Università: una graduatoria di merito?

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Come sanno bene gli esperti di “marketing”, la parola “nuovo” è tra le più efficaci per pubblicizzare un prodotto. Non meraviglia quindi che l’ufficio stampa del Ministero dell’Istruzione, l’abbia usata generosamente, alla fine di luglio, per pubblicizzare il “nuovo sistema di finanziamento” delle università messo a punto dal Ministro Gelmini, ed applicato per l’anno 2009. In realtà non è affatto nuovo un sistema che prevede di distribuire una “quota” del finanziamento sulla base di criteri oggettivi, e la quota complementare su base “storica”, in proporzione al finanziamento dell’anno precedente. E’ quanto previsto da una legge del 1993 che è stata applicata, più o meno coraggiosamente,a partire dal 1995. Quest’anno la “quota” non distribuita su base “storica”, che la legge chiama “quota di riequilibrio”, è stata del 7%, più di quanto previsto negli anni immediatamente precedenti, meno però della “quota” del 1998 che era il 9%. Che cosa c’è allora di nuovo nella distribuzione targata Gelmini del finanziamento universitario?

La “novità” più commentata è stata la “graduatoria” delle sedi universitarie “virtuose” (con punteggio positivo) e delle sedi “viziose” (con punteggio negativo) associata alla distribuzione. Qualsiasi sfilza di numeri può essere ordinata dal numero più grande al più piccolo (da 10,69 a -3, in questo caso) e dar luogo ad una graduatoria. Per capirne il significato, bisogna però capire come sono calcolati i numeri, e che cosa possono fare le università per modificarli. I numeri hanno origine da un confronto tra il finanziamento che le sedi avrebbero avuto se l’intero ammontare fosse stato distribuito in proporzione alla distribuzione dell’anno scorso e quanto effettivamente ottengono nel 2009, dopo la distribuzione del 7% del totale del finanziamento sulla base dei criteri indicati dal Ministro. La differenza tra queste due cifre conteggiata come percentuale del finanziamento costituisce il “numero” associato alla singola sede universitarie, che dà luogo alla graduatoria.

Per fare un esempio concreto  Sapienza Università di Roma ha avuto nel 2008 un finanziamento di quasi 582 milioni. Nel 2009, per effetto della “quota di riequilibrio” ne riceverà 570 circa, la differenza, negativa,  è il 2,11% del finanziamento dell’anno scorso e proprio per questo alla Sapienza è associato il numero -2,11. Per contro il Politecnico di Milano ha avuto nel 2008 un finanziamento di 204 milioni; quest’anno, in virtù della “quota di riequilibrio” riceverà 10,6 milioni in più, che è appunto il 5,22% del finanziamento, e per questo al Politecnico di Milano è associato il numero 5,22 (il più alto dopo il 10 di Trento).

E’ chiaro che i numeri della graduatoria dipendono dai criteri di distribuzione della “quota di riequilibrio” e su questi criteri si sono concentrati commenti e critiche degli interessati. Tuttavia questi numeri dipendono in misura anche più forte dal finanziamento “storico” delle diverse sedi. Ci sono sedi che, a confronto di altre, risultano sovrafinanziate, rispetto a qualsiasi criterio che non sia il costo del personale. Prendiamo ancora una volta il caso della Sapienza. Nel 2008 il suo finanziamento arrivava all’8% del finanziamento totale di tutte le università statali. Ma il numero dei suoi laureati del 2006 è solo il 6,8% dei laureati italiani dello stesso anno. Se come criterio di distribuzione della “quota di riequilibrio” si adottasse quello del numero dei laureati, Sapienza avrebbe ancora un punteggio negativo. Lo stesso si può dire di molte altre sedi con “punteggio” negativo. Sono sedi sovrafinanziate che, a finanziamento costante del sistema universitario, sono destinate a perdere nell’applicazione di qualsiasi ragionevole criterio di distribuzione dei fondi che non sia basato sul costo del personale. Da che cosa dipende questo finanziamento storico “eccessivo”? La risposta è semplice: fino alla metà degli anni novanta il grosso del finanziamento delle università arrivava direttamente dal Tesoro che pagava gli stipendi e gli assegni fissi del personale di ruolo. Indipendentemente dal numero dei laureati o degli iscritti, o da altri parametri, lo Stato finanziava le università per quel che costava il personale di ruolo da esse impiegato.

