Uno spettro si aggira per l'Europa (e per l'Italia): l'abuso del diritto

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In questo periodo si fa un gran parlare di lotta all'evasione, tracciabilità dei pagamenti, tassazione delle transazioni in contante e simili. Il tutto con l'intento di recuperare gettito fiscale.

Ma, forse non tutti sanno che... esiste anche l'abuso del diritto.

La giurisprudenza comunitaria, nel 2006, afferma che nell'ordinamento comunitario si ha abuso del diritto quanto lo scopo di un'operazione è essenzialmente ottenere un vantaggio fiscale. In Italia, nel 2008, si afferma che esiste un generale principio antielusivo che permea di sè tutti i tributi. L'Amministrazione Finanzaria "cavalca la tigre" e, non di rado, "abusa" dell' "abuso". Il principio viene ridotto a una sorta di "questione morale" per cui, alla fin fine, ogni risparmio di imposta è abusivo. E questo non va bene.

In questo periodo si fa un gran parlare di evasione fiscale. Ma non c'è solo l'evasione, accanto all'evasione c'è l'elusione. E poi c'è il principio del divieto di abuso del diritto (tributario, ma anche privato).

Di questa figura si è parlato, qualche domenica fa, nell'inchiesta “La grande evasione”, realizzata da una giornalista di Report (qui il pdf della puntata). A diverse banche (Unicredit, Intesa, Carige, MPS, BPM, Credem) sono state contestate diverse operazioni, fondando il relativo accertamento fiscale, per l'appunto, sulla base di tale principio. Nel caso Unicredit si è anche contestato il reato di falsa dichiarazione fiscale, sequestrando la somma di € 245.956.118,19.

Chiariamo anzitutto i concetti.

L'evasione è un comportamento in contrasto con le norme tributarie.

L'elusione è invece un comportamento conforme alla legge, seppur in contrasto con le sue finalità. E', quindi, una condotta del tutto lecita.

C'è, infine, il lecito risparmio d'imposta, che non è nè evasione, nè elusione.

Sembrano distinzioni chiare, ma la realtà è ben diversa, perchè a un certo punto le differenze concettuali si appannano, e la forza attrattiva dell'evasione trascina nel suo ambito sia i comportamenti elusivi che i comportamenti volti a realizzare un lecito risparmio di imposta.

Per lungo tempo, in Italia, si è privilegiato il dato della certezza del diritto e non era prevista alcuna norma generale antielusiva. E' solo nel 1990 che all'amministrazione finanziaria viene attribuito il potere di disconoscere le operazioni poste in essere senza valide ragioni economiche, allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d'imposta.

Nel 1997 viene introdotto l'art. 37-bis del dpr 600/73, che nel ribadire e precisare il potere di disconoscimento in capo all'amministrazione, elimina l'avverbio "fraudolentemente". Molte imprese, nei decenni scorsi, approfittando delle “smagliature” dell'ordinamento tributario, ottennero notevoli risparmi fiscali costruendo operazioni di dividend washing e dividend stripping (per alcune esemplificazioni vedere qui). Il caso Unicredit è simile. L'amministrazione contesta alla banca che l'unica ragione di una complessa operazione (“Brontos”) realizzata con società appartenenti al gruppo Barclays, era l'ottenimento di un risparmio fiscale, realizzato mediante la (indebita secondo il fisco italiano) “trasformazione” di interessi in dividendi. L'elenco degli indagati può leggersi qui. I dettagli dell'operazione, estremamente complessa possono leggersi nell'ordinanza di sequestro (qui).

Nel 2006 interviene la Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Nel decidere il caso “Halifax” divenuto il leading case in materia di abuso del diritto, la Corte afferma che l'abuso del diritto si configura quando lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente (corsivo mio, n.d.r.) l'ottenimento di un vantaggio fiscale (la  decisione riguardava una controversia in materia di Iva). La Corte tenne inoltre a precisare che il principio del divieto di abuso del diritto non determina alcun obbligo del contribuente (che, nella stragrande maggioranza dei casi, è un'impresa) di scegliere, tra una pluralità di modalità esecutive di un'operazione, quella più onerosa. Le imprese restano libere di scegliere la forma di conduzione degli affari che permette loro di limitare la contribuzione fiscale.

Questa  sentenza è stata seguita da numerose altre che hanno affermato i medesimi principi. La più recente è quella resa nel caso “Tanoarch”, il 27 ottobre 2011, in cui il principio è ribadito al paragrafo 51 della sentenza.

