Riflessioni su economia e materie umanistiche

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Partecipare da relatore al Salamanca Social Science Festival è stata un’esperienza molto interessante, ma ancora più arricchente è stata la possibilità di chiacchierare e discutere con relatori e partecipanti dopo le sessioni, a cena, nei caffé, o semplicemente passeggiando da una sessione all’altra. Vorrei condividere qui alcune riflessioni sollecitate da queste conversazioni.

Un primo spunto è stato offerto da una sessione sulle cause della crescita durante la quale Giovanni Federico ha offerto un riassunto delle principali teorie sulle cause primarie della rivoluzione industriale. Alla cauta analisi di Giovanni, che non suggeriva molte certezze riguardo a quale fosse la teoria “giusta”, Deirdre McCloskey ha offerto una replica piuttosto drastica: secondo lei nessuna delle principali cause “economiche” può spiegare la rivoluzione industriale. Il vero motore dello sviluppo economico sarebbe invece costituito da alcuni fattori umani, in particolare dalla dignità e libertà che le culture moderne/occidentali offrono ai valori borghesi, come l’accumulazione della ricchezza. La borghesia esisteva anche prima della rivoluzione industriale, ma solo quando le società olandesi ed inglesi del 18esimo secolo hanno dato dignità e libertà  alle classi medie, allora la crescita è partita esponenzialmente. Un simile fenomeno lo stanno sperimentando le società indiana e cinese, secondo McCloskey.

Per esempio, faceva notare che in autori pre-industriali come Shakespeare, la middle-class fosse marginalizzata, piuttosto che posta al centro della narrativa e delle aspirazioni dei protagonisti (come invece in autori successivi). Un suo studente si è preso la briga di far notare come burocrati e polizia fossero gli eroi dei film di Bollywood degli anni '60 e '70, dove tipici valori imprenditoriali come il successo economico ed il profitto venivano stigmatizzati. Nei film di produzione recente invece, il burocrate è annoverato fra i "cattivi", mentre l'imprenditore  è diventato il tipico eroe.

La teoria è certamente degna di interesse, e per capirla meglio occorrerebbe leggere i quattro volumi dell’opera (incompleta) che McCloskey sta scrivendo, in particolare il terzo volume, disponibile in versione preliminare. L’aspetto meno chiaro della teoria è la sua verificabilità empirica, che McCloskey sostiene sia possibile. La sua tesi è che anche la misurazione di quantità economiche come il concetto di “capitale” richiede notevoli assunzioni e non sia poi di difficoltà inferiore della misurazione di grandezze di tipo “umanistico”.

Non mi è nemmeno chiaro quale approccio metodologico proponga. Gli esempi presentati sopra sembrano suggerire un’analisi del testo di opere artistiche e letterarie ma come, concretamente, si possano misurare dignità e libertà non ce lo ha detto chiaramente.

Durante un’altra sessione sul ruolo della Neuroeconomia (svoltasi curiosamente dentro ad un caffé, con un centinaio di partecipanti seduti attorno ai tavoli), McCloskey si è trovata in sintonia con Aldo sulla necessità di andare più a fondo nel capire come la mente umana funzioni nel compiere scelte economiche. Ma allo stesso tempo, lo ha criticato per aver adottato un approccio (quello sperimentale) che parte da zero, ignorando ciò che poeti, filosofi e artisti ci hanno insegnato da anni sulla mente umana. Ho fermato Deirdre dopo la sessione per capire meglio cosa volesse dire e, assieme ad Aldo, abbiamo chiacchierato a lungo con lei su questo tema. Oltre a sorbirci la solita tiritera sul ruolo della retorica nelle scienze sociali (sulla quale credo abbia ragione), Deirdre ha sollecitato una maggiore interdisciplinarietà metodologica nello studio dell’economia. Dovremmo, cioé, incorporare nello studio dell’economia quanto ci hanno insegnato poeti e filosofi (riprendendo in un certo senso quanto sviluppato il giorno prima sulle cause della crescita).

