I redditi delle famiglie degli universitari

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Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti io simpatizzavo coi poliziotti!

Pierpaolo Pasolini

Fermare il declino per tornare a crescere significa anche e soprattutto spendere solo dove veramente serve e garantire davvero a tutti opportunità di miglioramento e mobilità sociale. In Italia il principio del diritto allo studio è stato attuato attraverso l’università gratis, o quasi, per tutti. Questo meccanismo ha di fatto trasferito risorse dai poveri ai ricchi togliendo a molti meritevoli le risorse per frequentare. Nel 1968 Pasolini rinfacciò agli universitari manifestanti a Valle Giulia di essere figli della borghesia, e simpatizzò coi celerini. Sono passati più di quarant’anni. Secondo i dati dell’ISTAT, che vado ad illustrare, la situazione non è cambiata granché. I genitori degli studenti universitari percepiscono redditi quasi del 50% superiori ai redditi dei genitori di chi non frequenta. 

Ho usato i migliori dati disponibili, un campione rappresentativo di circa 41mila famiglie italiane prodotto dall’ISTAT (IT-SILC), prendendo l'anno più recente disponibile, il 2010. Ho da esso estratto i giovani dai 19 ai 27 anni escludendo i (pochi) giovani in quella fascia di età che già vivono da soli o sono sposati, perché di essi non ho informazioni sul reddito della famiglia di origine. Ho anche escluso i pochissimi fra gli stessi che ancorano frequentano le superiori. Per i rimanenti, ho calcolato redditi e caratteristiche della famiglia di appartenenza, distinguendo le famiglie dei frequentanti l’università da quelle dei non frequentanti. Il campione risultante include circa 3500 giovani, più o meno equamente divisi fra universitari e non universitari. Il 45% dei giovani italiani di età fra i 19 e i 27 anni o frequenta o si è già laureato. 

Non mi aspettavo certo che la frequenza dell'università fosse indipendente dal reddito familiare, ma confesso che i risultati mi hanno stupito, perché credevo che l'università avesse oramai acquisito una frequenza di massa. Non è un’università d’elite come quella degli anni Sessanta, ma le differenze fra frequentanti e non ci sono, e sono sostanziali. Le cifre indicate indicano i redditi totali netti dei componenti "adulti" della famiglia, e cioé genitori e nonni (se componenti del nucleo familiare), escludendo dunque redditi di fratelli, e coniugi o partner dei giovani in considerazione, zii, e altri parenti. Nella colonna "universitari"  ho incluso i giovani frequentanti l'università, master o dottorato, o quelli non frequentanti ma che hanno già conseguito la laurea. La colonna "non universitari" comprende tutti gli altri. La tabella riporta i redditi netti annuali in migliaia di euro.

 

Reddito netto annuale dei genitori o nonni
(migliaia di euro annuali al netto delle imposte, anno 2009)

 
UniversitariNon Universitari
Reddito totale41,728,2
Reddito da lavoro dipendente
(solo famiglie senza redditi da lavoro autonomo)
24,617,0
Come sopra, ma solo se il reddito da
lavoro dipendente è maggiore di zero
29,822,2

La prima riga include tutti i redditi dei genitori o nonni compresi nel nucleo familiare, compresi i redditi non afferenti a un singolo individuo (rendite da investimenti, affitti, etc..). Le famiglie universitarie percepiscono redditi del 48% superiori a quelli delle altre famiglie. Per chi pensasse che questa cifra fosse in qualche modo viziata da ... ehmmm... un errato riporto delle cifre percepite da lavoro autonomo, ho incluso solo redditi da lavoro dipendente nella seconda e terza riga. A seconda che si vogliano o meno escludere le famiglie con reddito zero, la differenza fra famiglie di universitari e non è del 44% o del 34%, rispettivamente. Le differenze rimangono alte persino se si guarda al reddito totale familiare (e cioé includendo i redditi dei giovani in considerazione e i loro fratelli), non indicato in tabella: le famiglie degli universitari guadagnano il 19% più delle altre famiglie, nonostante il fatto che le altre famiglie percepiscano ulteriori redditi dai figli non frequentanti l'università. 

Suddividendo le famiglie in quintili di reddito, calcolati ordinando le famiglie dalla più povera alla più ricca di tutto il campione nazionale, e dividendo le famiglie in cinque gruppi uguali, otteniamo le seguenti percentuali di frequentanti nei diversi gruppi:

Quintile di redditoFrequentanti o con diploma di laurea
(fra i giovani dai 19 ai 27 anni) 
1 (famiglie con minore reddito)32%
236%
341%
456%
5 (famiglie con maggiore reddito)69%

Tutti gli altri indicatori socioeconomici confermano il quadro delineato sopra. La seguente tabella riporta le differenze fra universitari e non secondo varie caratteristiche. Nelle prime quattro righe ho incluso fra "non possiede" solo chi ha risposto ''sì'' alla domanda "non possiede perché non se lo può permettere". 

