Tutti i sistemi penali che conosco prevedono l’istituto della prescrizione. Le ragioni della prescrizione del reato o della pena stanno nella circostanza che il decorso del tempo determina un sempre minore interesse dello Stato (e, in generale, della società) alla punizione del colpevole per molteplici ragioni quali: la cessazione dell’allarme sociale, la maggiore difficoltà di accertamento del fatto a distanza di anni, il fatto che, sempre a distanza di anni, l’autore del fatto, può aver cambiato vita, essere diventato un cittadino modello e, quindi, non vi sono ragioni di rieducarlo, anzi una condanna potrebbe farlo tornare a stili di vita ed ambienti dai quali si è affrancato.
1. L’istituto della prescrizione in Italia
In Italia distinguiamo tra la prescrizione del reato (art. 157 CP) e la prescrizione della pena (art. 172 CP). La prima estingue il reato ed interviene prima di una sentenza di condanna definitiva, la seconda interviene nel momento in cui, dopo il passaggio in giudicato di una condanna, la pena non viene eseguita dopo un periodo prestabilito.
La prescrizione del reato comincia a decorrere dal momento della sua consumazione ovvero di cessazione dello stesso (in caso di reato c.d. permanente, ovvero di un reato che si protrae nel tempo come, ad esempio, i maltrattamenti in famiglia, la partecipazione ad un’associazione a delinquere). La particolarità della prescrizione all’italiana sta nella circostanza per cui essa continua a decorrere anche a processo avviato, ovvero nonostante lo Stato abbia, con l’esercizio dell’azione penale, manifestato la volontà di perseguire il reato. Nella maggior parte degli altri sistemi giuridici, a partire da tale momento, viceversa, la prescrizione non decorre più fino a quando il processo è in corso. E così in Italia avviene con una certa frequenza che anche reati che creano allarme sociale si estinguono prima di una sentenza definitiva.
Prima di addentrarmi nell’analisi del sistema è opportuno fare delle brevi premesse tecniche. Nel sistema penale italiano esistono due tipologie generali di reati: i delitti e le contravvenzioni, che sono considerate reati meno gravi. Nella categoria delle contravvenzioni rientrano i reati edilizi e la maggior parte di quelli paesaggistici ed ambientali.
La prescrizione del reato può essere “interrotta” o “sospesa”. Nel primo caso, a seguito di un evento prestabilito dal legislatore, il più importante e frequente dei quali è l’esercizio dell’azione penale, il termine di prescrizione si prolunga per un periodo predeterminato. Ad esempio, attualmente, i delitti si prescrivono in un tempo minimo di sei anni. Se il PM esercita l’azione penale entro questo periodo di tempo, la prescrizione si prolunga nella misura di un quarto e quindi il termine si sposta di un anno e mezzo, per un tempo massimo di 7 anni e sei mesi. La sospensione della prescrizione ne determina il congelamento fino al momento in cui vengono a cessare le ragioni che la hanno determinata (ad esempio, l’impedimento dell’imputato o una richiesta di rinvio da parte del suo difensore).
Come universalmente noto, il legislatore, nel 2005, con una leggina denominata Cirielli, ha modificato il sistema della prescrizione fino ad allora vigente accorciando di molto il termine per determinati reati, quali ad esempio la corruzione, tanto per prendere un esempio a caso… Nel regime attuale, la prescrizione minima è 6 anni + un quarto (7 anni e sei mesi) per i delitti e 4 anni + un quarto (5 anni) per le contravvenzioni Per tutti i delitti puniti con pena massima superiore a 6 anni il termine di prescrizione è pari alla pena massima edittale più un quarto (ad esempio dieci anni - 8+2- per un massimo di pena di 8 anni). Vi sono poi tutta una serie di varabili ulteriori che ometto per non complicare.
Questo, in estrema sintesi, è il sistema. Gli avvocati lo difendono, mentre i magistrati lo contestano.
2. La prescrizione e la durata dei processi in Italia
Orbene l’istituto della prescrizione così come descritto non può essere valutato senza tenere conto di una serie di altri fattori che si intrecciano con esso, in quanto incidono sul funzionamento della giustizia nel suo complesso. Tali elementi sono:
1) il numero di magistrati, l’incapacità di molti dirigenti di organizzare il servizio;
2) le fattispecie di reato e l’obbligatorietà dell’azione penale;
3) il procedimento penale.
Ognuno di questi fattori incide sull’altro.
