Sette miti. Anzi, no: sette confusioni (I)

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Manco da tempo e me ne rammarico assai. Provo a riprendere approfittando della montagna di note, commenti, appunti ed idee raccolte in queste settimane di assenza da nFA (e presenza in altri luoghi: a volte bisogna anche guadagnarsi il pane). La "crisi" mi sembra sia il tema dominante sia quello più trascurato, per cui provo a ripartire da lì. Nella speranza che, riprendendo a scrivere, ritornino sia il ritmo che un minimo di lucidità ... perché i temi rimasti in sospeso son tanti, e complicati. Quando avrò finito farò anche l'AUTOCRITICA, perché a volte ci vuole anche quella, e fa tanta salute.

(I) Più consumo, meno risparmi.

In un certo senso questo è il mito fondatore di tutte le cattive politiche economiche e, di fatto, dei sette miti che andrò discutendo. Tanto per dare un'idea di quanto ho in mente, gli altri sei, nell'ordine, sarebbero:

(II) La deflazione causa depressione, solo l'inflazione ci può salvare.

(III) Abbiamo bisogno di una politica fiscale super-espansiva per uscire dalla trappola della liquidità.

(IV) Siamo in una trappola della liquidità perché le famiglie non spendono e stanno "tesaurizzando".

(V) Permettere che banche, ed altre imprese, falliscano farà solo peggiorare la crisi.

(VI) C'è troppa, non troppo poca, competizione fra le banche; ed anche in generale.

(VII) Le riforme strutturali possono aspettare, ora occorre pensare all'emergenza.

Ah, scordavo, poi c'è il mito che li sintetizza tutti: avevano ed hanno ragione Roubini, Soros, Tremonti ... e quant'altri profeti di sventura sono emersi durante l'ultimo anno e mezzo. E Paul Krugman, ovviamente, ha più ragione di tutti perché lui ha anche il Comitato del Nobel per l'Economia che ce lo conferma.

Ma andiamo per ordine. Si diceva:

il problema fondamentale è che la gente non consuma più, occorre far ripartire i consumi, occorre che il magico "consumatore americano" ricominci a spendere come ha fatto dal 1992 in poi.

Questo mito fondatore si basa sull'esistenza di un magico "moltiplicatore" (keynesiano, ovviamente) tale che più grande è la quota del proprio reddito che la persona media consuma più alto sarà il reddito complessivo della nazione. Tale argomento è spesso giustificato a mezzo di luoghi, tanto comuni quanto incompleti, del tipo: "la domanda sempre crea la propria offerta" (sì, ma da chi viene l'offerta?); oppure: "le imprese decidono di produrre solo se si aspettano di vendere i loro prodotti" (non v'è dubbio, ma le imprese vogliono anche essere pagate e, soprattutto, far profitti con ciò che vendono). Tali luoghi comuni non sono erronei, sono solo incompleti: quando li si completa le loro implicazioni sono, quasi sempre, alquanto diverse da ciò che il mito fondatore vorrebbe farci credere.

I credenti in tali amenità non fanno quasi mai una pausa per considerare il fatto che, anche nel mondo dei modelli astratti, tanto più consumiamo meno abbiamo a dispozione per risparmiare e investire. Da questo banale fatto seguono due conseguenze, non banali. La prima: più alta è la quota di reddito che consumiamo più dobbiamo essere in grado di prendere a prestito da qualcun altro, quindi maggiormente occorre indebitarsi. Alternativamente, se non ci indebitiamo occorre accettare la seconda conseguenza che è: stiamo consumando la nostra ricchezza accumulata, la qual cosa funziona sino a quando detta ricchezza non si esaurisce. In una economia chiusa la seconda conseguenza è automatica; in un'economia aperta, invece, si può andare avanti per un po' di tempo (magari con il trucco di indebitare le generazioni future attraverso il debito pubblico) fino a quando gli investitori stranieri son disposti a farci credito. Quando costoro, gli investitori stranieri, o ben si stancano di prestarci risorse che forse non siamo in grado di restituire oppure si trovano anch'essi a corto di reddito corrente da prestarci, allora ... da chi prendiamo a prestito? Ma dal nostro reddito futuro, ovviamente, risponde il credente nel mito del moltiplicatore! Davvero? Beh, dipende.

La confusione ha un'origine duplice. Da un lato, occorre notare che il risparmio è quella cosa da cui provengono gli investimenti e gli investimenti consistono anch'essi, come i panini e le gite al mare, in domanda di beni e servizi che vengono prodotti da qualche impresa. Insomma, se il consumo ha il magico moltiplicatore, anche il risparmio ha il suo e, quindi, genera occupazione e valore aggiunto in base alla medesima regola secondo cui "la domanda crea la propria offerta". Vale a dire: ci sono imprese e lavoratori il cui vantaggio comparato è quello di produrre beni di investimento. Il risparmio consiste, quindi, in "domanda effettiva" per quei lavoratori e quelle imprese. D'altro canto, i credenti nella religione del consumatore-moltiplicatore non sembrano ricordarsi di ciò che chiamiamo, in gergo, "il vincolo inter-temporale di bilancio": quest'ultimo non vale solo per i singoli individui (senso comune: chi non lavora non mangia) ma anche per gli aggregati che chiamiamo "paesi" (senso comune: se non investi oggi con che cavolo produci domani?). Questa seconda osservazione è di qualche rilevanza per i giorni nostri: quando (negli anni scorsi) abbiamo preso a prestito per consumare in quel "oggi" (che oggi-oggi è diventato "ieri") i nostri finanziatori si aspettavano che li ripagassimo con i nostri futuri risparmi. Altrimenti, come potrà, il debito che abbiamo accumulato, essere mai rimborsato? Visto che il problema sembra essere dovuto al fatto che alcuni di noi o (in media) tutti noi ci si trova incapacitati a restituire i debiti contratti, non è che la soluzione forse sta nel risparmiare un pelino di più? Sembra di no, secondo il mito del consumatore-moltiplicatore ... Mettiamo la cosa in modo diverso: il vincolo di bilancio inter-temporale richiede un mix equilibrato (ed inter-temporale anch'esso) di consumo e risparmio. Quando uno ha risparmiato poco e preso a prestito molto per un sacco di tempo, consumare di meno e risparmiare di più è la cosa giusta da fare. Questo vale, sembra, nella casa di ognuno di noi. Com'è che non vale nell'aggregato? I credenti dicono che nel passare dall'individuale all'aggregato avviene una specie di transustanziazione che i mortali non sanno ben intendere ma che, comunque, avviene. Fidatevi, ci dicono: mi sbaglio o durante gli ultimi quindici anni, almeno, ci siamo fidati (faccio per dire: io di mio m'ero fidato proprio per niente) che questa transustanziazione sarebbe avvenuta ed oggi siamo nelle "pettole" perché, ma guarda un po', non è avvenuta ed alcuni di noi sono pieni di debiti che non riescono proprio a ripagare?