Caratteristiche della famiglia Universitari Non universitari
Non possiede casa di proprietà 9% 22%
Non possiede DVD né registratore VHS 1%5%
Non possiede videocamera 4% 11%
Non possiede auto 0.5% 2.7%
Media % di componenti adulti con laurea 21% 6%
Media % componenti adulti con almeno diploma superiore  64%34% 
Arriva alla fine del mese abbastanza facilmente o meglio30% 16%

Le altre righe confermano che i genitori dei frequentanti sono molto più scolarizzati dei genitori dei non frequentanti, e che il benessere generale familiare è superiore. Espandendo le risposte alla domanda da cui ho estratto le informazioni dell'ultima riga il quadro non cambia. Solo il 36% dei giovani delle famiglie che fanno molta fatica ad arrivare alla fine del mese frequenta l'università, mentre frequentano l'università il 79% di quelli appartenenti alle famiglie che ci arrivano molto facilmente. 

Arriva alla fine del meseUniversitari
Molto difficilmente36%
Difficilmente44%
Abbastanza difficilmente51%
Abbastanza facilmente64%
Facilmente64%
Molto facilmente79%

Infine, due parole sugli studenti lavoratori. Come ci si può aspettare, provengono da famiglie con redditi inferiori, di circa il 18%, dei loro compagni non lavoratori. Considerando i non frequentanti, invece, i redditi dei genitori di chi lavora e non lavora sono quasi uguali. 

Per concludere, il quadro dipinto rappresenta una situazione forse nota, ma poco documentata: chi frequenta l'università proviene dai ceti più agiati della popolazione. Sussidiare gli studi con rette universitarie che non coprono i costi rappresenta, nei fatti, un trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi. Una seria politica di diritto allo studio deve poter tenere conto di questi dati. Ne parleremo ancora quanto presenteremo il nostro programma di riforma dell'università, per fermare il declino

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Commenti

Ci sono 88 commenti

...ne ho la certezza matematica :D

 

Fra i miei colleghi ho sempre notato che sono in pochi a non avere alle spalle una "buona" famiglia.

inquanto gli universitari non solo provengono (in media) da famiglie più benestanti, ma avranno anche (in media) redditi personali più elevati....

Uno studia per trovarsi un lavoro migliore e guadagnare di più. Se dalle famiglie a basso reddito cominciano a venir fuori figli benestanti grazie al nostro sistema d'istruzione, siamo a cavallo.

Oggi il costo di uno studente universitario per una famiglia di reddito medio-alto (dichiarato) è di circa 2000-3000 Euro anno (circa uno stipendio netto mensile). Chi ha basso reddito presenta la denuncia ISEE e non paga praticamente niente. In un sistema ideale senza evasione fiscale, i cittadini si vedono remunerato con un servizio ciò che a loro è stato tolto con una pressione fiscale molto dura e progressiva e con una legislazione ostile, che nega anche gli assegni famigliari per le fasce di reddito alte. Non mi sembra un trasferimento dal povero al ricco. Inoltre, fino a poco tempo fa, c'erano molti sostegni e borse di studio per gli studenti a basso reddito, che sono stati progressivamente ridotti. Non mi sembra un sistema ingiusto, sempre in assenza di evasione fiscale.... A questo punto sono possibili due strade: 1) abbassare drasticamente le aliquote fiscali e aumentare le rette universitarie per tutti allo stesso modo. Si combatte l'evasione fiscale, ma cosa fanno i poveri veri? 2) si mantiene 'attuale sistema combattendo l'evasione fiscale.

Nella tabella a pagina 67 di questo paper sono riportati i costi medi pagati per la retta universitaria per il 2010. Vanno dal 400 euro circa (il 15% del reddito della fascia piu' povera) a poco meno di 2000 (poco piu' del 4% del reddito della fascia corrispondente). Cosa sia equo e' un giudizio di valore. 

Non ho i dati alla mano, ma il costo dello stato per studente corrisponde ad una cifra notevole, diciamo N, dove N sono diverse migliaia di euro. Lo stato sta sussidiando le famiglie ricche N-2000, e le famiglie povere N-400. Quando si fa policy, si deve guardare al margine. Quanti figli di famiglie ricche smetterebbero di frequentare se aumentassimo le rette di 1000 euro, e quanti di famiglie povere comincerebbero a frequentare se  trasferissimo loro quell'ammontare? 

Le aliquote fiscali vanno abbassate indipendentemente dalla politica di diritto allo studio. Esiste una buona percentuale di persone scoraggiata dal frequentare perche' non se lo puo' permettere. 

Si ricordi che il vero costo non è quel "praticamente niente" che viene a pagare chi ha un basso reddito. C'è il costo per i libri, le dispense, per un personal computer con accesso a internet, per gli spostamenti... e per chi è fuori sede anche un affitto. Tutti costi esterni alla retta, e che più di tanto non vengono coperti.

E poi c'è il sottovalutato (dai benestanti ma anche solo dalla classe media) costo del pane quotidiano: una famiglia povera farà fatica a dare anche solo da mangiare ad un figlio che studia. E che quindi sarà incoraggiato a trovarsi un lavoro piuttosto che a gravare sulle spalle dei genitori.