2.1. I magistrati e la prescrizione
Cominciamo dal primo, così sgomberiamo subito il campo dalla potenziale accusa di voler rappresentare e/o difendere interessi corporativi. In Italia ci sono poco meno di 9000 magistrati. Negli altri paesi ve ne sono molti di più in rapporto alla popolazione. È evidente che più magistrati vi sono, più essi possono soddisfare la domanda di giustizia. È altrettanto evidente che essi debbono essere pagati con le risorse che in rapporto al PIL lo Stato destina al servizio giustizia. L’Italia destina alla giustizia una percentuale sul PIL più o meno simile a quella degli altri paesi europei. La particolarità tutta italiana sta nel fatto che lo stipendio dei magistrati, salvo procedimenti disciplinari o valutazioni negative del tutto improbabili, cresce a prescindere dal ruolo e dalla responsabilità ricoperta, arrivando, dopo 28 anni di carriera, ad un massimo stipendiale pari a quello di un presidente di sezione di corte di cassazione. Negli altri paesi i magistrati guadagnano di meno poiché la loro carriera, cui sono connessi gli avanzamenti economici, non è automatica. Quindi nel Belpaese la quota risorse destinata agli stipendi dei magistrati viene ripartita tra meno persone ed, a parità di risorse disponibili, non è possibile assumere altri magistrati. Direi che non c’è molto da aggiungere. Non troverete questo ragionamento nei documenti ufficiali dell’ANM.
Altrettanto vero è il fatto che vi sono gravi carenze organizzative, all’interno del sistema giustizia e che parte di esse potrebbero essere affrontate da dirigenti che avessero voglia di farlo. Senonchè spesso i dirigenti, anche per un difetto culturale, si accontentano di lasciare che il sistema vada avanti così com’è.
A ciò si aggiunge un’irrazionale distribuzione dei magistrati sul territorio ed all’interno degli uffici.
Infine, alcuni magistrati hanno una concezione “particolare” del proprio ruolo. Basti pensare che, nella vicenda Eternit, la Cassazione pare avere statuito che il reato era già prescritto al momento dell’esercizio dell’azione penale, mentre il PM l’avrebbe esercitata sulla base di un’interpretazione minoritaria e forzata del dato normativo. In altre parole, il reato non si è prescritto nel corso del processo, ma lo era prima ancora che esso iniziasse. Anche qui c’è ben poco da aggiungere…
E' ovvio che se i magistrati fossero il triplo, più organizzati e più prudenti, ci sarebbero meno prescrizioni ma il sistema della prescrizione continuerebbe a rimanere ingiusto ed irrazionale.
2.2. L’obbligatorietà dell’azione penale ed il numero di reati e la prescrizione
Il secondo fattore è quello del numero di fattispecie di reato e dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. In Italia il Legislatore tende, sempre di più, ad affidare alla giustizia penale la persecuzione di fatti illeciti. Sennonchè, come è ovvio, a forza di caricare una bestia da soma, essa prima o poi crolla. A ciò si aggiunge l’altro piccolo particolare dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, esistente in Italia così come nella maggior parte degli ordinamenti continentali. Se io PM ritengo che un reato sia dimostrabile in dibattimento, devo avviare il processo, non ho margini discrezionali per archiviare.
A questo punto ci possiamo addentrare un po’ di più nell’assurdità del sistema. Come dicevo la prescrizione del reato parte dal momento in cui cessa la sua consumazione. Ciò significa che fino al momento in cui il Pubblico Ministero e, quindi, lo Stato ne vengono a conoscenza possono essere passati svariati anni. Il tipico esempio sono i reati edilizi e paesaggistici, ma anche le corruzioni ed i reati fiscali. Noterete come si tratta di reati tipici dei colletti bianchi. Viceversa, il furto con destrezza di una mela al supermercato viene accertato e segnalato subito al PM che, immediatamente, esercita l’azione penale. Tutto il periodo intercorso tra la commissione del fatto e la sua scoperta risulta invariabilmente perso. Più tempo è passato tra il fatto e la segnalazione, più i margini della giustizia si restringono. Inoltre, potete immaginare che reati quali, ad esempio, una corruzione, non sono dimostrabili solamente perché sono stati denunciati. A seconda della loro gravità e tipologia richiedono complesse indagini bancarie e/o rogatorie estere per ricostruire il flusso di denaro, il tutto con l’orologio della prescrizione che continua inesorabilmente il suo corso. Quindi, più lontano è il fatto meno tempo rimane alla giustizia nel suo complesso per accertarlo e punirlo.
