La superficie degli Stati Uniti è pari a 9 milioni di chilometri quadrati, circa 33 persone per chilometro quadrato. Nel Regno Unito ci sono circa 250 persone per chilometro quadrato. Se lasciassimo arrivare negli Stati Uniti un paio di miliardi di persone, raggiungeremmo una densità di popolazione inferiore a quella del Regno Unito. Perché proprio il Regno Unito? Beh, mi sembra un bel un paese, tutt’altro che sovrappopolato. Anche in Olanda si vive bene, con 483 persone per chilometro quadrato. Quindi forse dovremmo far entrare negli Stati Uniti quattro miliardi di immigrati, non due. Si, forse negli Stati Uniti c'è piu' deserto, cosi' come piu' tundra inabitabile, per cui potremmo farne entrare, diciamo, solo un miliardo. Comunque si voglia metterla, gli Stati Uniti sembrano decisamente sottopopolati in rapporto a molti altri paesi avanzati che offrono un piacevole standard di vita.
Come capite da questi miei calcoli semiseri, il titolo di questo articolo pone la domanda sbagliata. Qual è il numero ottimale di pomodori importati? I pianificatori centrali dell’Unione Sovietica cercavano di risolvere le cose in questo modo. I legislatori e il governo americani non dovrebbero farlo. Dovremmo decidere i termini ottimali dell’importazione di pomodori e poi lasciare che sia il mercato a decidere il numero. Allo stesso modo, dovremmo decidere quali sono i termini ottimali dell’immigrazione (in che modo facciamo immigrare le persone? Che tipo di persone?), in modo che la vasta maggioranza di questi immigrati arrechi un beneficio netto agli Stati Uniti. Poi, lasciamo che tutti quelli che vogliono venire vengano. Se abbiamo scelto i termini giusti, il numero si regolerà da solo.
Questi sono principi elementari di economia: fissa il prezzo, fissa le regole del gioco; ma non stabilire la quantità, e non decidere il risultato finale. Quando una società fissa le quantità, o stabilisce delle quote (come fanno gli Stati Uniti con l’immigrazione) il risultato è, di solito, un disastroso spreco. Con una quota predeterminata di immigrati, un imprenditore che potrebbe venire negli Stati Uniti per avviare un’attività da un miliardo di dollari si troverebbe davanti le stesse restrizioni di chiunque altro. Il potenziale Albert Einstein o Sergey Brin non avrebbe alcun modo di segnalare di quale entità potrebbe essere il suo contributo alla nostra società.
Perché temere gli immigrati? Si potrebbe temere che abusino dei servizi pubblici. Da un punto di vista morale, il perché le tasse di un americano dovrebbero aiutare uno sfortunato nato nel Maine e non un (altrettanto) sfortunato nato a Guadalajara è una domanda interessante, ma lasciamola da parte. Non è affatto complicato definire delle condizioni che proteggano i conti pubblici: gli immigrati potrebbero pagare un deposito alla frontiera, diciamo 5.000 dollari. Se dovessero finire i soldi e richiedere assistenza pubblica, oppure essere condannati per un crimine, non avere assicurazione sanitaria, ecc., il deposito viene utilizzato per pagare il biglietto di rimpatrio. In alternativa, il governo potrebbe stabilire una verifica per patrimonio e reddito: gli immigrati devono mostrare di possedere almeno 10.000 dollari di patrimonio, assieme a un lavoro (entro sei mesi) oppure un reddito da impresa o da patrimonio.
In ogni caso, quello del welfare e altri servizi sociali è un argomento irrilevante. Gli immigrati potrebbero andare in Francia, se quello che cercano è il welfare state. La stragrande maggioranza degli immigrati arriva negli Stati Uniti per lavorare, e paga le tasse. L’abuso dei servizi pubblici è, semplicemente, un falso problema. Ma se è di questo che siete preoccupati, non è difficile strutturare un accordo (come negli esempi sopra) che risolva il problema.