Indubbiamente i conti della discussione ,posta qui su, qadrano.C'è ,però,da dire anche che vi è una fascia medio-bassa a mio avviso non tutelata.Porgo come esempio la mia situazione: il nucleo familiare a cui appartengo rientra nella prima fascia per quanto riguarda l'ISEE.Praticamente non appartengo ad una famiglia dove si arriva con facilità a fine mese,per lo stato in cui vivo però l'indicatore ISP è sufficiente per non portar me agevolazioni di alcun genere,quindi sarebbe la casa dei miei genitori e l'immobile che mio padre usa per lavorare,e per il quale ha contratto un mutuo ventennale,a mantenermi agli studi.

Giustissimo che chi ''può permetterselo'' debba pagare di più,come giusto che forse gli indicatori e le fasce di reddito a cui destinare agevolazioni e borse di studio debbano sicuramente essere riviste.Altrimenti adottiamo il sistema americano,e lasciamo la possibilità di studiare solo ai ricchi...

... e' alzare le rette per coprire i costi, in modo che i poveri l'universitá (che giá vedono poco) se la sognino direttamente. Almeno peró avranno la soddisfazione di non trasferire le proprie risorse (ma quali? se sono poveri pagheranno poche tasse!) ai ricchi. 

 

Articolo molto interessante, conclusione divertente.

 

Per fermare il declino, aspettiamo con ansia la vostra "riforma" dell'Universitá.

la soluzione e' far pagare a chi se lo puo' permettere e sostenere economicamente in modo adeguato chi non puo'. Le risorse ci sono e sono a costo negativo per lo stato. Le riforme che fanno il male dei poveri le lasciamo a Gelmini/BS o a Vendola

A chi sollevasse la solita questione dell'evasione fiscale, che comunque e' un problema da risolvere in un certo senso separato, ricordo un aneddoto personale. Ai tempi dei miei studi vivevo in casa dello studente dell'ESU, accessibile solo agli assistiti. Chi percepiva le agevolazioni era soggetto ad una verifica fiscale anche da parte dell'ESU, e ricordo piu' di qualche caso di studente i cui genitori evadevano che veniva cacciata e denunciata alla finanza. Non era il paradiso, ma se il sistema prevede che chi riceve agevolazioni in base al reddito sa che le probabilita' di verifica vengono aumentate di un fattore sufficientemente alto, gli abusi diminuiscono. 

Ciao Miche. Se guardi i numeri, il fatto che i "poveri" pagano relativamente meno tasse non è sufficiente a sistemare la cosa. Leggi le slides 8-9 di Andrea Ichino qui:

 

www.scribd.com/doc/83192429/nfa-roma-ichino-pres-prestiti-4

 

Sulle soluzioni possiamo discutere ma il problema è innegabile secondo me.

Ma vuole essere una risposta seria, o è una polemica gratuita?

 

Una banale controargomentazione alla sua risposta è che non bisogna "alzare le rette" indiscriminatamente, bensì aumentare la proporzionalità della retta: chi è ricco paghi più di oggi, chi è povero paghi meno di oggi.

 

Una soluzione meno banale, include sia una proporzionalità rimodulata, ma soprattutto basata su merito e profitto più che sul censo.

I dati mi hanno sorpreso, ma forse perche' sono una fotografia piuttosto di un video. Nel senso che l'impressione che ci creiamo si basa sul cambiamento che percepiamo rispetto a 20-30 anni fa', e forse e' quello che manca a questa analisi, cioe' il trend: e' migliorata la situazione oppure no?

 

Per esempio, media componenti adulti con laurea: 21%. Ecco, credo che una volta questa percentuale era molto piu' elevata, con soprattutto i figli di laureati che andavano all'universita' (un sistema meno mobile ed elitario). Ora invece 4 universitari su 5 hanno i genitori che non sono andati all'universita'.

Riguardo il reddito, mi sembra un paragone tra poveri e poverissimi. Ho letto un commento che insinua il sussidio alle famiglie ricche. Non mi sembra molto elevato il reddito netto di una coppia che manda il figlio all'universita'.

La mia impressione rimane che chi ha i voti per andare all'universita' ha la possibilita' di andarci. Immagino ci sia una relazione tra reddito e voti, ma questo non e' colpa del sistema universitario.

Lodovico, il tuo punto e' corretto ma a me pare che la dinamica sia irrilevante per il punto che sta facendo Andrea.

Il suo punto (e di altri, prima di lui) e' che la composizione della popolazione studentesca implicava nel 2010 un massiccio trasferimento di risorse (mediante elevata pressione fiscale e sussidio corposo ed essenzialmente flat agli studi universitari) dalle famiglie relativamente povere a quelle relativamente ricche. E' irrilevante se questo trasferimento fosse maggiore o minore nel 1990.

Una famiglia con reddito netto di 42mila euro puo' e deve pagare fees universitarie sostanzialmente piu' elevate di mille euro all'anno. Cosi' facendo ci muoviamo verso due obiettivi altamente desiderabili. Primo, in questo modo molti piu' studenti capaci e meritevoli ma le cui famiglie non possono permettersi neppure una fee di 500 euro annui  potranno ricevere borse di studio e acquisire per se' e per il paese capitale umano. Secondo, pagando di piu' romperanno lo scellerato patto con le universita' pubbliche (io ti do poco e tu mi dai poco) che tiene la qualita' della didattica ai livelli infimi che si osservano in questo paese.

