La tassa sulla morte per inquinamento

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L'area metropolitana di Taranto è stata definita ''ad elevato rischio ambientale'' dal Consiglio dei Ministri, con delibera del 30 Novembre 1990. Quasi vent'anni anni dopo, la probabilità di morire di tumore della pleura è quattro volte più alta della norma. Un fallimento politico-istituzionale?

L'area metropolitana di Taranto è stata definita ''ad elevato rischio ambientale'' dal Consiglio dei Ministri, con delibera del 30 Novembre 1990. Le principali fonti di inquinamento sono date dalla presenza di una acciaieria che effettua il ciclo completo del carbone (l'ILVA) e di una grande impresa petrolchimica (ENI). Taranto, come fa notare Carlo Vulpio (1), è inquinata quanto la cinese Linfen, chiamata ”Toxic Linfen“, e la romena Copsa Miça: le due città più inquinate del mondo per emissioni industriali. Ma a Taranto c’è qualcosa di più allarmante, la diossina. Qui si produce il 92 per cento della diossina italiana e l'8,8 per cento di quella europea.

Recentemente, dopo le numerose pressioni mediatiche, sono stati pubblicati i dati del neonato Registro dei Tumori Jonico Salentino. I risultati sono agghiaccianti. In epidemiologia l'indicatore che si usa per capire quanto è rischiosa una area industriale per la popolazione circostante è lo Standardized Mortality Ratio (SMR), che è il rapporto tra la percentuale di mortalità per una data patologia osservata nell'area di interesse e la mortalità attesa di tale patologia in una popolazione media. Come evidenzia la tabella sotto indicata, a Taranto, per la popolazione maschile il SMR è costantemente superiore a 100 in tutti i periodi di studio.

 

I risultati delle analisi sono praticamente analoghi alle conclusioni dell’Unità di Statistica ed Epidemiologia della ASL TA/1 nel periodo 1998-2002 (Bollettino Epidemiologico n°6, S.C. Statistica ed Epidemiologia ASL TA, Dipartimento di Prevenzione ASL TA, dicembre 2005).

Una dei primi insegnamenti dei corsi di economia è che correlazione non implica nesso di causalità. Le imprese inquinanti sono davvero causa di maggiore inquinamento a Taranto? E’tale inquinamento causa di morte? Per il primo punto, baso la mia analisi su due fonti: i dati INES (Inventario Nazionale Emissioni e loro Sorgenti) scaricabili qui, e le elaborazioni di questi dati da parte di Peacelink. La metodologia Peacelink è la seguente: sono stati selezionati una serie di inquinanti secondo la loro pericolosità (diossine, mercurio, IPA, benzene, PCB, piombo, arsenico), sono stati sommati i valori annui di emissione di ogni specifico inquinante per provincia, la somma di tali valori assoluti èstata rapportata al valore nazionale ed èstato ottenuto il dato percentuale di quel tipo inquinante per quella provincia; successivamente, si sono sommati i valori dei diversi inquinanti per ogni provincia e si èattribuito un punteggio ad ogni provincia. La metodologia presenta dei chiari limiti (discussi qui), in ogni caso vale la pena dare una occhiata alla lista delle top 5.

 

Taranto

 
 

527

 
 

Livorno

 
 

101

 
 

Nuoro

 
 

92

 
 

Venezia

 
 

82

 
 

Caltanissetta

 
 

78

 

