Ci sarà un modo che la gente in Italia possa lavorare in santa pace ...e che tutti siano felici e contenti..

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Provo a rispondere allo sfogo di un attento lettore che chiede lumi sul mercato del lavoro. Le buone domande semplici sono sempre le più difficili a cui trovare risposta.

Ci scrive Davide Cetoloni, sulla Fiat (e altro):

 

.. la Fiat va in Serbia perchè gli costa meno produrre ..ok, per la Fiat va bene, ma per i suoi lavoratori Italiani ? .. e se tutte le grandi aziende ragionassero così, come farebbero gli Italiani a trovare un lavoro stabile in queste aziende ? [..]

vi prego, aiutatemi a capire!!! In questo mondo, giustamente o no, una grande azienda che deve competere a livello internazionale, per sopravvivere, sembra debba per forza andare in altri paesi dove la manodopera costa meno.. o, se è già in questi paesi, mantenere la manodopera a costo basso, e quindi far guadagnare poco ai suoi dipendenti .. cioè farli rimanere "poveri" ...

 

Perchè ??? Dov'è che sbaglio ..

 

E poi conclude col titolo di questo post

 

.. ci sarà un modo per far si che tutte le grandi aziende possano fare allegramente profitto e che la gente in Italia possa lavorare in santa pace ...e che tutti siano felici e contenti..

 

Allora, da dove iniziare? Dal "se tutte le grandi aziende ragionassero così, come farebbero gli Italiani a trovare un lavoro stabile in queste aziende?"

Infatti: se tutte le imprese ragionassero così, badando ai profitti, gli Italiani lavoro stabile (nel senso di immutabile) in quelle aziende non lo troverebbero. Ma la questione non sta nel modo in cui le imprese ragionano: se vogliono stare in piedi non hanno altra maniera di ragionare che quella. La questione è perché, ragionando così, le imprese non scelgono l'Italia (anche quelle che adesso stanno in Serbia, o altrove). Se lo facessero, il lavoro gli italiani lo troverebbero senza problemi. Per analogia: i consumatori vanno nei ristoranti con migliore rapporto qualità/prezzo (ragionano così), ma ci parrebbe assurdo che il ristoratore mediocre e carissimo dicesse: come fa un ristoratore a gestire un ristorante in questo paese?

Ma, continua Davide, allora "una grande azienda che deve competere a livello internazionale, per sopravvivere, sembra debba per forza andare in altri paesi dove la manodopera costa meno".

Questo no, non è vero. Non è vero perché la competizione tra imprese non si gioca solo sul costo della manodopera; chiamiamolo salario, come si faceva una volta. Innanzitutto, quello che determina la competitività relativa del mercato del lavoro in un paese è, semplificando, il rapporto produttività/salario, non il salario per sé (torniamo all'analogia del ristorante: il prezzo non è tutto, conta anche la qualità). La competitività dell'offerta di lavoro in un paese, da parte sua, dipende da molti fattori, a partire dalle rendite che i sindacati ottengono per i lavoratori occupati, fino alla rigidità dei contratti sul mercato del lavoro, e così via. Ma anche il rapporto produttività/salario non è tutto, perché il lavoro non è il solo fattore di produzione di una impresa, generalmente. E allora ecco che la qualità delle scuole che i lavoratori hanno frequentato, delle infrastrutture in cui opera l'azienda, incluso più in generale il sistema legale (certezza del diritto, giustizia civile), ... importano eccome. E importa anche il costo del capitale, che dipende dall'efficienza delle banche del mercato mobiliare ... e l'efficienza delle istituzioni a difesa dei diritti di proprietà dalle rapaci mani della mafia, e dei politici corrotti, ... Mi fermo, ci siamo capiti.

Tipicamente i paesi più sviluppati hanno salari più elevati a parità di produttività, perché i lavoratori godono di maggiori diritti (e/o rendite). Però tipicamente i paesi più sviluppati compensano questo svantaggio competitivo con migliori infrastrutture e servizi, istituzioni più efficienti, mercati del capitale più sviluppati,... Ma se il mercato del lavoro è protetto come in un paese sviluppato, ma le infrastrutture eccetera, non compensano, allora sì che le imprese ad alta intensità di lavoro emigrano.  Et voilà l'Italie.

È questo un dramma irrisolvibile? Davvero non c'è un modo  "per far si che tutte le grandi aziende possano fare allegramente profitto e che la gente in Italia possa lavorare in santa pace"? Ragioniamo con calma che il punto è delicato.

Prima di tutto, il fatto che le imprese ad alta intensità di lavoro emigrino è un vantaggio per i consumatori che ottengono beni a prezzi più bassi. Si tende a dimenticarlo, questo vantaggio, ma non si dovrebbe, è importante.  Nel caso Fiat, i Serbi produrrebbero macchine, lavorando a salari che i lavoratori italiani non accetterebbero, e quindi vendendole a noi a prezzi inferiori a quelli che si otterrebbero se le producessimo noi stessi a Mirafiori.

Ma è vero che se le imprese ad alta intensità di lavoro emigrano, i lavoratori di queste imprese perdono il lavoro. Se estendiamo il ragionamento, tutta la capacità produttiva italiana finirebbe all'estero, in quei paesi il cui costo del lavoro è basso e/o la cui efficienza istituzionale è elevata. A questo punto, in sostanza: se tutto si produce fuori dall'Italia ai consumatori italiani noninteressa più che i prezzi siano bassi - non avrebbero soldi con cui comprarli questi beni perché sarebbero disoccupati in Italia! Questo argomento non è di Davide, ma è frutto di un errore comune cui conviene rispondere per chiarezza. [Ultimamente, in questo errore è incappato Giovanni Sartori sul Corriere, e poi anche il nostro Voltremont - facendo entrambi una figura meschina - qui Guido Tabellini "smaschera" l'errore dell'illustre politologo - la risposta a Voltremont è nel capitolo 3 del nostro libro] Riassumo qui la risposta, che è un classico dell'economia classica: i prezzi si aggiusteranno e anche noi produrremo qualcosa da vendere in cambio delle auto serbe.  La spiegazione di Guido è chiara:

Supponiamo che il costo di produrre una maglietta in Cina sia pari a un ventesimo del costo italiano, e che il costo di produrre una lavatrice in Cina sia un decimo del costo italiano. In regime di libero scambio, l’industria cinese si specializzerà in magliette e importerà lavatrici dall’Italia. Ma come, si chiede Sartori, perché mai i cinesi dovrebbero comprare lavatrici dall’Italia, se possono produrle a un costo dieci volte inferiore? Perché per produrre lavatrici, i cinesi dovrebbero rinunciare a produrre magliette; e, dato il loro vantaggio comparato, questo proprio non gli conviene. È molto meglio per i cinesi produrre magliette, e con il ricavato comprarsi le lavatrici italiane.

Bisogna poi ricordare che queste situazioni di vantaggio comparato non sono immutabili nel tempo. Se in un certo periodo storico l'Italia, ad esempio, godeva di un vantaggio comparato a fare mobili, magliette e altre manifatture, in un periodo soccessivo troverà dei vantaggi comparati a produrre altro. Negli Stati Uniti, ad esempio, il settore manifatturiero è andato riducendosi (come valore aggiunto e numero di occupati) in modo pressocché continuo dagli anni settanta ad oggi. Al tempo stesso sono sorte e hanno avuto enorme successo altre imprese, in altri settori (basti pensare a Google, Microsoft, Amazon, eccetera). Le stesse "grandi aziende" di un tempo, per sopravvivere, devo continuamente reinventarsi e trovare nuovi "business models".