Di nuovo, questa conclusione di policy e' del tutto indipendente dalla dinamica.

Vorreri richiamare l'attenzione su un sottoproblema. Mantenere uno studente universitario fuorisede costa almeno € 1000 al mese. Se la famiglia di origine dichiara meno di € 30000 NETTI c'è un giustificato sospetto di evasione. Il redditometro 2012 include anche gli affitti universitari fra le spese considerate, ma spesso questi sono in nero e sfuggono alla rilevazione, producendo per soprammercato anche evesione in capo ai proprietari.

A Milano una stanza o un posto letto in doppia da cui si arrivi a piedi a Città Studi costa sui 350€ al mese. Aggiungiamoci le bollette e si arriva a 450€ (stando larghi). Uno che non abbia voglia di cucinare può mangiare con 10€ al giorno (3€ di panino per pranzo, 7€ di pizza la sera), e siamo a 750€. A voler essere frugali si può spendere anche meno.

Si vogliono far pagare piu' tasse universitarie a chi ha redditi maggiori. Faccio presente che l'imposizione fiscale e' circa il 63% oltre 20-25k Euro di reddito annuo lordo. Quella fiscale non contributiva 43%.  La pressione totale supera 43-63% perche' al salire del reddito vengono meno esenzioni sanitarie, aumentano i ticket, aumenta la mensa scolastica, ci sono mille altri taglieggiamenti. Se non si fanno i conti completi, e si procede ad addebitare tutti il costo dell'universita' alle famiglie definite "abbienti" secondo standardi inappropriati scommetto che si arriva ad avere reddito netto dopo le tasse e dopo gli altri taglieggiamenti inferiore per famiglie con redditi lordi superiori, cioe' imposizione (estesa alle tasse universitarie, che e' corretto quando con queste tasse si paga l'universita' altrui) superiore al 100%.

Nulla da eccepire. Anzi aggiungerei che sarebbe interessante andare a considerare il reddito del sottoinsieme degli studenti fuori corso e del loro reddito medio familiare anche in funzione degli anni di fuori corso.

 

Sarebbe giusto iniziare a discutere di un cambio di mentalità nei confronti delle tasse universitarie ed iniziare a considerarle delle rette.

 

Parallelamente c'è bisogno di innescare dei meccanismi di miglioramento/selezione/motivazione del personale accademico sia come faculty members che come amministrativi.

 

Quando si inizierà a pagare veramente ovviamente ci sarà da aspettarsi una giusta richiesta di livelli qualitativi alti che potrebbero andare di pari passo con le rette, gli stipendi del personale etc.

 

Tasse universitarie, reclutamento dei docenti, meccanismi di finanziamento della ricerca sono aspetti strettamente intercorrelati e devono essere considerati insieme e non come pezzi separati.

Come ripetuto migliaia di volte su noisefromamerika, la correlazione non implica alcun nesso di causalita'.

Sarebbe interessante prendere in considerazione anche altri fattori per verificare le conclusioni.

 

Per esempio, spesso chi si iscrive alla facolta' di farmacia ha una farmacia, quindi un reddito elevato.

Oppure chi va a fare giurisprudenza ha il padre notaio/principe del foro/studio ben avviato e subito dopo la laurea ha un lavoro di prestigio assicurato, cosa che chi ha il padre che di professione faceva lo straccivendolo non poteva avere.

C'e' dunque una prospettiva diversa fra chi sa che dopo la laurea puo' gia' godere di un posto sicuro e ben pagato e chi ha invece tutto da costruire.

 

Inoltre chi proviene da una famiglia a basso reddito e' probabile che sia invogliato dalla famiglia stessa a cercare di contribuire al bilancio familiare al piu' presto, e non ci sono studi professionali avviati da mandare avanti. La laura potrebbe esser vista come un'altra emorragia di tempo e di soldi.

 

Infine, esistono le borse di studio ma sono in numero piuttosto limitato: se un giovane proveniente da una famiglia povera e' bravo ma non riesce ad accedere alla borsa di studio (magari e' il primo in graduatoria fra i non aventi diritto) e' probabile che all'universita' non ci andra', anche se potrebbe ottenere buoni/ottimi risultati.

 

Non mi porrei il problema del nesso tra reddito ed iscrizione all'università.

Se il quadro statistico è quello che ci descrive Andrea Moro, il trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi è un dato di fatto.

 

Poi, il perchè ed il percome ed il meccanismo dettagliato che determina la correlazione tra redditi ed iscrizioni è un problema di ordine inferiore.