Uno dei limiti della classifica, non discusso da PeaceLink ma a mio avviso rilevante, èil non potere valutare quanto vicino al centro abitato siano le emissioni inquinanti. Tuttavia, le due principali fonti di emissioni inquinanti di Taranto, ILVA e Petrolchimico, sono in pratica confinanti al centro cittadino, come chiunque di voi potrà osservare attraverso Google maps. Il report di PeaceLink già menzionato fa un ottimo lavoro nel riassumere gli studi scientifici sul nesso di causalità tra mortalità e inquinamento, quindi chi fosse interessato può leggere qui. Un ulteriore limite è l'assumere che il produrre una data percentuale dell'emissione dell'inquinante X è equivalente al produrre la stessa percentuale dell'inquinante Y, cosa che potrebbe chiaramente non essere vera (ad esempio, essere la provincia in cui si emette il 92% della diossina italiana non è detto che sia equivalente ad essere la provincia in cui si emette il 92% di arsenico o piombo o IPA). Questo potrebbe essere falso per due motivi, sia perchè il valore assoluto della emissione totale di un dato inquinante è in genere diverso da quello di un altro inquinante, e sia perchè gli impatti sulla salute possono essere di diversa intensità a seconda dell'inquinante. Tuttavia, dato il differenziale tra la prima e la seconda provincia in questa triste classifica, credo che il succo del messaggio rimanga invariato.

Genova nel recente passato ha vissuto una situazione simile. Tra il 1988 ed il 1995 a Cornigliano (GE), dove era presente una acciaieria che effettuava anch’essa il ciclo completo del carbone, sono stati registrati tassi di mortalità in deciso aumento. L’ILVA di Genova è stata chiusa nel 2004. La domanda sorge spontanea: perché Genova sì e Taranto no?

Non voglio entrare nella discussione se sia possibile per una persona o una collettività valutare correttamente il valore della propria vita e di qualunque cosa la metta a rischio, e se possano esserci “compensating differentials” (letteralmente, compensazioni monetarie, anche se il concetto richiederebbe una maggiore spiegazione). Se volessimo limitarci a una analisi puramente economica, un osservatore a una prima occhiata potrebbe concludere che tutto ciò è efficiente: Genova è una città più ricca e che fornisce più alternative economiche, può quindi permettersi di perdere tanti posti di lavoro se questi mettono a rischio la salute pubblica. Taranto no, e deve pagare questo prezzo. Tuttavia, stiamo dimenticando tutti i pesantissimi effetti indiretti.

L'inquinamento è il classico esempio di esternalità, ovvero l’effetto di una azione di un agente economico su altri agenti non coinvolti nell'attività economica. Come tale, è necessario fare in modo che le imprese inquinanti tengano conto delle conseguenze indirette che la loro produzione causa. L'inquinamento produce un numero di malati di cancro elevatissimo, di cui l’impresa non tiene conto. Di tali malati, e dei costi delle cure, non tiene conto nemmeno la cittadinanza, poiché i costi sono condivisi dai corregionali e dal resto della nazione. Come fa notare Daniele Marescotti, Peacelink, l’ILVA è stata condannata in primo e secondo grado per emissioni inquinanti. Tuttavia la politica locale sembra non avere la sufficiente forza per opporsi ai numerosi interessi locali coinvolti. Infatti, la Provincia (governata dal centrosinistra) e il Comune (governato dal centrodestra) - enti che in origine si erano costituiti parte civile - si sono ritirati dal processo proprio alla vigilia della sentenza della Cassazione.

Come si convincono le amministrazioni pubbliche ad avere più a cuore i problemi dell'eccesso di mortalità? Tanto per fare gli economisti provocatori possiamo proporre che le aree dove la mortalità è in eccesso dovrebbero pagare più tasse.

Chi scrive è ovviamente consapevole che la proposta della tassazione sull’eccesso di mortalità contenuta nel titolo è di difficile, se non impossibile, realizzazione, per diversi motivi. Le conseguenze dell’inquinamento sulla mortalità non sono immediate ma al contrario graduali nel corso del tempo, ed all’inizio potrebbero non manifestarsi, quindi l’intervento sarebbe tardivo. Inoltre, è difficile quantificare la relazione tra emissioni e morti da esse causate. Tuttavia, vi sono altre soluzioni, forse meno folkloristiche di una tassa sulla morte, ma probabilmente altrettanto efficaci.