Torniamo al punto di Guido Tabellini. Non solo, dato il loro vantaggio comparato, è molto meglio per i cinesi produrre magliette, e con il ricavato comprarsi le lavatrici italiane; ma, in un certo senso, diciamo pure "in media" (anche se non è propriamente corretto), entrambi i paesi guadagnano dall'aprirsi ai mercati - anche se uno di essi perde la produzione delle imprese ad alta intensità di lavoro.  Anche questo è un risultato classico - utilizzato da David Ricardo come munizione contro i dazi sulle importazioni di grano a meta ottocento in Inghilterra. Ma la "media" è una media, e c'è chi guadagna e chi perde. Nel caso della Fiat in Serbia, guadagna chi compra automobili Fiat e perde chi le produceva a Mirafiori. Il fatto che il paese guadagni "in media" significa che in principio si liberano risorse per compensare chi produceva auto a Mirafiori. Non è cosa facile, compensare chi perde. Per tante ragioni, ma certo si può fare molto meglio e molto di più di quanto non si faccia in Italia. L'incapacità di farlo (compensare, direttamente o indirettamente, chi ci perde) è un'altra conseguenza della carenza di efficienza istituzionale del paese - il cane si morde la coda.

Possiamo concludere quindi che se solo riuscissimo a costruire istituzioni che meglio proteggano i lavoratori che perdono lavoro in seguito all'emigrazione delle imprese tale emigrazione non sarebbe un dramma? In un certo senso sì. Ma solo in un senso molto parziale. Se sia un dramma o meno dipende infatti da quale situazione usiamo a mò di confronto. Capiamoci: il paese guadagna, date le condizioni del mercato del lavoro e delle istituzioni. Ma guadagni molto maggiori sarebbero possibili limitando le rendite sul mercato del lavoro e riformando il paese, le sue istituzioni, etc. Rispetto a una situazione in cui si limitino le rendite che i sindacati ottengono sul mercato del lavoro e/o si rifondi il paese alle radici (dalle autostrade al sistema giudiziario) la situazione presente è un dramma. Un dramma enorme!

Magari si potesse ovviare al dramma semplicemente fermando la Fiat imponendole di stare a Mirafiori, o facendo come abbiamo sempre fatto, e cioé sussidiandola perché stia a Mirafiori (o Pomigliano, o ...). Purtroppo questa strategia non solo non serve (ci andrà qualcun altro a produrre in Serbia e tutti noi compreremo le auto di questo qualcun altro - oppure compreremo Fiat pagando un premio in tasse, che i sussidi alla Fiat ben da lì vengono) ma fa anche male al paese. Fa male perché o la Fiat chiude comunque o sopravvive sui sussidi, il che significa che il paese paga più tasse (ricordiamoci che la Fiat, in questo argomento, rappresenta tutta l'industria ad alta intensità di lavoro) e quindi lavora meno e quindi produce meno e quindi.....

Non ci resta che piangere. Oppure limitare le rendite sul mercato del lavoro, riformare il paese, le sue istituzioni (incluso quelle a protezione dei lavoratori che perdono il lavoro),...

 

 

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Commenti

Ci sono 79 commenti

Un post davvero ottimo, bilanciato, logico, propositivo. Aveva davvero ragione Samuelson nel dichiarare la teoria del costo comparato come vera e non-trivial, per quanto spesso il secondo punto possa essere questionato, da chi è "del settore". 

Scusami Alberto se sono un po' pedante, ma ci sono 3 punti che non mi sono chiari

Prima di tutto, il fatto che le imprese ad alta intensità di lavoro emigrino è un vantaggio per i consumatori che ottengono beni a prezzi più bassi. 

Ma allora le Nike prodotte in Cina dovrebbero costare 20 Euro, e non 200! Mi sono perso qualcosa?

 

 è molto meglio per i cinesi produrre magliette, e con il ricavato comprarsi le lavatrici italiane

Ma se le lavatrici sono, per esempio, rumene invece che italiane?, i.e., e' piu' conveniente produrre A in Cina, B in Grecia, C in Romania, etc., cosa si produce in Italia?

Ma la "media" è una media, e c'è chi guadagna e chi perde. Nel caso della Fiat in Serbia, guadagna chi compra automobili Fiat e perde chi le produceva a Mirafiori.

Suppongo tu indenda dire che le macchine prodotte in Serbia possono essere vendute ad un prezzo piu' basso rispetto a quelle prodotte in Italia?

Ma allora cosa dire delle scarpe Geox: i prezzi sono gli stessi di quanto erano prodotte in Italia, la qualita' no.

Ma allora le Nike prodotte in Cina dovrebbero costare 20 Euro, e non 200! Mi sono perso qualcosa?

Certi modelli di Nike negli USA si trovano per $25-30, il problema, in Italia, e' ANCHE di mancata concorrenza nel settore distributivo. 

Quanto alle GEOX, se non sbaglio hanno un brevetto piuttosto unico (almeno cosi' ci fanno credere) che le pone in una situazione di monopolio (almeno finche' ci crediamo). Il prezzo dunque non cambiera' neanche se si riducesse ulteriormente il costo di produzione. 

Scusami Alberto se sono un po' pedante, ma ci sono 3 punti che non mi sono chiari

non sono un economista ma provo a risspondere così verifico anche se i miei ricordi sono esatti.

Ma allora le Nike prodotte in Cina dovrebbero costare 20 Euro, e non 200! Mi sono perso qualcosa?

Probabilmente prodotte non in Cina costerebbero 300 euro

Ma se le lavatrici sono, per esempio, rumene invece che italiane?, i.e., e' piu' conveniente produrre A in Cina, B in Grecia, C in Romania, etc., cosa si produce in Italia?

Secondo il concetto di vantaggi comparati, ogni paese si specializzerà nel settore e nelle produzioni dove il suo vantaggio esiste ed è consistente. Estendi il ragionamento alle migliaia di prodotti e servizi di cui ogni paese necessita. Siccome neppure a livello di ipotesi è pensabile che un solo paese sia in posizione di vantaggio per il 100% di prodotti e servizi, che in tal caso non venderebbe a nessuno, ogni paese trae vantaggio dallo specializzarsi in quei settori produttivi che il vantaggio comparato lo assicurano.

Ma allora cosa dire delle scarpe Geox: i prezzi sono gli stessi di quanto erano prodotte in Italia, la qualita' no.

Si ripropone il caso delle magliette. Spostare la produzione Geox fuori dall'Italia può ben avere l'effetto di consentire un prezzo di vendita uguale a prima ma che evita gli aumenti che avrebbe subito lasciando la produzione in Italia.

Non so se ho sparato cavolate o cavolate grosse, ma credo funzioni così. In ogni caso, sono pronto per una cazziata :-)

 

Luzo dice bene.

- Nike: liberalizzare il commercio internazionale assicura che tutti prodotti vengano prodotti al costo minore possibile. Quando c'e' concorrenza tra le imprese, cio' significa anche che il prezzo al consumo sia il minore possibile. Le Nike, come dice Luzo, costerebbero di piu' se fossero prodotte in altro Paese. Una noticina al margine: nel caso delle Nike, ovviamente, c'e' un mark-up, cioe' una differenza tra prezzo e costo (marginale). La differenza si deve al fatto che per i consumatori le Nike non sono un sostituto perfetto di altre scarpe e quindi sono disposti a pagare di piu' per averle. Ma questo non e' immediatatemente rilevante.

