Quant e adolescenza

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Dove si afferma che la finanza quantitativa - i cui utilizzi variano dalla gestione del rischio e degli investimenti alla formulazione di prezzi per derivati - e' una scienza in piena fase adolescenziale, e cosa va fatto per farla crescere.

Esistono adolescenti intelligenti, malgrado l'apparente ossimoro. Ma perfino essi, come tutti gli adolescenti, tendono a pensare che il proprio punto di vista sia l'unico corretto. In piu', il punto di vista dell'adolescente e' seriamente fallato (mi si perdoni il lapsus) dal fatto che l'adolescente e' - per forza di cose - un essere in trasformazione. Ed allora, pur con la presenza di intelligenza, l'adolescente trarra' conclusioni affrettate, che se son giuste lo sono per caso.

La finanza quantitativa (FQ) si trova in una situazione simile. Ma per capirne lo stato adolescenziale, forse e' bene fare una rapida carrellata sulla sua infanzia. A inizio 900, Louis Bachelier scrisse un trattato - theorie de la speculation - in cui i modellava i prezzi delle azioni trattate in borsa tramite (l'allora neonato e dunque completamente immaturo) calcolo stocastico: un trattamento matematico (e, pertanto, sistematico) di grandezze che possono variare casualmente. Potremmo, all'interno della metafora dell'infanzia, pensare a Bachelier come l'ostetrico che ha contribuito a far nascere la creatura. Bachelier era molto avanti rispetto ai suoi tempi, tanto che per aver nuovo materiale con cui confrontarsi, bisogna aspettare qualche decennio. E' Paul Samuelson a iniziare a dire cose davvero interessanti vari decenni dopo. E' lui ad avere l'idea di usare la matematica per modellare i mercati finanziari partendo (a differenza di Bachelier) da principi economici. Con lui inizia l'infanzia vera e propria della FQ: tutti i progressi avvengono, proprio come avviene nell'infanzia, sotto l'ala benevola del padre (l'economia). I risultati ottenuti sono notevoli: Harry Markowitz scrive pagine essenziali sulla natura del rischio e come si possa pensare di gestirlo; i vari modelli che sorgono - CAPM, APT,... - hanno tutti la caratteristica che provengono intellettualmente dal mondo dell'economia.

Poi c'e' l'ingresso nell'adolescenza. L'ultimo atto dell'infanzia della FQ e' quello che la proietta nel mondo dei grandi: Bob Merton, Myron Scholes e Fisher Black tirano fuori una formula per determinare il prezzo delle opzioni. Per la verita' la formula ha poco di nuovo (tecnicamente), ma quel che ha un certo valore (questa e' la prima e l'ultima volta che parlo bene di questa teoria, sia chiaro!) e' che anche loro vengono alla loro formula tramite ragionamenti economici. Fanno delle ipotesi sulla natura dei mercati e ne traggono delle conseguenze sulla natura stocastica dei prezzi delle azioni. Da queste conseguenze, segue la loro formula. Il cuore delle loro ipotesi e' composto di due concetti: assenza di arbitraggio (vale a dire che non esiste la possibilita' di guadagnare soldi senza rischiare) e il fatto che i prezzi siano distribuiti log-normalmente (un'ipotesi puramente tecnica, dal punto di vista matematico, che rende il problema trattabile, ma che viene anch'essa da idee economiche - ma qui, almeno per me, e' troppo lungo e difficile andare nei dettagli). Entrambe queste ipotesi si sono rivelate problematiche - proprio qui sta la debolezza della teoria - ma il punto fondamentale, che ribadisco, e' che arrivano alle ipotesi tramite un ragionamento prettamente economico.