Fuor di metafora e venendo all'oggi: un certo numero di paesi, gli Stati Uniti di gran lunga per primi, si sono dedicati a consumare di più di quanto il loro reddito avrebbe consentito ed hanno finanziato tale consumo con due mezzi. In primo luogo, offrendo la loro ricchezza accumulata (fosse essa costituita di case o di stock di capitale produttivo) come garanzia di tali prestiti. Tale comportamento è apparso ragionevole (lo ammetto: anche a me sino alla cruciale stagione 2001-2004) finché il valore di mercato di tale ricchezza accumulata andava salendo. In secondo luogo, "promettendo" (e qui le virgolette ci vogliono proprio, perché "promettendo" va inteso nel senso di: sia i mutuatari che i finanziatori "avevano previsto") un elevato tasso di crescita del reddito futuro, dal cui reddito i rimborsi del capitale e degli interessi sarebbero dovuti provvenire. Giusto per essere chiari: l'argomento in questione vale soprattutto e fondamentalmente per gli Stati Uniti e meno, molto meno, per gli altri paesi. Vale parzialmente per la Spagna e forse per l'Irlanda; dubito valga per il resto dei paesi europei e credo proprio non valga per l'Italia. Il problema italiano è completamente un altro, tralasciamolo per questa volta e rimaniamo negli USA.

Come è oramai dolorosamente chiaro, quelle famiglie che stanno risparmiando - siano esse negli Stati Uniti o all'estero non fa differenza, grazie alla globalizzazione dei mercati finanziari - non sono più disposte a far prestiti a quelle famiglie americane che "consumano keynesianamente" allo stesso ritmo con cui l'hanno fatto durante l'ultimo decennio, più o meno. In parte ciò dipende dalla situazione in cui gli intermediari finanziari (cioè: le banche) si trovano. Ma dipende anche, e soprattutto, da altri fatti. I "consumatori keynesiani" made in USA:

(i) Sono troppo indebitati: se non sono in grado di pagare le proprie case, cosa cavolo prestiamo loro a fare perché si comprino il Ford pick-up nuovo?

(ii) I loro attivi (case e titoli mobiliari) sembrano avere un valore molto inferiore al previsto e sembra che nessuno se li voglia comprare.

(iii) Il loro reddito non può crescere tanto velocemente come molti di noi avevamo sognato.

Sulla situazione delle banche rimando a dei miti futuri (IV e V) ma, per quanto riguarda i "consumatori keynesiani" americani, vi è una sola cosa ragionevole che possono fare: provare a lavorare un pelino di più, cominciare a risparmiare una percentuale più elevata del loro reddito e ripagare un pezzo sostanziale del loro debito. Solo una volta che questo processo di "de-leveraging" avrà luogo (il che significa che non solo il debito degli Stati Uniti d'America sarà diminuito ma che gli investimenti produttivi saranno cresciuti) sarà ragionevole aspettarsi che il consumo possa ripartire di nuovo "alla grande" e che si ricominci ad indebitarsi.

Qui ci andrebbe una parte complicata e piena di statistiche, che per il momento evito perché mancano sia il tempo che le conoscenze. Il "consumatore keynesiano made in USA" non sono tutte le famiglie americane, sono (più o meno) il 50% più povero delle famiglie americane: quelle sono nei guai seri. La qual cosa ci porta a considerazioni complicate sulla distribuzione del reddito, la produttività media che è fatta dei due famosi polli da una parte e zero polli dall'altra (che fa un pollo in media, ma la media non conta in questi casi, conta quasi solo la varianza) ed altre cose che davvero non mi sento ancora in grado di affrontare ... però teniamocele in mente per il futuro e ritorniamo per ora all'argomento "aggregato".

L'argomento aggregato non può astrarre dal fatto evidente che la crisi in cui ci troviamo è una crisi di debito/credito alla cui origine vi sono ... un gran numero di famiglie non in grado di rimborsare i loro debiti! Detto altrimenti: l'evidente (e riconosciuta da tutti) causa della crisi è che abbiamo molta meno ricchezza di quanto pensavamo. Quindi i nostri livelli di consumo non sono sostenibili, le imprese e gli investimenti produttivi non possono essere finanziati per mancanza di risorse (leggi: risparmio) e le nostre impegnative di debito sono da cestinare. Per questo i mercati finanziari non hanno "fiducia": come la ricostruiamo la benedetta fiducia? Con quali politiche?

In una situazione come questa meno risparmio e più consumo, finanziato con debito a breve a tassi zero, è solo una ricevuta per ulteriori e peggiori guai.

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Commenti

Ci sono 72 commenti

Condivido totalmente quello che scrive Michele.

Mi chiedo però come è posibile che chi ha studiato ad Harvard o alla Bocconi faccia finta di non sapere queste cose. Chi ci guadagna dalle cattive politiche economiche ?

La mia azienda e le sue concorrenti producono beni d'investimento (centrali idroelettriche ) e non aspettiamo altro che la domanda.

In una situazione come questa meno risparmio e più consumo, finanziato con debito a breve a tassi zero, è solo una ricevuta per ulteriori e peggiori guai.

Ossia un gigantesco Ponzi Game... Rinfrescando alcuni concetti di macro, l'intertemporal budget constrain (IBC) può essere visto come la somma di tutti i vincoli sequenziali di bilancio (SBC) con la condizione di No Ponzi Game (NPG). Per chiarimenti sul Ponzi Game, chiedere a Madoff...

 

Suggerisco di cambiargli ufficialmente nome.

La condizione:

 

Limt->∞ Debitot ≥ 0

 

d'ora in poi andrebbe chiamata la "No Madoff Tricks Condition"!

 

Bene! Una volta tanto (una delle tante volte) mi trovo d'accordo. A questo punto ci starebbe bene un breve commento dell'autore sul perché nel mondo si sostiene con tanta forza che non si debba risparmiare ecc. ecc. (non avranno mica ragione quelli della decrescita?)

 

 

Dopo la lettura, per i primi cinque minuti tutto mi è sembrato chiarissimo. Poi, però... no, ci sono un bel po' di cosette che mi sfuggono. Probabilmente confusioni che risalgono a una troppo breve carriera di studente di economia (tra l'altro, con molta micro e poca macro!). Spero che Michele o qualcun altro trovino il tempo per rispondere a qualcuno dei mie dubbi.

1) Buona parte dell'articolo, mi pare, si fonda su una "simmetria" tra scelte di consumo/risparmio delle famiglie e dei Paesi. Ma in che misura questa è un'analogia e in che misura c'è invece un effettivo rapporto causale tra le due cose? Cioè, è sempre vero che un indebitamento delle famiglie conduce a un indebitamento dello Stato? A prima vista non mi sembra un rapporto così necessario. In tal caso, quindi, forse sarebbe il caso di andare un po' più in dettaglio?

2) Tra l'altro - mi pare - c'è un'ulteriore differenza tra il trade-off cosumo/risparmio-investimento  da parte di una famiglia e di uno Stato. Una famiglia decide di risparmiare per ottimizzare il proprio pattern di consumo intertemporale, o per assicurarsi da rischi futuri. Nel caso di un Paese, invece, la cosa è più complessa. Perchè un governo da una parte sceglie tra risparmio (che va in una riduzione del debito pubblico, giusto? quindi non portar via soldi alle generazioni future, aumentare la capacità di spesa/investimenti futura ecc.) e spesa. Dall'altra, nel momento in cui spende, sceglie se utilizzare la propria spesa per sostenere i consumi o gli investimenti. Non mi è chiarissimo se la conclusione dell'articolo di Michele sia (mi scuso se sono troppo semplicistico) "meno spesa pubblica" o "più spesa pubblica per investimenti produttivi e meno per sostegno al consumo" o les deux.