Abbiamo quindi spostato il problema su un’altra domanda: perché “a parità di servizi erogati” alcune sedi impiegavano negli anni novanta più personale di ruolo? Scorrendo la lista delle università con punteggio negativo ci accorgiamo che in questa lista compaiono quasi tutte le università con un policlinico a gestione diretta e quasi tutte le università meridionali.

Per le prime possiamo tornare sull’espressione “a parità di servizi erogati”. Oltre all’insegnamento e alla ricerca le università con una facoltà di medicina svolgono anche il servizio di assistenza ospedaliera. Quelle con un policlinico a gestione diretta impegnano il proprio bilancio anche per gli stipendi ed assegni fissi di personale sanitario (infermieri, ausiliari, tecnici) che non svolge attività didattica. Le spese per questo personale, e per il servizio da loro svolto non sono in alcun modo conteggiate a fronte dei criteri “obiettivi” di finanziamento che riguardano solo didattica e ricerca. Restano in parte calcolate come “spesa storica”, ma, in questo senso determinano un finanziamento “eccessivo” rispetto ai parametri scelti per la “quota di riequilibrio” e  contribuiscono alla posizione negativa nella “graduatoria” ministeriale. Paradossalmente per queste sedi l’unica possibilità di “risalire” la graduatoria è quella di ottenere (relativamente) meno fondi dal Ministero. Questo non mancherà di avvenire, sia pure lentamente, se si continuerà ad applicare con il dovuto rigore la legge del 1993. Il problema per queste sedi è quindi quello di trovare i fondi per finanziare un’attività, cioè l’attività assistenziale, che non viene riconosciuta meritevole di finanziamento sui fondi del Ministero dell’Istruzione. Sembra naturale che questa attività sia finanziata, coordinata e valutata a livello regionale e nel quadro del sistema sanitario nazionale. Perché questo avvenga è necessario innanzitutto che le spese per l’assistenza siano conteggiate separatamente. Esse dovrebbero comprendere almeno un terzo del costo del personale docente impiegato in attività assistenziali e l’intero costo del personale non docente che svolge attività assistenziali. Eppure i rettori delle università interessate (con qualche eccezione), pur contestando i criteri per la distribuzione della quota di riequilibrio, non muovono un passo in questa direzione, perché temono che sia compromessa la “autonomia” delle facoltà di medicina. Ma non dovrebbe essere anche il Ministero ad affrontare apertamente questo problema?

Un discorso a parte merita il caso delle sedi meridionali. Come tutte le amministrazioni le università del meridione hanno subito la pressione ad aumentare il personale amministrativo per far posto a meridionali impiegati al nord, che volevano “tornare a casa”. Finché gli stipendi e i contributi di questo personale erano pagati dal Tesoro, le università non avevano alcun interesse a contenere gli organici e non potevano che assentire al trasferimento del personale da una sede del nord. Si tratta di un fenomeno che colpisce tutta l’amministrazione pubblica del sud e che, tra l’altro, ne determina anche l’inefficienza. Non è qui il luogo per discutere possibili rimedi per le altre amministrazioni. Sta di fatto che per le università, il nuovo metodo di finanziamento adottato nel 1996 che assegna alle università il compito di pagare sui propri fondi il costo del personale, ha cambiato le carte in tavola. Le università meridionali sono costrette a conteggiare il personale per quel che costa e non come un bene gratuito pagato dall’amministrazione centrale. Anche per queste sedi, paradossalmente, la risalita della graduatoria può avvenire soltanto attraverso un ridimensionamento del finanziamento statale, un ridimensionamento che si è già verificato, in termini relativi, a partire dal 1995, e che dovrà necessariamente proseguire negli anni a venire. Per rispondere a questo ridimensionamento le sedi del meridione dovrebbero quindi avviare un processo di riduzione e riqualificazione del personale amministrativo e tecnico, uniformandosi agli standard delle università settentrionali.

Un caso paradigmatico è quello dell’Università della Basilicata, che sta in fondo alla graduatoria con un ponteggio di -2,9. Questa università ha avuto nel 2008 un finanziamento di 35,6 milioni. Nel 2009, per effetto della “quota di riequilibrio” riceverà un milione in meno, cioè il 2,9% in meno. Ma anche in questo caso il basso punteggio si spiega con il finanziamento che risulta “eccessivo” rispetto a qualsiasi ragionevole criterio che non sia il costo del personale. Ancora una volta possiamo prendere come criterio di finanziamento il numero di laureati. Nel 2008 il finanziamento della Basilicata arrivava quasi allo 0,5% del finanziamento totale di tutte le università statali. Ma il numero dei suoi laureati del 2006  è solo lo 0,3% dei laureati italiani dello stesso anno. Se come criterio di distribuzione della “quota di riequilibrio” si adottasse quello del numero dei laureati, Basilicata avrebbe quindi ancora un punteggio negativo.

