Piccola recensione del libro "I sonnambuli. Come l'Europa arrivò alla grande guerra" di Christopher Clark

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Com’è noto sono un aspirante premio nobel per l’economia. Non altrettanto noto è che sono anche un aspirante storico. In tale mia veste mia moglie mi ha voluto sfidare e mi ha regalato il libro di Cristopher Clark “I sonnambuli. Come l'Europa arrivò alla grande guerra”. Vista la ricorrenza del centenario, ho accettato di buon grado la sfida ed ho letto l’intero tomo di circa 700 pagine.

Titolo: I sonnambuli. Come l'Europa arrivò alla grande guerra

Autore: Christopher Clark
2a edizione Laterza, 2013

Il libro inizia come un giallo con il bestiale omicidio del Re della Serbia, Alessandro I Obrenovic e della moglie l’11 giugno 1903 da parte di un gruppo di ufficiali di cui faceva parte Dragutin Dimitijevic, alias Colonnello Apis. Il colonnello Apis fu uno dei fondatori della “Crna ruka - mano nera”, organizzazione irredentista serba che, nel 1914, pianificò l’attentato a Francesco Ferdinando d’Austria. Prosegue in diversi capitoli che descrivono in maniera minuziosa le evoluzioni dei conflitti, diplomatici e non, delle alleanze ed in generale la politica estera dei vari stati europei tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Nel contempo, dà anche una descrizione delle diverse personalità che dominavano all’epoca, dei loro caratteri, da quello mite a quello irruento, delle loro storie personali che, inevitabilmente, ne influenzavano il modo di pensare, delle loro paranoie. L’ultimo capitolo è dedicato ai fatti di Sarajevo, ed ovviamente, diventa di nuovo avvincente nella, terrificante, escalation che porterà alla deflagrazione del conflitto.

Interessante è l’analisi delle ragioni che hanno condotto alla guerra.

In quella che è stata la prevalente storiografia dell’ultimo secolo, la Germania, assieme all’Austria, vengono viste come gli stati che, colpevolmente, scatenarono il conflitto. In particolare, si è detto e scritto che, i tedeschi, afflitti da una sindrome di accerchiamento e timorosi che lo sviluppo della Russia ne facesse uno stato troppo potente ed imbattibile in un futuro prossimo, diedero agli austriaci “carta bianca (Freibrief)” per “punire” i serbi dopo l’attentato. Se proprio guerra doveva essere, era meglio che la si facesse subito con la Russia non ancora “pronta”. Gli austriaci, forti di questo appoggio, formularono un ultimatum che lo stato serbo non poteva accettare e che non accettò perché forte della copertura della Russia, a sua volta, appoggiata dalla Francia. Con l’attacco alla Serbia, la Russia mobilitò le sue truppe, il che allarmò i tedeschi. Questi ultimi, nel timore di essere attaccati, dichiararono guerra alla Russia e, nel contempo, alla Francia, che, in esecuzione dell’unico piano di battaglia che avevano (il c.d. piano Schlieffen) volevano conquistare in pochissimo tempo passando attraverso l’invasione del neutrale Belgio per poi dedicarsi alla guerra nell’est.

In realtà, la vicenda, nell’analisi di Clark si rivela alquanto più complessa, e così ho capito una cosa: che non ho capito niente… ma se adesso volete mettere in dubbio le mie competenze di storico, vi sbagliate. Stando a quello che scrive Clark, nemmeno gli statisti dell’epoca capirono perché entrarono in guerra, tant’è vero che ognuno di loro (tedeschi compresi) si sentiva attaccato e riteneva di combattere una guerra puramente difensiva!

E così emerge un quadro, a dir poco, sconcertante, di statisti prigionieri delle loro paranoie (dei tedeschi che si sentivano accerchiati si è già detto, ma, ad esempio, c’era anche l’allora presidente della Francia Poincarè nato in Lorena, regione conquistata dai tedeschi in occasione della precedente guerra combattuta e persa dalla Francia e che, trovandosi in un viaggio diplomatico in Russia al culmine della crisi, fu decisivo nell’indurre i russi a non cedere di fronte all’ultimatum austriaco), statisti che si divertono a bluffare ed a giocare continuamente al rialzo nella speranza che l’avversario non reagisse…

Sappiamo com’è andata. Il bello, se così si può dire, è che noi italiani ne eravamo rimasti fuori e ci siamo entrati poco meno di un anno dopo, quando già sapevamo quali terribili massacri erano le battaglie dell’epoca.

Nel complesso, un libro godibile da leggere ed interessante nei contenuti. L’aspetto innovativo è costituito dal fatto che l’autore non intende dare patenti di colpevolezza o meno sulle ragioni scatenanti del conflitto. Egli ritiene che ognuno degli stati avesse qualche valida ragione, e, nel contempo, che tutti avessero torto nel non essere riusciti a trovare una soluzione pacifica alla crisi determinata dall’attentato di Sarajevo.

Almeno il libro giunge ad una conclusione ottimistica, laddove ritiene che le istituzioni diplomatiche oggi esistenti avrebbero evitato il disastro.

 

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