3) Ma anche per quanto riguarda le famiglie ho un problema a proposito del rapporto tra risparmi e investimenti. Sembrerebbe - o almeno, questa è una percezione piuttosto comune - che non sempre, ultimamente, i risparmi delle famiglie siano risultati in investimenti produttivi. Ricordo un articolo di qualche tempo fa di Michele che illustrava in modo semplice e illuminante la questione legata ai titoli derivati. Dove siano andati a finire (parte de)i risparmi delle famiglie è sotto gli occhi di tutti. A chi spetta il compito di gestire in modo efficiente i risparmi delle famiglie? I tracolli finanziari e il terrorismo mediatico che ne è conseguito non sono una spinta a non risparmiare, o a risparmiare mettendo i soldi sotto il materasso - il che, mi pare, non sia interpretabile esattamente in termini di investimento produttivo - ?

4) Infine, c'è la questione dei "due polli", su cui spero si tornerà in seguito. Probabilmente in un momento di crisi sostenere i consumi delle famiglie più povere non avrà per nulla il magico effetto moltiplicativo sul reddito aggregato... tuttavia, nel momento in cui tanti tanti di posti di lavoro sono andati a farsi sapete cosa o sono comunque a rischio, garantire il pane ai lavoratori (i cui salari "dicono" siano andati calando negli ultimi anni... o è un altro mito da sfatare?) vuoi distribuendogli una manciata di farina vuoi facendogli scavare e ricoprire le famose buche è, di fatto, evitabile? Dico sia in termini di sostenibilità politica che di giustizia sociale. Si può discutere di crescita e moltiplicazioni senza tener conto di questo fattore?

(Detto ciò: io con l'articolo sono, almeno emotivamente, in totale sintonia... ho 29 anni di cui tipo 21 di studi e due di lavoro assolutamente precario e mal retribuito... fosse per me, l'unica cosa che mi verrebbe da chiedere alla/e generazione/i che sono oggi al governo, in Italia e altrove, è di non spendere più una lira che sia una, se non il minimo indispensabile per garantire il pane a chi non ce l'ha... visto come hanno speso sinora i loro e soprattutto i "miei" soldi, e anzi le "mie" risorse... vorrei provare a spendere qualcosa anch'io, un giorno... ma questa forse è un'altra storia?).

Mooooolte grazie!

 

Cioè, è sempre vero che un indebitamento delle famiglie conduce a un indebitamento dello Stato? A prima vista non mi sembra un rapporto così necessario.

Marco attento a non confondere "Stato" nel senso di "aggregato di famiglie", nel qual caso la risposta è ovvia (ed è il senso usato da Michele), con "Stato" nel senso di "Governo". Ovviamente una famiglia può indebitarsi di più ma il governo potrebbe ridurre il debito pubblico, non c'è relazione fra le due cose.

Brindo alla nuova saga! :)

Una domanda. Non sono sicuro di capire questo punto:

 

Solo una volta che questo processo di "de-leveraging" avrà luogo (il che significa che non solo il debito degli Stati Uniti d'America sarà diminuito ma che gli investimenti produttivi saranno cresciuti) sarà ragionevole aspettarsi che il consumo possa ripartire di nuovo "alla grande" e che si ricominci ad indebitarsi.

 

Se  interpreto bene, stai facendo un po' di ipotesi non ovvie: i mercati finanziari "funzionano"; il deleveraging è tanto grande e tanto ben gestito da consentire, contemporaneamente, che i debiti siano ripagati (fuori dagli USA, spesso), che la spesa in investimenti cresca (dentro gli USA, immagino) e che le conseguenze sull'economia reale non siano troppo forti; etc. (vedi anche quanto scrive Marco qui sopra). Qual è lo scenario/modello che hai in testa a  riguardo?

Ottima trattazione, ... che mi stimola una domanda.
gli individui e le famiglie (quindi aggregati di piccolo livello) sanno che devono bilanciare spesa e risparmio. In effetti circa 2/3 delle famiglie italiane possiede risparmi (1/3 investite in asset ed 1/3 in puro risparmio monetario). A questi dati occorre fare la tara, visto che in una economia con un forte e crescente sommerso ogni dato economico va preso con le pinze. Tuttavia mi appare chiaro che diversamente dal buon senso "domestico" le aziende seguono una razionalità opposta. Spendono e investono tutto e non risparmiano praticamente nulla. E quindi alla prima tempesta, anzi al primo "peto" si trovano senza riserve e sono costrette a fare il passo del gambero, ridimensioanre, licenziare.

Perché due cosi' diversi atteggiamenti a fronte di un problema comune?

Ciao,
Franz

 

Le aziende seguono una razionalità opposta. Spendono e investono tutto e non risparmiano praticamente nulla.

 

Non credo si debbano confondere le due azioni e nemmeno che investimento e risparmio siano così differenti. La distinzione potrebbe essere che le aziende "spendono" se destinano risorse ad acquisti non mirati a migliorare la loro situazione di competitività e profittabilità futura, mentre "investono" se quest'ultimo è il fine, considerando che anche la destinazione di capitali a riserva (risparmio) è, in realtà, un investimento finalizzato alla solidità, che dovrebbe servire ad ottenere - tra l'altro - migliori condizioni di credito.

Il problema interpretativo nasce, a mio avviso, dal fatto che la visione dall'esterno quasi mai coincide con quella dell'imprenditore direttamente interessato il quale, godendo di un'asimmetria informativa rispetto ad un outsider, probabilmente - sebbene non necessariamente - prende decisioni meglio correlate con gli obiettivi aziendali ed, inoltre, occorre tener presente che taluni esborsi potrebbero esser soggetti, per la loro natura opinabile, a valutazioni diverse.

In altri termini, si potrebbe pensare che alcune uscite siano leggibili come spese o persino sprechi - ed in qualche caso a ragione, dal momento che errori di valutazione son sempre possibili - anche quando siano, invece, investimenti, come nel caso di sponsorizzazione d'eventi a scopo di acquisire visibilità e/o meriti, oppure di benefits a collaboratori giudicati in grado di fornire valore aggiunto, od anche di abbellimenti alla sede aziendale per aumentare il prestigio (e, con esso, la considerazione degli stakeholders) .... e così via, gli esempi possibili son davvero molteplici.

Krugman ha pubblicato sul suo blog un modellino "OPTIMAL FISCAL POLICY IN A LIQUIDITY TRAP". Non sorprendentemente, il modello sembra implicare la necessità di un fiscal stimulus molto cospicuo.

Così come nel sistema finanziario il problema  è stato quello di ottenere un deleveraging ordinato e graduale (ammesso che si possa fare), così nell'economia reale il problema è di ricondurre produzione e consumi nell'alveo della coerenza intertemporale in modo ordinato e graduale. Per ottenere tali obiettivi è stato invocato l'intervento pubblico prima nel settore finanziario e poi in quello reale. Credo che il presupposto implicito dei sostenitori di questo intervento è che preferiscono contenere la profondità della recessione sacrificando la velocità della successiva ripresa piuttosto che accettare una recessione profonda con contorno di fallimenti e disoccupazione, seguita poi da una ripresa di forte entità. In altri termini ciò che si cerca di ottenere è che gli effetti negativi della recessione non gravino in gran parte solo su una quota limitata della popolazione di famiglie e imprese (attraverso disoccupazione e fallimenti) ma si distribuiscano pro-quota su tutta la platea dei soggetti economici. E' una visione assicurativa che mira a ridurre il rischio dell'evento recessione facendone pagare il premio allo Stato (cioè a tutti), coerente con un comportamento di tipo risk averse. Non sono in grado di dire se avrà degli effetti negativi di lungo periodo sul tasso di crescita, ovvero se ciò che si salva oggi si dovrà ripagare domani (con gli interessi).