Ciò detto, una banale logica anche economica suggerirebbe di non fare processi se se è improbabile concluderli. Si consideri che il processo è un investimento di risorse che deve dare un risultato, risultato che non può che essere la condanna dell’imputato; in caso di assoluzione l’investimento è, in molti casi, sbagliato. In sostanza, il PM prima di avviare l’azione penale deve fare una previsione di condanna. A maggior ragione ciò vale per la prescrizione, laddove è per il Pubblico Ministero perfettamente prevedibile il momento in cui il reato si estinguerà per prescrizione in corso di processo. Un processo, specie in Italia costa molto, implica il consumo di risorse e, quindi, va gestito con oculatezza.
Se, per esempio, mi arriva sul tavolo una contravvenzione commessa, magari 3 anni e 8 mesi fa ovverosia a ridosso del termine quadriennale di prescrizione, io dovrei poterla archiviare. Anche tenendo conto del prolugamento dei termine di prescrizione con la citazione a giudizio, è altamente improbabile che si giunga alla condanna, ovverosia è altamente probabile per non dire praticamente sicuro che il reato si prescriva in corso di giudizio. Tale elementare principio economico entra in conflitto con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Quindi l’azione penale va esercitata. La teoria vuole che il PM o il Giudice che abbiano fatto prescrivere un reato sul loro tavolo, debbano giustificarsi e rischiano un procedimento disciplinare. Apparentemente si tratta di un incentivo a velocizzare i tempi. Di fatto, si tratta solamente di un gigantesco ed ipocrita gioco del cerino con la consapevolezza di tutti i partecipi alla recita (PM, difensori, Giudice) che il reato si estinguerà al più tardi in Corte d’appello come una candela si spegne esaurita la cera. Nel frattempo, si sarà celebrato il giudizio di primo grado con notifiche varie, l’audizione di testimoni, la verbalizzazione stenotipia e quant’altro. Uno spreco enorme e completamente inutile di risorse.
2.3. Le regole del processo penale e la prescrizione
E qui si inserisce il terzo fattore: quello processuale. In Italia, nel 1988, abbiamo adottato una procedura penale mutuata da quella anglosassone con un’accusatorietà spinta all’eccesso. Il principio base è quello per cui tutte le prove vengono acquisite nel processo con la partecipazione delle parti, il controesame dei testimoni, di fronte ad un giudice che, per essere scevro da pregiudizi, non conosce gli atti del Pubblico Ministero. Trattandosi di un procedimento complesso ed essendo la maggior parte dei reati fatti banali (il furto della mela, la resistenza a pubblico ufficiale, la guida in stato di ebbrezza) si è previsto che almeno l’80% per cento dei reati dovrebbero concludersi con patteggiamenti o riti abbreviati (ovverosia con un processi in cui il giudice utilizza gli atti del PM per la sua decisione, senza audizione di testimoni). Affinchè l’imputato rinunci al dibattimento ed aderisca a queste forme semplificate di rito, sono previsti degli incentivi consistenti, essenzialmente, in una riduzione della pena. Di riflesso, non vi devono essere incentivi ad andare a dibattimento, in altre parole il gioco non dovrebbe valere la candela. Ma nella pratica di tutti i giorni l’incentivo della riduzione della pena si rivela inefficace per il semplice fatto che la pena non è effettiva. La maggior parte dei fatti vengono puniti con pene inferiori ai due anni e, quindi, all’interno dei margini per la sospensione condizionale della pena e/o per l’affidamento in prova ai servizi sociali. Cosa cambia se, anziché a sei mesi, vengo condannato a nove mesi di reclusione, se poi non li devo scontare? Nel contempo, la prescrizione all’italiana è un formidabile incentivo a scegliere il rito complesso, cioè quello del dibattimento. Da un lato non rischio nulla dall’altro ho buone chance di portare a casa il risultato massimo ovvero la prescrizione del reato e, quindi, di fatto, l’assoluzione senza iscrizione nel casellario giudiziario. Più reati si prescrivono e più sono incentivato a scegliere il rito del dibattimento. Più imputati scelgono i dibattimenti, più reati si prescrivono in un circolo vizioso che non fa altro che autoalimentarsi. Quindi, la prescrizione del reato così come concepita in Italia, contribuisce al malfunzionamento del rito introdotto nel 1988, il quale a sua volta contribuisce ad alimentare le prescrizioni. A ciò si aggiunge un'altra contraddizione. Da un lato, in primo grado, abbiamo il sistema accusatorio, dall’altra abbiamo tenuto fermo un sistema di impugnazioni tipico di un ordinamento prevalentemente inquisitorio. E così, per ogni procedimento penale, comprese le contravvenzioni che, lo ricordo, si prescrivono in 5 anni esatti dal fatto, è prevista la possibilità di un appello nel merito con un successivo terzo grado di legittimità presso la Cassazione.