Il caso della Basilicata è particolarmente interessante, perché non ha una facoltà di medicina, ma soprattutto perché  l’eccesso di personale non docente (e programmi edilizi eccedenti le probabili dimensioni del corpo studentesco) era stato già rilevato dal suo nucleo di valutazione interna negli anni novanta. Infine perché dal 1996 al 2008, Basilicata ha già perso in termini reali (cioè tenuto conto dell’inflazione) 3 milioni di euro, che saliranno a 4 con la distribuzione del 2009.  Nello stesso periodo non c’è stata una diminuzione del personale docente, che è rimasto sostanzialmente stabile. E’ quindi probabile che ci sia stato un blocco del “turn over” del personale amministrativo e tecnico.

L’università della Basilicata, lentamente ma sicuramente, sta abbandonando il suo ruolo di “fornitore di impiego pubblico” in una zona economicamente depressa. La perdita di questo ruolo è la necessaria premessa per svolgere correttamente il ruolo proprio di un’università, che può essere anche la promozione dello sviluppo economico, ma solo attraverso le attività che le sono proprie: insegnamento e ricerca.

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Commenti

Ci sono 71 commenti

 

Nello stesso periodo non c’è stata una diminuzione del personale docente, che è rimasto sostanzialmente stabile. E’ quindi probabile che ci sia stato un blocco del “turn over” del personale amministrativo e tecnico.

 

Non ho capito questa affermazione. Da cosa si deduce che c'è stato un "blocco del turn over del personale amministrativo e tecnico"?  La mia è solo curiosità intellettuale, non sono lucano, non sapevo nemmeno che esistesse una Università della Basilicata..

Un'altra domanda: sulla base della spesa storica quale era l'Università più penalizzata ?

Esistono dei dati sui flussi di rientro nord-sud del personale universitario ?

I dati sui quali mi baso sono i seguenti: il FFO della Basilicata nel 1996 era quasi 30 milioni, nel 2008 era 35,6 milioni. Secondo l'ISTAT il coefficiente per cui si deve moltiplicare un euro del 96 per ottenere il corrispondente valore nel 2008 è 1,2916. Pertanto Basilicata ha subito una diminuzione di FFO in termini reali. Secondo il rapporto CNVSU del 2008 la basilicata ha visto aumentare dal 1998 al 2008 il personale docente di due unità (0,6%). Il costo del personale docente non è quindi diminuito anche perché sempre secondo il rapporto CVSU (Tabella A1.2) è aumentato il personale delle qualifiche più alte e più costose a fronte di una diminuzione dei ricercatori. Poiché l'andamento degli stipendi del personale pubblico ha almeno seguito l'inflazione, e poiché il FFO serve principalmente (al 90% circa) a coprire i costi del personale, e l'università non è fallita, devono essere diminuiti i costi del personale non docente. Io ipotizzo, ma non sono sicuro che ci sia stato un blocco delle assunzioni come suggerito negli anni novanta dal Nucleo di Valutazione dell'università stessa. 

Nel 1995 credo che se non la più penalizzata una delle sedi più penalizzate fosse il politecnico di Milano (sede del nord, senza facoltà di medicina, alte tasse di iscrizione).

Non so cosa intendi per "flussi di rientro". Io sto scrivendo un articolo in collaborazione con un esperto del CNVSU sulle variazioni degli FFO dal 196 al 2008. Dai dati in nostro possesso risulta che nel 1996 le università statali delle regioni meridionali prendevano il 37% del totale FFO e nel 2008 sono passate al 40%. Spero di completare presto il nostro lavoro (con tavole e grafici). Sarà un problema trovare un luogo per la pubblicazione. 

...quindi la graduatoria della Gelmini non è poi così male. Detto da voi, ha un bel peso!

Comunque sono d'accordo, le novità del sistema di redistribuzione dei finanziamenti hanno delle ricadute positive. Ritengo che la levata di scudi che c'è stata inizialmente contro il ministero in questo frangente da parte del mondo universitario italiano fosse il primo segno che il ministro avesse colto nel segno.