Attualmente, il limite europeo per le emissioni di diossina è di 0,4 nanogrammi (un miliardesimo di grammo) per metro cubo. Quello italiano, fino a poco tempo fa era fermo a 100 nanogrammi. La regione Puglia ha provato nel 2008 ad abbassare tali limiti, nella speranza di cominciare a risolvere la questione ILVA. Tuttavia, il Ministero dell' Ambiente ha reagito sbottando che "Se questa legge passa, l'Ilva chiude in 4 mesi" e nominando una commissione ad hoc. Come fanno notare Foschini e Lauria in un articolo su Repubblica (4), uno dei membri di tale commissione, Bonaventura Lamacchia, era stato rimosso dopo un'inchiesta di Repubblica e de L´Espresso che avevano pubblicato l'illustre pedigree di tale ingegnere (condanne per falso, ricettazione, evasione fiscale, bancarotta fraudolenta, tentata estorsione e turbativa d'asta). Dopo un anno di discussioni al riguardo, Ministero dell' Ambiente e Regione Puglia sembrano aver trovato un accordo, grazie al quale i limiti sono stati abbassati a 2,5 nanogrammi; nel 2010 saranno adeguati ai limiti europei (5). Questo non significa che la questione sia risolta. Il siderurgico produce molti altri fattori inquinanti, idem per il petrolchimico (nello specifico PCB , piombo, mercurio, cromo esavalente, IPA ec.ec.). La diossina non èl'unico inquinante presente a Taranto. E’possibile che ridurre la diossina non abbia impatti significativi sulla mortalità se non viene fatto congiuntamente alla riduzione d'altri inquinanti. Dulcis in fundo, il conflitto tra Regione e Ministero è subito ripreso sulla questione ENI, che recentemente ha deciso di volere raddoppiare la sua centrale a Taranto (6).

Due soluzioni che potrebbero contribuire a migliorare la situazione sono le seguenti.

La prima è delegare totalmente la gestione della politica ambientale ad un'autorità indipendente. Un modello economico che credo supporti questa mia proposta è quello presentato da Alesina e Tabellini in "Bureaucrats or Politicians?". In breve, in tale lavoro vengono trovate condizioni secondo le quali diversi tipi di politiche dovrebbero o meno essere delegate ad autorità non-politiche. A meno di miei errori di valutazione, credo che la gestione della politica ambientale rientri decisamente tra quelle che il modello riterrebbe delegabile, poiché si riuscirebbero ad evitare pressioni esterne e si riuscirebbero a realizzare obiettivi di lungo periodo con maggiore facilità. Infatti, burocrati con incentivi di maggiore durata e respiro ed indipendenti potrebbero fare un lavoro migliore ed essere fermi e decisi nel fissare e fare rispettare dei limiti, senza alcun conflitto di competenza o paura di andare fino in fondo nei processi legali poiché motivati da una funzione di utilità ad ampio respiro. Logica simile (anche se non perfettamente analoga) a quella che vuole la politica monetaria in mano ad un ente indipendente.

La seconda proposta è una semplice tassa pigouviana, basata sulle emissioni (su TUTTI i tipi di emissioni inquinanti, non sono sulla diossina), come si studia in qualunque corso di microeconomia elementare. La tassa pigouviana é quella tassa pagato dai soggetti che producono inquinamento, misurata per unità inquinante, e che é esattamente uguale al danno marginale aggregato causato dall'inquinante considerato valutato al livello di inquinamento ottimale. Una tassa del genere, sarebbe sicuramente di più facile realizzazione di quella sulla "mortalità in eccesso" che ho proposto provocatoriamente nel titolo. Sebbene non si risolverebbe il problema nell'immediato, si avrebbe il vantaggio di incrementare il gettito fiscale riducendo la profittabilità dell' attività inquinante e creando incentivi a una diversificazione industriale (sempre se questo gettito venisse bene utilizzato, ma questa è un’altra storia). Tuttavia, non mancano i caveat per questo tipo di soluzione. Come ho già discusso non ritengo che la politica abbia la sufficiente voglia/forza/supporto popolare per affrontare la questione. Pertanto appare difficile che essa possa introdurre tale tipo di tassazione e possa effettivamente farla rispettare. La soluzione di una autorità indipendente e senza vincoli politici appare a mio avviso una soluzione più convincente.