In sostanza, se l'operazione che determina il vantaggio fiscale è priva di effettività economica, cioè non è diretta a realizzare “business”, è abusiva, e i vantaggi fiscali possono essere disconosciuti dall'amministrazione fiscale degli Stati membri. Poichè la sentenza del 2006 era stata resa in materia di Iva, che è tributo comunitario (anche detto “armonizzato”), il principio del divieto di abuso del diritto in tale materia  era direttamente applicabile in tutti i paesi membri.

Le operazioni che determinavano vantaggi fiscali in materia di imposte dirette (rispetto alle quali ciascuno Stato membro è sovrano) o in materia di imposte indirette diverse dall'Iva non potevano pertanto essere contestate applicando tale principio, salvo che si trattasse di operazioni rientranti nel campo di applicazione dell'art. 37-bis.

Il problema viene risolto direttamente dalla giurisprudenza italiana (non dal legislatore – si badi). Con una serie di sentenze del 2008 la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (qui una delle massime), afferma che nell'ordinamento italiano esiste un generale principio antielusivo, che si applica a tutti i tributi (non solo quelli comunitari), il cui fondamento va rinvenuto nell'art. 53 della Costituzione.

La Corte afferma che il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione (quindi lecito, n.d.r.), di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili (corsivo mio, n.d.r.) che giustifichino l'operazione diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

E se è pur vero che, ogni tanto, vi sono lampi nel buio, non è meno vero che le insidie proprie di un principio del genere sono evidenti. Il contribuente è lasciato in balìa delle ondivaghe prese di posizione dell'amministrazione finanziaria (in altre parole: della sua discrezionalità), spesso supportata da giudici (anche della Suprema Corte), sbilanciati – nel dubbio - verso le ragioni del fisco (osservazioni critiche qui).

E' evidente che la certezza del diritto, anch'esso principio fondante dell'ordinamento, cede di fronte a pure esigenze di cassa.

Con l'applicazione del principio del divieto di abuso del diritto il fisco cerca di "coprire" i c.d. fallimenti normativi, i loopholes del legislatore, colpendo il contribuente che (lecitamente) li sfrutta.

Intendiamoci, non si vuole negare la necessità di colpire gli abusi (il caso Unicredit a me pare eclatante, anche se, al di là della questione penale, dal punto di vista tributario finirà con una transazione e la banca ci guadagnerà comunque; illuminanti, sul punto, le dichiarazioni di Ponzellini, ex Presidente di BPM, alla giornalista di Report), ma ciò deve avvenire senza perdere di vista concetti e (altri) principi (es. il principio di libertà di iniziativa economica; il principio di certezza del diritto). Sono le costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica, effettuate unicamente al fine di ottenere un vantaggio fiscale, che devono essere vietate e non qualsiasi operazione che determina un risparmio fiscale.

Succede invece, in non pochi casi, che il tutto viene ridotto a una sorta di "questione morale" (ricordiamo lo spot del Governo sull'evasore parassita sociale) che, probabilmente, nel diritto tributario, è l'ultima carta da giocare, quella della disperazione. Messa in questi termini la questione, potenzialmente tutti i risparmi fiscali sono abusivi!

 

Non va dimenticato inoltre che, come si è scritto all'inizio, il principio del divieto di abuso del diritto si sostanzia nell'attribuire all'amministrazione un potere, che essa può esercitare dopo che è compiuta l'operazione e non nell'imporre al contribuente un dovere. Non può certo immaginarsi, infatti, che vi siano doverosi comportamenti del contribuente con riguardo a condotte di "abuso del diritto" fondate su "principi generali", frutto, come s'è visto, di vaghe formule giurisprudenziali.

E' come dire che il contribuente deve essere in grado di salvaguardare lo "spirito della legge" più di quanto abbia fatto lo stesso legislatore, adeguando di conseguenza i propri comportamenti. E non è finita qui. La “storia” del principio del divieto di abuso del diritto, la sua evoluzione, il suo ambito applicativo, i casi controversi, hanno sempre riguardato comportamenti imprenditoriali.

La ragione è ovvia: solo in campo imprenditoriale è possibile discutere di “business”, di “valide ragioni economiche”, di “ragioni economicamente apprezzabili” e così via.