Un esempio: uno dei temi neuroeconomici affrontati da Aldo è capire come le persone si pongano nei confronti della meritocrazia. Esiste un istinto innato ad accettare differenze di reddito? Siamo biologicamente pre-programmati ad accettare di essere superati in status e reddito da chi ha maggiore abilità? Tema certamente interessante, presente per esempio, suggeriva Aldo, in “Orgoglio e Pregiudizio”, di Jane Austen. È chiaro che leggendo Austen e Shakespeare si può certamente imparare qualcosa sul tema, ma non è chiaro, a me e ad Aldo, come si possa categorizzare sistematicamente questo tipo di evidenza. Per Aldo, l’idea di affrontare questo tipo di argomentazioni è suscettibile di troppe critiche: più semplice convincere la professione usando metodi tradizionalmente ritenuti accettabili nell’ambito della disciplina: l’analisi quantitativa - sperimentale. Ma per McCloskey, ciò che è ritenuto accettabile è frutto di artifici retorici che li hanno resi tali. Se è solo retorica, bisogna cominciare a cambiarla.

In sostanza, per McCloskey la scienza economica si trova di fronte ad un vicolo cieco, e per uscirne ha bisogno di un’infusione di cultura umanistica. C’è troppa specializzazione. Essere in grado di adottare un approccio del genere però, le ho fatto notare, è piuttosto difficile: non solo dobbiamo impararci la matematica, dovremmo anche leggerci Omero, Dante e Shakespeare. La sua risposta?  “Yes, science is difficult”.

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Commenti

Ci sono 118 commenti

Caro Andrea, mi fa molto piacere che sia stata una donna a fermarti e a farti riflettere. Questo pezzo sulla necessita' di affiancare economia e materie umanistiche ci voleva (certo Deirdre non verra' dal classico, ma ti ha colpito talmente da farti scrivere). Sinceremanete mi ha colpito quello che riferisci e se ne dovrebbe parlare di piu'.

grazie

Approfitto di questo post per sproloquiare un po'.

Io sono un professore di greco serenamente convinto della bontà di una buona formazione umanistica di base, se unita ad una sana mentalità scientifica (che è la carenza forte, antica e crociana del NOSTRO umanesimo, non dell'umanesimo in generale).

Non ho idea di come si possa gettare nel calderone dell'analisi economica l'"Umanesimo" tutto intero, anche perché mi par di capire che si vorrebbe farlo a livello accademico, non per "popularization" (vedo già una nota a pié di pagina: "cfr Shakespeare 1604 e Dante 1308").

Quindi la provocazione dello studioso mi sembra un po' una fesseria. Ma non lo è per niente se anziché di "ricerca di punta" e accademia parliamo di scuole.

Pensiamo al classico: dover "immedesimarsi" o comunque entrare nella testa di un paio di civiltà scomparse può essere un'ottima palestra per poi esercitarsi su temi accademici ma ancora innervati dall'alea del libero arbitrio quali la molla dell'agire economico (Hari Seldon ve lo potete solo sognare, ancora).

E leggetevi Dante, Omero e Shakespeare nel tempo libero, che male non vi fa!

Beh, il ciclo Foundation finisce con l'innestarsi con il ciclo dei robot, per cui, secondo IA, saremo guidati da un robot. Meno umanesimo di così...-)

Ma i professori di greco non dovrebbero solo abbeverarsi ai sacri testi, e lasciare agli altri la science fiction ?

E leggetevi Dante, Omero e Shakespeare nel tempo libero, che male non vi fa!

Io oggi durante un viaggio aereo ho letto i Memorabilia di Xenophon (in realtà la celeberrima traduzione in Inglese del 1712 di Edward Bysshe nell'edizione edita da Henry Morley nel 1888 ed intitolata da quest'ultimo "The Memorable Thoughts of Socrates").

Confesso però di non aver ancora letto l'Οἰκονομικός Συμπόσιον, che per quanto ricordi è il testo che ha dato il nome alla scienza di cui si tratta su NfA  ;) 

 

McCloskey la scienza economica si trova di fronte ad un vicolo cieco

 

Mi sembra lo stesso vicolo in cui ci eravamo cacciati nei commenti di un articolo di Giovanni Federico (sempre colpa sua :-) ), dove si cercava di quantificare il "capitale sociale".

