Un primo spunto è stato offerto da una sessione sulle cause della crescita durante la quale Giovanni Federico ha offerto un riassunto delle principali teorie sulle cause primarie della rivoluzione industriale. Alla cauta analisi di Giovanni, che non suggeriva molte certezze riguardo a quale fosse la teoria “giusta”, Deirdre McCloskey ha offerto una replica piuttosto drastica: secondo lei nessuna delle principali cause “economiche” può spiegare la rivoluzione industriale. Il vero motore dello sviluppo economico sarebbe invece costituito da alcuni fattori umani, in particolare dalla dignità e libertà che le culture moderne/occidentali offrono ai valori borghesi, come l’accumulazione della ricchezza. La borghesia esisteva anche prima della rivoluzione industriale, ma solo quando le società olandesi ed inglesi del 18esimo secolo hanno dato dignità e libertà alle classi medie, allora la crescita è partita esponenzialmente. Un simile fenomeno lo stanno sperimentando le società indiana e cinese, secondo McCloskey.
Per esempio, faceva notare che in autori pre-industriali come Shakespeare, la middle-class fosse marginalizzata, piuttosto che posta al centro della narrativa e delle aspirazioni dei protagonisti (come invece in autori successivi). Un suo studente si è preso la briga di far notare come burocrati e polizia fossero gli eroi dei film di Bollywood degli anni '60 e '70, dove tipici valori imprenditoriali come il successo economico ed il profitto venivano stigmatizzati. Nei film di produzione recente invece, il burocrate è annoverato fra i "cattivi", mentre l'imprenditore è diventato il tipico eroe.
La teoria è certamente degna di interesse, e per capirla meglio occorrerebbe leggere i quattro volumi dell’opera (incompleta) che McCloskey sta scrivendo, in particolare il terzo volume, disponibile in versione preliminare. L’aspetto meno chiaro della teoria è la sua verificabilità empirica, che McCloskey sostiene sia possibile. La sua tesi è che anche la misurazione di quantità economiche come il concetto di “capitale” richiede notevoli assunzioni e non sia poi di difficoltà inferiore della misurazione di grandezze di tipo “umanistico”.
Non mi è nemmeno chiaro quale approccio metodologico proponga. Gli esempi presentati sopra sembrano suggerire un’analisi del testo di opere artistiche e letterarie ma come, concretamente, si possano misurare dignità e libertà non ce lo ha detto chiaramente.
Durante un’altra sessione sul ruolo della Neuroeconomia (svoltasi curiosamente dentro ad un caffé, con un centinaio di partecipanti seduti attorno ai tavoli), McCloskey si è trovata in sintonia con Aldo sulla necessità di andare più a fondo nel capire come la mente umana funzioni nel compiere scelte economiche. Ma allo stesso tempo, lo ha criticato per aver adottato un approccio (quello sperimentale) che parte da zero, ignorando ciò che poeti, filosofi e artisti ci hanno insegnato da anni sulla mente umana. Ho fermato Deirdre dopo la sessione per capire meglio cosa volesse dire e, assieme ad Aldo, abbiamo chiacchierato a lungo con lei su questo tema. Oltre a sorbirci la solita tiritera sul ruolo della retorica nelle scienze sociali (sulla quale credo abbia ragione), Deirdre ha sollecitato una maggiore interdisciplinarietà metodologica nello studio dell’economia. Dovremmo, cioé, incorporare nello studio dell’economia quanto ci hanno insegnato poeti e filosofi (riprendendo in un certo senso quanto sviluppato il giorno prima sulle cause della crescita).
Un esempio: uno dei temi neuroeconomici affrontati da Aldo è capire come le persone si pongano nei confronti della meritocrazia. Esiste un istinto innato ad accettare differenze di reddito? Siamo biologicamente pre-programmati ad accettare di essere superati in status e reddito da chi ha maggiore abilità? Tema certamente interessante, presente per esempio, suggeriva Aldo, in “Orgoglio e Pregiudizio”, di Jane Austen. È chiaro che leggendo Austen e Shakespeare si può certamente imparare qualcosa sul tema, ma non è chiaro, a me e ad Aldo, come si possa categorizzare sistematicamente questo tipo di evidenza. Per Aldo, l’idea di affrontare questo tipo di argomentazioni è suscettibile di troppe critiche: più semplice convincere la professione usando metodi tradizionalmente ritenuti accettabili nell’ambito della disciplina: l’analisi quantitativa - sperimentale. Ma per McCloskey, ciò che è ritenuto accettabile è frutto di artifici retorici che li hanno resi tali. Se è solo retorica, bisogna cominciare a cambiarla.
In sostanza, per McCloskey la scienza economica si trova di fronte ad un vicolo cieco, e per uscirne ha bisogno di un’infusione di cultura umanistica. C’è troppa specializzazione. Essere in grado di adottare un approccio del genere però, le ho fatto notare, è piuttosto difficile: non solo dobbiamo impararci la matematica, dovremmo anche leggerci Omero, Dante e Shakespeare. La sua risposta? “Yes, science is difficult”.
Caro Andrea, mi fa molto piacere che sia stata una donna a fermarti e a farti riflettere. Questo pezzo sulla necessita' di affiancare economia e materie umanistiche ci voleva (certo Deirdre non verra' dal classico, ma ti ha colpito talmente da farti scrivere). Sinceremanete mi ha colpito quello che riferisci e se ne dovrebbe parlare di piu'.
grazie