Ma in Italia, si sa, ti danno un dito e ti prendi tutto il braccio. L'amministrazione finanziaria, facendosi forte del principio del divieto di abuso del diritto, entra a gamba tesa anche nelle vicende familiari. E contesta, ad esempio, la rinuncia a un diritto (es. la rinuncia a un'eredità) pretendendo che il contribuente dimostri che essa è determinata da valutazioni economiche apprezzabili (e sindacabili da parte del giudice). O, come accaduto di recente, una donazione dal padre ai figli, atto rispetto al quale, per definizione, non vi è alcun interesse economico del donante (il quale dovrebbe, paradossalmente, dimostrare che non ha donato, come dice il codice civile, per spirito di liberalità, ma per ragioni economiche...). E gli esempi potrebbero continuare (ma dovrei entrare in dettagli eccessivamente tecnici).

In definitiva un “abuso” del “divieto di abuso”, che diviene il grimaldello per “fare  cassa”. Con conseguenze devastanti anche per lo sviluppo economico del paese. Perchè le azioni del fisco in questo settore hanno cambiato il modo di ragionare di imprese e cittadini. In qualsiasi operazione economica si tende a vedere lo spettro dell'abuso del diritto e non di rado si sceglie la via più onerosa per evitare di finire sotto le grinfie del famelico fisco italiano.  Nessuna certezza, solo rischi. Con buona pace della crescita e dello sviluppo economico del paese.

E, per concludere, una citazione del buon Voltremont (la citazione è riportata in numerosi interventi sul web, la fonte è un articolo scritto su Il Sole 24 Ore del 23 aprile 1986 che non sono però riuscito a reperire). Sapete cosa diceva il nostro? Citava un celebre caso deciso dalla House of Lords (IRC v Duke of Westminster, qui il sommario), in cui uno dei Lords (Lord Tomlin) affermava che «Nessuno è tenuto a costruire il proprio fienile in modo che il fisco vi entri con il forcone più grosso» (non sono riuscito a trovare l'intero testo della sentenza ma pare che in realtà Lord Tomlin, uno dei Lords, avesse invece affermato «Every man is entitled, if he can, to order his affairs so that the tax attaching under the appropriate Acts is less than it otherwise would be»).

 

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Commenti

Ci sono 55 commenti

Ottimo. E' una questione importante, che sta prendendo pieghe sempre peggiori.

Faccio un altro esempio: la cedolare secca sugli affitti, il cui scopo è evidentemente ed esclusivamente un risparmio fiscale per alcuni contribuenti.

Dobbiamo aspettarci che sia considerata pratica "elusiva" l'applicazione di tale regime, dato che non ha alcuna ragione economica se non il risparmiare un po' di imposte?

mi pare che la questione della cedolare secca,non c'entri nulla con tutta la questione di abuso del diritto.

Comunque,riguardo all'articolo,trovo che non c'entrasse nulla con l'argomento neanche il riferimento alla questione morale legata all'evasione e agli spot:invece è proprio una questione anche morale,visto che io devo pagare aliquote piu' elevate a causa di chi evade le imposte.

semplicemente perchè è la norma stessa a stabilire che la cedolare secca come vantaggio fiscale per chi ne usufruisce,per far emergere redditi.E quale motivazione economica dovrebbe esserci da parte del locatore,se non il vantaggio fiscale?Quale dovrebbe essere la motivazione economica per qualcosa che non ha motivazioni economiche nella norma che la prevede?Sarebbe come dire che prima lo stato decide uno scudo fiscale,e poi contesti a chi ne ha fatto uso,l'abuso di diritto....non ti pare un po' assurdo e fuori dalla logica di cui si discute quando si parla di abuso di diritto?

 

E quale motivazione economica dovrebbe esserci da parte del locatore,se non il vantaggio fiscale?Quale dovrebbe essere la motivazione economica per qualcosa che non ha motivazioni economiche nella norma che la prevede?

 

Appunto ;)

E' questo il paradosso che scaturisce dall'applicazione di principi sbagliati.

Se siamo arrivati al punto di dover trovare motivazioni economiche per regalare soldi ai figli, non siamo troppo lontani da assurdità di questo genere.

Comunque voleva essere solo uno spunto, magari sbagliato, sul fatto che sia sbagliato considerare come illeciti dei comportamenti leciti tesi ad ottenere dei vantaggi fiscali. Lascio la parola a chi è più competente.

 

In sostanza, se l'operazione che determina il vantaggio fiscale è priva di effettività economica, cioè non è diretta a realizzare “business”, è abusiva,...