Se è innegabile che una maggiore "interdisciplinarietà metodologica", con un occhio di riguardo all'umanesimo, possa aiutare molto nel capire l'evolversi di una cultura/società e quindi lo studio economico (ad esempio: a capire perchè alcuni incentivi funzionino coi tedeschi e non con gli italiani), è altrettanto vero quello che dice Aldo: come lo quantifichi? Perchè deve essere misurabile e provabile, altrimenti siamo al barsport!

Oltretutto cosa "integrare", "come" e "perchè" non è di facile intuizione . Sento citare Shakespeare ed Omero, facile coi classici.

Ma chi sono gli Omero di oggi per l'Italia? Quelli che possono rivelarci the innermost tought della società italiana? I film di Fellini o le commedie di Monicelli? I libri di Calvino o quelli di Guareschi? L'arte "popolare" o l'arte "alta" (divisioni non mie, ma è per capirsi).

Perchè non si può mica leggere tutto. Insomma: sarebbe da fare, ma come si fa?

 

Ma chi sono gli Omero di oggi per l'Italia, che possono rivelarci the innermost tought della società italiana

Lando Buzzanca e Alvaro Vitali. Dai, troppo facile...

Ammetto il mio pregiudizio antiumanistico immediatamente, ma ci si guardi da svegliare Petrarca e Leon Battista Alberti. se si debba essere "inter"disciplinari perche' non guardare alla meccanica quantistica? perche' si fatica a capire che vuol dire? (al momento nulla, visto che tutti i modelli predicono la stessa cosa e nessuna sa cosa la "cosa" sia [il mondo dicono alcuni, un sottoinsieme di particelle minuscole, alcune mai trovate...]??

se si debba essere "inter"disciplinari perche' non guardare alla meccanica quantistica?

Potete guardarci, se volete, ma ricordando che gli elettroni non sono in grado di cambiare il proprio spin o la propria carica elettrica; gli agenti economici invece cambiano le proprie "costanti di accoppiamento" quando vogliono...

RR 

 

(...) alla meccanica quantistica? perche' si fatica a capire che vuol dire? (al momento nulla, visto che tutti i modelli predicono la stessa cosa e nessuna sa cosa la "cosa" sia [il mondo dicono alcuni, un sottoinsieme di particelle minuscole, alcune mai trovate...]??

 

A dire il vero la meccanica quantistica predice un sacco di fatti sperimentalmente verificabili (e in effetti verificati con grandissima precisione), ed e' alla base sia della nostra comprensione teorica dello stato solido della materia che di un enorme numero di applicazioni (laser, risonanza magnetica, semiconduttori, etc.). E' infine probabile che nella sua versione relativistica sia la teoria scientifica maggiormente in accordo con gli esperimenti. Diciamo che il mondo come lo intendiamo a partire dalla seconda meta' del secolo non sarebbe lo stesso senza la comprensione che abbiamo della meccanica quantistica.

Temo che, a causa della cattiva letteratura di divulgazione, si confonda con la teoria delle stringhe (che in effetti e' una teoria matematica al momento senza ricadute osservabili) o il cosidetto modello standard, una teoria di campo quantistica in grado di spiegare tutta la fisica delle alte energie a partire da una serie di costanti empiricamente determinate. Del modello standard nella sua formulazione classica, peraltro, sono state trovate tutte le particelle predette meno il celeberrimo bosone di Higgs.

Contrariamente a Giuliana, trovo le affermazioni di Deirdre assolutamente non convincenti. Il problema è sempre il solito: perchè la libertà e dignità dei valori borghesi si sarebbero improvvisamente estese alle classi medie nell'Europa Nord-Occidentale nel 17 secolo (ma non nella Firenze del 13°)? E comunque la diffusione dei valori borghesi NON è misurabile, nonostante le affermazioni di Deirdre.

Aggiungo che la mia  analisi (in quindici minuti!) è cauta proprio perchè non credo che ci sia una sola causa della rivoluzione industriale. Fra le varie spiegazioni, preferisco quella di Allen (The industrial revolution in global perspective, CUP 2009) ma non penso sia sufficiente da sola.

Anch'io sono molto scettico. Fra le altre cose, Deirdre, esperta di retorica in economia, sa esattamente come trattare il suo pubblico: usa l'artificio retorico di negare completamente validita' a opinioni alternative, con argomenti a volte piuttosto deboli, ma la cui debolezza si perde nella forza delle sue argomentazioni, corredata da una notevole capacita' discorsiva (nonostante la balbuzie).  