- Cosa rimane da produrre all'Italia? Per definizione stessa di vantaggio comparato, ciascun Paese deve avere un vantaggio comparato (non assoluto) a produrre qualche prodotto. Ergo: un Paese puo' essere il meno efficiente del mondo a produrre qualsiasi cosa, ma sara' relativamente piu' efficiente ad almeno uno di questi. Se non sono le lavatrici, saranno le cravatte di seta (i Cinesi ricchi comprano le Marinella)

- Geox. Ora Geox e' un marchio conosciuto nel mondo - si applica la noticina di sopra riguardo alle Nike. Produrre all'estero consente a Polegato di minimizzare i costi di produzione (massimizzare l'efficienza produttiva). Questa maggiore efficienza si traduce in minori prezzi in condizioni di concorrenza. Questo non e' esattamente lo scenario in cui opera Geox di questi giorni. E' perfettamente possibile che nel caso la riduzione di costi abbia perlopiu' incrementato i profitti - appunto perche' nel frattempo la reputazione del prodotto e' aumentata.

Ottime risposte, ma se io fossi l'attento lettore che ha posto la questione credo che manterrei le mie (comprensibili) paure.
Si può essere più sollevati sapendo che c'è sempre una manina provvidenziale che riequilibra l'economia e mette tutto a posto, l'importante è che dopo aver lavorato vent'anni in linea assemblaggio riesca a trovare un posto in Amazon.

Il punto di Michele Liati e' well done. La liberalizzazione del commercio internazionale comporta un'ingente riallocazione di risorse, anche e soprattutto umane, da settori che calano o spariscono verso settori che nascono ed altri che crescono. Questo processo puo' rivelarsi molto costoso per coloro che piu' faticano ad acquisire gli skills necessari per trovare impiego nei nuovi settori.

Che sia per motivi etici o per scongiurare che il processo politico osteggi la la liberalizzazione, diventa fondamentale agire in modo tale che questi individui siano messi nella condizione di acquisire gli skills, quando possibile.

La riallocazione intersettoriale di risorse ha contraddistinto la vita dell'uomo a partire dalla rivoluzione industriale. Nella maggiorparte dei casi, la si e' dovuta a scoperte che hanno completamente cambiato i processi produttivi. In ogni caso, e' condizione necessaria per lo sviluppo e il miglioramente delle condizioni di vita.

Cio' che e' cambiato, rispetto al passato, e' probabilmente la velocita' a cui queste riallocazioni avvengono. Sembra maggiore di quando sia stata in passato.

Ottime risposte, ma se io fossi l'attento lettore che ha posto la questione credo che manterrei le mie (comprensibili) paure.
Si può essere più sollevati sapendo che c'è sempre una manina provvidenziale che riequilibra l'economia e mette tutto a posto, l'importante è che dopo aver lavorato vent'anni in linea assemblaggio riesca a trovare un posto in Amazon.

La questione è di ottica. Se guardi le cose da un punto di vista mcaro, fai delle osservazioni che poi muterai se guardi le cose più da vicino. Più da vicino accade di certo che per chi è stato 20 anni in un ruolo fa fatica a ricollocarsi. Vorrei però far notare che essendo il fenomeno della globalizzazione risalente a decenni, essendo la teoria dei vantaggi comparati non nata ieri mattina, ogni paese affronta e vive la questione in un modo. Rispondo con una domanda Perchè la Germania paese che per essere manifatturtiero e quindi preso sovente come benchmark ha avuto da un certo momentoi in poi disoccupazione decrescente, produttività crescente, diminuzione del costo per unità di prodotto? Come mai per la Germania e per molte imprese la Cina è letteralmente territorio di conquista?Intendo dire che ogni fenomeno di grande portata ma inevitabile una volta che si sia avviato, presenta costi ed opportunità. A livello globale, la bilancia pende verso l'opportunità e tale rimane anche se a livello individuale può non essere così. Ma è compito della poltica, quella buona realizzare interventi positivi per ammortizzare i danni per quanto possibili. Ad esepio con buona istruzione, ad esempio con riforme che tra l'altro toglierebbero molti ostacoli al crescita della produttività.

Non è reale, si è ampiamente dimostrato la società perfetta.

 

Infatti. Ribadisco, i vantaggi comparati sono una magra consolazione. Ma magra. Il paese e' ingessato e chi ha lavorato in catena da montaggio ad amazon non ce la fara' mai. Questo e' il dramma. 

Magri e` una domanda sciocca ma... Ricardo usava queste argomentazioni contro il protezionismo Britannico, giusto?

Oggi, come anche ieri, soprattutto nel caso Fiat mi sembra ci sia una grossa componente dovuta ad una "artificiale" competitivita` di un paese verso un altro creata da delle scelte del governo di questo paese.

Provo a sintetizzare i miei dubbi:

1- La Fiat  ha goduto di aiuti (diretti e indiretti) dal governo Italiano tramite le tasse degli Italiani. Praticmente ha avuto un costo del lavoro in Italia artificialmente ridotto (perche` senno` non averbbe mantenuto la produzione in Italia) e con gli utili fatti ha investito (anche) all'estero. Ma allora con le nostere tasse abbiamo incentivato la Fiat ad andarsene?

2- Suppongo che una strategia come al punto 1 sia decisa perche` e` meglio (o piu` facile?) trattenere un'industria preesistente, sponsorizzarla con una porzioni delle tasse sperando che l'indotto delle attivita` produca un gettito in tasse superiore a quello messo... Ma ora, con 'Europa, mi sembra di capire che le carte in tavola siano cambiate. Sento dire che la Serbia fa gola perche` il governo serbo incentiva l'apertura di nuove imprese tramite l'utilizzo dei fondi europei... che (anche) l'Italia come paese "sviluppato" contribuisce a raccogliere. Ancora: ma con le nostre tasse stiamo sponsorizzando "il nemico"?

Riassumendo: non ci sono troppe ingerenze politiche che sbilanciano gli equilibri che altrimenti ci sarebbero in un libero mercato? E cosi` facendo non e` che, con politici e politicanti inetti, ci ritroveremo a morire di fame come una nazione del terzo mondo ma che il nostro vantaggio comparato sara` che lo faremo con piu` stile e allegria come solo un italiano sa fare?

Enrico

PS ovviamente suona tutto un po' semplicistico e provocatorio... forse non moriremo di fame ma... dobbiamo prepararci ad uno stile di vita molto diverso da quello di nazione del G7 che abbiamo avuto sino adesso?

  1. no, l'abbiamo incentivata a restare, almeno fino a quando non riesce a farsi sussidiare da altri.Però abbiamo sussidiato l'acquisto di auto fiat in mezzo mondo.
  2. la strategia è decisa dai politici in base a quanto li paga agnelli, i discorsi sull' indotto sono una cortina fumogena.

 

 

Innanzitutto, quello che determina la competitività relativa del mercato del lavoro in un paese è, semplificando, il rapporto produttività/salario, non il salario per sé (torniamo all'analogia del ristorante: il prezzo non è tutto, conta anche la qualità). La competitività dell'offerta di lavoro in un paese, da parte sua, dipende da molti fattori, a partire dalle rendite che i sindacati ottengono per i lavoratori occupati, fino alla rigidità dei contratti sul mercato del lavoro, e così via. Ma anche il rapporto produttività/salario non è tutto, perché il lavoro non è il solo fattore di produzione di una impresa, generalmente. E allora ecco che la qualità delle scuole che i lavoratori hanno frequentato, delle infrastrutture in cui opera l'azienda, incluso più in generale il sistema legale (certezza del diritto, giustizia civile), ... importano eccome. E importa anche il costo del capitale, che dipende dall'efficienza delle banche del mercato mobiliare ... e l'efficienza delle istituzioni a difesa dei diritti di proprietà dalle rapaci mani della mafia, e dei politici corrotti, ... Mi fermo, ci siamo capiti.