3. Le soluzioni
Chi ha avuto la pazienza di arrivare fino a qui avrà capito un’altra banale verità. L’istituto della prescrizione vigente in Italia è un sistema terribilmente classista, perché, nella stragrande maggioranza dei casi, incide su reati commessi da colletti bianchi, i quali, nel contempo, sono coloro che hanno i mezzi finanziari per percorrere il tragitto che porta alla prescrizione del reato. A questo punto si capisce anche che, oltre agli interessi della magistratura, nel meccanismi di malfunzionamento ci sono anche consistenti interessi corporativi di altre categorie professionali. Il ladro della mela non paga laute parcelle…
Che fare dunque? Giustamente l’ANM nel suo parere tecnico predisposto per gli organismi parlamentari evidenzia come
Ogni intervento legislativo che si proponga di affrontare e risolvere le patologie rese evidenti dell’esperienza giurisprudenziale deve muovere da una riflessione di carattere sistematico sulla prescrizione, la quale è istituto di diritto penale sostanziale, che trova la sua ragion d’essere nell’esaurimento dell’interesse repressivo dello Stato per un determinato fatto/reato. È invece estranea alla natura dell’istituto l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo, che dovrebbe essere affidata ad altri strumenti, di natura processuale e organizzativa.
In sostanza il problema andrebbe affrontato in maniera radicale con un ripensamento complessivo dell’intero sistema giustizia e quindi, per citarne solo alcuni:
a) Abolendo la carriera per anzianità dei magistrati in modo tale da liberare risorse ed assumerne un numero maggiore e congruo rispetto alla domanda di giustizia;
b) Intervenendo sul diritto sostanziale con depenalizzazioni, introduzione di istituti che consentano di estinguere il reato quali quello, introdotto da poco, della messa alla prova, ovvero un’estensione e rimodulazione dell’istituto dell’oblazione (l'oblazione consente di estinguere il reato prima del processo mediante il pagamento della metà o di un terzo dell'ammenda come sanzione. L'istituto presenta il vantaggio di eliminare il rischio processuale ed il costo del processo, ottenendo l'archiviazione del procedimento o il proscioglimento qualora sia già stata esercitata l'azione penale). Nel contempo, e, di riflesso, l’introduzioni di istituti che rendano effettivamente afflittiva la pena in caso di condanna ad esito del processo;
c) Una revisione radicale del processo penale a partire dal sistema delle notifiche, per arrivare alle modalità di impugnazione.
Una rimodulazione globale del sistema consentirebbe di abbreviare notevolmente i tempi della giustizia e di adottare l’unico sistema corretto, ovvero la sospensione per tutta la durata del processo della prescrizione a partire dal momento in cui il PM abbia esercitato l’azione penale. Tuttavia, non vi è chi non veda come simili interventi andrebbero a toccare consistenti interessi di tutte le parti in causa e quindi appare essere politicamente irrealistico.
Attualmente ci sono diverse proposte di legge all’esame della Camera, ad opera di deputati del M5S, di Scelta Civica, e del PD. Per un’analisi approfondita di ognuno di essi vi rimando al citato parere dell’ANM. Alcune di esse sono alquanto bizzarre, quali, ad esempio, quella che prevede uno sconto di pena o di un risarcimento in favore dell’assolto se il processo dura troppo a lungo.
La soluzione di per sé più logica è quella che prevede una sospensione della prescrizione con l’esercizio dell’azione penale, soluzione corrispondente alla proposta dell’M5S. Senonchè, e qui gli avvocati non hanno tutti i torti, un simile sistema rischia di lasciare l’imputato in balia per anni ed anni degli umori del Giudice ed, in generale, del sistema giudiziario, il tutto in barba al principio della ragionevole durata del processo. Ora anche su questo è bene innanzitutto liberarsi dalle ipocrisie. Spesso sono gli stessi imputati a voler dilazionare il più possibile nel tempo la conclusione del processo. Basti considerare che migliaia di patteggiamenti e, quindi, di accordi intervenuti tra PM ed imputato, vengono impugnati in Cassazione al solo scopo di rinviare nel tempo l’esecuzione della pena o comunque il passaggio in giudicato della sentenza. Altrettanto ipocrita è ritenere che a tale rischio si possa ovviare con soluzioni “organizzative” senza dire esattamente in cosa esse debbano consistere e senza prevedere meccanismi sanzionatori per i dirigenti degli uffici giudiziari e/o i singoli giudici inerti.