 

perchè la libertà e dignità dei valori borghesi si sarebbero improvvisamente estese alle classi medie nell'Europa Nord-Occidentale nel 17 secolo (ma non nella Firenze del 13°)? E comunque la diffusione dei valori borghesi NON è misurabile, nonostante le affermazioni di Deirdre.

 

Mi conforta leggere quanto scritto da Giovanni Federico, perché stavo pensando la stessa cosa. Perché non in una qualunque delle epoche in cui fare il mercante era molto rewarding, sia economicamente che socialmente? In base alla storia raccontata dalla McCloskey, addirittura nella Roma sotto Traiano (almeno stando alle mie letture sull'argomento, da non specialista), ci potrebbero essere i presupposti per l'innesco della Rivoluzione.

I "valori borghesi", poi, oltre a non essere misurabili non sono neppure univoci. Posso sbagliarmi, ma vedo delle differenze non secondarie tra la figura del self-made man tanto caro alla cultura del sogno americano (persona non avversa a rischiare del proprio, talvolta inventore e talaltra sperimentatore), ed il borghese tipicamente mitteleuropeo raccontato da Max Weber (e preso in giro, tra gli altri, da Jack London nel Martin Eden), di ispirazione calvinista, che persegue i valori della prudenza e della misura. A quale set di valori intende riferirsi McCloskey nel suo libro?

 

perchè la libertà e dignità dei valori borghesi si sarebbero improvvisamente estese alle classi medie nell'Europa Nord-Occidentale nel 17 secolo (ma non nella Firenze del 13°)?

 

 

Una domanda per il prof. Federico, sperandodi non essere banale, ma solo sintetico.

Ci può essere una correlazione tra sviluppo industriale, diffusione dei valori borghesi  e le scoperte geografiche ?

Voglio dire, l'accesso, dal '500 in poi, a terre nuove e non sfruttate, ricche di materie prime e nuove risorse alimentari, può essere stato il terreno di coltura dal quale è emersa poi la nuova organizzazione sociale ?

Il fatto che la Spagna controllasse le miniere di oro e argento del Sud-America, mentre Francia, Inghilterra e Olanda le terre del nord, meno ricche di metalli preziosi, può aver influito sulla maggiore propensione allo sfruttamento puro e semplice delle risorse da parte degli spagnoli, rispetto alla necessità di una maggiore industriosità da parte dei nord-europei ?

Il fatto di non avere accesso alle nuove terre spigherebbe il declino dello spirito borghese e imprenditoriale  in Italia ? In fondo Venezia era una aristocrazia mercantile che si trasforma in aristocrazia terriera man mano che le si chiudono i mercati di sbocco.

Ci sono studi in materia ?

 

 

non credo che ci sia una sola causa della rivoluzione industriale

Penso che chiunque non parta da questa premessa meriti una buona dose di scetticismo.

Sia sul tema rivoluzione industriale che su qualsiasi altro oggetto di analisi sul quale non sia possibile identificare in via risolutiva la forza delle "spiegazioni candidate" con i dati a disposizione. Nel caso descritto dall'articolo c'è inoltre l'aggravante che molto difficilmente nuovi dati diverranno disponibili (anche se è possibile individuare alcuni esempi, se non ricordo male citati qui su nFA).

Quando affrontai il tema della rivoluzione industriale e delle sue premesse durante un corso di sociologia del mutamento, trovai convincente l'ipotesi "rivoluzioni industriose" proposta da De Vries (proposta in origine qui, ma ripresa anche in una monografia recente).

 

Potrei domandarle se secondo lei le condizioni economiche e politiche erano favorevoli per una rivoluzione industriale (a Firenze o altrove) nel XIII sec?

 

Che testo/i consiglierebbe invece sulle origini del capitalismo? C'è qualcosa di interessante là fuori?
Grazie!