Premesso che condivido completamente quanto scritto nell'articolo, volevo fare una domanda al professor Boldrin, più che altro di natura didattica: scusi l'ignoranza, ma la prospettiva presentata a me pare un approccio del tipo "scuola austriaca", ho ragione oppure mi sbaglio? Se si, Lei ha idea del perchè all'università ti fan  studiar così tanto Keynes (e al dottorato, NKM) e così poco Von Hayek?

(Per università mi riferisco alla mia esperienza, ossia italiana e inglese, magari negli US funziona diversamente..)

Mille grazie e auguri!

Alessandro

Negli usa funziona diversamente, a seconda di dove vai. Dove sono andato io, Keynes non e' mai stato nominato, anzi, al primo anno l'ha nominato in classe un mio compagno e il docente di macro gli ha letteralmente tirato addosso il gessetto che aveva in mano. Non scherzo, se Fabrizio ci legge puo' confermare. 

Mi pare che secondo gli austriaci (più mises che hayek, forse), le economie consumino il loro capitale ad un ritmo più veloce perchè essendo il risparmio sostituito da moneta creata dal nulla attraverso la riserva frazionale, viene a mancare la coordinazione intertemporale tra i vari agenti economici, generando una distorsione lungo la linea produttiva. Gli investimenti, non supportati dai risparmi, vengono intrapresi senza un fondamento reale che ne garantisca un buon fine. Inoltre si verifica una costante inflazione dei prezzi perchè più moneta rincorre gli stessi beni. Così da definizione.

A me sembra invece che sia il denaro come rappresentazione del valore in quanto tale ad eliminare ogni coordinazione intemporale fra gli agenti economici cosidetti: una volta che uno abbia venduto non per questo è costretto a comperare. Il coordinamento è solo un risultato ex-post e può tranquillamente differire dal coordinamento del periodo precedente. Alla fine, seppur in chiave moderna e più sofisticata, il denaro creditizio è emesso per effetto dello stesso meccanismo che nell'800 vedeva i capitalisti industriali e commerciali farsi credito tra loro con l'emissione di tratte. Le banche si limitano a convalidarlo. Che la moneta creata "dal nulla" non garantisca la bontà degli investimenti è un'invenzione: basta continuare ad emetterla. Che poi l'emissione di moneta porti ad un incremento dei prezzi ... beh, se gli investimenti vengono fatti vuol dire che si producono merci e quindi non può essere vero che il denaro sia in eccesso. Altrimenti sarebbe possibile distinguere tra moneta finta e buona. Il risparmio non è l'unica fonte di creazione di capitale. Se c'è risparmio ma non vi è una produzione di mezzi di produzione il capitale non si accresce, le due cose devono corrispondere.

Il punto mi pare che sia, come ha detto Boldrin, che le aziende devono soprattutto fare profitti, mentre le implicazioni di un ragionamento austriaco vi ci portano in modo tortuoso. Non mi pare ci sia qualcosa di veramente austriaco in questo articolo, se non attraverso un ascolto un pò easy-listening, forse.

 

marcospx

 

Cioè, è sempre vero che un indebitamento delle famiglie conduce a un indebitamento dello Stato?

 

Credo Andrea abbia chiarito che l'indebitamento delle famiglie conduce ad un indebitamento del "paese", non dello "stato" per-se.

 

Non mi è chiarissimo se la conclusione dell'articolo di Michele sia (mi scuso se sono troppo semplicistico) "meno spesa pubblica" o "più spesa pubblica per investimenti produttivi e meno per sostegno al consumo" o les deux.

 

Non è chiaro neanche a me e dipende dai paesi. In Spagna, dove hanno una finanza pubblica ottima, ho suggerito di tagliare radicalmente le imposte ED aumentare la spesa pubblica per investimenti in capitale a scapito della corrente. Negli USA, dove la situazione di finanza pubblica è diversa, non vedo giustificazione alcuna per cumulare ulteriore debito pubblico al fine di salvare questa o quella impresa. Gli USA, forse, dovrebbero investire di più in infrastrutture ma, di certo, dovrebbero spendere meno in spesa corrente e sussidi. Fra quest'ultimi io ci metto le folli spese militari. In Italia, infine, credo ci sia solo una cosa da fare: tagliare drasticamente la spesa pubblica e tagliare le tasse in parallelo (ma un po' meno).

Domanda 3). Negli USA il risparmio delle famiglie è bassissimo da due decenni. Il problema di "perché risparmiare se poi i risparmi finiscono in fumo" esiste, ma se permetti lo tralascio ora.

Infine: "dar da mangiare agli affamati"? Ci mancherebbe! Ma, credimi, non è quella la spesa pubblica che fa la differenza e non sono quelli i consumatori keynesiani che si cerca, follemente a mio avviso, di "riattivare" a botte di tassi a zero! Tanto per dare un'idea, rimanendo in Italia: la coppia BS-GT (con il consenso, di fatto, dell'opposizione) ha deciso di spendere circa 400 milioni per aiutare le famiglie più povere e circa 3 miliardi per far contenti i dipendenti Alitalia ed i soci CAI ...

Luigi Pisano 1

non ho capito la domanda. Non ho in mente nessun scenario miracoloso: siamo più poveri (almeno negli USA) di quanto si pensava ed il grande miracolo della produttività degli anni '90 era meno miracoloso di quanto si pensava. Quindi occorre consumare meno, lavorare e produrre di più. Se ho uno "scenario" in mente, è questo.

Luigi Pisano 2

Ma tu passi la vita a leggere tutto quanto scrive PK? Beh, dovresti allora esserti reso conto che non è molto originale, oltre a fallire ripetutamente (vedasi Giappone). Ripete SEMPRE la stessa solfa, da almeno 15 anni a questa parte. Ed anche la solfa che ripete è vecchia come il cucco. C'era nel libro di testo del buon vecchio Ackley 1961 (che mi facevano studiare a Ca' Foscari negli anni '70) e da allora non è cambiata per nulla, la solfa. Per una piccola bibliografia, vedi qui.

Francesco Forti

 

Tuttavia mi appare chiaro che diversamente dal buon senso "domestico" le aziende seguono una razionalità opposta. Spendono e investono tutto e non risparmiano praticamente nulla.

 

Investire=risparmiare. Questo vale tanto per le famiglie quanto per le aziende. Le aziende che "risparmiano" sono quelle che re-investono una parte dei loro profitti. Ovviamente, se poi l'investimento in questione è sbagliato son soldi gettati al vento, ma questo a-priori non lo sa nessuno. Mi sembra vi sia un equivoco (comune a molti ed in parte responsabile per la credenza nel "moltiplicatore del consumo") secondo cui i risparmi e gli investimenti sono due cose diverse: SONO LA STESSA COSA, solo vista da due punti di vista diversi. Risparmiare implica acquisire risorse finanziarie, che sono in generale usate per finanziare investimenti. Risparmiare quindi significa investire. Il peggio che può capitare è che se non è possibile aumentare lo stock fisico di beni capitali in nessuna maniera, continuare a risparmiare (investendo nello stock in essere) ne fa aumentare il prezzo e basta ... ma su questo ci ritorniamo un'altra volta, che ha a che fare con la politica monetaria!