A questo punto nella storia, dicevo, si esce dall'infanzia. La FQ moderna nasce in quel momento, e da allora il numero dei quant (gli operatori di FQ, principalmente ex fisici o matematici) nell'industria cresce a dismisura: oggi non credo ce ne siano meno di diecimila. Il problema sta nel fatto che c'e' un aspetto della teoria di Black-Scholes che e' assolutamente nefasto: la si puo' guardare da un punto di vista puramente matematico, senza curarsi degli aspetti economici. E questo e' esattamente quello che e' successo: la FQ ha dimenticato, come ogni adolescente che si rispetti, gli insegnamenti paterni e va per la sua strada. Oggi la FQ si basa su modelli molto sofisticati (negli aspetti matematici) ma spesso con pochissimo pensiero economico alle spalle. Ed il bello e' che e' proprio per questo aspetto che i modelli falliscono, sebbene la FQ si rifiuti di ammettere la realta'. Un esempio ben noto e' quello dei CDO il cui prezzo veniva determinato usando una formula che usava la cosi' detta copula gaussiana (lasciamo perdere i commenti sui nomi inopportuni degli oggetti matematici) - che prevede che per descrivere come due quantita' stocastiche si muovono insieme serva una sola variabile, la correlazione. La risposta di un (peraltro bravissimo) quant - Steven Shreve - a chi criticava l'opportunita' della formula lascia alquanto a desiderare: non considera affatto il vero problema, cioe' che la FQ deve avere a che fare con la realta' (e che la realta' e' economica).

Conosco qualche centinaio di quant. Moltissimi li considero ben piu' bravi di me. Ma hanno pressoche' tutti una cosa in comune: non sanno niente di economia. Ero - per fare un esempio - a un seminario in cui lo speaker (un quant molto bravo) presentava il suo libro sulla crisi. Le sue conclusioni non erano insensate, ma condiva il tutto con una tiritera pseudo-economica che non aveva alcun senso: confondeva tre concetti profondamente diversi (fair value, equilibrio ed efficienza dei mercati) e quando gliel'ho fatto presente educatamente mi ha liquidato con sufficienza dicendomi che aveva ragione lui e che "nel dibattito economico i tre concetti sono la stessa cosa". Ribadisco il fatto che il tizio in questione era piuttosto sveglio (nel suo campo) e lo considero fortunato per il fatto che in platea c'ero io e non uno qualsiasi dei redattori di nFA...

Ora per la FQ e' giunto il momento di crescere, di dire basta alle pratiche onanistiche della matematica per la matematica e di accorgersi che i mercati si comportano in modo stocastico per come sono strutturati e che pertanto e' questa struttura che dobbiamo andare a capire. Esistono migliaia di ottime pagine scritte dagli economisti sulla struttura dei mercati. Leggerle e capirle e metterle in relazione con quarant'anni di FQ adolescenziale e' necessario, oggi piu' che mai (si consideri che nessuna delle grandi banche ha un modello per misurare il proprio impatto sul mercato; persino oggi che sono sotto enorme pressione da parte dei regolatori, non esiste una vera cultura della gestione del rischio: si tende a confondere la comprensione e gestione del rischio con la semplice prudenza). E' giunto il momento di cambiare atteggiamento su come si fa la FQ: smettere di pubblicare articoli il cui contenuto alla fin fine e' "questa e' la soluzione because the data fits better" e di intraprendere il cammino (piu' difficile) di arrivare a una soluzione cercando di capire quale sia la vera natura economica dei mercati. Peraltro, in questo modo si puo' pensare di dialogare con parti dell'industria e del mondo della ricerca che la FQ ha per anni liquidato come roba da poco. Mi riferisco a campi quali l'analisi tecnica (che e' una specie di astrologia dei mercati: dice cose talvolta vere ma in un linguaggio spesso raccapricciante) o la finanza comportamentale (che parte dai lavori di Kahneman e Tverski), per fare due esempi.

Questo passaggio "all'eta' adulta" e' necessario per motivi diversi:

  • Da un lato c'e' l'aspetto intellettuale: la FQ e' una (wannabe) scienza che deve fare il salto di qualita'. Ad un convegno ad Oxford a settembre, Ed Fishwick, un quant di primissimo ordine, ha paragonato lo stato attuale della FQ alla chimica che si studia al liceo (guarda caso, sempre all'adolescenza si fa riferimento). E' giunta l'ora di imparare cosa sia davvero la chimica.
  • Dall'altro c'e' il problema che le migliaia di quant nell'industria non stanno (non stiamo), di fatto, mantenendo le promesse. Se si vanno a guardare i fallimenti della FQ (i problemi della portfolio insurance nell'ottobre '87, il dramma di LTCM nel '98, il quantmare dell'agosto '07, il disastro dei fondi di FQ durante la crisi di Lehman, ...) il problema e' sempre lo stesso - gli adolescenti, finche' rimangono tali, non imparano.

Il mio appello ai colleghi quant e' di auto-responsabilizzarsi per avere cosi' piu' responsabilita' nell'industria. Il mondo della finanza non e' un parco giochi dove possiamo divertirci senza pensare di pagare il biglietto.