Concordo, 100% (inclusa la preferenza per la spiegazione di Allen ... ma qui c'è un interesse privato). Deirdre, che non sembra voler prendere in considerazione i fatti quando contraddicono le sue opinioni, sembra non coler riconoscere che la "dignità borghese" è ben forte, per dire, in Venezia e nelle città della Lega Anseatica alcuni secoli prima della RI. E che quest'ultima si sviluppa in Inghilterra ma NON nei Paesi Bassi, i quali pure avevano (secondo lei) acquisito (e da prima) quella dignità borghese che è il fattore (necessario e/o sufficiente, mai che ce lo dica) per "causare" la RI ...

P.S. Rivelatrice l'arrivo immediato di gente che ci consiglia di leggere i classici ... devono sapere, evidentemente, che non li avevamo/avremmo letti senza il loro consiglio. Sempre più imbarazzantemente prevedibili i "classicisti" italici ...

 

Mi sembra, quello della Deirdre, quasi un approccio marxista alle questioni economiche: la società poi crea le premesse per dei rapporti economici (questo spiegherebbe anche perchè non si è avuta nel medioevo la rivoluzione industriale: era una società in cui la chiesa aveva non solo un suo ruolo, ma anche la possibilità di influenzare la società, Max Weber, bene o male questo disse), tanto che Marx si studia sia in sociologia che in economia (con grave danno per entrambe, visto che era un filosofo).

Non so dire, convengo con Giovanni Federico, anche se non sono uno storico, che è difficile dire rispetto a un fenomeno quale sia la causa precisa, non mi sembra possibile dire che fenomeni sociali abbiano un rapporto causa-effetto, poi magari ci saranno delle eccezioni, ma allo stato, per esempio, potremmo identificare il rapporto causa-effetto di quella che, sicuramente,un giorno sarà chiamata la rivoluzione informatica ? Come inquadrerebbe la Deirdre la fenomenologia del PC ? 

Se la Deirdre avesse ragione (con più social science possiamo meglio comprendere le fasi economiche) Steve Jobs sarebbe un sottoprodotto della "cultura nerd". Non regge.

Solo che l'analisi della Deidre regge, per assurdo, proprio sull'esempio italiano: Alvaro Vitali è stretto parente del tunnel della Gelmini. E se fossimo, noi italiani, un case study perfetto per una teoria della fusione fredda fra umanesimo ed economia ? Ci devo pensare un pò.

 

usa l'artificio retorico di negare completamente validita' a opinioni alternative, con argomenti a volte piuttosto deboli

 

Insomma come chi vuole convincermi che la crescita economica è infinita ed il mercato si regola da solo con una "mano magica". O perchè non citare, in altre campi, il proiettile magico della comunicazione ed altri artifici retorici di cui ci si dota per spiegare una realtà non misurabile.

L'interconnessione del tessuto economico rende qualsiasi analisi una grossolana approssimazione, pertanto trattare l'economia come una scienza "dura" non fa che esporre la disciplina ad una serie di fallimenti globali (e successi particolari, come succede ogni volta che si fanno delle approssimazioni).

A me pare che gli spunti dovuti alle scienze sociali siano più utili all'evoluzione dell'economia rispetto alle solo scienze statistiche o matematiche.

E la chiosa è degna di nota: "Science is difficult"

Mi pare evidente che in questa discussione vi sia un grande assente, ossia l'evoluzione scientifica e tecnologica. Sebbene questa possa essere accelerata o ritardata indefinitamente da fattori economici e culturali, essa ha comunque una tempistica propria che determina, date le condizioni al contorno, lo sviluppo di una società industriale. Detto in altre parole: era necessario che si accumulassero innumerevoli conoscenze e capacità prima che la rivoluzione industriale potesse partire, per cui momenti apparentemente favorevoli della storia (che so, l'età degli Antonini o il basso medioevo) non hanno potuto dare inizio al fenomeno.

Note added in proof: ma nessuno qui ha studiato Sid Meier? :-)

 

Sa noi storici economici siamo così ingenui: meno  male che ci sono i videogames a illuminarci...

 

Deirdre ha sollecitato una maggiore interdisciplinarietà metodologica nello studio dell’economia. Dovremmo, cioé, incorporare nello studio dell’economia quanto ci hanno insegnato poeti e filosofi.