(1) Carlo Vulpio, Il Fatto quotidiano, TRE VOLTE SEVESO

(2) Marcello Cometti, La Gazzetta del Mezzogiorno “Tumori e inquinamento: ecco i dati record di Taranto”

(3) Assennato, de Nichilo, Della Corte, Bisceglie Il Registro Tumori Jonico Salentino

(4) Foschini, Lauria, La Repubblica, Ilva, rimosso Bonaventura Lamacchia bufera sulle nomine degli altri membri

(5) Di Zanni, La Repubblica, Prestigiacomo e Vendola d'accordo Meno diossina, giorno storico per Taranto

(6) Mazza, Gazzetta del Mezzogiorno, Taranto, sì del governo alla centrale Eni: scontro Vendola-Prestigiacomo

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Commenti

Ci sono 21 commenti

A proposito di ambiente, volevo fare una domanda non legata direttamente a Taranto: cosa si pensa qui su nFA a proposito della privatizzazione dell'acqua?

 

Una sola precisazione. A Taranto, al momento, anche il comune e` di centro-sinistra.

Questo non significa che le precedenti amministrazioni di centro-destra (in carica fino a tre anni fa, se non ricordo male, e cioe` fino alla dichiarazione di dissesto ed al conseguente commissariamento) siano riuscite ad opporsi agli interessi particolari delle lobby industriali.

certo, ora il sindaco e' ippazio stefàno, di centro-sinistra. tuttavia, potrei sbagliarmi, ma credo di ricordare che ai tempi del ritiro della parte civile il comune era ancora di centro-destra.

 

Al post originale, io avrei solo aggiunto i dati di bilancio dell'ILVA, giusto per focalizzare meglio i termini economici della questione. 

Concordo comunque con Pierangelo: il comune è governato dalla sinistra (il sindaco è di RC!), ma  in questo l'atteggiamento di tutte le amministrazioni, a tutti i livelli, è stato lo stesso: solo chiacchiere - con l'unica eccezione dell'amministrazione regionale che con Vendola ha almeno tentato la carta dei limiti normativi sulle emissioni di diossina. Rimane però tutta la criticità dei controlli, sui quali l'azienda oppone resistenze impossibili da superare in modo semplice. 

ps Per capire l'atteggiamento della proprietà Riva, questo filmato vale più di mille chiacchiere:

www.youtube.com/watch

 

Il link riportato da Corrado fa riferimento alla dichiarazione di Emilio Riva, fondatore dell'ILVA, che oggi, in occasione della presentazione del Rapporto Sicurezza e Ambiente dello stabilimento tarantino, ha dichiarato che i dati epidemiologici sulle morti da tumore a Taranto sono un'invenzione giornalistica.

Sullo stessa dichiarazione segnalo la cronaca apparsa nell'edizione locale di Repubblica.

Soltanto per aiutarmi a capire. La crisi del polo metallurgico di Portovesme, con conseguenti prospettive di chiusure di alcune industria altamente inquinanti, è una buona notizia o una cattiva notizia?

ciao massimo, grazie per la domanda, mi aiuta a chiarire una questione importante, forse non chiara dall'articolo. quando parlo di genova e taranto, non voglio assolutamente implicare che il bene sarebbe chiudere qualunque impresa inquinante. quello che voglio dire e' che attualmente l'impresa fa profitti "anche" perche' non ha avuto alcun incentivo esterno ad adottare le piu' recenti tecnologie (almeno fino ad un anno fa questo era palese, visto il limite della diossina in Italia) e non deve pagare i costi dei pesanti effetti indiretti che causa, e che sono sulle spalle dei contribuenti regionali. per le imprese inquinanti vedo chiaramente un trade-off tra occupazione e impatti ambientali, e quello che voglio dire e' che nella situazione attuale, ditemi se sbaglio, le imprese, e persino i cittadini delle singole citta' ospitanti (che beneficiano del lavoro ma non pagano tutti i costi sanitari, che sono pooled a livello regionale), non ne tengono adeguatamente conto. non sono entrato, e non entro volutamente nella letteratura sulla stima dei "compensating differentials" per questo tipo di situazioni.