Potreste allora aver paura che gli immigrati rubino il lavoro e facciano diminuire i salari americani. E' una storia che si sente spesso raccontare, ma in realtà non costituisce un problema serio e, infatti, la protezione che ci illude di fornire in questo modo ai nativi non funziona mai nel lungo periodo. Se non arriva manodopera, il capitale – fabbriche e aziende agricole – se ne va, e i salari diminuiscono comunque. Gli immigrati arrivano per lavorare nelle industrie piu’ aperte, che offrono molti posti di lavoro, non in quelle in cui ci sono pochi posti di lavoro e molti lavoratori che competono per essi. Quindi, le restrizioni all’immigrazione fanno poco, nel lungo periodo e per un’economia aperta come gli Stati Uniti, per “proteggere” i salari. Se restrizioni all’immigrazione che fanno aumentare i salari funzionano, i salari più alti si traducono in prezzi maggiori per i consumatori americani. Il Paese nel suo insieme – specialmente i consumatori a basso salario che tendono a fare la spesa da Wal-Mart e beneficiano maggiormente dei prodotti a basso prezzo – non se la passerebbe meglio.
Infine, se anche dovesse funzionare, restringere la concorrenza sul mercato del lavoro beneficia alcuni lavoratori americani alle spese di altri lavoratori, per esempio quelli messicani. Il ruolo degli Stati Uniti nel mondo è davvero quello di privare i poveri messicani di opportunità per sussidiare lo standard di vita dei nostri lavoratori? Siamo uno strano paese, che proibisce rigorosamente la discriminazione dei lavoratori “per luogo di nascita, discendenza etnica, cultura, caratteristiche linguistiche comuni ad uno specifico gruppo etnico, o accento…” e poi richiede questa discriminazione sulla base di, beh, il luogo di nascita.
Ma se questo vi preoccupa comunque, non c’e’ problema: il governo potrebbe fornire delle licenze per determinati impieghi protetti in maniera tale che solo i cittadini statunitensi possano occuparli. Troppo intrusivo? Beh, è esattamente quello che stiamo cercando di fare tenendo fuori le persone dal paese, e una buona politica non si fa dando una bella apparenza a una politica pessima.
Più seriamente, ci si potrebbe preoccupare del fatto che la nostra società assorbe rapidamente le persone istruite: ingegneri, programmatori, venture capitalists, manager e professori, ma non fa altrettanto con le persone con un livello d’istruzione inferiore. Se l’obiezione della minor-competenza minor-assimilazione ha un senso, allora lasciamo entrare chiunque abbia competenze e credenziali specifiche. Dobbiamo parlare di condizioni, non di numeri.
Forse siete preoccupati per i valori sociali. Si potrebbe facilmente richiedere che gli immigrati negli Stati Uniti parlino inglese e che abbiano una vaga conoscenza delle istituzioni, storia, e leggi americane, sebbene queste condizioni non siano richieste per i nostri cittadini. Bene. Dobbiamo parlare di condizioni, non di numeri.
Forse vi preoccupate per come riusciremo a costruire case e trovare lavoro per tutte queste persone? Non saremo noi a farlo, ma loro. I mercati, e non il governo, forniscono già case e lavoro per i cittadini. E, in ogni caso, non dovremmo preoccuparci per la nostra economia in stagnazione? Tutti vogliono la costruzione di case negli Stati Uniti, eppure c’e’ solo un certo numero di persone che vuole solo un certo numero di case. Immaginate il boom di costruzioni che deriverebbe dall’ingresso di milioni di immigrati aggiuntivi ogni anno. I nostri avi non avevano bisogno che il Governo Federale degli Indiani d’America fornisse loro posti di lavoro o costruisse case. Neppure i nuovi immigrati ne hanno bisogno.
La questione piu’ urgente che gli Stati Uniti devono affrontare è l’assurdo numero di persone di talento che sono costrette ad andarsene dopo il loro soggiorno, spesso dopo aver ottenuto una laurea in ingegneria da un’università americana, e il nostro maltrattamento degli immigrati clandestini che sono qui. Chiunque si laurei in questo paese dovrebbe poter rimanere. Invece noi li cacciamo. Altri 11 milioni di persone sono qui, lavorano duro, pagano le tasse, hanno proprietà, ma si aggirano in uno status di semilegalità. È un imbarazzo nazionale. Critichiamo altri paesi perche’ praticano forme di “apartheid” quando negano lo status di legalità alle persone che hanno vissuto li’ per decenni, o perfino per generazioni. Eppure, un abitante su venti negli Stati Uniti subisce lo stesso destino.
