Come ogni anno, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha pubblicato il rapporto preliminare sugli esiti dell’Esame di Stato della scuola secondaria di II grado per l’anno 2015/2016. [1]
Anche quest’anno si è confermato il trend che vede un’Italia spaccata in due, con le regioni del Sud che ottengono i risultati migliori, sia come voto medio, sia come numero di eccellenze, e quelle del Nord che si attestano su valori notevolmente inferiori. Particolarmente clamorosa è la situazione di Puglia e Calabria in cui circa un diplomato su dieci si è diplomato con un voto di 100/100 e dove moltissimi studenti (934 in Puglia e 334 in Calabria) sono riusciti ad ottenere addirittura la lode.
Puntuali, all pubblicazione dei dati, sono seguite le polemiche di Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto. [2]
«Come è possibile che vi siano tanti 100 e lode nelle province del Sud quando queste ultime sono costantemente sotto la media nei Test Invalsi? O i test non funzionano o c’è qualche lassismo di troppo negli esaminatori».
Al Governatore del Veneto si è contrapposto l’ex Ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, che in un’intervista a Lettera43.it [3] ha definito come «bislacca» la tesi «di un Nord rigoroso e di un Sud che i voti li regala».
Chi ha ragione? Per rispondere, vediamo di analizzare cosa dicono i dati a nostra disposizione.
Test Invalsi
Con il nome di Test Invalsi andiamo a indicare diverse prove standardizzate che vengono proposte agli studenti durante varie tappe del loro percorso scolastico. Per la nostra analisi ci rifaremo ai test di matematica e di italiano che vengono somministrati ogni anno agli alunni delle classi seconde della scuola secondaria di II grado. [4]
Ho elaborato i risultati dei test andando a calcolare, per ogni macro-regione, lo scostamento rispetto alla media nazionale. Com’è molto evidente, e non da oggi, in entrambe le materie si evidenzia una netta divisione lungo l’asse Nord-Sud, con gli studenti settentrionali che ottengono i risultati migliori mentre quelli meridionali, pur con qualche progresso, raggiungono risultati di apprendimento significativamente inferiori alla media italiana.
Test Ocse-Pisa
Il Programme for International Student Assessment o PISA (Programma per la valutazione internazionale dell’allievo), è un’indagine promossa dall’Ocse per valutare il livello d’istruzione degli studenti quindicenni dei paesi OCSE. A questo scopo, ogni tre anni vengono somministrate, in classi campione di tutti i paesi OCSE, delle batterie di test per valutare le competenze linguistiche, matematiche e scientifiche. L’Invalsi ha analizzato i risultati dei test e ha pubblicato un report in cui questi vengono disaggregati e analizzati anche a livello regionale. [5] Ho elaborato questi dati per ricavare, nuovamente, lo scostamento delle singole macro-regioni rispetto alla media nazionale. Anche qui riemergono le stesse dinamiche già evidenziate dai Test Invalsi.
Lo stesso rapporto dell’Invalsi, analizzando ad esempio i risultati di matematica, evidenzia come:
«Gli studenti del Nord Ovest (509) e del Nord Est (514) si collocano al di sopra sia della media nazionale (485) che della media OCSE (494), con una differenza statisticamente significativa; il Centro (485) è in linea con la media italiana ma sotto la media OCSE, mentre Sud e Sud Isole si collocano significativamente al di sotto delle due medie di riferimento con un punteggio medio rispettivamente di 464 e 446 così come le regioni dell’Area convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) con un punteggio di 454».
Per fare un confronto, 514 è il punteggio in matematica della Finlandia, mentre 448 e 453 sono rispettivamente i punteggi di Turchia e Grecia.
Mele con pere?
Un’obiezione è immediata: se compariamo i risultati degli alunni quindicenni (Invalsi, Pisa) con quelli dei loro colleghi diplomati, non stiamo forse paragonando le mele con le pere? Non stiamo, cioè, confrontando dati disomogenei?
L’obiezione, in sé, non è infondata. In via del tutto teorica è possibile che nel triennio successivo alla somministrazione dei Test Invalsi, gli studenti del Sud abbiano migliorato i loro risultati di apprendimento in modo tale da raggiungere e superare i loro colleghi. Se così, fosse, però, dovremmo trovarne traccia non solo all’Esame di Stato ma anche nelle altre rilevazioni riferite ai loro coetanei e così non è.
Analizzando ad esempio i risultati dell’indagine Ocse-Piaac sulle competenze degli adulti [6] ed esaminando, in particolare, [pp. 120-121] le performance della fascia 16-24 anni, composta in gran parte da studenti, possiamo notare come non vi siano differenze significative rispetto ai risultati di Invalsi e Pisa. Ma se tutte le evidenze empiriche provenienti da studi indipendenti ci prospettano un certo scenario e l’Esame di Stato ne offre un altro, è molto più probabile che queste differenze di performance siano dovute non tanto agli studenti, quanto alla natura dell’esame e alle commissioni giudicatrici.
L’Esame di Stato è un esame oggettivo e uniforme sul territorio nazionale?