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Commenti

Ci sono 44 commenti

Lei conosce quant che hanno prima studiato finanza e poi matematica/fisica?

Intanto Ed Fishwick, citato nell'articolo.

 

Se si vuol rimanere in Italia c'e' Umberto Cherubini, quant eccellente, con una laurea in scienze politiche!

Brevemente, cosa pensi del pensiero di Taleb espresso nei suoi libri? Fin dove deve spingersi la finanza quantitativa per assomigliare ad una scienza? Quale può essere la sua utilità sociale?

 

Mi sono recentemente interessato ai modelli finanziari, sono un esperto di Machine Learning.

Dal mio punto di vista di modellista, ci sono ancora moltissime cose da fare... è come se la FQ sia indietro di 5 o 6 anni rispetto ad altri settori dove il Machine Learning (ML) è largamente applicato (ad esempio la bioinformatica). Mi spiego: ho visto modelli vecchi di 20 anni e ho visto, come anche è ricordato in questo post, modelli prevalentemente statistici e, appunto, basati su assiomi forti. Basta anche guardare le pubblicazioni: tecniche ben note ML, magari considerate "vecchie" in altri settori, iniziano ad essere applicate adesso in pubblicazioni sulle previsioni finanziarie.

Almeno, questa è l'impressione che ho avuto io, ma appunto, non sono un esperto di FQ, ho solo leggiucchiato un po' di pubblicazioni.

Mi sapresti indicare qualche link su ML in generale, bioinformatica e analisi finanziaria?

Grazie

Leggere una riflessione di assoluto buon senso come la Sua è decisamente confortante; dubito tuttavia che l'appello finale possa raggiungere risultati diversi dall'intima approvazione verso il suo pensiero.

La Finanza Quantitativa raggiunge l'apogeo nella minimizzazione del rischio e, conseguentemente, dei profitti ad esso correlati. O meglio, nel tentativo. Tutto ciò che staziona più o meno debolmente sotto tale limite è un prodotto di scarto, una scoria. Le scorie, come sappiamo, sono un gran business ma ad oggi alcune di esse ancora non abbiamo capito come smaltirle. Lo stesso accade nella FQ.

Il perenne conflitto di interesse che opprime la Disciplina è il vero problema, molto più di una teorica carenza di reponsabilità che personalmente, pur non essendo un esperto, ritengo fortemente presente anche se in forma obbligatoriamente latente.

Non è questione di modelli, assolutamente equivalenti nell'impossibilità di prevedere; è questione di buon senso, inapplicabile a fronte di targets troppo competitivi e forse troppo, troppo spregiudicati.

Un saluto,

Da profano mi chiedo: qual è l'obiettivo della finanza quantitativa? cosa si propone di spiegare esattamente? e quali sono le differenze con la finanza (o la scienza economia applicata ai problemi dei mercati finanziari)?

Direi che in italia se vai ad un corso di Finanza troverai qualcuno che ti dice come investire più o meno raccontandoti aneddoti e casi studio che al massimo ti insegneranno un po' di buonsenso. 

Scienza economica applicata alla finanza sono invece i modelli teorici di funzionamento dei mercati finanziario che se calibrati su dati danno modelli quantitativi...

 

Federico, perdonami, non capisco se stai parlando agli accademici o ai practitioners, ne' cosa proponi esattamente. Tu i paper di economia li hai letti? Quali ti sembrano le applicazioni piu' promettenti? Scritto cosi', il tuo articolo mi sembra un po' un black box.

Non sto negando che il "fossato" che tu descrivi esista; al contrario, non vedo strade che consentano di colmarlo rapidamente. I quant di Wall St. "non sanno niente di economia" (cit.) e d'altro canto mi pare che i modelli pubblicati sui giornali di economia e di finanza raramente funzionino bene sul campo, al livello di dettaglio richiesto in un front o middle office.  Il problema, sia chiaro, non e' solo dell'Economia accademica...  Quindi?

 

PS, per Luca Barba e altri lettori eventualmente interessati: una delle "bibbie" dello statistical learning e' disponibile online sul sito di uno degli autori (link). Prima o poi trovero' il tempo di leggerla per davvero...