Io ora vorrei anche una realistica valutazione della produzione scientifica. E' il tassello che manca, e non è un tassello da poco.

Molto bene; l'articolo già da solo vale 10 giavazzi del Corriere, e spiega in ottimo stile storico-concettuale le questioni di fondo. Mi picco di ricordare che all'epoca della pubblicazione della "classifica" avevo scribacchiato qualche riga nelle more dei commenti ad un altro articolo di cose universitarie su cui il popolo di nFA si era come al solito slanciato a manetta, esponendo delle linee argomentative che ora con il contributo del Professore ben si chiariscono.

In sintesi, torno quindi a rilevare che:

1. Il Pagellone della Gelmini non è una "classifica di qualità" in senso assoluto (neanche rispetto agli stessi criteri da Lei utilizzati), in quanto esprime un confronto sul finanziamento ottenuto rispetto all'anno scorso, laddove il trascinamento della "spesa storica" rende impossibile affermare che le virtuosità intrinseche di ricerca e didattica (comunque "misurate") siano rappresentate correttamente in tale ardua comparazione - ardua dal punto di vista della interpretazione della composizione di siffatta allocazione storica, come abbiamo or ora letto approfonditamente.

2. I "criteri di qualità" usati per il 7% potrebbero essere in linea di principio usati per costruire la "vera" classifica ordinale (rispetto appunto a quei criteri), ma di questo non si è visto nulla nei siti del Ministero, nè è desiderabile - a questo punto - che si veda, dato che i criteri fanno acqua da tutte le parti e una "classifica vera" in tal guisa non aggiungerebbe informazioni più solide rispetto a ciò che è circolato.

3. Abbiamo visto in questi anni (post 1993) un florilegio di "modelli concreti (de facto)" di finanziamento ordinario senza che spuntasse all'orizzonte un Ordine Nuovo dato da (almeno) una linea direttrice di modello, insomma un modellino che si imponga progressivamente ma chiaramente per lo scopo. E si è capito qual è il fattore ostativo - già lo si sapeva, nell'ambiente, ma almeno ora anche gli economisti dovranno prenderne atto e considerare nei loro schemi anche Miccichè e Bassolino. Che in linea teorica ci voglia un phasing out da questa storiaccia della storia che ti incombe ogni anno è più facile a dirsi che a farsi in un Paese con il tipo di lavoro pubblico che c'è, con l'Art. 18 che c'è e le condizioni economiche che ci sono. Perchè la storia sono persone.

4. La valutazione della ricerca e quella della didattica sono ben altre cose rispetto al finanziamento dell'Università, checchè ne dicano gli economisti. Ovviamente si possono costruire dei processi di valutazione con il fine di usare poi gli esiti (anche) per il finanziamento, ma non c'è necessità (e ci vuole tatto: non stiamo parlando di gelaterie). E sarebbe bene prendere atto del ruolo della valutazione e della garanzia di qualità per se, come si fa in genere. A tutto vantaggio dei veri interessi dell'Università e del merito.

RR

 

Ringrazio molto per questo articolo che spiega correttamente il senso di una classifica che tutti (incluso lo stesso ministro!) hanno dato l'impressione di considerare una classifica di merito.  In realta' la classifica misura invece la differenza tra il finanziamento 2010 rispetto al 2009 in presenza e per effetto di una quota maggiore rispetto al 2009 assegnata secondo il merito.  La classifica pertanto combina due aspetti diversi: vincono le universita' che nel 2009 erano ingiustificatamente sottofinanziate e/o meritevoli.  Una universita' sovra-finanziata nel 2009 anche se meritevole puo' finire nella parte bassa della classifica.

 

In realta' la classifica misura invece la differenza tra il finanziamento 2010 rispetto al 2009

In realtà è il finanziamento 2009 (rispetto al 2008). Colgo l'occasione di questo lapis :-) per ricordare che anche questo è un unicum nel panorama internazionale - e in particolare il ritardo maturato quest'anno per la ripartizione del FFO è in contrasto stridente con il concetto di buona amministrazione che si vorrebbe promuovere. Ovviamente ci sono molte altre cose da fare sul merito, ma almeno ricordare che in Francia, paese più vicino al nostro per struttura e forme del sistema universitario, ci sono contratti quadriennali di finanziamento fra lo Stato e le singole istituzioni, sarebbe utile allo scopo.