 

Già, e perché allora non la psicologia?
Si parla di aspettative razionali ma noi non siamo solo esseri razionali. Subiamo contaminazioni sia di tipo infantile (illusioni) sia di tipo genitoriale (pregiudizi) ed entrambi distorcono la nostra facoltà di scelta. Chiaramente ogni epoca ha la sua razionalità, le sue illusioni, i suoi pregiudizi e quindi partirei dalle analisti che allora fece eric berne ed i suoi giochi di ruolo.

Credo che sia indubbio il ruolo della psicologia nel mercato (borsistico e non), nelle scelte del consumatore.

Probabilmente la letteratura e l'umanistica sono gli unico strumenti che abbiamo per capire la psicologia del passato.

 

Già, e perché allora non la psicologia?

Vero. Come ho scritto piu' su', il marketing e la psicologia giocano un ruolo in campo economico. D'altronde gli investitori non sono influenzati emotivamente da dichiarazioni piu' o meno fantasiose/scherzose dei "prime ministers"?

L'economia e' una scienza che non prevede la ripetibilita' degli esperimenti...

Già, e perché allora non la psicologia?

O meglio ancora teoria dei sistemi e del controllo.

Kolmogorov, Nyquist, Lyapunov, Black, Ragazzini, ...

E' un interessante spunto per una cena educata con colleghi tedeschi noiosi. Grazie, un po' d'aiuto serve sempre.

Le argomentazioni della tipa riportate nel testo suggeriscono cmd+Q sul mio mac.

A meno che non si cerchi di ingannare il tempo con una bella logical fallacy: If it walks like a duck (la scienza usa le parole), quacks like a duck (le parole hanno un valore retorico intrinseco), then it's a duck (la scienza e' intrinsecamente retorica).

Tastiera tedesca = niente accenti, tocca usare l'apostrofo. 

Comunque Omero e' fantastico.

 

 

Confesso di essermi quasi pentito di aver messo questo post. Diamo un po' di credito a Deirdre che è un'economista seria con una notevole cultura. Sta provando a mettere in piedi una cosa che magari sarà anche campata per aria, ma qualcuno deve pur provarci. Leggiamo almeno l'outline dei quattro volumi prima di giudicare. 

Secondo appunto, a tutti quelli che parlano del ruolo dell'innovazione. Crescita e innovazione sono praticamente la stessa cosa: certo, possiamo tutti metterci a correre più velocemente quando raccogliamo le patate, e questo fa aumentare il GDP, ma non più di tanto. Per crescere davvero bisogna innovare. Quindi, dire che la crescita nasce dall'innovazione non spiega granché.  

Se corro piu' veloce avro' raccolto le patate in un tempo inferiore ma non ho moltiplicato le patate da raccogliere. Come aumenterebbe il GDP?

e fai male, ad esserti pentito. Perche' la riflessione, cosi' come da te enunciata, andava molto bene.

Quello di cui puoi dispiacerti e' lo spin che ne e' seguito di cui tu non sei responsabile.

Dal mio punto di vista hai fatto molto bene a scrivere questo PASSAPAROLA, e se la maggioranza degli interventi si fosse attenuta al tuo tono, la riflessione sarebbe continuata in un binario piu' produttivo.

A me dispiace sempre quando se non si e' d'accordo invece di esporre si "prende in giro" . So che a voi di nFA piace tanto scanzonarvi, ma questo diventa riduttivo. 

Tornado alla riflessione: hai fatto bene ad esporla e mi piacerebbe che tu la approfondissi con lo stesso spirito in cui l'hai iniziata.

grazie

Nel caso possa interessare, su HEI - History of Economic Ideas, vol.15, n.2, 2007, si trova un review essay molto critico di Sergio Cremaschi (filosofo dell'economia di Uni Piemonte Orientale) sul primo volume della quadrilogia della McCloskey, The Bourgeois Virtues. Ethics for an Age of Commerce.

A richiesta, domani posso fornire il pdf (non l'ho disponibile da dove scrivo).

[Disclaimer: il sottoscritto è book review editor della suddetta rivista]

Io ho trovato il post molto interessante, quindi grazie. e -come mi succede spesso- non rispondo perchè vorrei avere il tempo di leggere almeno i principali riferimenti che si fanno, per evitare di dire/sostenere stupidaggini.