Sono sostanzialmente d'accordo con la sua critica all'articolo.  A me sembra che l'economia accademica più rigorosa discuta molto poco di finanza, ma quel poco che si dice è decisamente importante:  si pensi alle implicazioni del no-trade theorem o, più ottimisticamente, all'analisi dei mercati contingenti e degli equilibri di Radner, o alla ricerca sui limiti dell'arbitraggio.  Tuttalpiù, è da verificare la consistenza dei modellini di quant finance rispetto a questi contributi, anche per chiarire eventuali assunti non esplicitamente elencati.

Grazie Luigi approfitto subito!

Ho gia' espresso piu' volte la mia opinione, ma repetita iuvant: il problema non e' tanto di insufficienze teoriche della FQ, quanto del suo uso strumentale (in particolare, per quel che riguarda la (sotto)valutazione del rischio) da parte delle istituzioni finanziarie al fine di poter espandere il bilancio tramite aumento della leva finanziaria. L'altra gamba di questa strategia e' stata rappresentata dalla sottovalutazione dei rischi inflattivi (in particolare, di asset inflation) per convincere le autorita' monetarie a tenere i tassi d'interesse piu' bassi del dovuto. Le motivazioni sono ovvie: larghi bilanci -> alti bonus. E i risultati li stiamo vedendo da quattro anni a questa parte.

Domanda: qualcuno potrebbe definire "success" in questo campo?

Come potremmo verificare/misurare/decidere che quant finance ha avuto successo, funziona, è "giusta", eccetera?

Non sono certo che la cosa sia ben definita. Almeno, io non ho capito. Grazie.

Domanda: qualcuno potrebbe definire "success" in questo campo?

 

la prova engelsiana del pudding, che stiamo mangiando dal 2008, va bene?

o visto che sono "quant"... abbiamo aperto la scatola coi subprime dentro e il gatto non sta tanto bene...

battute a parte, ma è positivo inventarsi tecniche matematiche sofisticate per ridurre (o credere di aver ridotto) il rischio? Senza rischio non c'è mercato o impresa, e quindi allocazione ottimale delle risorse o sbaglio?

Poi, l'idea di ridurre il rischio con modelli matematici senza avere un'idea di come funzionino i mercati sembra come progettare i dispositivi di sicurezza di un veicolo senza conoscere nè il comportamento della carrozzeria all'impatto nè l'anatomia. Senza contare che non c'è niente di più rischioso di una mancata percezione del rischio.

 

Michele,

una domandina da nulla :-)

Il punto e' che i quant sono generalmente convinti che FQ sia una storia di successi. Tutti sono felici di salire sul carro di Jim Simons o David Harding (che poi, detto tra noi e' solo uno che ha fatto soldi) ma generalmente i probli si tendono a mettere sotto il tappeto. 

Il senso che voglio far capire e' che noi quant non dobbiamo appoggiarci ad allori (piuttosto deboli), ma affrontare la realta' e migliorarci. Nello specifico, imparare un po' di economia :-)

Il fatto e' che fare i soldi non e' l'unico modo di giudicare. Tanto per dire io mi pccupo di risk management: da questo punto di bista la crisi e' stata tremenda e si e' imparato poco. Insisto sul fatto - che trovo ai limiti del criminale - che le IB non hanno modelli per valutare l'impatto sui mercati quando ne sono parte cosi' grossa. 

Al momento non riesco ad approfondire meglio, mi spiace, ma spero che almeno in parte la tua somanda sia soddisfatta (non vedo l'ora di essere in grado di desicare pou' energie!!)

Avere un Jet personale?

Considerazione a lato come programmatore. Conosco tanti amici che lavorano alla City e implementano le famose funzioni dei Quants. Tutti mi dicono che alla fine si ciurla parecchio nel manico: si prova con una funzione, se i risultati non sono quelli desiderati si passa ad una altra funzione o si ritoccano i parametri in ingresso finche' i risultati non tornano con l'analisi fatta a "guts" dai traders.

A questo punto resta da chiedersi se i traders se ne intendono di economia...

"I risultati ottenuti sono notevoli: Harry Markowitz scrive pagine essenziali sulla natura del rischio e come si possa pensare di gestirlo; i vari modelli che sorgono - CAPM, APT,... - hanno tutti la caratteristica che provengono intellettualmente dal mondo dell'economia.

Poi c'e' l'ingresso nell'adolescenza. L'ultimo atto dell'infanzia della FQ e' quello che la proietta nel mondo dei grandi: Bob Merton, Myron Scholes e Fisher Black ....:"

caro amico, in finanza e nel mondo del trading serve "il saper fare". le teorie magari sono utili ad imbellettare gli accademici.....