Amadeus

 

È una visione assicurativa che mira a ridurre il rischio dell'evento recessione facendone pagare il premio allo Stato (cioè a tutti), coerente con un comportamento di tipo risk averse.

 

Condivido, però proprio perché condivido che questa sia la motivazione (tutta politica) delle politiche adottate, mi farebbe estremamente piacere (e risulterebbe utile alla discussione) se i cosidetti esperti che ne discutono partissero da quel punto. Si arriverebbe a conclusioni operative molto distinte, anche mantenendo fermo l'obiettivo "politico" di attenuare gli effetti della recessione a costo di prolungarla. A mio avviso, proprio per questo equivoco, si stanno oggi facendo danni gravissimi, che si cumulano a quelli anteriori. Ma su questo ci ritorniamo. La "saga", questa volta, intendo proprio completarla.

Alessandro Tampieri

Mah, forse. Certo, negli anni '30 aveva ragione Hayek ed aveva torto JMK, non v'è dubbio alcuno. Il problema, con Hayek ed i cosidetti "austriaci", è che non sono mai stati capaci di mettere in ordine le loro idee in maniera tale da renderle intellegibili a quelli come me ... per cui ho dovuto arrangiarmi da solo!

Infine, l'aneddoto raccontato da Andrea (che è vero) mi stimolerebbe commenti cattivi su quelli che, mentre facevano attenzione a vincere tutte le battaglie "teoriche", finivano per perdere la guerra "pratica", che alla fine è quella che conta.

Ma transeat, è mezzanotte anche nello Utah ... Che il 2009 ci sorrida di più del 2008!

 

Michele: Investire=risparmiare. Questo vale tanto per le famiglie quanto per le aziende. Le aziende che "risparmiano" sono quelle che re-investono una parte dei loro profitti. Ovviamente, se poi l'investimento in questione è sbagliato son soldi gettati al vento, ma questo a-priori non lo sa nessuno. Mi sembra vi sia un equivoco (comune a molti ed in parte responsabile per la credenza nel "moltiplicatore del consumo") secondo cui i risparmi e gli investimenti sono due cose diverse: SONO LA STESSA COSA, solo vista da due punti di vista diversi. Risparmiare implica acquisire risorse finanziarie, che sono in generale usate per finanziare investimenti. Risparmiare quindi significa investire.

 

Permettimi di dissentire. Ho capito cosa intendi ma ho alcune obiezioni da fare. Il fatto che io possa "investire i miei risparmi" tende a farmi capire che sono due momenti diversi. Con il risparmio (che altro non è che l'accumulo dei miei utili) ho a disposizione una massa monetaria e poi posso decidere cosa farne. Difficilmente uno li mette sotto il materasso e cosi' è evidente che dovro' investirli. Ma c'è investimento ed investimento. In alcuni casi, con degli asset borsistici, finanzio il sistema delle imprese, che a loro volta potranno investire. Ma in ogni momento (salvo eccezioni) io posso tornare in possesso della massa monetaria ed usarla per altri scopi. Il problema è che alcuni investimenti sono senza ritorno. Fintanto che compro beni durevoli (stabile industriale, macchinari) oppure qualche cosa che metto a bilancio, posso sempre in futuro riconvertirli in soldi, ammortamento a parte. Ma se l'investimento è in beni non durevoli oppure in personale, quei soldi sono andati in altre tasche e non tornano piu' indietro. Molte aziende a mio avviso piu' che investire, "spendono".
E' un po' come quelle famiglia americane che finanziano la loro spesa con un mutuo ... come abbiamo visto a lungo andare questo sistema non regge e si sgonfia, facendo male a tutti, aziende, banche, lavoratori.
Ciao,
Francesco

Buon anno a tutti!

 

Fermo restando che sostanzialmente condivido l'articolo, ho una sorta di riflesso pavloviano quando vedo citato JMK per attaccare o difendere posizioni, che non mi sembra abbiano qualcosa a che fare con il 2008.

Senza entrare in polemiche sterili, vorrei dire che JMK scriveva nel 1936, in un regime di cambi fissi sull'oro, con una liquidità internazionale completamente diversa da oggi, regole diverse, ammontare di debito pubblico, produttività e commercio completamente diversi. La sua analisi, giusta o sbagliata che fosse, ci aiutò nella comprensione di fenomeni che per la teoria imperante dell'epoca (il neoliberismo) non erano spiegabili, dalle sue idee abbiamo avuto il New Deal (impatto 0 sull'economia? ne siamo sicuri ?) e Bretton Woods, che, giusta o sbagliata che fosse, garantì un trentennio quasi di sviluppo con crisi meno accentuate delle precedenti. Bretton Woods è morta e sepolta, il New Deal anche, JMK ha raggiunto la sua previsione sul lungo termine.

Io rabbrividisco molto di più al pensiero che l'FMI, un solido impero neomonetarista friedmaniano fino a quattro mesi fa, adesso parli di moltiplicatore dei consumi, di politiche statali non volte al pareggio di bilancio, ma al deficit spending, oltre che a misure sostanzialmente incoerenti, tali che ognuno può dire la sua senza tema di cadere in contraddizione: l'ha detto l'FMI ! Vuol dire (dal mio basso punto di vista) che non ci capiscono un beato piffero neanche loro e non sanno che pesci prendere, tanto che prendono un pesce morto da tempo (JMK, per l'appunto).

Ovviamente non commetto l'errore di inserire Michele fra loro, anzi ne apprezzo il tentativo di distruggere falsi miti che si stanno propagando, auspico che venga ascoltato anche in alto loco (difficile, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire), attendo con ansia anche una parola di Alberto Bisin. Ma lascerei perdere JMK, a meno che Michele non parli di Atene (JMK) perchè Sparta intenda (i seguaci presunti di JMK).

Lo so, la politica (o le idee legate ad essa) è come il calcio, difficile far(mi) ragionare, ma sono stato tirato su con JMK e lasciatemelo stare. Il 1929 era il '29, altra cosa è il 2008..

Ah, a proposito, ci ha lasciato il 2008, quindi buon 2009 a tutti.

Caro Marco:

due osservazioni.

Occorre assolutamente che tu ed Axel Bisignano stringiate amicizia, lui essendo tanto innamorato di JMK quanto sembri esserlo tu.

Mi rendo conto d'andare contro-corrente ma, quando parlo male di JMK, intendo proprio parlare male del signore in questione, qua economista. Per una disamina leggermente più articolata del mio pensiero sulle sue incoerenti affermazioni (avendo egli detto di tutto, il 50% di quanto ha detto è "fattualmente corretto" in qualche stato del mondo, ma questo non lo rende "logicamente coerente") ti invito alla lettura del capitolo a firma mia e di David K. Levine in questo recente volumetto. Ti farà felice sapere che la grande maggioranza degli altri autori che hanno partecipato all'opera condividono, più o meno, la tua visione positiva dell'opera di JMK ...