 

 

Infine, esistono le borse di studio ma sono in numero piuttosto limitato: 

 

Non so se sia effettivamente cosi'. Ai miei tempi, almeno a Venezia, la retta gratis, l'alloggio quasi gratis, i pasti sussidiati, ed un piccolo assegno venivano erogati a tutti gli studenti con reddito basso che soddisfacevano un requisito veramente minimale di esami superati (ai tempi, 1986-1991, erano 2 entro la sessione estiva del primo anno, 5 il secondo, etc...). Ho controllato il bando di quest'anno, l'assegno e' un po' aumentato, la retta non so se e' condonata e forse non ci sono i pasti sussidiati. In ogni caso il problema non credo sia che non tutti ricevono le borse, ma che non sono sufficienti per molte famiglie. 

Ma siamo sicuri che la causa dei minor iscritti provenienti da famiglie meno abbienti sia solo  il costo? non è che c'è anche una motivazione culturale? Non c'è nessuna differenza tra il crescere in un ambiente dove è considerato "normale" lasciare gli studi dopo la scuola dell'obbligo e crescere in uno dove la "normalità" è iscriversi all'università? non ha alcun effetto, in termini di propensione all'iscrizione all'università, crescere in un ambiente dove  si può esser invogliati dalla lettura di un libro trovato nella biblioteca del padre o da un articolo letto sulla rivista d'aggiornamento della madre o dai discorsi dello zio?

 

Non sono convinto che il reddito della famiglia di provenienza sia l'unica causa .

Non sono convinto neanche io

Vi è anche una possibile correlazione tra reddito (a sua volta correlato all'istruzione dei genitori) e capacità di "far fruttare" il titolo di studio (dovuta, a sua volta, a skill di base o anche a legami sociali che aiutano a conquistare posizioni in cui si guadagna, per al quali la laurea è condizione necessaria).

Inoltre, se la preparazione di base è in qualche misura correlata al reddito (so che c'è dibattito su questo, ma non so se vi siano evidenze largamente condivise), ci sarebbe da considerare la classica osservazione di Stiglitz secondo la quale la spesa in education avrebbe natura regressiva (più efficiente sussidiare gli higher-skilled... che però sarebbero anche i più ricchi).

Concordo con marcodivice.

 

Penso inoltre che sarebbe bene fare lo stesso tipo di studio su altri paesi.

 

Infine, un'osservazione: credo che, in una certa misura, favorire incentivare l'accesso allo studio sia una politica desiderabile per la collettività.

Le iniquità peggiori sono quelle determinate da un tasso di evasione patologico, fattore questo che mette in crisi la possibilità stessa di far funzionare un sistema di borse di studio per i meno abbienti.

Come in USA, chiunque dovrebbe poter accedere allo studio (se vuole, e quindi accollandosene i rischi) , facendosi prestare i soldi dallo Stato, e rendendoli poi quando potrà, con una aliquota massima sui propri redditi (mi sembra) del 5%.

Sia il figlio di benestanti spilorci o non consenzienti, sia il figlio di indigenti.  Ed a qualunque  età.

Tra l'altro, questo è una delle poche forme di "prestito" in USA che non viene cancellata dal "fallimento personale".

 Anche l'integrazione di questo sistema con quello delle numerose borse di studio "premianti" mi sembra auspicabile.

 Ma la cosa più importante sarebbe creare un mercato concorrenziale dell'istruzione, e non solo quella universitaria.  Il monopolio statale sta dando risultati pessimi, come tutti sanno.

Infine, non si capisce perché:

1) lo studente italiano debba accedere all'istruzione universitaria un anno dopo tutti gli altri;

2) il suo titolo di studio di "dottore", (che dura mediamente dai 6 agli 8 anni) non sia equiparabile a PHD, bensì a titoli che, all'estero, di anni ne richiedono 3.

anche i tedeschi iniziano l'universita' all'eta' degli italiani e anche gli spagnoli a quanto ne so hanno cinque anni di superiori

per quanto riguarda gli USA esiste anche un'altra forma di "salita" di classe sociale. SE sono meritevole ma provengo da famiglia senza soldi posso arruolarmi e iscrivermi anche che ne so ad Harvard e poi dopo che il governo federale ha pagato IN TOTO le mie spese universitarie devo fare il soldato, o la soldatessa, per quattro anni dopo di che ritorno civile e non ho debiti con nessuno ma mi posso "vendere" al settore civile come ex militare che in america e' ancora una cosa onorevole...certo c'e' la possibilita' che il mio governo mi mandi in guerra e che io possa morire o perdere la salute. Ma ci sono tantissimi , soprattutto delle minoranze , della working class, o della media borghesia che hanno scelto questa strada e che ora sono Piloti di linea, avvocati, dottori, infermieri ecc ecc. E per quanto tragico sia il numero dei morti della guerra di Afganistan/Iraq dal punto di vista di percentuale statistica sono meno dei morti DWI cioe' delle solite morti del sabato sera

Qualcuno parlava di USA, secondo me sarebbe interessante vedere quali sono le situazioni familiari degli studenti USA, tenendo presente della maggior stratificazione delle università USA.

 

In ogni caso secondo me è sbagliato far dipendere le borse di studio dal reddito e dal patrimonio familiare, si dovrebbero considerare solo quelli strettamente personali: lo studente universitario è un individuo adulto, non un’appendice dell’organismo familiare.

Uno studente non può disporre liberamente dei soldi della propria famiglia, che per i motivi piú vari potrebbe non voler sostenere negli studi il figlio.