RR

Francamente mi sembra che questo post aggiunga solo confusione. L'autore introduce arbitrariamente i suoi criteri  di finanziamento ottimale (la percentuale di laureati sul totale dei laureati in Italia, o il rapporto docenti/studenti o personale amministrativo/docenti o il rapporto personale medico/personalte totale), giudica in base ad essi il finanziamento 2009 "eccessivo" o "scarso" e poi, implicitamente, assume che il vero obiettivo della riforma del finanziamento sia quello di correggere le distorsioni da lui individuate. La riforma ha privilegiato altri criteri, fra cui in posizione preminente la qualità della ricerca scientifica, sulla base della valutazione CIVR. Purtroppo il Ministero non ha ancora fornito i dettagli  del calcolo, ma si può facilmente immaginare che se Roma I avesse primeggiato in tutti i settori secondo il CIVR, avrebbe avuto un incremento del finanziamento, non un calo. A mio avviso, la discussione dovrebbe concentrarsi sulla riforma reale. In particolare, su tre  problemi:

a) la capacità del CIVR di  valutare la ricerca (con indicazioni di metodologie alternative)

b) il peso ottimale del criterio qualità della ricerca sulla valutazione complessiva di una università (ed i criteri alternativi - p.es. misure della performance didattica)

c) eventualmente, l'opportunità di passare da una valutazione di università ad una di dipartimento, e la possibilità di farlo (cf. il dibattito fra Pagano/Jappelli e Giavazzi)

 

 

L'autore introduce arbitrariamente i suoi criteri  di finanziamento ottimale (la percentuale di laureati sul totale dei laureati in Italia,

 

Considero il n. di laureati (in attesa di valutazioni future sulla loro qualita' media) il criterio piu' logico e meno arbitrario per ripartire il finanziamento degli Atenei, disciplina per disciplina, visto che i costi sono ben diversi come altrove (vedi Australia) anche anche stimato.

 

La riforma ha privilegiato altri criteri, fra cui in posizione preminente la qualità della ricerca scientifica, sulla base della valutazione CIVR. Purtroppo il Ministero non ha ancora fornito i dettagli  del calcolo,

 

Ma mentre il MIUR omette di informare i contribuenti di come sta spendendo i loro soldi qualche insider di buon cuore ha pubblicato almeno i criteri utilizzati per ripartire il 7% su lavoce.info.

 

ma si può facilmente immaginare che se Roma I avesse primeggiato in tutti i settori secondo il CIVR, avrebbe avuto un incremento del finanziamento, non un calo.

 

Quanto scrivi e' plausibile ma non certo.  Bisognerebbe conoscere quanto sperequati erano i finanziamenti storici. Se come credo sia corretto la classifica riguarda solo le differenze percentuali da anno ad anno del finanziamento, allora significa che ogni Ateneo ha avuto un x% del finanziamento del 2008 "storico" rimpiazzato da un x% di finanziamento ripartito col merito. Se il finanziamento "storico" era ingiustificatamente molto elevato puo' benissimo succedere che pur prendendo finanziamento di merito al top della classifica questa attribuzione rimanga inferiore al x% di finanziamento storico.

Per fare un esempio con i dati forniti, la U.Basilicata prende lo 0.5% pur laureando il 0.3% dei laureati, quindi storicamente prende il 66% in piu' di quanto spetterebbe in base al numero di laureati. Se nel finanziamento di merito prende il 30% in piu' della media, nella classifica pubblicata risulterebbe tra gli Atenei penalizzati i in fondo alla statistica, pur essendo ai vertici della classifica del merito.

 

Non ho introdotto nessun criterio di finanziamento "per me ottimale".

Continua la confusione fra giudizio di merito sul cambiamento dei criteri e correttezza dei criteri precedenti. Il fatto che, a giudizio tuo o di Figà Talamanca o mio, il finanziamento 2008 fosse distribuito in maniera "ingiusta" non ha nulla a che vedere con il cambiamento dei criteri. Il cambiamento non si propone di correggere le "ingiustizie" ma di premiare l'efficienza delle università. Mi sembra opportuno discutere di questa operazione, non delle preferenze personali

Aggungo che il numero di studenti laureati è probabilmente il peggiore criterio di finanziamento delle università possibile. In primo luogo mette insieme i laureati di tutte le discipline (ti sembra che un laureato in Scienze delle comunicazioni valga un fisico teorico?). In secondo luogo  conferma l'incentivo perverso ad attrarre molti studenti ed a farli laureare presto, a scapito della qualità degli studi. Sono i due difetti principali del vecchio sistema di finanziamento

 

Continua la confusione fra giudizio di merito sul cambiamento dei criteri e correttezza dei criteri precedenti.