Questo articolo ed il commento di Marco Boninu mi hanno fatto venire in mente un film di qualche anno fa,  "Il posto dell'anima" ambientato in una fabbrica di pneumatici in Abruzzo, che una multinazionale vuole chiudere e che tutti gli operai tentano di difendere, nonostante le esalazioni respirate in tanti anni abbiano levato loro la salute, tanto che uno dei protagonisti alla fine muore di cancro.

Mio padre é originario della provincia di Taranto. Io in quella provincia ho passato le mie vacanze ed ancora ce le passo. Il mare e le spiagge sono uno spettacolo indescrivibile, poi uno si gira, guarda verso terra e vede uno spettacolo altrettanto indescrivibile, ma in negativo. A me piange il cuore. Sul versante verso Lecce della provincia non c´é nessuna struttura turistica degna di questo nome e non potrebbe essere realizzata piú in un litorale ormai degradato.

Se 40 anni fa ci fosse stata una classe dirigente piú lungimirante, adesso sarebbe una specie di Rodi, mentre invece l´intera provincia é ostaggio di quel mostro che é llva con il suo corollario di morti al suo interno per infortuni di tutti i tipi e morti, compresi i bambini, all´esterno. 

La rassegnazione che si respira in quella cittá e tra gli abitanti della provincia tra l´alternativa tra morire per malattia e morire per fame é angosciante.

Certo, il problema della classe dirigente.

Questo è un vecchio articolo del Corriere, che si sofferma, con due conti, proprio sul carrozzone Carbosulcis e sui costi dell'energia elettrica in questo lembo di terra.