Che uno studente sia penalizzato perché i propri genitori sono ricchi è tanto assurdo quanto il fatto di essere penalizzato per il fatto che i propri genitori sono poveri.

... è giusto, specialmente in Italia, dove si tende a dare per scontata la dipendenza del figlio dalla famiglia fino a 30 anni e oltre. Purtroppo anche la giurisprudenza è nettamente orientata in questo senso e obbliga i genitori a mantenere i figli se studiano e se non hanno un lavoro e un reddito adeguato al tenore di vita della famiglia (giuristi correggetemi se sbaglio).

So bene che la mia osservazione è a doppio taglio. Se accettiamo cultura e giurisprudenza prevalenti, Xau ha torto. Se vogliamo contrastarle, Xau ha ragione.

Concordo. Invece di usare le rette universitarie per fare redistribuzione creativa (e deprimere le iscrizioni nelle famiglie considerate "ricche" secondo gli standard ridicoli italiani), sarebbe meglio usare il sistema australiano, dove lo studente stesso ripaga (parte dei) costi proporzionalmente a quanto guadagnera'.  Con questo il costo verrebbe ripagato in misura approssimativamente proporzionale al valore aggiunto dell'universita'.

Se si vuole fare ancora piu' redistribuzione tra "ricchi" e poveri in Italia allora si proceda con onesta' e trasparenza, si alzino le aliquote formali IRPEF, e per favore, per un minimo di onesta', si tolgano gli italici espedienti vigenti, bipartizan, come detrazioni e assegni familiari decrescenti col reddito cosi' che l'aliquota formale corrisponda all'aliquota marginale reale omnicomprensiva, e che tutti sappiano per bene quanto pagano in funzione del reddito.

 

Credo che in Europa la scelta tra sussidiare o non sussidiare non possa piu' avvenire in un clima di autarchia. Germania e Regno Unito rappresentano due estremi: la prima offre accesso sostanzialmente gratuito all'universita' a tutti i cittadini dell'Unione Europea (UE); il secondo ha deciso di far pagare il costo pieno a tutti quelli che se lo possono permettere. Nel caso del Regno Unito il risultato della riforma (peraltro disegnata da una commissione bipartisan) attuata dal governo Cameron e' stato una riduzione sensibile delle immatricolazioni. In Germania le Universita' vedono aumentare anno dopo anno la quota di immatricolati provenienti dall'estero. Nel nuovo mercato europeo dell'educazione terziaria le scelte di un paese in merito all'ammontare delle tasse universitarie si riverberano sulle decisioni relative all'investimento in educazione terziaria da parte dei residenti in altri paesi. Quest'anno il Regno Unito ha visto diminuire in assoluto la quota di giovani che hanno scelto di iscriversi all'Universita', mentre (ad esempio) i Paesi Bassi (dove per i cittadini UE le tasse universitarie ammontano in media al 50% di quelle italiane) hanno visto aumentare la quota di immatricolati con passaporto britannico. Se il Bologna process ha contribuito a creare il nuovo mercato comune dell'educazione terziaria, credo che i tempi siano maturi per un protocollo d'intesa che regolamenti questo mercato, introducendo criteri omogenri per la determinazione delle tasse universitarie. Se un mercato comune dell'educazione terziaria esiste davvero, l'estensione ad esso dei principi sottesi alla disciplina degli Aiuti di Stato potrebbe rivelarsi opportuna.

anticipando un po' dove si andrà a parare nella discussione sulla proposta di politica: perchè  Cassa Depositi e Prestiti/fondo per il merito e non Intesa San Paolo per intermediare i depositi degli anziani e gli investimenti dei giovani in capitale umano?

 

L’articolo snocciola dati interessanti ma purtroppo lo fa solo per confermare un’ipotesi scontata (la frequenza universitaria è più diffusa nelle famiglie abbienti che in quelle meno abbienti) e per trarne una conclusione la cui logica risulta assolutamente incomprensibile ("il sussidio pubblico all’università è un trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi").
Il denaro con il quale lo Stato sussidia l’università è infatti raccolto attraverso le entrate dello Stato che sono principalmente legate all’imposizione fiscale. La conclusione potrebbe avere una parvenza di logicità se tutti contribuissimo nella stessa misura, indipendentemente dal reddito, alla fiscalità. Non essendo così ed essendo addirittura la fiscalità in Italia progressiva (quindi all’aumentare del reddito la quota versata al fisco è maggiore) risulta falso che lo scenario attuale di sussidio, rispetto ad uno scenario nel quale l’università la paga solo chi la frequenta, costituisca un trasferimento di denaro dai poveri ai ricchi.

Faccio due conti della serva giusto per quelli che non si fidano. Partendo dai dati di distribuzione del reddito in Italia, con un’enorme semplificazione e approssimazione, possiamo modellizzare la situazione come se in Italia ci fossero cinque tipologie di famiglie di identica consistenza numerica: quelle ricche (50K€ di reddito netto), quelle medio-ricche (30 K€), quelle medie (20 K€), quelle medio-povere (15 K€), quelle povere (10 K€ ).