 

"The International Monetary Fund (IMF) is an organization of 185 countries, working to foster global monetary cooperation, secure financial stability, facilitate international trade, promote high employment and sustainable economic growth, and reduce poverty around the world"

http://www.imf.org/external/about.htm

A me sembra più un'organizzazione dirigista/paternalista a metà fra Romano Prodi e Fausto Bertinotti..

Quanto alla buonanima di Milton Friedman, non era esattamente un entusiasta del FMI:

http://archives.econ.utah.edu/archives/pkt/1998m01-d/msg00110.htm

 

 

Le origini del FMI la dicono lunga sulla sua ragion d'essere e la sua ideologia-guida: fu creato durante la conferenza di Bretton Wood, al picco dell'influenza culturale del Keynesismo.

Quanto alle sue raccomandazioni pratiche, queste variano caso per caso. Quando ci fu l'Asian Crisis era tutto per il rigore "let-it-burn" e le svalutazioni (che, guarda caso, rendevano piu' facile l'acquisto di assets locali da parte di gruppi finanziari occidentali, miracolosamente esenti dalla tara del "crony capitalism"). Oggi che la crisi investe l'Occidente, si dichiara pronto a finanziare bail-outs per centinaia di miliardi di dollari...

 

credo che in tal emomento economico finanziario riscoprire ed attuare le basilari leggi economiche sia innanzitutto un ottimo indicatore di direzione.

Abbiamo scoperto da poco che la crescita non può esser infinita se non drogando il sistema questo come in ogni cosa genera aberrazioni che si scontrano prima o poi con la realtà, da cui avviene il rigetto per tornar alle leggi naturali.

L economia impazzita dalla finanza creativa, la spasmodica corsa verso il consumismo più sfrenato sono questi i mali da cui occorre trarre insegnamento per uno sviluppo eco-sostenibile.

Non è affatto vero che consumare meno è uguale a impoverimento, anzi è proprio il contrario!

dobbiamo riscoprire il valore delle Cose, quello creato dalle mani dell' uomo e dal proprio intelletto per evitare che siano le Cose padrone dell Uomo, l Uomo con tutti i suoi limiti da troppo tempo è al centro di ogni evento, la natura sfugge a questo concetto, mentre siamo parte integrante e non periferica della stessa.

La ricetta enunciata è codivisibile per molti aspetti, in più aggiungerei l avvio di opere pubbliche per migliorare il tenore di vita consumando meno molto meno attingendo alle fonti rinnovabili e meno inquinanti

il ritorno al risparmio famigliare dev' essere una necessità non per un reimpiego in strutture finanziarie adite al lucro economico ma per lo sviluppo sociale, occorre che gli Stati premino sottoforma di interessi il risparmio indirizzato a strumenti finanziari che agevolino le Società.

Quanto costa alla collettività umana una guerra?

Quanto costa alla collettività il signoraggio?

Quanto costa alla collettività il WTO?

Quanto costa alla collettività 1 ora di traffico cittadino?

Quanto costa alla collettività lo spostamento delle merci?

Quanto costerà alla collettività lo sfruttamentono con contratti capestro come il precariato e quello dei paesi più poveri?

ecco da qui per me occorrerebbe iniziare, rivoluzionando il sistema di approccio, una nuova filosofia di vita per il cambiamento sostenibile senza depredare le ricchezze naturali ma conservandole come un Bene inestimabile per Noi e sopratutto per le genrazioni future.

Salute a Tutti.

 

La ricetta di politica economica o, per chi preferisce, lo slogan “più consumo meno risparmi” è giusta o sbagliata? Nel lungo o nel breve? Vero è che se tutti riducessero a zero i consumi superflui (cioè il grosso dei consumi) allora avremmo un aumento del capitale e degli investimenti. Ma investimenti per fare cosa se nessuno compra beni e servizi a parte per soddisfare le “bare necessities of life”? E se, invece, tutti spendessero fino all’ultimo centesimo, e il risparmio fosse zero, avremmo una domanda stratosferica ma nessuna produzione. E questo se vale l’equivalenza tra risparmi e investimenti, cosa che in una economia aperta normalmente non si verifica. Un’ipotesi ancora più estrema è quella in cui il consumatore si indebita (ok allarghiamo pure alle imprese e al governo), cioè ha risparmi negativi, ma questo vale solo per alcuni, non per tutti contemporaneamente. Ok, in una economia aperta ciò è possibile, gli investimenti possono superare i risparmi, nel senso che si investe più di quanto i risparmi nazionali consentano, quindi colpevoli sono sia i consumi che gli investimenti. Ci sarà un punto di equilibrio con un tasso di risparmio/consumo ottimale. La questione è: l’attuale tasso di risparmio è dinamicamente ottimale (date certe condizioni, ipotesi, preferenze etc.)?  In una economia non pianificata è difficile dirlo, ognuno fa come vuole e quindi se si vuole crescere di più allora bisogna risparmiare di più al prezzo di una minore felicità presente (individuale e collettiva), o ricorrere a flussi di capitali esteri (cioè debito, pubblico o privato che sia). Ma la questione dello stock di debito, del grado di indebitamento del settore pubblico o privato è una questione che interessa, e anche molto, ma ora, cioè oggi e non domani, cosa bisogna fare?

 

Che cosa stiamo osservando? In ordine di tempo: un collasso del sistema finanziario, un problema di fiducia e un crollo della domanda. Per il sistema finanziario ci vorrebbe una risposta finanziaria, la politica monetaria ha fatto ciò che doveva fare, i tassi sono praticamente sotto le scarpe, di più non può fare, siamo cioè in una trappola della liquidità (keyenesiano o no, tant’è!). Rimane quindi la politica fiscale (aumentare la domanda per compensare in parte o in toto la riduzione causata dalla sfiducia e panico, fare investimenti, tagliare le tasse etc.). La storia delle crisi finanziarie ci insegna che il laissez faire (o l’inerzia del policy maker) in casi simili prolunga l’agonia e richiede interventi più costosi dopo. Meno che mai si può suggerire ai politicos (nostrani o amerikani) di dire “risparmiate e non consumate!” sarebbe come “gridare al fuoco in un teatro affollato” con il risultato di aggravare la situazione e il pessimismo. Le famiglie vista l’incertezza futura fanno bene ad aumentare il risparmio, ma collettivamente non fanno altro che confermare le proprie aspettative. Bene fa il policymaker in questi frangenti a suggerire alle famiglie di consumare, o adottare misure che facilitino il consumo.  Per utilizzare una metafora: l’attività fisica e sportiva fa bene e previene molti malanni, ma se un tizio (l’economia USA o Italiana) ha un infarto invece di somministrare ossigeno e nitrati gli ordiniamo di correre?

 

Per quanto riguarda il moltiplicatore del risparmio, ciò mi crea qualche confusione. Il risparmio si trasforma in acquisti di beni di investimento, forse, ma non sempre. In una economia integrata col resto del mondo il risparmio finanzia gli investimenti sia domestici che esteri. Il maggiore risparmio può ridurre lo squilibrio di bilancia dei pagamenti tra risparmi e investimenti (quindi meno prestiti) ma non aumenta di per se, in una economia aperta, gli investimenti. Gli investimenti aumentano se vi sono possibilità di profitti, dall’estero arriveranno capitali se i tassi interni sono più elevati di quelli internazionali (depurato del rischio) e le imprese investiranno se hanno abbastanza cash flow e domanda attesa. Stante i tassi di interesse vicini allo zero, le imprese possono investire quanto vogliono, a prescindere dai risparmi nazionali. A meno che non si parli di investimenti pubblici. In ogni caso, sia in USA che in Italia gli investimenti sono stati superiori ai risparmi nazionali, la questione semmai è che tipo di investimenti.