IL MERCATO

La finanza pubblica tra Sulcis e Unione Monetaria

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ TITOLO: La finanza pubblica tra Sulcis e Unione Monetaria - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Le colline di S. Pietro, isoletta antistante la costa sudoccidentale della Sardegna, offrono una vista grandiosa: i boschi di pini marittimi, il blu intenso del mare, le montagne sarde, aspre e selvagge, che si perdono all' orizzonte. Ma offrono anche lo spettacolo, altrettanto stupefacente, dalle ciminiere di un complesso industriale, splendido esempio di cattedrale nel deserto. Non si tratta di una vestigia del passato: le vicende del Sulcis accompagneranno l' Italia nell' Unione Monetaria. L' inizio dell' attivita' estrattiva nel Sulcis risale alla meta' del 1800. Il carbone che si ottiene, pero' , ha un basso potere calorifico e un alto contenuto di zolfo, per cui le miniere entrarono in una fase di declino gia' all' inizio del secolo. Tornarono in auge nel 1935, quando le sanzioni economiche contro il regime fascista spinsero l' Italia verso l' autarchia. La fine della guerra getto' l' industria mineraria locale in una grave crisi. Le miniere del Sulcis finirono all' Enel, che con il carbone voleva produrre energia. Ma nel 1971 anche l' Ente elettrico abbandono' l' estrazione del minerale, perche' la produzione non era economica. Le miniere passarono poi all' Egam, e poi ancora, nel 1978, all' Eni; ma continuarono a languire. Nel 1985 lo Stato decide di dare 512 miliardi all' Eni per riattivare il bacino carbonifero; l' Eni a sua volta investe quasi 200 miliardi nelle miniere. Si arriva pero' al luglio 1993 e non un solo chilo di carbone e' stato estratto. In vista della sua privatizzazione, l' Eni abbandona definitivamente le miniere del Sulcis, e i 950 minatori vengono messi in cassa integrazione. Cominciano le agitazioni sindacali ed esplode la protesta. Il 28 gennaio 1994 un Decreto Presidenziale decide, per l' ennesima volta, di riaprire le miniere allo scopo di garantire il posto di lavoro ai minatori. Il carbone del Sulcis, sfortunatamente, continua a rimanere pieno di zolfo; si decide quindi di costruire un impianto di gassificazione che trasformi il minerale estratto in un gas pulito. Che fare del gas? Si costruisce una centrale elettrica alimentata da una turbina a gas. Che fare dell' elettricita' ? L' Enel, per legge, deve comperarla. Lo Stato, pero' , non puo' piu' costruire cattedrali nel deserto: ci vogliono i privati. E soprattutto ci vogliono 2000 miliardi per finanziare l' intero progetto. Il Decreto stanzia 420 miliardi a fondo perduto. Ma non bastano per garantire la redditivita' degli investimenti, e quindi l' interesse privato. Il Decreto, pertanto, obbliga l' Enel a comperare per otto anni l' elettricita' del Sulcis a un prezzo di 160 lire per chilowattora, quando il costo medio di produzione dell' Ente elettrico e' di sole 72 lire. Ma saranno i consumatori italiani che, alla fine, pagheranno questo sussidio, circa 180 miliardi l' anno, sotto forma di sovrapprezzo termico nella loro bolletta elettrica. Non e' finita. Il Decreto stabilisce che il carbone del Sulcis dovra' essere utilizzato per fornire almeno il 51% del fabbisogno termico richiesto nella produzione di elettricita' , perche' questa possa essere venduta a 160 lire. Se, per cause di forza maggiore, si dovesse scendere al di sotto del 50%, il prezzo garantito diminuirebbe di mezza lira per ogni punto percentuale. Come dire che, in teoria, si potrebbe continuare a vendere l' elettricita' del Sulcis a prezzo doppio il costo medio di produzione dell' Enel, anche senza utilizzare un grammo di carbone locale. Oltre al carbone estratto sul posto, il gassificatore sara' alimentato con il coke di raffineria, che viene prevalentemente importato. Per poter essere utilizzato nel nuovo impianto di generazione, bisognera' quindi trasportare il coke via nave fino in Sardegna; per scaricarlo, bisognera' attrezzare le banchine di Portoscuso, il porto piu' vicino, con un intervento della Regione di altri 120 miliardi. L' energia prodotta, naturalmente, non serve alla Sardegna, perche' sarebbe largamente esuberante rispetto ai suoi fabbisogni. Con un cavo sottomarino verra' quindi trasportata magari a Roma, magari a Torino. Due settimane fa, il Sole 24 Ore ha dato la notizia della stipula della convenzione tra il Comitato di coordinamento per il Sulcis e un gruppo di imprese private per l' avvio del progetto. Ironia della sorte, lo stesso giornale apriva quel giorno in prima pagina con il titolo "Italia e Unione Monetaria, entrare per poi restare" (5 ottobre 1996). Entriamo in Europa, dunque, ma con uno Stato che e' disposto a pagare 2 miliardi per ogni minatore del Sulcis, in una regione dove il 25% delle famiglie denunciano irregolarita' nell' erogazione dell' acqua. Evidentemente non si puo' fare a meno di queste politiche in Italia, quasi facessero parte del nostro codice genetico, se anche i migliori tecnici che il Paese ha portato al governo non sono riusciti ad opporsi a tanto spreco: il Decreto Presidenziale del 1994, infatti, porta la firma di Ciampi, Presidente del Consiglio, Barucci, ministro del Tesoro, Savona, ministro dell' Industria, e Spaventa, ministro del Bilancio.