 

La confusione e' opera del MIUR che per quanto capisco ha mescolato nella classifica diffusa mediaticamente le conseguenze finanziarie dei nuovi e vecchi criteri. Il MIUR potrebbe fare chiarezza pubblicando come e' stato ripartito il 7%, ma in ogni caso serve comunque anche una stima delle dimensioni degli Atenei, se non e' il numero dei laureati almeno il totale di docenti e ricercatori (l'FFO del 2008 non e' una buona stima perche' risente delle distorsioni storiche, ulteriore motivo che rende meno valida la classifica diffusa su media) perche' se non si divide per un parametro dimensionale anche la ripartizione del 7% non dice molto.

 

Il cambiamento non si propone di correggere le "ingiustizie" ma di premiare l'efficienza delle università. Mi sembra opportuno discutere di questa operazione, non delle preferenze personali

 

Concordo, ma e' ugualmente lecito criticare il MIUR perche'

  1. non ha diffuso i criteri utilizzati per ripartire il 7% (ci ha dovuto pensare lavoce.info)
  2. non ha diffuso i dati su come quantitativamente e' stato ripartito il 7%, che illustrerebbero meglio i risultati dei nuovi criteri usati senza mescolarli con le distorsioni del passato

Senza questi dati mi spieghi come o cosa possiamo discutere?  Dobbiamo per forza discutere su numeri che mescolano le distorsioni passate con i nuovi criteri.

 

Aggungo che il numero di studenti laureati è probabilmente il peggiore criterio di finanziamento delle università possibile. In primo luogo mette insieme i laureati di tutte le discipline (ti sembra che un laureato in Scienze delle comunicazioni valga un fisico teorico?). In secondo luogo  conferma l'incentivo perverso ad attrarre molti studenti ed a farli laureare presto, a scapito della qualità degli studi. Sono i due difetti principali del vecchio sistema di finanziamento

 

Concordo (e lo avevo scritto) che laureati di discipline diverse costano (e sono utili alla societa', aggiungo) in misura diversa.  Concordo (e l'avevo scritto) che e' necessaria anche una valutazione della qualita' media (degli abbozzi sono presenti nei criteri usati, per quanto approssimativi e non ben calibrati). Concordo infine sul fatto che in assenza di separazione per disciplina e controllo della qualita' modulare i fondi proporzionalmente ai laureati e' iniquo e provvede incentivi sbagliati.  Ma ribadisco che separando per disciplina e misurando adeguatamente la qualita' media il numero dei laureati dovrebbe essere il principio guida per la ripartizione dei finanziamenti.

NB che le universita' con cui ho a che fare non sono penalizzate dalla classifica pubblicata sui media, anzi, quindi non ho alcun interesse personale nel criticare l'operato del MIUR.

 

Continua la confusione fra giudizio di merito sul cambiamento dei criteri e correttezza dei criteri precedenti.

La confusione è opera del Ministro e della stampa che ha fatto titoloni sulla "nuova classifica" ma che poi non ha dato sufficienti informazioni pubbliche sui dati disaggregati, per aiutare l'opinione pubblica a decifrare il significato di quello che avevano sotto gli occhi. Questo articolo su nFA è il primo che dia un panorama concettuale e qualche strumento utile ad un orientamento.

Il cambiamento non si propone di correggere le "ingiustizie" ma di premiare l'efficienza delle università. Mi sembra opportuno discutere di questa operazione, non delle preferenze personali

L'operazione mediatica, come abbiamo detto, è stata scientificamente (e quindi concretamente) disastrosa, in primis perchè il populace non ha i dati per poter vedere la "vera" classifica di merito sui criteri operanti "sul solo 7%"; ma - come ho già scritto più sopra - non so se sia il caso di farlo a questo punto. Faccio notare che la forma di pubblicazione dei risultati di un esercizio di valutazione è una cosa serissima e viene usualmente (i.e. nei Paesi normali) decisa e fissata all'inizio dell'esercizio. Ne va della reputazione e del lavoro Vostro e di Vs. colleghi.