A spanne, sulla base di alcune simulazioni trovate in giro, posso azzardare che i “ricchi” (quintile dal reddito più alto) abbiano un prelievo fiscale di circa il 50% per cui si presume che verseranno 50K€ al fisco all’anno, i medio ricchi diciamo il 40% (quindi 20K€), i medi il 35% (9 K€), i medio-poveri il 30% (6,5 K€), i poveri il 25% (3,5 K€).

Questo significa che il sussidio pubblico all’università è pagato per il 56% dal quintile di famiglie con il reddito più alto e per il 4% dalle famiglie che stanno nel quintile di reddito più basso. Anche se scoprissimo quindi che nel quintile più ricco la frequenza universitaria fosse dieci volte maggiore (mentre si parla del doppio), rispetto al quintile più povero, resterebbe ancora falsa l’affermazione che sto trasferendo denaro dai poveri ai ricchi. I dati ovviamente sono raccolti un po’ alla buona e i conti sono stati fatti con buona dose di approssimazione ma l’obiettivo era dimostrare quanto grossolanamente infondata, a mio modo di vedere, fosse la conclusione dell’articolo, presentata invece come ovvia.

Bravo! Io avevo fatto la stessa osservazione, senza però fare calcoli precisi, e non mi hanno neanche degnato di una risposta. Visto che tu hai fatto lo sforzo di raccogliere i dati, spero che almeno a te rispondano.

 

In un blog come questo, dove giustamente si promuovono la logica e la matematica contro ai numeri sparati a caso dai politici, quando un lettore porta un'obiezione circostanziata e suffragata da dati dovrebbe essere considerata una vittoria!

 

Trovo il tempo per sollevare un dubbio più generale sul’articolo, dubbio che però va forse più al nocciolo della questione. Al di là infatti della veridicità tutta da dimostrare, come scritto sopra, dell’affermazione “Sussidiare gli studi con rette universitarie che non coprono i costi rappresenta, nei fatti, un trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi”, l’obiezione fatta da altri è “Si tratta comunque di un trasferimento di risorse da chi non ha figli che vanno all’università a chi ce li ha”.
Quella sopra descritta è in realtà la caratteristica di qualunque genere di servizio pubblico: la sanità pubblica corrisponde apparentemente ad un trasferimento di risorse dai soggetti sani a quelli malati, i trasporti pubblici corrispondono
apparentemente ad un trasferimento di risorse tra quanti non usano tali trasporti e quanti li usano e così via. Solitamente la Pubblica Amministrazione si fa carico di un servizio quando vi individua dei fini sociali, che non sono solo quelli di garanzia di un minimo livello di benessere, ma anche quello di servizi la cui presenza garantisce benessere alla società nel suo complesso, quindi anche a chi non ne usufruisce necessariamente. I servizi di trasporto pubblico non sono in realtà solo un servizio per chi ne usufruisce ma anche per chi, pur prendendo l’auto, se ne giova perché molti potenziali automobilisti prendono l’autobus o il metrò e lui o lei trova quindi meno traffico. La domanda da farsi è quindi se l’università è o meno un valore per la società nel suo complesso. Se partiamo dal presupposto che l’università garantisca un determinato livello di formazione e permetta quindi alla aziende di trovare più facilmente personale qualificato e preparato allora possiamo dire che l’università abbia certamente delle ricadute positive, quantomeno per il mondo dell’impresa. Se io spostassi l’intero costo del servizio sui soli utenti trascurerei indebitamente questa componente. Il risultato pratico sarebbe caricare maggiormente le famiglie degli universitari del costo della medesima (indipendentemente dal fatto che carichi di più o di meno sui più ricchi) e quindi aumentare la quota delle famiglie che rinunciano all’università o la quota di chi è costretto a lavorare e studiare contemporaneamente e magari si laurea dopo tre-quattro anni fuori corso. La conseguenza sarebbe la riduzione del numero dei laureati e l’allungamento dei tempi di studi (indicatori sui quali siamo già molto mal messi) con conseguenze negative sulla competitività della nostra economia. In altre parole è da ritenersi economicamente corretto che una parte dei costi dell’università siano sostenuti dalla collettività nel suo complesso e non dai soli iscritti.
Si può poi discutere la quota più corretta del sostegno pubblico all’università sia superiore o inferiore a quella attuale. Visto però che già oggi l’Italia si segnala come uno dei fanalini di coda, in Europa, quanto a numero di laureati, può venirci il dubbio che quantomeno ridurre il sostegno pubblico all’università non sia proprio una buona idea…

dubbio legittimo

Se vogliamo cominciare a ragionare sul finanziamento pubblico all'istruzione superiore, occorrerebbe misurare quanto davvero questa benefici la collettività. Tutto da dimostrare per moltissime discipline.

In ogni caso, resta il fatto che con il sistema corrente si finanzia una buona percentuale di persone che frequenterebbero anche a costi aumentati, mentre si potrebbero finanziare persone che non frequentano solo perché non possono permetterselo. 

In un'ottica di "design" ottimale dunque, anche ammettendo le esternalità di cui parli, non è per niente ovvio che l'attuale configurazione delle tasse sia ottimale. 