 

E in Serbia cosa c'è di tutte queste belle cose? A parte ovviamente lo stipendio medio che si aggira sui 400 euro mensili e la volontà del governo di sussidiare la produzione fiat con agevolazioni e esenzioni di ogni tipo?

Nulla, ma con stipendi bassi e sussidi anche una produttività mediocre è competitiva.

 

Faccio tre osservazioni perche' non credo che le underlying assumptions ci siano tutte:

1. Nella spiegazione di Tabellini si parte con "In regime di libero scambio" i cinesi si specializzano nel fare le magliette e gli italiani fanno le lavatrici. Quello che credo molte piccole e medie imprese nostrane stanno vivendo e' una situazione dove i cinesi fanno sia le magliette che le lavatrici. Lo so che l'esempietto del vantaggio comparato e' una semplificazione, ma quello che manca e' l'assumption del libero scambio perche' ci sono diverse maniere di esercitare protezionismo unilaterale (comprate le nostre magliette, ma tenetevi le vostre lavatrici), anche se questo non e' l'ideale neanche per i cinesi.

2. "è un vantaggio per i consumatori che ottengono beni a prezzi più bassi" anche qui c'e' la assumption che le auto fatte a piu' basso costo si tramutino in prezzi piu' bassi per il consumatore italiano. In diversi settori il sistema distributivo italiano e' poco competitivo percio' il risparmio da una produzione all'estero si traduce in margini di profitto piu' elevati per dei distributori collusi.

3. Volevo aggiungere sull'emigrazione delle imprese che non se ne vanno solo in cerca di manodopera piu' bassa. Alcune emigrano anche in Svizzera. Questo il caso della Northface.

In conclusione, non metto in discussione il ragionamento del post, ma semplificando troppo si tralasciano alcune cose che fanno la differenza tra teoria e realta'. Se non e' tutto rose e fiori, non e' perche' il libero scambio e' una fregatura, ma perche' ci sono tante assumptions dei modelli teorici che non vengono realizzate del tutto.

 

3. Volevo aggiungere sull'emigrazione delle imprese che non se ne vanno solo in cerca di manodopera piu' bassa. Alcune emigrano anche in Svizzera. Questo il caso della Northface.

 

Corretto. A livello compratato un costo del lavoro piu' basso è un vantaggio ma in un'analisi multi criteri un'azienda che cerca una nuova location controlla la qualità della formazione professionale della manodopera, la qualità dei servizi sanitari, delle strutture logistiche (servizi, autostrade, poste, telefonie ed internet) la sicurezza, la qualità della vita, il costo fiscale e contributivo. La Svizzera ha un costo lordo della manodopera elevato (a livello di lordo azienda simile a quello tedesco ed italiano) ma ha una gamma di servizi e di condizioni quadro, compresa la fiscalità, che invoglia molte aziende del Nord Italia a fare un piccolo salto a nord di qualche decina di Km.

Francesco

Due riflessioni, motivate dai commenti di Enrico e Lodovico, che condivido.

 

Ma ora, con 'Europa, mi sembra di capire che le carte in tavola siano cambiate. Sento dire che la Serbia fa gola perche` il governo serbo incentiva l'apertura di nuove imprese tramite l'utilizzo dei fondi europei... che (anche) l'Italia come paese "sviluppato" contribuisce a raccogliere. Ancora: ma con le nostre tasse stiamo sponsorizzando "il nemico"?

 

Più che l'Europa è il WTO, se vogliamo guardare all'aspetto istituzionale, la "fonte" dei guai. La EU impedisce aiuti diretti alle imprese e se fosse completamente nell'Unione la Serbia NON potrebbe offrire a FIAT aiuti diretti (la Serbia ha chiesto di entrare, ma dentro ancora non è anche se vari paesi, inclusa l'Italia il 3 Agosto u.s., hanno ratificato il cosidetto "Patto di Stabilizzazione ed Associazione"). Quindi non stiamo "finanziando" il nemico. E, comunque, vale qui quello che è stato detto migliaia di volte: l'Italia, specialmente quella del Sud, di aiuti comunitari ne ha ricevuti a palate ed ancora li riceve. Se li hanno tirati a mare o trasferiti direttamente alla criminalità organizzata, non ce la si può di certo prendere con quei paesi che, invece, li hanno usati e li usano saggiamente. Comunque, nel caso FIAT in Serbia gli aiuti UE non c'entrano. C'entra la decisione della Serbia di accettare unilateralmente il patto, quella sì.

Ma il punto di fondo, che sia Enrico che Lodovico fanno, è che non viviamo in concorrenza perfetta e che, da sempre e sempre più, gli stati intervengono da tutti i lati. Implica questo che il ragionamento di Alberto cade? No, ma deve essere adattato nel senso che non è ovvio che il movimento dei prezzi e dei vantaggi comparati funzioni con la tranquillità con cui la teoria e l'esperienza passata suggeriscono.

Questo implica, però, che dovremmo continuare a sussidiare FIAT e compagnia cantante? No, e lo dice la parola stessa: sussidio. Sussidiarli vuol dire tassare altri per tenere qui loro, rendendo quindi conveniente per gli altri andarsene! Si morde la coda.

Il fatto di base che i sussidi governativi non possono intaccare è il seguente: vi sono al mondo tanti paesi poveri dove però alcune cose funzionano minimamente bene (e con il degrado italico, non troppo peggio dell'Italia) ed i cui lavoratori ardentemente desiderano lavorare per salari molto inferiori agli europei. Perché lo fanno? Perché sono suicidi? No, perché le alternative a loro disposizione sono MOLTO peggio: esattamente come i contadini italiani emigravano nelle zone industriali negli anni '50 dove ricevevano salari bassi ma dieci volte più alti del reddito che ottenevano sulla terra.

A QUESTO problema come si risponde? È il solito maledetto discorso e, certo, le politiche contano e possono aiutare a rispondere. Come? Occorre che o bene i lavoratori italiani diventino molto più produttivi per compensare il differenziale di salario (a questo puntava la proposta FIAT per Pomigliano) o che l'economia italiana scopra altri vantaggi comparati.

Qualcuno ha la bacchetta magica? Nessuno ce l'ha, ma credo che ci siano tre politiche che lo stato italiano debba e possa intraprendere: ridurre la tassazione sul lavoro, specialmente quello altamente qualificato, investire su istruzione, istruzione ed istruzione e ricerca, fare funzionare quei servizi di base che in Italia continuano a non funzionare. Lo so che è la solita cantilena, ma è l'unica!

Michele Mazzucco faceva il caso della Nike che anche pagando 20 per le scarpe, ottiene sempre 200 dai consumatori.

Ma infatti, come dice Ludovico, qui sia assume che una riduzione dei costi comporti una riduzione del prezzo. Ma siamo proprio sicuri?

Invece io credo che vada più o meno così: la Nike fa il design, poi chiede ad un intermediario di produrre le scarpe al costo minore possibile, poi la Nike fa il marketing e il pricing per vendere le scarpe al prezzo più alto possibile (oltre il quale la riduzione del volume comporta riduzione del profitto). Insomma, costo e prezzo sono distaccati. 

Il punto è che la Nike NON è in concorrenza perfetta con gli altri produttori. La multinazionale è riuscita a diversificarsi. In pratica la Nike non concorre sul prezzo.