Se sei stato qui per X anni, hai un lavoro e sei stato alla larga dai guai, allora dovrebbe esserti permesso di rimanere. Se lasciamo arrivare tutti quelli che vogliono migrare secondo questi termini, allora non dobbiamo preoccuparci che “non è giusto che gli immigrati illegali saltino la fila". Scegliamo i termini giusti e non ci saranno ne’ file ne’ ingiustizie.
Dobbiamo parlare di condizioni, non di numeri. Per ogni obiezione alla libera immigrazione, è piuttosto facile trovare i termini dell’accordo per risolvere il problema. I termini giusti faranno si che il numero ottimale di immigrati si aggiusti da solo, cosicche’ nessun uomo dell’apparato a Washington debba inventarsi un numero. Una volta scelti i termini giusti, ogni persona che puo’ apportare un beneficio alla nostra società verrà, e gli Stati Uniti saranno, di nuovo, veramente una grande nazione di grandi immigrati.
Post Scriptum. Se dovessi riscrivere di nuovo questo articolo aggiungerei i medici e le infermiere. Mentre lavoravo alla revisione di “After the ACA”, un saggio su questioni sanitarie, mi sono reso conto di come l’immigrazione e l’economia sanitaria siano connesse. Teniamo dottori e infermieri fuori, per poi lamentarci di quanto costosa sia diventata l’assistenza sanitaria. Le restrizioni dell’immigrazione sono pensate per tenere alti i salari americani, ed eccole qui: funzionanti come promesso. Ma mantenere alti i salari dei medici significa mantenere alti i costi della vostra salute. Questo principio si applica ovunque.
Ho inoltre cercato un’analogia più forte per la situazione degli 11 milioni di “stranieri illegali” (destra) o “lavoratori senza documenti” (sinistra); mi piacerebbe trovare una parola neutrale e priva di connotati politici. Parliamo di 11 milioni di persone che vivono tra di noi, spesso per interi decenni delle loro vite, che lavorano qui, che posseggono casa e automobile, che avviano imprese, pagano tasse, partecipano alla nostra stessa società… eppure con pochi diritti. Non possono citare in giudizio qualcuno che li truffi, non possono votare su come la società in cui vivono debba funzionare, non possono prendere la patente, vivono in una costante paura.
Guardando alcuni degli anniversari dei diritti civili, forse un esempio notevole è la situazione degli afroamericani nel Sud degli Stati Uniti negli anni ’50. Avevano, allo stesso modo, pochi diritti civili, in particolare non avevano il diritto di voto. Ne siamo indignati. Come mai non ci indigniamo per l’identica situazione di questi 11 milioni di immigrati? Ok, sono “illegali”. Ma anche le norme “Jim Crow” avevano la piena forza della legge. Il “devono rispettare la legge” si applica alle leggi sulla segregazione razziale? Anche il Fugitive Slave Act del 1850, era una legge. Non tutte le leggi sono buone leggi. E il “devono mettersi in fila e rispettare la legge” è un’espressione che non vuol dire niente – è semplicemente impossibile per il migrante medio dal Messico, dalla Cina o dall’India arrivare legalmente negli Stati Uniti.
Non è un’analogia perfetta. Non c’è un Ku-Klux-Klan o una violenza sistematica contro gli immigrati. Le analogie storiche banalizzano il passato con troppa facilità, come quando si dà del “nazista” a qualcuno. Ma penso che, alla fine, riterremo il nostro attuale trattamento degli immigrati qualcosa di ugualmente offensivo sotto il profilo morale, e delle buone similitudini per le cose che, giustamente, deploriamo meritano di essere cercate. Me ne servono di migliori.
Come Italia, Germania, Grecia, Spagna, ...