L’analisi dei dati è assolutamente interessante e, mi pare, accurata. Lascia un po’ perplessi il modo in cui viene utilizzata nella conclusione di proposta politica.

“Sussidiare gli studi con rette universitarie che non coprono i costi rappresenta, nei fatti, un trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi.”

Cioè: dato che chi va all’università sono i ricchi -e noi lo prendiamo come un dato e non un qualcosa da modificare- facciamo pagare loro una retta che copra il costo vero: se i costi (o parte di essi) sono coperti dallo Stato e quindi dalle tasse di tutti, i soldi di tutti andranno a beneficio solo dei più ricchi.

Un po’ come se lo Stato sovvenzionasse i SUV: i SUV se li comprano solo i ricchi, quindi sovvenzionarne l’acquisto significa trasferire risorse da tutti ai soli ricchi.

Ma l’Università e i SUV non sono la stessa cosa.

Questo mi pare piuttosto intuitivo: l’accesso all’Università è un diritto, quello al SUV no. Quindi il problema che emerge dai dati che presentate è esattamente il fatto che vi possano accedere in pochi. Possiamo poi ancora dire che l’università è un bene quasi-pubblico: una persona che decide di andare all’università produce esternalità positive sul resto della società che non possono essere internalizzate nel prezzo dei suoi studi (indipendentemente dalla disciplina, mi permetto di dire).

E poi: perché in Italia il reddito della famiglia di origine pesa così tanto? Proprio perché i costi degli studi universitari sono evidentemente già troppo elevati (quantomeno rispetto al beneficio atteso che le persone pensano di trarne: e qui c’è il problema di un mercato del lavoro che non premia chi studia, ma questo è un altro capitolo). È utile ricordare che l’Italia è uno dei Paesi dell’Europa continentale in cui frequentare l’università costa di più: non è affatto “gratis” come sostenete (ma bisogna uscire dal mondo anglosassone come unico metro di paragone).

 

Insomma, quello che prospettate pare essere una "presa d'atto" del fatto che l'università è un posto solo per ricchi e una cristallizzazione di questa situazione.

Nelle risposte ai commenti, invece, dite che la sorte dell’accesso all’università dei poveri vi interessa. Però, se devo essere sincera, non capisco bene quale sia la vostra proposta: per fare in modo che i ricchi (quelli che oggi pagano 2000) paghino di più, e i poveri (quelli dei 400) di meno, basta aumentare la retta per i ricchi e abbassare quella dei poveri (scusate la banalità), cioè rendere più progressivo il pagamento della retta: va bene, sono d’accordo, ma non c’entra nulla con quanti soldi ci mette lo Stato.

In altri punti, mi sembra invece che sosteniate l’idea che effettivamente lo Stato non debba finanziare le università e che queste debbano finanziarsi completamente con le rette degli studenti, facendo quindi pagare rette elevate a tutti, ma provvedendo a borse di studio per chi non se le può permettere (immagino per i “poveri e meritevoli”). I ricchi potranno entrare anche se imbecilli (passatemi la sbrigatività), perché pagano, e la meritocrazia si applicherà solo ai poveri? Oltre al problema di un’università completamente finanziata dall’”utenza”, con possibili limiti di qualità e libertà dell’insegnamento e della ricerca...

Sul “chi paga”, invece, quando è la fiscalità generale a metterci i soldi: tutti, ma i più ricchi pagano di più perché l’IRPEF è un’imposta progressiva. Rendiamo la progressività più forte, tassiamo di più la ricchezza accumulata o i redditi che ne derivano, .. Su questo sarei d’accordo.

 

segnalo uno studio recente di Pugliese e Gragnolati che arriva a conclusioni opposte a quelle di Moro:

www.roars.it/online/il-profilo-redistributivo-delluniversita-pubblica-italiana/

Non arriva a conclusioni opposte, semplicemente mostra che l'IRPEF e' legermente piu'  progressiva della partecipazione universitaria.

Dal secondo grafico si vede che, a parte l'ultimo decile dei frequentanti, il saldo netto della spesa e' sostanzialmente piatto. Se si tenesse conto delle imposte regressive e dell'evasione, si finirebbe per ammettere che i poveri pagano di piu. 

la cosa mi sembra meno netta per le classi centrali e più per quelle estreme. Dalla distribuzione di lorenz riportata nel grafico, sembra che il 1° quintile più basso di reddiito conti l'8% dei laureati, poi il 2°, il 3° e il 4° circa il 12%, mentre il 5° quintile più alto circa il 55% del totale dei laureati. Se si considerano le varie stime disponibili sulla distribuzione del reddito e dei consumi tra famiglie (Istat e Banca d'Italia), e si fa un calcolo approssimativo di quanto pagano di imposte (Iva e Irpef sopratutto) i vari gruppi sul totale, mi pare che si possa dire che il 1° e il 5° quintile siano dei beneficiari netti (entrambi pagano meno della loro quota di laureati), mentre il 4° sia quello che ci perde in modo netto. Per il 2° e il 3° la cosa è meno netta e meriterebbe extra time.