Io credo che sia questa situazione tipo a necessitare delle spiegazioni per i lavoratori italiani, perché un'impresa come la Nike ha profitti se le scarpe le produce a 20 o a 50, solo ne ha meno. E' anche il delocalizzare per aumentare i profitti che non viene capito. Io non mi azzardo a dire che sia un'argomentazione giusta, ma in certe menti fa senso. Secondo me, nel post bisognerebbe smontare anche questa condizione qui (cioè di delocalizzazioni per maggiori profitti).

 

Michele Mazzucco faceva il caso della Nike che anche pagando 20 per le scarpe, ottiene sempre 200 dai consumatori.

Ma infatti, come dice Ludovico, qui sia assume che una riduzione dei costi comporti una riduzione del prezzo. Ma siamo proprio sicuri?

 

Non lo possiamo essere, almeno per due motivi teorici (e qua giungeranno le mazzate al povero studente austriaco :-))

a) Per la teoria Von Wieser in poi sono i prezzi a determinare i costi e non viceversa (*). La Nike vende a 200 perché i consumatori sono disposti a pagare quella cifra per le scarpe e facendo quel prezzo la Nike riesce a soddisfare le sue previsioni di vendita e di profitto.

b) Come diceva invece Hayek è inutile parlare di "concorrenza perfetta" perché quello è uno stato in cui la concorrenza c'è già stata. La concorrenza è un processo che deve fare i conti con tutta una serie di ostacoli, spesso di natura istituzionale, che in Italia, ad esempio, sono fortissimi. Perché, ceteris paribus, il prezzo delle scarpe Nike scenda è necessario che qualche entrepreneur offra un prodotto che entra in competizione con Nike (vogliamo chiamarlo sostituto perfetto? Chiamiamoloc osì) ma quante difficoltà (istituzionali, legali, etc.) avrebbe un entrepreneur a produrre tale prodotto ed offrirlo ad un prezzo minore di Nike, realizzando profitti?

Marco

(*) I profitti ottenuti sono il segnale per gli imprenditori che investono nei fattori produttivi, che possono essere destinati ad usi alternativi (produzione scarpe, agricoltura, etc.). Se Nike pagando 20 ottiene tutto il lavoro manuale che le serve questo è perché gli usi "alternativi" del fattore lavoro in quei paesi rendono meno.

Se la Nike non concorre sul prezzo, ancora meglio. Vuol dire che si possono produrre in Italia scarpe migliori  a prezzi inferiori.  Ne  vedete in giro? 

Scusate, cerchiamo di capirci. In realtà, qui, c'è un equivoco di fondo. Ed è il seguente (diffusissimo in Italia, lo sento ovunque in questi giorni):

Le imprese (ossia, chi le possiede o le dirige, che non voglio qui pormi altri problemi di principal-agent, hanno o non hanno il diritto di cercare di fare quanti più profitti possibili, rispettando le leggi dei paesi in cui operano?

Ecco, a me sembra che, in Italia, questa ipotesi NON sia comunemente accettata. Se non è accettata, ditemi che ipotesi volete usare. Io tendo ad accettarla, se non altro perché (pur non possedendo alcuna impresa) ho imparato dalle molte che conosco che loro cercano di farlo e se glielo impedisci ti salutano e vanno in cerca di profitti altrove, indipendentemente dal fatto che il loro proprietario poi "doni" a sinistra e faccia il Soros o meno. Io ho l'abitudine di accettare che l'acqua bagna, non so voi ...

Una volta stabilito questo, discutiamo seriamente, altrimenti è un dialogo tra sordi.

Noterelle tecniche:

- chi se ne frega se Nike ha o meno potere di monopolio. Ovvio che compete ANCHE sul prezzo con Reebok, Adidas o La Sportiva (per chi sa cosa sia una scarpa buona)! Avete mai confrontato i prezzi?

- Magari non dà first best ma l'argomento dei vantaggi comparati mi sempra ampiamente estendibile a strutture di mercato altre da perfect competition. Nel senso che it still explains the allocation of resources.

- Sono contento di scoprire che anche a Salzburg (fra gli altri posti in Austria dove suppongo vivano gli "austriaci") abbiano scoperto che il salario è un prezzo. Ed anche il prezzo delle materie prime è un prezzo, vero? Insomma, hanno scoperto che c'è una cosa che si chiama EEG ... suppongo sia questo si intenda quando si dice che i prezzi determinano i costi, che mi sembra corretto. Per esempio, il prezzo che la TIM mi carica per la chiavetta determina il mio costo di stare qui a discutere.

- Posso fare una domanda: perché gli "austriaci" hanno l'abitudine di NON spiegare la logica dei loro argomenti e di, invece, attribuirli sempre a qualcuno con un nome sconosciuto, complicato e tedesco? Non sarebbe meglio spiegare l'argomento, e basta?

- Ritorniamo alle questioni tecniche: la cosa CHIAVE (che mi fece capire Ronald W. Jones 25 anni fa) è che oggi come oggi i vantaggi comparati sono endogeni, ossia vengono determinati dalle politiche nazionali e, spesso, anche da esternalità tra fattori complementari. Pensate a Sylicon Valley: secondo voi il vantaggio comparato che la rende la capitale mondiale del software da dove proviene? Ecco, se si vuole cercare di capire seriamente perché l'Italia non cresce occorre pensare intensamente a perché non abbiamo nulla che neanche lontanamente assomigli a SV!

Mi scuso se questa mia domanda rivela la mia totale ignoranza in campo economico, ma non sono sicuro di aver capito bene il ragionamento di Tabellini sul vantaggio comparato.

Se e' vero che la Cina puo' avere convenienza a specializzarsi in magliette e ad importare lavatrici, c'e' anche un limite al possibile mercato delle magliette. La Cina e' grande, la produttivita' cresce, non e' lecito pensare che saturato il mercato delle magliette essa cerchi di produrre ed esportare anche lavatrici? Non e' necessariamente detto che produrre X implichi non produrre Y.

Posso capire che ad un certo punto un paese non possa produrre TUTTO perche' gli altri paesi non avrebbero mezzi per importare... ma anche questo non pare completamente vero, perche' alcuni paesi hanno comunque una ricchezza in materie prime che potrebbero esportare a paesi come la Cina, altri (come l'Italia) non hanno nemmeno questo e allora per paesi come l'Italia l'unica alternativa possibile non diventa quella, espressa da Sartori, di abbassare gli stipendi ai livelli cinesi?

Poi il fatto che la Cina sia un grande mercato in espansione e' vero, ma solo nella misura in cui il governo cinese permette che lo sia. Avevano certamente interesse a importare tecnologia dalla Germania, e lo hanno fatto. Hanno certamente interesse a far crescere insieme al reddito il livello dei consumi dei cinesi importando beni di consume dall'occidente, e (in parte) lo stanno facendo, ma potrebbero anche decidere di limitare queste importazioni come vogliono. E' pur sempre un'economia rigidamente controllata dall'alto.

Scusate se ho scritto un insieme di sciocchezze, ma la mia impressione e' che applicare il modello ideale del vantaggio comparato alla realta' non confuti del tutto l'analisi e le preoccupazioni di Sartori.

Condivido il contenuto del post di alberto e tanto per avere conferma di aver ben capito la spiegazione (compresa quella inseritanel libro su voltremont) vorrei integrare con un argomento che vedo (per ora) mancante: il vincolo di bilancio.

Perché la Cina non fa, nell'esempio, magliette e lavatrici e l'Italia non puo' ridursi a non fare nulla?