 

Stavolta però dico quello che penso cercando di semplificare senza eccessivamente banalizzare. Due cose:

1. la rappresentazione del comportamento umano adottata in alcune fasi della storia del pensiero economico (non quella di A. Smith, ad esempio) mi ha sempre lasciata assolutamente insoddisfatta.

E' una rappresentazione che non ha nulla a che fare con la complessità che non solo la letteratura, il teatro, i film ci rappresentano, ma anche molto più semplicemente quello che ciascuno di noi sperimenta quotidianamente. 

2. la necessità di quantificare.....non voglio essere provocatoria: ma non è che di fronte alla complessita di un fenomeno sociale (come quello economico), la quantificazione è una metodologia che "rassicura" chi la adotta ...e gli interlocutori?

 

la necessità di quantificare.....non voglio essere provocatoria: ma non è che di fronte alla complessita di un fenomeno sociale (come quello economico), la quantificazione è una metodologia che "rassicura" chi la adotta ...e gli interlocutori?

 

Può anche essere, ma non cambia di nulla il fatto che "quantificare" sia necessario alla verifica di una teoria. Altrimenti torniamo alla prima psicanalisi o alla frenologia teorie "belle" che si sposavano perfettamente con i nostri pregiudizi e la nostra cultura ..peccato che quantificandole si sono rivelate sbagliate.

 la rappresentazione del comportamento umano adottata in alcune fasi della storia del pensiero economico (non quella di A. Smith, ad esempio) mi ha sempre lasciata assolutamente insoddisfatta.

Di questo si occupa Aldo e la sua neuroeconomia... credo che io e Aldo proveremo a postare qualcosa, perche' non sono soddisfatto della sua risposta ad una mia domanda nella sua sessione. Appena troviamo un po' di tempo ne parliamo.

Penso di aver letto tutti i commenti e sono rimasto abbastanza sorpreso nel constatare che in nessuno,mi pare, si faccia riferimento al fenomeno delle enclosures che permise nell'Inghilterra del 1700 una diversa  e più efficiente organizzazione delle risorse produttive permettendo di aumentare  la produttività nel settore agricolo e l'assorbimento da parte dell'industria della manodopera espulsa favorendo il  settore industriale che ebbe la necessaria disponibiltà di manodopera per far fronte alla domanda di beni provenienti dal settore agricolo e dal commercio con l'estero.Penso che combinati insieme all'aumento demografico,all'innovazione scentifica applicabile ai settori produttivi  tutti questi fattori abbiano reso possibile un aumento della classe dei lavoratori in proprio  molto superiore rispetto alle epoche precedenti  facendo registrare quindi un aumento del benessere generalizzato e la maggior tutela della classe politica dei cosiddetti valori borghesi.Naturalmente il tutto andrebbe corroborato da dati sulla produzione industriale ,aumento della produttività ,aumento demografico ecc,purtroppo non ho il tempo,ma dai miei studi di storia economica mi pare di ricordare  ,in linea generale, che furono questi i principali fattori che innescarono la nascita e lo sviluppo dell'industria e che il cambiamento dei valori nelle società dell'epoca sia  solo il risultato finale del processo.

Questo è un esempio di come le istituzioni siano intervenute nel modificare il sistema giuridico, creando  nuove situazioni favorevoli allo sviluppo di una forza lavoro mobile. Qualcun altro parlerà di proletariato, esercito industriale di riserva, lamenterà le condizioni di vita delle classi popolari nel secolo XIX. 

al fenomeno delle enclosure .. combinati insieme all'aumento demografico,all'innovazione scentifica applicabile ai settori produttivi ..

 

IMVHO se Caesar e Augustus non avessero vinto, o meglio, e l'esito della crisi della Republica fosse stato diverso dal principato, possibilmente in certi scenari avremmo potuto avere una rivoluzione industriale anticipata.

Sappiamo poi dai carotaggi in Groenlandia che la produzione industriale (o almeno la capacità di inquinare!) Romana doveva ad un certo punto essere abbastanza simile a quella raggiunta dall'Europa nel XVI-XVII secolo, possiamo azzardare conservativamente che, indipendentemente dalle inefficienze del principato, il cristianesimo e le invasioni Germaniche ci siano costati almeno 12 secoli di progresso.