Dal punto di vista strettamente teorico e normativo [7], l’Esame di Stato dovrebbe essere una prova tendenzialmente oggettiva e uniforme su tutto il territorio. È composto, infatti, da tre prove scritte di cui due sono preparate direttamente dal Ministero, la maggioranza dei commissari d’esame, tra cui il presidente, sono scelti tra professori esterni alla scuola e il punteggio finale scaturisce dalla somma delle valutazioni delle singole prove, ottenute con l’uso di griglie di valutazioni oggettive, allegate ai verbali d’esame.
La realtà è molto diversa. Un quarto del punteggio finale (25 punti) viene attribuito in base ai risultati scolastici ottenuti nell'ultimo triennio e ogni commissione ha una diversa “sensibilità” nel correggere le prove: spesso le griglie di valutazione vengono compilate ex post e nell’attribuzione dei giudizi entrano in gioco fattori che nulla hanno a che vedere con la prova che si sta esaminando. In sostanza, una stessa prova, in mano a commissioni differenti, può vedersi attribuiti punteggi molto variabili tra loro.
Nessuno scandalo, sia chiaro. Chi, come me, fa questo mestiere sa benissimo che valutare uno studente non significa applicare burocraticamente una griglia per ricavare un punteggio. Però dobbiamo essere consapevoli che, a differenza dei Test Invalsi e Pisa, negli Esami di Stato l’attribuzione del punteggio massimo a una prova non significa che questa sia completa e tantomeno corretta.
Il giudizio potrebbe essere non assoluto ma relativo. Ad esempio, nell’ultimo esame di maturità la correzione della prova di matematica del Liceo Scientifico [8] era demandata a uno dei membri interni [9]. Vista la difficoltà della prova, che ha suscitato non poche polemiche, è molto probabile che sia stato premiato con un punteggio di 15/15 non solo chi è riuscito a completare correttamente tutte le consegne, ma anche chi ha svolto in modo corretto solo i quesiti che riguardavano parti del programma effettivamente svolte in classe.
Ma perché le commissioni d’esame delle regioni meridionali si sono comportate in modo così diverso da quelle del Nord?
Al Sud vengono dati volti alti in virtù delle condizioni di disagio sociale in cui vivono molte famiglie?
È una tesi che ha molti sostenitori. Ad esempio l’ex Ministro Beppe Fioroni nella già citata intervista a Lettera43.it ha dichiarato:
«non mi iscrivo al club che taccia i professori del Mezzogiorno di dare voti alti con leggerezza. Bisogna considerare anche la situazione di partenza, lo spaccato sociale. La scuola deve considerare nella valutazione complessiva anche l'apprendimento rispetto alle relazioni di partenza. Voglio dire che ci sono ragazzi che trovano nella famiglia rapporti che li arricchiscono anche nell'apprendimento. Altri, basta pensare ai ragazzi di Scampia o del rione Sanità, che la scuola accoglie e per i quali deve fare tutto».
È certamente una tesi affascinante, che suona più o meno così. Al Sud le condizioni sociali disagiate fanno sì che molti ragazzi siano a rischio dispersione scolastica. Per trattenere questi ragazzi a scuola ed evitare che imbocchino brutte strade, si preferisce abbassare l’asticella della sufficienza, rimodulando verso l’alto le valutazioni degli altri studenti, che quindi raggiungono facilmente valori di eccellenza.
Questa tesi è però smentita dai dati.
A complemento delle ottime considerazioni dell’articolo di Maria de Paola pubblicato su Lavoce.info [10] lo scorso anno, voglio aggiungere questa: se la tesi fosse vera, la discrepanza di votazioni tra Nord e Sud dovrebbe evidenziarsi maggiormente proprio in quelle scuole che accolgono alunni proveniente da situazioni disagiate, cioè negli istituti professionali. Invece l’analisi degli Open Data del Miur rivela una storia completamente diversa: la frattura Nord-Sud esiste ed è significativa nei licei, in particolare in quelli ad indirizzo classico, mentre è praticamente assente negli istituti tecnici e in quelli professionali.
Conclusione
Oggigiorno un voto di 100/100 alla maturità non è più garanzia di un facile accesso al mondo del lavoro, ma è d’aiuto se l’obiettivo è proseguire gli studi all’università. Sebbene il voto della maturità non contribuisca più al punteggio dei test di accesso alle università a numero chiuso, tuttavia ottenere un buon voto alla maturità continua a portare dei vantaggi.
Innanzitutto molte facoltà [12] offrono esenzioni, totali o parziali, agli studenti diplomati con il massimo dei voti. Inoltre, gli studenti che riescono a meritare la lode beneficiano di un bonus aggiuntivo [13] erogato dal Miur come premio al merito scolastico. Poiché, come emerge dagli studi di AlmaDiploma [14], la scuola italiana resta ancora estremamente classista, lungi dall’essere un premio e un sostegno per i ragazzi meritevoli provenienti da famiglie in difficoltà, la generosità dei voti nelle scuole meridionali è piuttosto un sussidio per i giovani delle famiglie benestanti, che frequentano il liceo classico e proseguiranno gli studi all’Università.