 

Già ma un vantaggio fiscale ha effettività economica. Non "realizza un business" ma aumenta l'utile netto, che è uno scopo non certo secondario dell'attività economica. 

Tra l'altro segnalo che in due punti parli di "corsivo mio" ma il corsivo non si vede.

Grazie della segnalazione, più tardi aggiusto tutto (anche alcuni links che non funzionano)

Daniele, ottimo articolo. Imparato parecchio, grazie.

Non so se è ovvio, credo lo sia ma comunque lo sottolineo: questi comportamenti e questi interventi sono il frutto della cultura del modello superfisso. Nel modello superfisso TUTTO è fisso, quindi anche le azioni degli agenti, che non cambiano mai, le forme societarie, i comportamenti fiscali, eccetera. Nel modello superfisso al cambiare delle regole del gioco la gente non cambia il proprio modo di giocare: continua a fare come prima facendosi allegramente prendere per il sedere dal legislatore che, come un dio, ha cambiato le regole per fregarli.

Questi non sono in grado di capire che le regole del gioco definiscono un sistema di incentivi e che la gente risponde agli incentivi: quando questi cambiano cambiano di conseguenza i comportamenti. Banale (gli economisti la chiamano la "Critica di Lucas", ma se ci pensate è una cosa ovvia) ma i legislatori e gli alti funzionari dello stato italiano non ci arrivano.

Michele, concordo sulla bellezza dell'articolo, ma una delle cose che mi sono sorpreso a imparare è che questo "concetto" di abuso del diritto è europeo. La cosa mi ha turbato non poco.

Finora vedevo le pressioni della Merkel sull'Irlanda, ma a questo punto mi chiedo quanto manchi per fare una bella causa a tutte le multinazionali con sede a Dublino: visto il ridicolo mercato interno irlandese e la posizione isolata che aumenta i costi di trasporto, dovrebbero stare tutte in Germania!

Un eccellente articolo, davvero. E' sempre più problematico interloquire con l'Agenzia delle Entrate, che sembra avere come unica mission quella di "tassa che ti passa", e ci sono capitato anche io in questo tritacarne.

Vicende personali a parte, non mi stupisce poi che i ricorsi tributari siano in aumento, e che fra accoglimenti totali in primo grado, accoglimenti parziali in primo grado, appelli, la percentuale a favore del contribuente sia intorno al 56 % . Ovvero il Fisco ha torto in più di un caso su due, che è una enormità, addirittura nel quasi 40 % dei casi la ragione del contendere è a favore del contribuente in toto e in primo grado!

Fa quindi ridere la pagina della Agenzia delle Entrate che afferma:

 

Nel valutare l’opportunità di instaurare un contenzioso tributario occorre comunque ponderare sia tempi che costi; infatti, la proposizione di un ricorso comporta, nella maggior parte dei casi, costi aggiuntivi rappresentati dall’obbligo di farsi assistere da un difensore e dal rischio, per chi perde, di essere condannato al pagamento delle spese.

 

 

Fa ridere, ma anche piangere, perchè è invalso il (pessimo) uso di usare alla fine la formula "spese compensate" anche se l'Amministrazione ha torto marcio, dando così l'incentivo perverso a procedere comunque, perchè tanto non si paga. (A proposito degli incentivi di Michele Boldrin).

E quindi non mi stupisce che una volta mi son sentito dire da un dirigente di una multinazionale "chiudere lo stabilimento è d'obbligo, rimarremo solo la parte commerciale, e formalmente come dipendenza della sede tedesca, perchè in Italia fra sindacati, tasse astruse e contenziosi continui è impossibile lavorare". Gli avevano appena notificato una cartella ICI stratosferica, perchè lo stabilimento, risalente agli anni '70, era stato definito "immobile di pregio architettonico", con rivalutazione, mora, interessi, etc., etc.

Un poco di certezza del diritto, del tipo fino a qua fai quel che vuoi, oltre ti impallino, ma se sbaglio pago io a te, non sarebbe tanto male.

P.s.

Nota personale: nell'aggiornamento del mio personalissimo database ad oggi Marco Esposito vs Agenzia delle Entrate siamo 3 a 0, con una partita ancora aperta, basata sulla famosa "inversione dell'onere della prova" e con l'Agenzia delle Entrate che nega di aver ricevuto quello di cui io accludo ricevuta con timbro e data. Vincerò, ma a me chi paga il tempo perso ?