Penati Alessandro

Pagina 23
(20 ottobre 1996) - Corriere della Sera

 

Carbosulcis dichiara di avere "un potenziale produttivo di 1.500.000 tonnellate di carbone mercantile all’anno" mentre "L’organico aziendale consiste in circa 520 unità, di cui circa centocinquanta sono impiegati di superficie, ed i restanti sono addetti alla produzione e mantenimento in sottosuolo."

http://www.carbosulcis.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=44&Itemid=41 

Dati sulla produzione non ne ho trovati, e quindi prendero' per buono questo: http://www.indexmundi.com/energy.aspx?country=it&product=coal&graph=production

vale a dire 80.000 tonnellate / anno. Diviso per 520 persone fanno circa 154 tonnellate / anno / persona. Calcolando un prezzo CIF del carbone (quello "buono", non quella schifezza del Sulcis, con basso potere calorifico, molto zolfo e molte ceneri) di 75$ = 50 € per tonnellata ciascun dipendente "produce" per meno di € 8.000 l'anno. Non ho considerato tutti gli altri costi semplicemente perchè non li conosco.

Un'alternativa alla carbon tax di cui si discute molto ultimamente e' il carbon cap and trade. Se pensiamo al mercato in cui i diritti ad inquinare vengono scambiati a livello nazionale, il carbon trading probabilmente non risolverebbe l'alta concetrazione di sostanze inquinanti in alcune aree tipo Taranto. L'unica soluzione sarebbe definire un livello ottimo di inquinamento a livello locale (provincia o forse un mercato ancor piu' piccolo), con il problema pero' di aver pochi scambi Qualcuno sa com'e' la situazione in Italia? Esiste un mercato (o mercati?) dove si scambiano diritti ad inquinare? Come funzionano? 

 

 

Esiste un mercato (o mercati?) dove si scambiano diritti ad inquinare? Come funzionano?

 

Esistono e come, e funzionano benissimo, almeno in Campania, qui trovi i tutti i riferimenti sul funzionamento.

E' inutile far troppi giri di parole noi per noi stessi cm gli africani per il resto del mondo... nulla... meno che nulla.

Mi disp per gli africani la mia non vuole essere un offesa ma purtroppo è così.

 

Mi dispiace un po meno per gli italiani e un pò vuole anke essere un issulto perchè noi non abbiamo alcun valore per noi stessi.

 

Come sono possibili ste cose?

 

In cina si può versare cromo 6 in un fiume... in Italia idem !!

 

E l'UE ??? Dov'è il commissario per l'ambiente che vuole ridurre i coloranti nelle matitine per permettere l'affondamento di plutonio nel mediterraneo ????

my.opera.com/aid85/blog/2009/10/15/il-mio-consiglio-fate-scorta-di-montepulciano-dabruzzo

Delle navi dei veleni vien su come la merda ogni tanto la storia dal fondo e come prende aria torna ad affondare rapidamente... a skytg24 il comandate del robot sottomarina ha scoperchiato un vaso di pandora dimostrando che il caso celermente chiuso dal ministero e dalle commisioni (anti?)mafia presentava dei dettaggli enormemente dubbi!

Il mattino dopo bon.

Notizie finite.

Navi dei veleni? Non ricordo nn so cosa siano... passiamo al grande fratello...

 

 

La vita qui non conta nulla!!

 

 

Ci sono regioni di questo paese dove se fissi troppo una ragazza il padre ti fa decapitare.

Nello stesso paese si ti ammazzano il figlio con la diossina non sene parla nemmeno.

Altrove il paese come minimo protesterebbe... e un sabotaggio alle industrie responsabili non si escluderebbe...

 

Da noi manco un regolare giusto processo...

 

Cosa c'è che non va?

Noi!

 

 

Sono d'accordo con aid85.  Il problema grosso, anzi grossissimo, siamo NOI che decidiamo sempre cosa fare guardando prima dal buco del nostro ombelico. In tutte le cose, piccole e grandi.  Se non c'è tornaconto personale, il ritornello è:  E chi me lo fa fare?