Note
[1] Miur, Esiti esami di Stato scuole secondarie di II grado 2015/2016 [link]
[2] “Zaia: Voti a scuola, ci sono due Italie. Così danneggiati studenti del Nordest”, Corriere del Veneto, 12/08/2016 [link]
[3] Faggionato Giovanna, “Scuola, Fioroni: Voti regalati al Sud? Tesi bislacca”, Lettera43, 11/08/2016 [link]
[4] Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione – Rilevazioni precedenti [link]
[5] OCSE-PISA 2012, Rapporto Nazionale 2012 [link]
[6] PIAAC-OCSE, Rapporto nazionale sulle competenze degli adulti 2014 [link]
[7] LEGGE 11 gennaio 2007, n. 1, Art. 6 [link]
[8] Esame di Stato 2016, seconda prova di matematica, Liceo Scientifico [link]
[9] Materie oggetto della II prova scritta e materia affidate ai commissari esterni 2015/2016 [link]
[10] Maria De Paola, “Se il voto di maturità non è uguale per tutti”, Lavoce.info [link]
[11] Dati Aperti della Scuola – Scuola in Chiaro [link]
[12] Università del Salento – Manifesto degli studi [link]
[13] Miur – Valorizzazione delle eccellenze [link]
[14] Almadiploma - Profilo dei diplomati – Indagine 2015 [link]
Nella città in cui sono cresciuto c'erano 4 licei, tra cui il Leomardo Ximenes, classico, ed il Vincenzo Fardella, scientifico.
Lo Ximenes, che ha una storia che affonda le proprie radici nei primi del '600, è sempre stato molto parco nei voti, mentre il Fardella era più liberale. Per non parlare della selettività. Non dico che un 60/100 alla maturità allo Ximenes costasse in termini di impegno come un 100/100 al Fardella, ma non saremmo distanti, e soprattutto una marea di 60/100 al Fardella non avrebbero mai raggiunto la maturità allo Ximenes.
Io sulla selettività personalmente preferivo l'approccio del Fardella, anzi, trovavo perfino il Fardella eccessivamente selettivo, ma questo post facto, perché mi iscrissi e mi diplomai allo Ximenes.
Lo Ximenes oggi non esiste più, se non per gentile concessione del Fardella, che oggi ha cambiato nome in Fardella Ximenes, dopo che negli ultimi anni per sopravvivere lo Ximenes aveva dovuto farsi traghettare dall'artistico Eustachio Catalano.
Quello che è successo è che la percezione di quanto si guadagnava con la selettività e l'obiettivita dei voti dello Ximenes è praticamente scomparsa. Una volta che la qualifica che si ottiene ha lo stesso valore, per quale motivo prendere 60/100 allo Ximenes quando si può ottenere 100/100 al Fardella con lo stesso impegno?
E quindi studenti e famiglie hanno smesso di scegliere lo Ximenes, per scegliere invece il Fardella. Io stesso suggerii alla più giovane delle mie sorelle di iscriversi addirittura al Catalano, perché non essendo per nulla selettivo, le avrebbe garantito la certezza matematica di ottenere un diploma in 4 anni, e se avesse studiato pochissimo, le avrebbe garantito un ottimo voto alla maturità, eventi che poi si verificarono puntualmente.
Il commento di Alessandro è molto interessante perché pone, anche se in maniera un po' obliqua, una domanda importante sulla funzione dei voti. Dal punto di vista economico la scuola dovrebbe servire a due cose. Da un lato, la formazione di capitale umano, anche in senso lato (non solo apprendere nozioni ma acquisire abitudine al ragionamento, all'interazione con altri etc.). Dall'altro, segnalare al resto del mondo la qualità delle persone per favorire una migliore allocazione dei talenti. Lo scenario descritto da Alessandro è interessante perché pare che nessuno dei due aspetti giochi un ruolo importante. In particolare, la formazione di capitale umano sembra essere assente (scegliere una certa scuola per ottenere una formazione migliore, indipendentemente dai voti che da, non entra nelle considerazioni di scelta) e la funzione di segnalazione sembra essere andata persa nel tempo; se tutti passano e tutte le scuole sono facile è chiaro che ben poco può essere segnalato sulla qualità dei discenti.
Restano quindi considerazioni non-economiche. Il titolo di studio serve in quanto è stato deciso dallo Stato che esso è necessario per accedere a certi posti di lavoro (non solo pubblici, la regolamentazione delle professioni spesso impone requisiti) o altro, come l'accesso all'università. Se questa è la principale funzione della scuola allora lo scenario descritto da Alessandro ha senso. Ha anche senso tutta la polemica su ''eh, ma al Sud è più facile''.
Notate infatti che dal punto di vista economico il voto è irrilevante per la formazione di capitale umano e se è conoscenza comune che al Sud i voti sono ''più facili'' allora semplicemente il segnale dato dal voto verrà reinterpretato a seconda della provenienza geografica. Ci sarebbe poco da far polemica.
Invece la polemica c'è, e questo un po' mi preoccupa. Significa che l'aspetto burocratico-amministrativo tende a essere più importante degli aspetti fondamentali.