 

Condivido la questione del vincolo di bilancio intertemporale, e che quindi troppo indebitamento mette a rischio la fiducia dei creditori internazionali e che questi chiudano i rubinetti. Questa è la critica mossa in particolare agli USA quale sua principale vulnerabilità. Gli States consumava e investiva più del proprio reddito, e quindi si indebitava. Ma stranamente questo (cioè l'indebitamento estero) non si è rivelato il punto cruciale in questa crisi, altrimenti avremmo visto un crollo del dollaro, che invece non c’è stato, ancora. In ogni caso, il vincolo di bilancio nel tempo deve essere soddisfatto, ma questo avviene anche con un debito elevato, purché non cresca troppo velocemente.

 

 

Dicono che l'uomo che abbassa gli oceani pensi a stimolare anche l'industria dell'acciaio, e l'acciaio vuol dire "investimenti", o no? :-0

probabilmente l'uomo che abbassa gli oceani stara' iniziando a pagare le cambiali firmate in campagna elettorale.

P.s. Complimenti per l'articolo iniziava a mncarmi il boldrin che preferisco, credo inoltre che il buon senso sia la linea da seguire

...a sostegno della tesi di Michele . Qua (e' il secondo grafico alla pagina 2). Non sono un esperto di come si facciano questi conti sui dati aggregati, quindi mi fido dell'elaborazione. Se e' sbagliata me ne scuso in anticipo.

Io non sono affatto un esperto, ma da "contadino" sono perplesso quando ad una elaborazione economica supportata da ragionamenti che si vorrebbero sostenere su basi logiche e fondate su riferimenti concreti si oppongono osservazioni che sono invece dettate da slogan ideologici.

Sono perplesso nel leggere "quanto costa alla collettività..." perché viene da chiedersi che senso abbiano queste affermazioni nella logica delle dinamiche economiche. "...quanto costa alla collettività una guerra?" Come se una guerra potesse essere sempre evitata. Per esempio se foste dalla parte di Israele in questi giorni, avreste continuato a ricevere "pacchi regalo" palestinesi tra le case? A volte una guerra (o una battaglia) sono alimentate da astute persone esterne ai contendenti, nel caso citato non sono disposto a credere che Hamas abbia agito senza alcun "suggerimento". Allora pensare a "quanto costa alla collettività..." cose come guerre, il traffico cittadino, o i contratti capestro se non la schiavitù mi ricorda lo stereotipo delle Miss che pare alla fine pronuncino invariabilmente la fatidica frase "voglio la pace nel mondo!".

E allo stesso modo dire "quanto costa alla collettività lo spostamento di merci" mi sembra tanto ozioso quanto parlare di "consumi superflui". Cos'è superfluo e cosa non lo è? Siamo davvero circondati da beni superflui? Eviteremo seriamente di spostare le merci, quando già ai tempi di Marco Polo erano la chiave di sostentamento di una potenza economica europea come la Serenissima Repubblica Veneta?

Io, da ignorante, colgo nello scritto di Boldrin come un modo sensato di guardare alle cose, senza per questo pretendere di leggervi cose diverse da quello che sono.

 

L'articolo di Krugman sul NYT di due giorni fa sembra un compendio dei miti da I a V :-)

Invece, un ottimo articolo di Michael Lewis e David Einhorn pubblicato il giorno precedente mi consiglia di chiedere l'aggiunta alla lista di un paio di altri miti, in merito non tanto alla migliore terapia per la crisi, quanto alle sue cause e al da farsi per prevenire future ricorrenze:

VIII. I modelli matematici della finanza quantitativa si sono dimostrati inadeguati, al punto da fuorviare i banchieri facendo si' che sottovalutassero il rischio.

IX. La crisi e' un esempo di "market failure" e prova che il modello anglosassone di capitalismo selvaggio e' pericolosamente instabile, rendendo necessaria una maggiore presenza dello Stato.

L'articolo di L&E mette invece in luce il perverso sistema di incentivi che ha spinto Wall Street ad abbracciare rischi eccessivi, e il miserabile fallimento degli organi istituzionali di sorveglianza: tanto nel disegnare meccanismi che incoraggino una crescita stabile, quanto nel reagire ai segnali di pericolo che qualche volonteroso ogni tanto agitava (vedi il caso di Harry Markopolos, che per quasi un decennio ha cercato di attrarre l'attenzione sulla scarsa credibilita' di Madoff, mandando anche nel 2005 una lettera di 17 pagine alla SEC, che quest'ultima ignoro').

Se a cio' si aggiunge che una consistente fetta della responsabilita' per la bolla immobiliare spetta a due entita' come Fannie Mae e Freddie Mac nate rispettivamente da New Deal roosveltiano e Big Government johnsoniano, e che un'altra fetta altrettanto sostanziosa va attribuita alle recenti paranoie deflazionofobe della FED (che, in modo che mi lascia stupefatto, sono ora riproposte in versione "on steroids"), il quadro che emerge mi pare sia semmai quello di una massiccia e persistente "government failure".

 

L'articolo di Krugman sul NYT di due giorni fa sembra un compendio dei miti da I a V :-)

 

Ma no! Davvero? Non dirmelo, non ci credo, non può essere dai ... vorresti dire che i miti VI e VII non c'erano? Strano, dev'essere che comincia a distrarsi il nostro PK laureato!

Grazie per il link, ottimo pezzo, condivisibile al 100%. Non credo che il mio condividere il contenuto del pezzo sorprenda, visto quanto sono andato scrivendo da tempo su Wall Street e paraggi. Permettimi di usare l'inglese, che così chi ha orecchie per intendere può intendere. I am on record, here and abroad, for stating publicly that the Board of the Federal Reserve System, the SEC and the Congressional overseers have been captured by Wall Street long ago. In fact, long before 2001: at least since the middle 1990s, when Bill Clinton and Greenspan ruled. The BASIC problem is THERE: the industry is no longer competitive, not even remotely; it is the opposite of transparent and "free entry" in it is a joke, as there is entry only for insiders, once properly selected. It is a mixture of oligopolies, frauds, good-old-boys clubs, incompetent overseers and government subsidized enterprises. While I hope so, I do not expect the new Administration will radically change this situation, given Obama's choices for Secretary of the Treasury and various economic advisors. What we have seen this year may NOT be the end of it nor the worst of it ... still, we should work to convince the Obama's Administration to intervene radically and re-establish competition, free entry, transparency and accountability in the US financial markets. Without that, we will face worse disasters in the future.

Con la mia solita cattiveria, raccomando la lettura attenta del pezzo sul NYTimes a tutti quei colleghi che hanno continuato e continuano a sostenere che i salari ed i bonuses dei bancari erano giustificati dalla loro produttività e dalla loro creazione di valore aggiunto.