Portendo l'esempio all'estremo, ammettiamo che tutti i beni siano piu' economici se prodotti in Cina. Secondo il pensiero superfisso di voltremont e sartori la Cina farebbe tutto (esporterebbe tutto) e noi (resto del mondo) nulla. Ovviamente da cio' conseguie che noi (resto del mondo) importeremmo tutto e la Cina non importerebbe nulla. Questo sarebbe una violazione del principio del vincolo di bilancio (e qui magari chiedo lumi ulteriori, perché se penso al mio bilancio domestico, fatto di entrate ed uscite la cosa è chiara, se penso alla bilancia dei pagamenti di una nazione la necessità imperativa del suo pareggio è un passo che devo ancora capire bene).

Allora se la Cina esporta ora il 25% del suo PIL, tende ad importare altrettanto, per essere in pari. In realtà vedo che importa per il 20% e quindi c'è spazio (anche per l'Italia) per vendere loro beni che possano essere apprezzati (comparativamente) dai loro consumatori o dagli uffici acquiste delle loro aziende.

Da parte nostra vedo che la germania esporta per un volume di merci pari al 35% del suo PIL (la Francia il 30%, la Svizzera il 41%) mentre l'Italia ha un misero 19% di esport e di import.

Se ho capito bene poi ogni nazione non solo tende a pareggiare il volume totale di import/export ma anche tende a paraggiare la bilancia tra le singole nazioni. Ecco quindi che se la cina vende magliette all'Italia, dovrebbe tendere a comprare da noi le lavatrici per un pari volume monetario. 

Tutto corretto o sono fuori come un balcone?

Francesco

 

 

 

C'è una possibile obiezione, leggermente fumosa, ma che "in pratica" viene spesso usata per capire parte della politica monetaria statunitense (ad esempio). Se la nostra moneta fosse considerata come riserva di valore a livello mondiale (dunque, includiamo nel modello paesi terzi), potremmo semplicemente stamparla e pagare con quella. Il suo valore non sarebbe equivalente a carta straccia, semplicemente perché fungerebbe da "riserva di valore" per altri soggetti economici, la cui domanda di moneta manterrebbe il "prezzo" della nostra superiore a zero. Ovviamente, ciò può valere solo in un sistema fiat & solo per uno stato - per una moneta (in equilibrio).

Da ignorante, non credo sia necessario bilanciare i rapporti bilaterali.

Alla lunga il bilancio di una singola nazione deve essere più o meno in pareggio perchè altrimenti ha un debito (credito) che cresce indefinitamente, il che implica che o han trovato un pollo o fa da pollo a qualcun altro.Se tre nazioni si prestano a triangolo (A->B->C->A) restando bilanciate dovrebbe essere possibile un equilibrio anche se il credito di ciascuna verso un altra tende ad infinito, ma diventa un problema quando A dubita che C possa davvero ripagare B.

Per questo credo che squilibri troppo grandi tra due nazioni (es: Cina-USA) preoccupino gli altri.

Ottimo articolo, chiaro e condivisbile. Grazie.

Riprendo solo una considerazione che tempo fa avevo gia' proposto. Non e' un suggerimento ma una constatazione. Uno dei problemi del lavoro in Italia e' che si e' andato via via degradando anche e soprattutto dal punto di vista della gratificazione e soddisfazione personale. Mio padre spesso mi raccontava che lasciare il lavoro, i colleghi, l'azienda (per andare in pensione, ad es.) era quasi "doloroso". Si facevano feste di commiato, i pensionati spesso tornavano a trovare chi continuava a lavorare nell'azienda, etc... Insomma, esisteva un attaccamento ai colleghi e all'azienda, un riconoscimento reciproco di aver dato e ricevuto.

Cio' che manca ora, a mio modesto parere, e' anche la soddisfazione del dipendente, sia nel pubblico che nel privato. Soddisfazione del dipendente nel veder riconosciuto il suo contributo all'azienda, e soddisfazione del datore di lavoro nel saper gestire l'azienda e dare da vivere ai suoi dipendenti. Se non si riesce a creare un senso di "gruppo" e generare un po' di quel sano entusiasmo che porta alla sana competizione, ogni singolo lavoratore produrra' di  meno, pensera' solo a come arrivare il piu' rapidamente possibile alla pensione schivando i colleghi rompiscatole...

Non so esattamente come porre rimedio, perche' e' un problema che coinvolge l'intera societa', ma credo sia fondamentale oggigiorno creare questo senso di appartenenza, responsabilita' e orgoglio. Saro' noioso, ma gli uomini pubblici -politici- dovrebbero essere loro a dare esempi concreti con i fatti. La storia ci ha insegnato che sono i momenti di difficolta' che aggregano (una nazione in guerra - Dio ce ne scampi e liberi - e' sicuramente un fortissimo fattore aggregante).

Personalmente credo che il post dia un contributo importante al dibattito. Tuttavia, esso si concentra, come il dibattito politico, sulle grandi aziende. Le stesse domande del Sig. Cetoloni sono incentrate sulle grandi aziende. Ma queste sono in Italia ormai poche e producono una frazione relativamente piccola del valore aggiunto. Nel corso del Novecento l'apporto in termini di occupazione generata da parte delle grandi imprese si è ridotto notevolmente.

Il ragionamento econonomico del post non è in discussione. Mi permetto però di aggiungere un ragionamento più "aziendalistico". Il punto chiave è il valore aggiunto prodotto dall'impresa che essa distribuisce fra salari e remunerazione del capitale (sia "esterno" cioé di debito, sia "interno" cioé di rischio). Ora, assumendo che in un'industria il costo del venduto (escluso il costo del lavoro) sia lo stesso fra tutte le imprese, il VA dipende dal fatturato, ovvero dai prezzi (dipendenti dal grado di competizione) e dalle quantità vendute.

Al Sig. Cetoloni e a tutti coloro che hanno (comprensibilmente) paura della globalizzazione potremmo dire che vi sono imprese (in genere PMI) che occupano nicchie di mercato ad alto valore aggiunto, che non devono delocalizzare la produzione e che esportano con successo in tutto il mondo (grandi quantità) ad un rapporto qualità/prezzo elevato. Ne sono un esempio i settori della meccanica leggera e della chimica. La crescita di queste imprese può assorbire e credo assorba i lavoratori in uscita dalla grande impresa, nonostante tutti i vincoli e le frizioni istituzionali. 

Il tutto credo si possa inserire nel quadro teorico delineato nel post modificando alcune assunzioni e includendo forme di concorrenza imperfetta, come suggerito dai commenti del dott. Pizzati e altri. Piacerebbe che più sforzi teorici fossero rivolti a includere queste dinamiche. 

 

...e non un di quelli che deve decidere tra n conto alle poste e un pò di azioni Enel, forse non avrei dubbi.

Mi conviene investire in nuovi prodotti in occidente dalla pancia piena e consumi stagnanti, in cui non si sa più cosa inventarsi o conviene che 2 miliardi di persone comincino a comprare magliette, scarpe e lavatrici che già le sappiamo fare bene?

Se poi la produzione la sposto dove costa 1/10 intanto guadagno con prodotti che costano meno, ma nel frattempo preparo i consumatori che hanno bisogno di scarpe, magliette e tra un paio d'anni lavatrici.

Quindi, a me investitore, che me frega se aumentasse anche un pò la disoccupazione in occidente e diminuisse anche un pò il tenore di vita?

Sembra un pò modello superfisso, ma non ne ho un'idea chiara. Di certo sono abbastanza fisse, allo stato dell'arte, energia (non rinnovabili) e materie prime (almeno quelle pregiate, come i metalli). Che si fa se queste non bastano per i vecchi ricchi e per i nuovi? Ci sono dei modelli su questi temi e su cui farsi un'idea?

Non ho risposte, se non qualche brivido dovuto alle quotidiane letture catastrofiste di Grillo e alle dichiarazioni agostane di vecchi leader comunisti.