Una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di prevedere che, con l’esercizio dell’azione penale i tempi di prescrizione decorrano ex novo. Ciò consentirebbe di sterilizzare le variabili connesse al momento in cui il reato viene scoperto, rendendo il dato di partenza uguale per tutti gli imputati. È chiaro che tale soluzione terrebbe comunque fermo l’incentivo a cercare di ottenere il risultato anche se tale perseguimento sarebbe più difficoltoso. In questa direzione va sostanzialmente la proposta del PD.
La soluzione minima è quella di prevedere che il PM possa archiviare ed il Giudice sospendere e, quindi, abbandonare a sé stessi, tutti quei procedimenti che, in una ragionevole prospettiva, siano destinati a sicura o probabile prescrizione, consentendo di liberare risorse per quei processi che abbiano la ragionevole probabilità di giungere al loro epigono naturale. In definitiva, andrebbero archiviati tutti i procedimento che, ragionevolmente non arriveranno alla meta, a prescindere dal fatto che il reato non sia ancora prescritto. Quindi, per fare un esempio, si prendono i tempi medi di definizione dei procedimenti nel distretto di Corte d’appello, compreso il secondo grado, a partire dal momento dell’esercizio dell’azione penale (ad esempio, a Bolzano attualmente tale lasso di tempo viaggia intorno ai 3-4 anni), si valuti quanto manca alla prescrizione e si chiudano tutti i procedimenti in cui il termine di prescrizione sia inferiore al periodo predetto. Va detto chiaramente come questa soluzione comporta un ulteriore aumento dell’impunità per determinate fattispecie di reato ed in particolare, di quelle dei colletti bianchi, ma almeno consentirebbe di evitare le ipocrisie che connotano il sistema attuale.
Credo che ne abbiamo già discusso ma o non ricordo la risposta, o la risposta non è stata abbastanza esauriente. La mia domanda è questa: in presenza di un vincolo di tempo (che ovviamente esiste, altrimenti non ci sarebbero gli arretrati che ci sono), quanto vincolante è l'obbligatorieta?
A meno di non adottare delle regole di smaltimento del carico completamente rigide (FIFO, LIFO, etc...), il PM prende in mano una pratica e decide quanto tempo dedicargli. Può dedicargli 10 secondi rimettendola in fondo alla pila, 5 minuti, o portarla a compimento. Quanto discrezionale è la scelta di quanto tempo dedicarci? Questa discrezionalità non equivale ad una sostanziale assenza dell'obbligatorietà dell'azione penale? Alle cause che l'ufficio decide di non perseguire si dedicano 2 minuti, alle altre il tempo rimanente.... Questo potrebbe garantire tempi più ragionevoli (evitando prescrizioni) per una serie di reati ritenuta di maggiore importanza.
dipende molto dalla situazione nella quale versa la singola Procura della Repubblica ed anche il corrispondente Tribunale (rapporto magistrati/numero di reati), non si può dare una risposta standard. Dunque:
a) situazione ottimale, nella quale si trovano sicuramente molti uffici compreso il mio: tutti i reati vengono perseguiti, il tempo discrezionalmente scelto è quello di completare più o meno le indagini. Ci hanno insegnato che più sono complete le indagini, più è probabile che l'imputato scelga un rito alternativo. Ovviamente per completare le indagini è necessario del tempo. Il tutto dipende dalla tipologia di reato.
b) Uffici sottodimensionati rispetto al carico di lavoro: qui si crea un arretrato. Nella pratica vi sono uffici i cui dirigenti adottano delle misure organizzative stabilendo priorità per determinate fattispecie di reato che l'ufficio ritiene di maggiore allarme sociale. Negli uffici più disorganizzati, la scelta è rimessa completamente al singolo PM che può stabilire quali reati perseguire in base alla propria scala di valori. Entrambe queste soluzioni cozzano con il principio di obbligatorietà, laddove un organo che non è politico sceglie, secondo propri parametri non giuridici quali reati perseguire e quali mandare in archivio in attesa di prescrizione.