 

Intervengo per dire che la norma sulla condanna alle spese è stata modificata e ora il giudice deve adeguatamente motivare in caso di compensazione. Sta iniziando inoltre a diffondersi un orientamento  giurisprudenziale (della Corte di Cassazione) che, in caso di vittoria del contribuente, ammette la condanna dell'AF al risarcimento del danno, quand'anche esso sia costituito dalle sole spese legali (quindi in caso di compensazione si può agire contro l'AF per ottenere tale risarcimento).

Segnalo, infine, proprio per restare in tema, che con ordinanza del 3 novembre scorso la Corte di Cassazione ha ritenuto elusiva l'operazione di una banca che, invece di acquistare un immobile direttamente dalla società vendirice, ha acquistato le quote della società immobiliare proprietaria del medesimo, senza versare l'IVA (nella specie, indetraibile) che avrebbe gravato, invece, sulla cessione diretta.

Quindi, tra due comportamenti egualmente leciti, la banca avrebbe dovuto scegliere quello più oneroso. Tanto più che, se poi vuole che quell'immobile sia gestito da una società terza deve in essa conferirlo, pagando ulteriori imposte.

Probabilmente, se si fosse trattato di IVA detraibile, non sarebbe stato contestato alcun abuso...

Mi pare che elusioni e leciti risparmi d'imposta siano il destino di ogni sistema fascio-corporativo.

Il sistema fiscale italiano è pieno di agevolazioni, sconti, eccezioni, detrazioni, casi particolari, dati in passato per tener buone certe categorie. Diciamo che a fronte di ogni regola generale, le corporazioni sono insorte chiedendo che il loro caso fosse trattato considerando le particolarità etc. Il risultato è un sistema che quando lavoravo 30 anni fa per una ditta di consulenza fiscale, è un vero mostro normativo che a fogli A4 e raccoglitori mobili pesava vari quintali e dovevamo spostare da un convengno all'altro con un furgoncino. Il fatto che oggi sia tutto su CD o DVD non deve ingannare. La complessità e tortuostà del sistema tributario italiano è infernale ed i testi sono illeggibili, pieni di incomprensibili rimandi. Ma offre mille pieghe a chiunque sia disposto a pagare i servizi di bravi consulenti, per capire come fare per risparmiare imposte. Per contro quando mi sono spostato all'estero, ho trovato una legge tributaria che stava, su carta, sul palmo della mano e che è pienamente comprensibile da un cittadino che abbia seguito con profitto le scuole dell'obbligo.

La soluzione quindi all'abuso del diritto è un diritto semplice, lineare, comprensibile, con pochissime eccezioni, meglio senza. Tra l'altro questo è anche uno dei dei fattori di successo nella lotta contro l'evasione vera e propria (sommerso).

 

 

Ma per esempio questo sarebbe un caso di abuso del diritto sanzionabile?

riscrivo più in basso, sorry

 

 

Non vorrei dire, ma che l'Amministrazione Finanziaria o la GdF, in sede di accertamento, si attacchino a qualsiasi cosa, anche quando è chiaramente una forzatura, è all'ordine del giorno su qualsiasi tema, non solo sull'abuso del diritto. A parer mio, quello dell'abuso del diritto è solo una delle tante manifestazioni di un problema ben più grosso, ossia il totale abbandono del principio di buona fede su cui si dovrebbe (ex lege!) basare il rapporto Amministrazione Finanziaria - Contribuente, per un principio unilateralmente deciso dalla AF stessa, ossia il "fare cassa senza se e senza ma". Deriva, questa, probabilmente stimolata anche dalla folle modalità con cui vengono composte le commissioni tributarie. Oltre alla speranza che in Cassazione prendano abbagli (neanche tanto vana: do you remember "indeducibilità degli emolumenti agli amministratori"??).

Per questo, personalmente, nel mio piccolo, non vedo questo "abuso del diritto" come uno spettro che si aggira per l'europa.. tanto più che in molte giurisdizioni è tutt'altro che spettrale o immanente, essendo codificato e non solo a livello tributario (si pensi alla Svizzera, che sancisce l'abuso del diritto all'art.2 del code civil!).

 

D&G si lamentano e accusano l'Italia di latrocinio. E minacciano di abbandonare il paese (e qualcuno risponde «Prego la porta è aperta»).

E' utile provare a chiarire come stanno le cose.

Sorprendentemente, il marchio D&G apparteneva in comproprietà alle persone fisiche D&G.