 

Sono contento che il tema della rivoluzione industriale inglese attragga tanti commenti, ma farei sommessamente presente che le vaghe reminescenze di un esame di storia economica non sono sufficienti. Suggerirei agli interessati di leggersi almeno Allen e Mokyr, che presentano un quadro aggiornato, anche se parziale e da punti di vista molto personale, delle ricerche in corso e della conventional wisdom fra gli esperti

Andrea, trovo il post interessante, bada bene. Certo non sono d'accordo con il succo del discorso di McCloskey per come lo riporti nel post. E poiché il tempo è poco, mi baso su quello che hai scritto.

Ma ho cominciato a leggere il draft vero e proprio, e mi affascina, come un romanzo.

Sarei molto felice se vi fosse un post di Aldo o altri sulla Neuroeconomia.

Io da parte mia posso dire che nelle Neuroscienze core (sensory/attention/higher order processing) si stanno applicando sempre di più metodi di analisi delle serie temporali (es., Granger causality) mutuati dagli studi di Economia.

Un ottimo esempio di fertile cross-talk.

Va detto che Dreirde ha chiarito subito che parlava dell'inghilterra del 1700, e in buona parte il suo punto era proprio che il progresso tecnologico fosse la vera novità, e che le varie teorie sull' inizio della rivoluzione industriale non spieghino adeguatamente perchè sia iniziato proprio li ed allora. Personalmente non credo sia necessario nesun motivo, e mi pare relativamente plausibile un inizio accidentale ( invenzione del telaio automatico?) di gran successo e la corsa all' imitazione e caccia all'automazione. voglio dire, una volta che sia noto il risultato nel caso tessile e ben diffusa la capacità di produrre macchine, investire in ricerca per automatizzare altre attività sarà stato molto più interessante di pochi anni prima. A Gent, in Belgio, tale Lieven Bauwens è diventato un eroe popolare con tanto di statua in piazza per aver trafugato un telaio automatico dall' inghilterra ed iniziato la rivoluzione industriale nelle fiandre. A meno che la fama l'abbia acquisita postuma direi che l' evento abbia avuto un grande impatto anche a livello di cultura popolare.

Segnalo la trasmissione di questa mattina di Oscar Giannino su Radio24, a cui ha partecipato anche Michele Boldrin, dando una stilettata epocale al prof. Giulio Sapelli, di cui segnalo tra l'altro questa perla sulla necessità di abbandonare il regime democratico per tornare ad una forma di governo di "ottimati" (come nella Grecia classica): http://www.youtube.com/watch?v=pW1ZTnWcrSU.

Gustosissimi ;-)

P.S. Chiedo scusa se sono un po' off-topic.

Questo articolo che linko dice cose sensatissime che ho, a modo mio, pensato parecchie volte. E fa giustamente una critica a un libro della Nussbaum che è terrificante.

In effetti 

"Bisogna imporsi la regola: meglio pochi, ma buoni. Bisogna imporsi la regola: meglio avere un buon materiale umano fra due o anche fra tre anni piuttosto che lavorare affrettatamente, senza alcuna speranza di ottenerlo."

Da Come riorganizzare l'ispezione operaia e contadina, per il XII congresso, divenuto poi celebre come il Meglio meno, ma meglio, l'anno e' il 1923, l'autore V.Ilich Ulianov

Il libro della Nussbaum è terrificante per quello che dice o per la lettura che se ne farebbe in Italia?

Ammetto che ho letto il primo capitolo e solo quello perche' ho altro da fare.

La seconda che ha detto.

a mio avviso una volta che c'e' Caltech e' bene, forse utile, ad essere massimalisti "obbligatorio" far ascoltare ai cosmologi Vincenzo Galilei e fargli leggere Finnegans Wake, cosi' capiscono da chi di tanto padre e perche' i quarks si chiamano quarks. Ho nessuna obiezione. In italia, non c'e' Caltech e insegnerebbero le opere complete di Belen (dicendo che non vi sono certificabili differenze tra alta e bassa cultura, dopo tutto anche eco scrisse di Bongiorno, Mike..)

penso capisca il punto senza elaborazione.

Palma mi perdoni, ma possibile che un uomo della sua cultura non abbia ancora imparato come si mettono i commenti in replica? Ogni volta mi devo rileggere tutti i commenti per capire a chi sta rispondendo :-)