sul rosso ed aveva avuto il culo che il rosso uscisse. Peccato non fossero suoi i soldi della puntata.

 

Pongo però un'altra questione: riusciremo a tener unita una specie, quella dell'homo sapiens sapiens, o ci differenzieremo? Non solo economicamente (quelli che guadagnano milioni di dollari da quelli che quadagnano mille dollari) ma proprio biologicamente: più alti, più belli, molto più longevi, molto più intelligenti, e magari anche molto più stronzi?

 

ma io ho risposto a michele che parlava del CEO di UnitedHealth. Quanto ai manager che rischiano coi soldi degli altri, questa e' esattamente la ragione per cui li riempiono di stock options, per farli rischiare coi soldi propri.

 

E' utile distinguere tra media e varianza della retribuzione dei dirigenti. Come e' noto da millenni, la teoria giustifica l'utilizzo di sistemi di compensazione (basati su stock, stock option, bonus,...) che impongano un certo rischio sulla ricchezza del dirigente. Quello che non riusciamo a capire e' perche' la media della retribuzione e' salita enormemente rispetto ai salari delle altre occupazioni. Sul finire degli anni 90, e' chiaro che l'utilizzo abbondante di stock options, unito a performance positive (in valore assoluto) di tutte le imprese, ha implicato l'aumento anche della media della retribuzione. Una prima domanda, che non ha risposta nella letteratura e' : perche' gli incentivi sono legati alla performance in senso assoluto dell'azienda, invece che alla performance relativamente alle aziende concorrenti? Io ho guardato ai dati piu' recenti, post-sbornia fine anni 90. Tra l'altro sono dati molto buoni (essenzialmente la population dei top managers di tutte le aziende quotate negli US). Negli anni (2001,2002) in cui la performance in senso assoluto di moltissime imprese e' stata deficitaria, la retribuzione media e' effettivamente calata, ma con un'elasticita' rispetto al valore perso dagli azionisti, molto inferiore dell'elasticita' di fine anni 90. Molto probabilmente, questo e' dovuto all'utilizzo di call options invece che di straight stock come principale strumento di incentivazione. Infatti, le opzioni, a differenza delle azioni, offrono un limite inferiore alle perdite dei dirigenti. Anche in questo caso, la teoria economica non e' di molto aiuto. Cioe', non siamo riusciti a capire quando opzioni dovrebbero essere preferiti ad azioni e viceversa. Infine, altro capitolo, sui cui non mi soffermo, e' quello della corporate governance. Molto spesso, negli US, il CEO controlla effettivamente il board of directors (collegio sindacale) e quindi anche il compensation committee, che e' un'emanazione del board stesso. I CEO hanno a disposizione un arsenale munitissimo di strumenti per preservare la loro posizione. L'azionariato diffuso, unitamente alla difficolta' di montare proxy fights, e' una prima difficolta'. Poi ci sono molti trucchetti per resisteri ai takeover ostili.... insomma tanto lavoro per gli economisti.


salari legati a performance relativa sono difficili da sostenere perche' richiedono vincoli ai portafogli dei managers (e delle loro famiglie) difficilmente implementabili. non si riesce nemmeno a fargli dichiarare le posizioni sulla propria impresa! c'e' un po'dletteratura su questo. sul perche' options, credevo che tutti fossero d'accordo che fosse (almeno originariamente) questione di vantaggi  fiscali per l'impresa.

 

Un commento a qualche idiozia sparata in questo dibattito: "le opzioni limitano la perdita del dirigente". Le firm pagano free call option, come tali senza perdita effettiva, per definizione. La teoria economica (o meglio quella finanziaria) e un po' di conoscenza di balance sheet (purtroppo pero' sia la finanza che la contabilita' vengono disprezzate dagli economisti accademici, che adorano l'utilissima teoria dei giuochi, :-))) permettono viceversa di capire moltissimo: a differenza che in Europa (sicuramente in Germania, non UK), le stock option non vengono riportate a bilancio se non al loro eventuale esercizio da parte dei managers. Esse sono poi molto out of the money quando attribuite ai dirigenti: il leverage che ne deriva (Marchionne credo ad es. abbia qualche mln. di titoli fiat ad uno strike price che quando le opzioni gli furono attribuite sembrava irraggiungibile) e' un sistema di incentivazione molto forte ed efficace. Se viene raggiunto lo strike price, il ceo diventa stra-ricco.

Detto questo io ho una mia teoria personalissima, ma credo ben suffragata da evidenza empirica. Vi sono una serie di fattori che spiegano l'aumento esponenziale delle retribuzioni dei manager. Nessuno di questi ha a che vedere con le performance del lavoro dei manager in quanto tale. In tal senso le retribuzioni sono del tutto immotivate. Pero' si spiegano molto razionalmente (hegelianamente tutto cio' che e' reale e' razionale):

1/ vi siete resi conto che i profitti aziendali crescono a ritmi verginosi ormai da anni? Tutto cio' avviene in assenza di crescita della domanda interna dei principali Paesi sviluppati (a parte USA e UK dove cmq. la domanda non e' cresciuta tanto forte quanto i profitti). E l'argomento della crescita della Cina e' solo molto, molto recente. Come si spiega tutto cio': aumento altissimo della produttivita' del lavoro (da quando io lavoro, grazie a internet e in generale al computer, posso tranquillamente stimare che una mia giornata attuale (al netto del premio di produttivita' dovuto alle skills acquisite) ne vale 3-4 della stessa giornata di 12-13 anni fa) e sistemi di governance che all'interno dell'impresa danno piu' potere ai managers. I managers sono sempre piu' cost cutter e sempre meno ideatori di prodotti. Per tagliare i costi hai bisogno di piu' potere, va da se'. Vale a dire i profitti salgono non perche' si vende di piu' ma perche' produrre costa meno, drammaticamente meno.

2/ Ora, in USA non solo c'e' la leva contabile-fiscale e finanziaria delle opzioni, ma anche lo share buy back come pratica ormai estesissima di mercato. Piuttosto che pagare dividendi le firms americane preferiscono ricomprare azioni proprie lentamente ma inesorabilmente. A chi le offrono: semplice, ai loro managers. E l'anello si chiude.

Saluti

 

 

 

e mi sembrava, in effetti, di averne già sentito parlare :-)