D&G possiedono la D&G srl, la quale controlla Dolce e Gabbana srl, licenziataria dei marchi con facoltà di sub-licenza. La società operativa è Dolce e Gabbana Industria spa, controllata da Dolce e Gabbana srl, sub-licenziataria dei marchi.

Viene allora costituita Dolce e Gabbana Luxembourg sarl, controllata dalla GADO sarl (posseduta da D&G persone fisiche). Queste due società hanno sede in Lussemburgo.

D&G persone fisiche cedono il marchio a GADO sarl per il prezzo di € 360.000.000.

GADO sarl concede i marchi in licenza a Dolce e Gabbana srl a fronte del pagamento di royalties determinate in percentuale sul fatturato.

I diritti sul marchio, quindi, sono percepiti non più da D&G persone fisiche ma da GADO sarl, lussemburghese. GADO sarl stipula con il governo di Lussemburgo un accordo per cui le imposte pagate sono pari alla percentuale fissa del 4%. Un bel risparmio, non c'è che dire. 

L'AF contesta a D&G, appunto, l'abuso del diritto e in particolare di avere ceduto il marchio a prezzo incongruo e allo scopo essenziale di trasferire redditi all'estero. L'AF, in particolare, contesta la natura di società estere delle due lussemburghesi. Per l'AF quelle due società sono in realtà due società italiane "esterovestite", perchè tutte le decisioni vengono prese in Italia. (E' curioso che non vi sia condivisione del valore del marchio: nel contratto di vendita è di 360 ml, secondo la stima di una società di consulenza vale 2,2 mld, secondo la Guardia di Finanza 550 ml, secondo l'AF circa 1,2 mld  - traggo questi dati da una nota di commento al provvedimento del GUP pubblicata in una rivista giuridica).

Tutto questo non basta, però, perchè a D&G, oltre all'elusione, viene contestato anche il reato di truffa ai danni dello Stato.

Il GUP di Milano però ritiene che le condotte elusive non hanno nè possono avere rilevanza penale tributaria (tanto più che l'AF non ha dimostrato che D&G hanno percepito un corrispettivo superiore a € 360.000.000) nè che si possa ravvisare il delitto di truffa ai danni dello Stato, non avendo D&G posto in essere alcun congegno artificioso (tutta l'operazione è il frutto, infatti, di atti realmente stipulati e le società recano nomi riconducibili chiaramente a D&G).

La Cassazione Penaleannulla l'ordinanza del GUP e rinvia per la decisione a un nuovo GUP.

Si tratta, quindi, di due piani diversi: uno riguarda l'elusione, questione di natura tributaria, l'altro riguarda l'eventuale reato commesso. La prima non implica automaticamente il secondo. Il secondo presuppone la prima. E ogni questione corre su binari diversi: dell'elusione si discute in Commissione Tributaria, dell'eventuale reato in Tribunale.

I commenti agli strali di D&G su twitter si sprecano (ma non facevano meglio a star zitti, chi li consiglia?). Tutti li accusano di evadere il fisco e, sostanzialmente, di essere due delinquenti. E i giornali ci marciano.

Ma la Cassazione non ha detto che D&G sono colpevoli, ha solo annullato l'ordinanza ...

 

 

 

"D&G si lamentano e accusano l'Italia di latrocinio. E minacciano di abbandonare il paese (e qualcuno risponde «Prego la porta è aperta»)."

Sbaglio oppure D&G sono il sologruppo importante del settore della moda che ha mantenuto in Italia (a Legnano) sede sociale, design e produzione? Non gli ci vorrebbe molto a trasferirsi fisicamente a Lugano (mezz'ora di auto) insieme alla sede sociale ed al design (i disegnatori diventerebbero frontalieri, e pagherebbero anch'essi le tasse in Svizzera) e la produzione per esempio in Thailandia.

da Iva news

Abuso del diritto e detrazione dell'Iva secondo la Corte UE

diRenato Portale

 


In anteprima da Iva news n.20/2011


Secondo i giudici del Lussemburgo, anche se in linea di principio la detrazione non può essere negata in quanto si comprometterebbe la “neutralità” dell’imposta, la presenza di pratiche abusive (se accertate) non dà la possibilità di recuperare l'IVA pagata a monte.
La questione sottoposta alla Corte di Giustizia nasce da una controversia che vede contrapposte una società con sede nella Repubblica Slovacca e l'amministrazione fiscale del suo Paese. Con una sequenza ravvicinata di atti, alcune società, rappresentate tutte dal medesimo soggetto, procedevano in primo luogo alla richiesta di registrazione di un’invenzione industriale e, successivamente, una rivendeva all'altra la propria quota di comproprietà del brevetto.