 

SONOono CON UN PESSIMO COLLEGAMENTO INTERNRRET, MA L'ARGOMENTO É INTERESSANTE, DICIO LA MIMIA IN MANIERA SEMOLICE:ALBETO HA RAGIONE DA VDNDERE,IL PROBLEMA NON É FIAT CHE VA IN SERBIA , MA IL FATTO CHE NINOSTANTE ESISTA UNA SUBFORNITURA AUTO DI ELEVATA QUALITA` NESSUNO INVESTE IN ITALIA.RISPONDETE ALLA DOMANDA:PERCHÉ ? ED AVETE LA RISPOSTA. SE QUALCUNO É IN SALRENTO NE PARLIAMO DI PERSONA. P.S.NON HO LÌNFLUSSO DI PALMA, MA IL MIO TERMINALE NON MI DA` L'ANTEPRIMA,SCUSATEMI PER LA SCRITTURA DADAISTA...

Qualche notarella sparsa.

Nike: a parte che moltissimo fatturato oggi lo fanno con le All Star che sono in una fascia di prezzo ben più bassa (e che sono, alla fine, delle Superga che invece sono sparite, nonostante fossero ormai anche loro fatte in Cina).

Moltissimo del "valore aggiunto" Nike è prodotto in occidente, design e comunicazione, che sono una componente importante del prezzo (dovrei strudiarmi i bilanci, scusate non ho il tempo), forse più del costo di produzione, sono attività sviluppate in Occidente. Tra l'altro se ricordo bene hanno anche un centro di sviluppo di design qui in Italia.

Le magliette costano da 2 a 200 Euro, anche qui vale il "valore aggiunto" occidentale. Le pagate 200 Euro se marchiate D&G e 2 euro al mercatino cinese.

Certo che le aziende massimizzano il profitto, ha ragione Michele, è nella loro natura. Poi l'azionista, se lo crede giusto, opera nel sociale. E anche le iniziative "sociali" delle aziende hanno una finalità promozionale atta a fare accettare prezzi più alti o a diffondere il marchio. Certo, la personale storia dei manager ha una influenza, e magari fa un poco di mecenatismo, ma se da impresa non massimizzo il profitto non faccio il mio lavoro.

E poi qui conta molto la solita mentalità cattocomunista per la quale il denaro è lo sterco del demonio e i padroni degli sfruttatori del popolo.
Non si confonda (tipico tic italiano) il massimizzare il profitto infrangendo le regole e il farlo rispettando le regole.

Il mondo è pieno di opportunità e la crescita dei PVS le moltiplica. Io dico sempre che in qualsiasi momento c'è qualcuno che sta facendo i soldi.

Certo che poi quello che ha lavorato 20 anni a Mirafiori in linea nel suo angolino, senza grosse pretese, senza tenersi aggiornato, tirando a sera e considerando il lavoro una dolorosa incombenza per poter vivere avrà qualche difficoltà a sfruttare queste opportunità.
So già la risposta: lui aveva tanto voglia di fare è l'azienda che castra le opportunità. Vi assicuro che vista dall'altra parte non è proprio così.

smetto che divento logorroico.

Il problema è quello giustamente evidenziato nell'articolo.

Come possiamo fare in modo che in Italia ci siano le condizioni per avere un valore aggiunto congruo e tale da giustificare gli alti salari?

Ambiente esterno e formazione sono le due risposte. Peccato che non siano tra le priorità dei governi Italiani.

Per la cronaca mi sono andato a vedere i numeri di Nike (è agosto, posso perdere un po' di tempo). -dati 2009-

invest.nike.com/phoenix.zhtml

Fattura 19 milioni miliardi di dollari. Ha un costo del venduto (non ho trovato numeri più approfonditi) del 46% spese di vendita ed amministrative del 33%.

Utile prima delle imposte 13%.

Imposte 3% del fatturato (24% di tax rate) e utile dopo le imposte del 10%.
Buono ma pensavo di più.

Il grosso dell'utile lo fanno in USA, seguita dall'europa occidentale. Ma la Cina vale già un terzo degli utili degli USA.

Vendite (escluse oscillazioni valuta) In USA + 2% in Europa -2%.
Cina +20% Europa dell'est + 9% mercati emergenti +17%

Variazione totale 4%

 

 

vedo un fixed asset turns di 1,5 , mi aspettavo di più

 

è che oggi come oggi i vantaggi comparati sono endogeni, ossia vengono determinati dalle politiche nazionali e, spesso, anche da esternalità tra fattori complementari. Pensate a Sylicon Valley: secondo voi il vantaggio comparato che la rende la capitale mondiale del software da dove proviene?

 

da come viene dipinto in Italia pensavo che Boldrin fosse liberista. Comunque quoto sia lui che Bisin sull'"ambiente economico" (infrastrutture, giustizia, diritto di proprietà, coesione sociale, istruzione ecc..).

Sulla Nike comunque si fa il solito errore. Un'impresa può lucrare sulla differenza tra il costo del lavoro soltanto nel breve-medio periodo, cioè dev'essere una delle prime aziende ad investire in un paese con produttività MEDIA bassa e salari MEDI bassi. Man mano che iniziano gli investimenti esteri (e mano mano che la produttività media aumenta) e la bilancia in conto capitale è positiva vi sono due stabilizzatori: a) il tasso di cambio (si apprezza) oppure b) in questo caso i cinesi, sussidiano gli acquisti italiani investendo il surplus commerciale in titoli di stato del Belpaese.

Prima o poi la crescita "estensiva" (per citare Krugman) della Cina finisce, poichè finisce quell'enorme spostamento di manodopera a basso costo dalle campange alle città. Infatti l'inflazione è aumentata anche lì ed i sindacati sono diventati più forti (e vi è anche un aumento dei salari) con la piena occupazione. Alcune imprese, infatti, stanno delocalizzando dalla Cina.

Comunque il problema non è tanto quello di non sopravvivere (quindi di perdere la capacità produttiva totale) ma quella di invertire la tendenza delle partite correnti, pena diventare sempre più poveri in termini relativi. La Fiat contribuisce al surplus corrente dell'Italia ed una chiusura degli stabilimenti ha un effetto negativo sull'intero sistema (oltrechè sull'occupazione). Inoltre la moneta non si svaluta proporzionalmente (essendo legati a paesi "più produttivi" e con una bilancia delle partite correnti positiva) quindi potremmo trasformarci nella nuova Grecia (o Usa se si preferisce) con l'aumento del deficit estero.

Comunque una cosa è chiara. Ci vogliono 10 anni di governo "centrista" che faccia le riforme necessarie e diminuisca il debito pubblico come fecero i governi Verhofstadt in Belgio. Soltanto che l'Italia ha un'arma in più rispetto al paese bilingue, l'enorme evasione fiscale recuperabile che limiterebbe la necessità di un aumento della pressione fiscale.

Prima faranno una legge proporzionale alla tedesca, meglio è.

 

 

Temo che tu commetta un errore diffuso tra coloro che avversano il liberismo: pensare che significhi assenza di regole. Al contrario, i mercati hanno bisogno di regole per funzionare, ma devono essere poche, chiare, applicabili e non distorsive. Soprattutto, devono essere pensate proprio per garantire il miglior funzionamento degli stessi, tutelando proprietà privata e concorrenza.

Inoltre, i governi possono - e devono - operare per il buon funzionamento di quanto di loro competenza per mettere le imprese nazionali nelle migliori condizioni possibili per competere: ecco che, ad esempio, l'efficiente amministrazione della giustizia diventa un elemento che non solo ha un valore in sé, ma costituisce esso stesso un atout.