P.S. I modelli matematici erano fuorvianti, ma i bancari lo sapevano. Chiunque abbia fatto consulenza per costoro dall'inizio degli anni '90 in poi lo sa, non prendiamoci in giro! Direi di più: nell'80% dei casi quei modelli matematici fuovianti venivano intenzionalmente usati per fuorviare e per raccontarsi che si stavano facendo profitti a palate. D'altra parte, se il modello non fa un mark to market che mostra che ho fatto profitti geniali, il megabonus a fine anno come cazzo lo prendo? It is as simple as that.

P.P.S. La precedente è, comunque, una "market failure", almeno in parte. È una market failure perché si basa sull'esistenza di una asimmetria informativa enorme e diffusa. Per chi non è del mestiere è bene aggiungere che "asimmetria informativa" si traduce (non sempre, ma spesso) in "truffa ed inganno". Ma è un fatto: è una market failure. Ora, che sia stata aggravata e moltiplicata per 100 dall'intervento pubblico, non ci piove. Però quella parte riconosciamola. Quando, nell'introduzione a questo primo pezzo, ho annunciato un'autocritica, a questo mi riferivo.

P.P.P.S. Per una volta manterrò la parola. Arriveranno anche gli altri 6 miti e l'autocritica, ed altro ancora. Sto solo aspettando che ci sia un po' di spazio, che qui ultimamente tutti scrivono come matti ed il sito è pieno di articoli nuovi! Visto che ci sono: nemmeno dei neoricardiani e della questione meridionale mi son scordato, arriva tutto. Basta aver pazienza!

Scusate, forse vado fuori tema, forse non sono venuto a conoscenza di nuove teorie sugli attori economici nei miei studi di politica economica, ma il mito dell'attore iper-razionale no?

Parlo di quell'attore che si fa il calcolo del suo reddito totale fino alla morte (che poveraccio muore sempre ad 80 anni) e, poi, ogni volta che compra qualcosa di non previsto (tipo ha voglia di un cannolo siciliano) si fa il calcolo di come varia il suo flusso di reddito futuro; oppure di quello che prima di fare una rapina dice al complice: "se ci prendono non fiatare, perché se parliamo in 2 raggiungiamo un equilibrio di Nash che però non massimizza la nostra utilità (e a questo punto il complice lo spara credendo sia un poliziotto)"; oppure di quello che si costruisce la curva delle preferenze in n dimensioni (dove n sta per il numero di beni che sta considerando di comprare), poi si fa il vincolo di bilancio, ed infine decide le quantità di beni da comprare.

Insomma, non è un mito anche questo? Soprattutto quando la sociologia qualche passetto avanti lo ha fatto? L'unica volta che ho sentito parlare di razionalità limitata (molto più realistica secondo me) è stato durante un corsetto di sociologia.

 

Caro Alessio, il "mito del genio-consumatore" no. Per una semplice ragione: non esiste.

Non è un mito: è un'ipotesi di lavoro che si utilizza nella PIENA consapevolezza della sua falsità. Al contrario della curva di Phillips, dell'effetto liquidità o della trappola della medesima, del moltiplicatore del consumo o della spirale deflazionistica, NESSUNO e MAI si è sognato di andare a stimare il "consumatore con previsione perfetta" o di asserire che esiste una controparte empirica del medesimo ed usarla poi per farci sopra ipotesi di politica economica. Gli studi empirici che lavorano su condizioni del primo ordine e cose del genere per modellare il consumo aggregato, proprio a questo mirano: a misurare di quanto si discosta l'approssimazione data dalle condizioni del primo ordine di un problema di scelta ottima, dai dati osservati. Siamo tutti perfettamente consapevoli che si tratta di una "finzione" ed il lavoro empirico consiste nel misurare quanto sbagliata sia la finzione.

Prova a fare il seguente esercizio: togli il consumatore razionale dal tuo modello preferito del mondo e sostituiscilo con quello che vuoi tu. Poi vediamo cosa cambia e perché. Lo dico seriamente: proviamo a fare il ragionamento assieme, qui, commento dopo commento. Fammi una proposta di modello e vediamo con cosa sostituire il "consumatore razionale".

Infine, su questa eterna storia della razionalità limitata. Il buon Herb Simon (che aveva un PhD in psicologia, ma era un economista matematico, ha lavorato tre quarti della sua vita con economisti ed ha preso anche il premio Nobel in Economia trent'anni fa) è l'uomo a cui l'idea della razionalità limitata viene attribuita, anche se ovviamente veniva utilizzata ben prima che lui ne parlasse (basta leggersi le cose fatte a Cowles e paraggi sulle aspettative di questo e quell'altro tipo). Questa idea che la razionalità limitata è un contributo della "sociologia" è francamente un po' tutta tua ... o del tuo professore di sociologia!

Ma il problema non è attribuire questo o quel titolo di "scopritore", il problema è avere uno strumento utilizzabile. Ora, nel caso della "razionalità limitata" il problema di fondo è: "quanto limitata"? Lo sa anche mio nonno che nessuno ha previsione perfetta, ma "quanto" imperfetta è la previsione che ho? Idem per la completezza: il mio preference order senza dubbio non è completo, ma su quali panieri di consumo ho un ordine preciso e su quali no? Queste sono domande che gli economisti teorici si fanno da decenni, e che i "neuro-economisti" (di cui, per esempio, Aldo Rustichini è uno degli esempi interzionalmente più visibili) si fanno tutti i giorni cercando risposte usabili e "quantitative". Perché il problema è tutto lì, ed è un problema difficile.

Siamo lontani decenni dal poter utilizzare tali esperimenti e tali ricerche per poter fare politica economica o macroeconomia, ma siamo ben consapevoli da decenni della natura FALSA delle ipotesi che facciamo su preferenze, meccanismi di decisione, insiemi informativi e capacità computazionali. Chi consapevole, temo, non è sono i molti economisti applicati, bancari vari, ricercatori di questo e quel banco centrale, e via elencando, i quali tendono a prendere le "previsioni" dei loro modelli alla lettera. Mai visto un teorico degno di quell'attributo fare un errore del genere.

Infine, occorre anche smetterla di fare confusione mettendo tutto nel calderone "razionalità", che altrimenti diventa una parola che non vuol dire nulla. Per poter dire qualcosa di sensato sui comportamenti e le decisioni di un agente (economico o meno, non fa differenza) occorre fare ipotesi precise su

1. Le sue preferenze e gli obiettivi che si pone (questo include la sua avversione al rischio, la sua percezione dell'incertezza, eccetera).

2. La sua conoscenza del mondo e del suo modo di funzionamento (i.e. il "modello" del mondo che uno ha), i suoi stati futuri, le regole che attribuisce al comportamento degli altri agenti, eccetera.

3. I segnali informativi che riceve con riguardo sia a 2. che a 1. .

4. Il suo orizzonte temporale di decisione.

5. I suoi modelli decisionali e le sue procedure di calcolo e decisione, ossia il suo grado di "razionalità".

Come vedi la razionalità e solo uno dei 5 elementi che sono necessari per cercare di capire come decide una persona ... nessun mito, credimi.

 

Avvenire pubblica una lunga e celebrativa intervista ad Antonio Fazio.

Da un "distinguished colleague" ricevo il seguente contributo

 

Michele--este titular me hizo acordar al paper que circulaste hace un par de meses.
http://www.infobae.com/contenidos/426002-100799-0-Consumidor-si-no-consume-va-perder-el-trabajoRicard