 

i risultati di tanto genio è il seguente:

http://it.wikipedia.org/wiki/Long_Term_Capital_Management

 

grazie

 

 

 

Caro Simoni

La superficialita' di questo suo commento e' allarmante. Lei non sembra aver idea di cosa sia la FQ. Uno dei grandi orrori dell'industria, tanto per dire, e' che a capo di molti dipartimenti di gestione del rischio ci siano ex-trader che quindi sanno fare finche' sono in un ambiente che capiscono. Poi subentra il panico.

Dal punto di vista del quant le cose non sono eccellenti ma fare un'autocritica costruttiva  e' il senso di questo mio pezzo. La prego di cercar di capire meglio. 

 

 

Complimenti per il pezzo, lo trovo in qualche modo poetico.

Nulla potendo aggiungere al dibattito per manifesti limiti di competenze tecniche mi permetto solamente di condividere uno spunto: il risk manager, non è un po' come una Cassandra moderna?

A pensarci bene, quando ha fatto un'ottimo lavoro e una catastrofe non si è verificata grazie al suo lavoro... non se ne accorge nessuno. Se ha fatto un lavoro altrettanto ottimo e, nonostante il suo impegno la catastrofe si verifica (a memoria credo di aver letto qualcosa del genere in un pezzo sull'economist, forse sulla crisi dei subprime) allora verrà crocifisso.

In un mondo dove gli individui sono mossi dagli incentivi, come si fa a sfuggire al fascino della professione opposta che, nel prendere rischi, rischia al massimo il posto di lavoro e il costo opportunità di un lauto bonus (non certo i risparmi di una vita ne propri ne dei propri familiari e conoscenti), mentre se gli va bene può ottenere guadagni quasi illimitati? 

Vorrei chiedere all'autore dell'interessante articolo se nel corso degli ultimi due anni ha cambiato prospettiva in merito ai limiti della finanza quantitativa. 

Ho infatti reperito sul sito La Voce un articolo datato settembre 2009 (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001290-351.html) dove l'autore sosteneva che il principale problema era la mancanza di una matematica pensata appositamente per il mondo delle finanza, e che dunque i quant si collocavano più nell'alveo degli ingegneri che in quello degli scienziati, sfruttando idee e tecniche matematiche "prese a prestito", con risultati modesti.

Nella risposta ai commenti (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001296.html), inoltre, affermava che il problema non era la mancanza di conoscenze economiche dei quant (cosa ovvia, almeno all'inizio, per chi non provenga da studi economici), in quanto i luminari del campo, che trascinano la ricerca e di conseguenza influiscono sulla prassi anche dei novizi, non potevano assolutamente dirsi a digiuno di economia (neanche i "convertiti" da altri campi scientifici). 

Insomma, rilevo una certa contraddizione con quanto affermato ora, a due anni di distanza: mi sembra che l'autore segnali come il problema sia proprio una conoscenza dell'economia praticamente nulla da parte anche di quant molto abili.

Mi chiedevo: cosa è successo in questi due anni? Quali esperienze hanno portato a questo mutamento (se c'è stato, ovviamente, e dunque se il mio non è un semplice errore di interpretazione)?

Grazie mille 

"Mi chiedevo: cosa è successo in questi due anni?"

Ottima domanda, di cui ringrazio. Sono successe due cose

  1. Ho iniziato a leggere nFA ed ho scoperto di non sapere nulla di economia. Questo ha comportato una piccola crisi esistenziale prontamente risolta da uno studio (non approfondito abbstanza, ma c'e' tempo!) dei vari Friedman, McKenzie, Mas-Colell...
  2. Ho ossevato meglio il mondo quant e mi sono reso conto che ineffetti il (o almenu un grandissimo) problema sta in una mostruosa ignoranza. Ho capito che non posso prendermela coi giornalisti italiani accusandoli di bieca ignoranza quando faccio parte di un gruppo di persone che condivide la propensione verso lo stesso peccato!

Morale, questo articolo e', a differenza di quello su La Voce del 2009, solo la parte pubblica di un dibattito che sto cercando di portare avanti all'interno dell'industria, sia dal punto di vista intellettuale, sia proponendo alla banca per cui lavoro di darmi spazio per proporre questi modelli (che spero possano risultare) innovativi ed utili.