Infine, non si capisce che cosa sia e come dovrebbe operare un governo che definisci "centrista". Io direi che abbiamo bisogno di un governo che attui politiche liberali, e le due cose possono non avere alcuna attinenza. Non so, ti pare utile un Casini, che non perde giorno senza definirsi "centro"? A me no, francamente ......

A parte il fatto che non sarà mai il sistema elettorale, ad essere decisivo.

 

è che oggi come oggi i vantaggi comparati sono endogeni, ossia vengono determinati dalle politiche nazionali e, spesso, anche da esternalità tra fattori complementari. Pensate a Sylicon Valley: secondo voi il vantaggio comparato che la rende la capitale mondiale del software da dove proviene?

 

da come viene dipinto in Italia pensavo che Boldrin fosse liberista. Comunque quoto sia lui che Bisin sull'"ambiente economico" (infrastrutture, giustizia, diritto di proprietà, coesione sociale, istruzione ecc..).

 

Non vedo che contraddizione ci sia col liberismo, il problema sono semmai probabilmente le favole sul liberismo selvaggio che si raccontano in Italia.

 

Comunque una cosa è chiara. Ci vogliono 10 anni di governo "centrista" che faccia le riforme necessarie e diminuisca il debito pubblico come fecero i governi Verhofstadt in Belgio. Soltanto che l'Italia ha un'arma in più rispetto al paese bilingue, l'enorme evasione fiscale recuperabile che limiterebbe la necessità di un aumento della pressione fiscale.

 

Ci vogliono riforme consistenti in riduzione della spesa pubblica clientelare e distorsiva del mercato e miglioramento dell'efficienza della spesa pubblica rimanente.  Il fatto che cio' debba essere associato ad un governo centrista e' altamente opinabile, non vedo proprio come Casini & Co. potrebbero o vorrebbero fare riforme del genere.

L'evasione fiscale recuperabile e' tutt'altro che enorme, la pressione fiscale corrispondente a tasse effettivamente versate in Italia sta tra il livello francese e quello tedesco, quindi raccontano favole coloro che sperano di spremere fiscalmente ancora di piu' i contribuenti italiani riducendo l'evasione.  Cio' che si dovrebbe fare piuttosto e' ridurre l'evasione fiscale a parita' di gettito, redistribuendo il carico fiscale da chi paga oggi (piu' che in Francia e Germania) verso chi evade.

 

 

A parte il fatto che non sarà mai il sistema elettorale, ad essere decisivo.

 

Caro amico, qui ti sbagli. Come sappiamo la coalizione Berlusconi-Lega è quella più corporativista (stanno reintroducendo, addirittura, la tariffa minima). Ricordo le manifestazioni di piazza insieme ai tassisti, con i benzinai (per la questione della vendita di benzina anche negli ipermercati) e così via. Non a caso Mr B ha incentrato tutta la sua carriera imprenditoriale sulle concessioni (lautamente pagate, anche con tangenti), restrizioni, duopoli, e capitali di dubbia provenienza. Non saprebbe fare nemmeno lo spelling di concorrenza.

Dall'altro lato vi è lo stesso problema. Quando Visco tentava di recuperare un po' di evasione fiscale Mastella e Dini alzavano la voce. Quando Bersani tentava di liberalizzare qualcosa era Rifondazione ad alzarla, tantochè si liberalizzarono soltanto sciocchezze durante il Prodi II (ricariche telefoniche, sostituzione delle autorizzazioni con la DIA per l'apertura di alcune attività commerciali e così via).

Sostanzialmente con Rifondazione, Bossi e Mastella non si liberalizzerà un bel niente. Ci vuole un bello sbarramento nazionale che spazzi via i nanetti (Mpa compreso) e renda ininfluenti Lega, Rifondazione ed i nanetti stessi (esclusi dallo sbarramento) nella formazione dei governi.

Se Verhofstadt o Di Rupio avessero dovuto formare governi con il blocco fiammingo o con il partito socialista non credo che avrebbero abbattuto il debito pubblico.

 

 

 

Sostanzialmente con Rifondazione, Bossi e Mastella non si liberalizzerà un bel niente. Ci vuole un bello sbarramento nazionale che spazzi via i nanetti (Mpa compreso) e renda ininfluenti Lega, Rifondazione ed i nanetti stessi (esclusi dallo sbarramento) nella formazione dei governi.

 

*Credo* che DoktorFranz (con cui, tra parentesi, concordo in pieno) intendesse dire che qualunque sia il sistema elettorale, la classe dirigente del Paese e' sempre composta dalle persone che si candidano, che in Italia sono le stesse (o con la stessa formazione) da cinquant'anni a questa parte.

Per la cronaca, i "nanetti" sono gia' stati spazzati via: la Lega non e' proprio un "nanetto". Il fatto che Fini adesso si sia "ripreso" una parte di AN e' solo un problema di nome, visto che alla fine partecipa anche lui allo spoil system all'italiana, e da piu' di 20 anni.

 

Sostanzialmente con Rifondazione, Bossi e Mastella non si liberalizzerà un bel niente. Ci vuole un bello sbarramento nazionale che spazzi via i nanetti (Mpa compreso) e renda ininfluenti Lega, Rifondazione ed i nanetti stessi (esclusi dallo sbarramento) nella formazione dei governi.

 

Non credo proprio che elimitati i partiti elencati il personale politico del PDL, del PD con l'aiuto di Casini e di Fini sia capace di liberalizzare decentemente.

Poi la LN non e' un "nanetto" in questi anni, e nemmeno RC lo era 10 anni fa. Queste idee che circolano in Italia tendenti ad eliminare dalla scena politica partiti che hanno il 10% nazionale e, nel caso della LN ultimamente, prendono il 15-30% in intere regioni, segnalano una cultura politica e democratica scadente e direi puerile. In particolare idee del genere ricordano il caso turco dove i partiti laici di destra e sinistra hanno approvato una legge elettorale con sbarramento nazionale al 10% per eliminare dalla scena il partito islamico, per poi finirne vittime loro stessi a vantaggio proprio del partito islamico che non solo ha trionfato elettoralmente ma ha anche avviato la Turchia ad una crescita economica bloccata per decenni dalle pessime politiche dei partiti laici e dei militari alle loro spalle.

 

 

Il fatto che Fini adesso si sia "ripreso" una parte di AN e' solo un problema di nome, visto che alla fine partecipa anche lui allo spoil system all'italiana, e da piu' di 20 anni.

 

Ma anche a volere ammettere che, signora mia, i politici magnino tutti uguale, ti sei mai chiesto come mai, in una democrazia, non si riesca ad avere un personale politico migliore?

 

 

Ma anche a volere ammettere che, signora mia, i politici magnino tutti uguale, ti sei mai chiesto come mai, in una democrazia, non si riesca ad avere un personale politico miigliore?

 

Se non sbaglio fu Churchill a dire che la democrazia e' il peggior sistema di governo esclusi tutti gli altri :)

Il problema me lo pongo eccome: al momento, nel Paese in cui vivo, l'alternativa per governare e' tra SB che fa leggi liberali solo per se' e PB che farebbe leggi dirigistiche, entrambi personalmente li' a discutere da 20 anni.

Essenzialmente, e generalmente (quindi non solo in Italia) spiego tutto cio' con la prevalenza del cretino: allargando il campione in maniera indiscriminata, la media tende ad abbassarsi. Il tutto peggiorato dal fatto che di solito impariamo per emulazione, e che in Italia i modelli sono sempre stati negativi (Savoia al sud, in primis)