L'operazione veniva assoggettata ad imposta, ma l'IVA non veniva versata dalla società cedente che, compiuta l’operazione, veniva sciolta senza liquidazione.
La società acquirente portava in detrazione l'imposta pagata ma il credito veniva negato dall’Autorità fiscale competente. Dopo una serie di decisioni tutte favorevoli al fisco slovacco, la controversia arriva alla Corte Suprema che decide di sospendere il giudizio e porre ai giudici della Corte UE alcune questioni pregiudiziali.

La decisione dei giudici comunitari - La Corte esamina la natura dell’operazione posta in essere dall’operatore, confermando quanto già precisato in precedenti decisioni: ogni operazione economica, sino allo stadio del commercio al minuto e, quindi, sino al passaggio del bene o del servizio al consumo finale, deve essere considerata soggetta ad imposta a prescindere dalle finalità o dagli scopi. Anche le operazioni "economiche" di natura elusiva, quindi, devono essere assoggettate
a IVA. Il diritto alla detrazione dell'IVA assolta a monte è la necessaria conseguenza del principio dei neutralità dell'imposta. Il sistema dell'IVA, basato sulla rivalsa e la detrazione deve sollevare interamente l’imprenditore dall’onere dell’imposta dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche, garantendo così la perfetta neutralità fiscale.

Tale principio, però, non può essere usato in maniera "abusiva", per privare l'erario delle entrate fiscali, cosa che si verifica nel momento in cui cessionario o committente chiede la detrazione o il rimborso dell’IVA che il cedente o prestatore fornitore non ha versato all'erario.

IVA non versata dal fornitore e detrazione - In ordine al fatto esaminato la Corte non si esprime direttamente ritenendo che “compete al giudice del rinvio valutare tutte le circostanze pertinenti di tale causa per determinare se, in considerazione della giurisprudenza sopra ricordata, ai fini dell’IVA, un’operazione come quella [esaminata] possa essere considerata come rientrante in una pratica abusiva. Dette circostanze sono caratterizzate in particolare dal fatto che l’invenzione di cui trattasi non ha ancora dato luogo alla registrazione di un brevetto, che il diritto connesso a tale invenzione è detenuto da diverse persone che per la maggior parte sono stabilite al medesimo indirizzo e sono rappresentate dalla medesima persona fisica, che l’IVA dovuta a monte non è stata versata e che la società che ha ceduto la quota di comproprietà è stata sciolta senza liquidazione”.

Tuttavia essa fornisce al giudice nazionale alcuni elementi per orientarlo nella sua decisione. In particolare, la Corte conferma che l’accertamento di una pratica abusiva in materia di IVA presuppone per un verso che le operazioni esaminate, nonostante la corretta applicazione formale delle condizioni previste dalle direttiva e della legislazione nazionale, comportino l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione risulterebbe contraria all’obiettivo perseguito da dette disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo delle operazioni di cui trattasi si limita unicamente all’ottenimento di tale vantaggio fiscale.
Come si vede, gli elementi dell’abuso sono essenzialmente i seguenti:
i. rispetto (apparente) della forma, (attraverso cui si ottiene…)
ii. un risultato contrario alle disposizioni della direttiva (tenendo conto dell’atteggiamento dell’operatore che pone…)
iii. come unico obiettivo il raggiungimento del vantaggio altrimenti negato.

Abuso del diritto e frode fiscale - L’abuso del diritto, così come delineato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, si differenzia nettamente dalla frode fiscale. In questo caso, infatti, le norme non vengono semplicemente aggirate, ma palesemente infrante, con un disegno, normalmente preordinato, di raggiungere non il risparmio ma il guadagno dell’imposta, sotto forma di danno erariale. Nella sentenza in esame questo aspetto non è chiaramente delineato, ma si può evincere dalle indicazioni date al giudice nazionale al quale è stata rimessa la questione.
Tale giudice, infatti dovrà tenere conto che:
1) il diritto ceduto (la quota di comproprietà industriale di un’invenzione) non aveva ancora dato luogo alla registrazione di un brevetto;
2) il diritto connesso a tale invenzione era detenuto da diverse persone che per la maggior parte erano stabilite al medesimo indirizzo ed erano rappresentate dalla medesima persona fisica;
3) l’IVA dovuta a monte non era stata versata dalla società cedente;
4) la medesima società che aveva ceduto la quota di comproprietà era stata sciolta senza liquidazione.
Tutte circostanze che sembrano descrivere un comportamento fraudolento, piuttosto che un abuso di diritto, almeno secondo la costruzione effettuata dalla giurisprudenza comunitaria.

E' il caso Tanoarch, da me linkato nell'articolo.

Ad una semplice mente come la mia la situazione appare piuttosto semplice:

Si danno due ipotesi:

1. E' lecito sfruttare le pieghe e i buchi della legislazione per ottenere un vantaggio fiscale (volendo possiamo anche allargare il discorso però); dunque non si può perseguire chi mette in pratica manovre elusive di qualunque tipo e grado

2. Prevale ed è prioritario la linea di principio per cui sfruttare tali buchi non è ammissibile se strumentale solo al risparmio fiscale.

Nel primo caso è chiaro che l'unica maniera per evitare i comportamenti elusivi è quello di colmare le lacune legislative, con una moltiplicazione di commi e regolamenti esagerato (però guai poi a lamentarsi della complessità e del numero di regolamenti, della burocrazia e via discorrendo).

Nel secondo caso si potrebbero evitare un sacco di codicilli, ma allora è inutile e controproducente produrre leggi che vanno nella direzione contraria (esempio la cedolare secca per gli affitti discussa nei primi commenti).

Terzium non datur (in ogni caso si ricadrebbe nella prima situazione). 

 

Si danno due ipotesi:

1. E' lecito sfruttare le pieghe e i buchi della legislazione per ottenere un vantaggio fiscale (volendo possiamo anche allargare il discorso però); dunque non si può perseguire chi mette in pratica manovre elusive di qualunque tipo e grado

[...]

Nel primo caso è chiaro che l'unica maniera per evitare i comportamenti elusivi è quello di colmare le lacune legislative, con una moltiplicazione di commi e regolamenti esagerato (però guai poi a lamentarsi della complessità e del numero di regolamenti, della burocrazia e via discorrendo).

 

Secondo me solo adottando le stupide, scadenti e poco oneste tradizioni legislative italiane c'e' necessita di ingolfare le norme moltiplicando commi e regolamenti. Con un'impostazione legislativa piu' intelligente e piu' onesta il legislatore potrebbe fare leggi semplici, comprensibili, logiche, concise e pero' efficaci e sostanzialmente prive di punti deboli.  F.P.Forti ha gia' informato sulla base di diretta esperienza personale quanto sia piu' conciso il totale delle norme fiscali svizzere rispetto a quelle italiane. In Svizzera ci sono poche norme, scritte bene, e evasione fiscale tra le piu' basse al mondo. Il problema italiano delle troppe leggi, contraddittorie, scritte in incomprensibile burocratese non e' un flagello divino ma il risultato della stupidita' e della disonesta' della tradizione legislativa italiana, che non ha come obiettivo quello di produrre leggi utili al benessere comune, ma piuttosto quello di produrre norme complesse e interpretabili contro il cittadino comune e a favore di chi ha potere e influenza. Si tratta di una tradizione storica ben radicata dove stupidita' e disonesta' si intrecciano in maniera inestricabile.

 

La sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione ha ribadito il principio che la libertà economica delle aziende, tutelata dalla Costituzione, non può essere “limitata per ragioni fiscali” e che il carattere abusivo dell’operazione di mercato, soprattutto sul versante delle ristrutturazioni aziendali, dev’essere escluso, se esistono ragioni “extrafiscali” che possono migliorare la struttura e la funzionalità dell’impresa, al di là del risparmio di imposta.

Naturalmente, si tratta di una sentenza tra le molte, che risolve un caso specifico ma non elimina il problema. Del resto, l'apprezzamento delle ragioni organizzative o economiche che giustificherebbero le scelte dell'impresa resta pur sempre rimesso, in prima battuta, all'Amministrazione Finanziaria e quindi al Giudice tributario: ci sarà contenzioso per molti anni a venire.

 

E' il "lampo nel buio" di cui ho parlato nell'articolo.

Il Tribunale del Riesame di Milano ha annullato i sequestro dei 245 milioni dell'Unicredit (non se ne conosce ancora la motivazione).