L'operazione di merito è criticabile sul merito, per via dei criteri che fanno acqua da tutte le parti, e di fatto non apre, se non a parole, una finestra di meritocrazia. Ovvio che bisognerebbe scendere nel dettaglio analitico, che in parte diversi commentatori hanno abbozzato in questi 40 giorni.

Aggungo che il numero di studenti laureati è probabilmente il peggiore criterio di finanziamento delle università possibile.

Non so se sia il peggiore, comunque io non lo consiglio. Nel pagellone della Gelmini c'è di peggio, comunque, perchè si premia il grado di acquisizione di crediti da parte degli studenti del primo anno (rispetto al valore medio). In mancanza di altri controlli o metodi "impossibilmente oggettivi" di esame (peraltro tutto da analizzare a parte), siamo quasi al premio della s-qualità...

RR

Su un punto - miracolosamente- sono d'accordo con Renzino. Non si sa ancora come sia stata fatta la graduatoria. La minima decenza imporrebbe di mettere a disposizione un file con i parametri (valutazione CIVR etc.) in modo che chiunque possa valutare la riforma

Sono anche d'accordo sull'assurdità dei parametri didattici, che creano incentivi perversi a rendere facili gli esami per avere più studenti in corso

NON sono d'accordo sul numero di studenti (o leaureati) come parametro principale dei finanziamenti. E comunque Figà Talamanca lo introduce nel momento in cui confronta la percentuale di laureati con la percentuale dei finanziamenti e definisce sovradimensionata una università sulla base di tale confronto

 

NON sono d'accordo sul numero di studenti (o leaureati) come parametro principale dei finanziamenti.

Il numero di studenti è un semplice parametro di mercato, oserei dire Giavazzi-style, che ritengo il più ovvio e "logico" criterio di finanziamento per le Università in un mondo libero. Infatti è l'UNICO criterio esistente in Gran Bretagna per la parte riguardante la didattica, e parimenti è l'unico "criterio" negli USA (massimamente nella forma di tasse di iscrizione). L'unica differenza è che negli USA vi è un sistema di borse/assegnazioni dirette allo studente (delle istituzioni accreditate). Il Mezzemaniche della Valtellina lo definirebbe sicuramente un criterio mercatista, ed infatti espone le Università ai marosi fluttuanti delle volontà degli studenti-clienti. Sarebbe purtuttavia l'unico criterio scevro da altri inconvenienti (per questo in UK non ci sono dubbi nel fare così).

Adesso che lo sapete, fate come volete - io vi ho detto (quasi) tutto... che buono che sono :-))

RR 

 

Forse il parametro giusto sarebbe quello degli studenti in corso: in tal modo gli atenei sarebbero disincentivati a creare e mantenere schiere di fuoricorso  (che, non essendo sovvenzionati dallo stato, ritornerebbero a livelli fisiologici).

Guarda che il modo più facile per ottemperare a questa condizione è promuovere tutti "a prescindere"... la ricetta per il disastro.

(Quanto ai fuori corso, non si capisce quale sia il loro "costo" addizionale. Forse presumi che si tratti immancabilmente di pluribocciati che appesantiscono inutilmente gli appelli ma in molti casi (ingegneria) non è così. Riferendosi agli ordinamenti quinquennali -che stanno quietamente rientrando dalla finestra- quasi tutti gli studenti erano fuori corso, perché preparando un esame alla volta era quasi impossibile finire in corso)

 

 

Non ho mai proposto il numero dei laureati come criterio di distribuzione dei finanziamenti. L'ho usato come esempio di un criterio "oggettivo" apparentemente molto distante da quelli del ministero che, applicato allo stesso modo, avrebbe dato risultati analoghi a quelli della graduatoria per le sedi con punteggio negativo. Allo stesso modo si può usare il numero degli studenti e il numero degli studenti "regolari" (secondo la definizione dello CNVSU). In effetti nel 1995 la commissione tecnica per la spesa pubblica tentò con un esercizio econometrico, e cioè su base empirica, di arrivare ad una formula lineare, basata su parametri rilevabili, che giustificasse il diverso costo dello studente nelle diverse università. Alla fine decisero di includere nella formula una variabile "geografica": le università del nord per ragioni "misteriose" avevano minori costi. Non so dove siano reperibili i dettagli di questo esercizio. La mia fonte fu la presentazione al CUN nel dicembre 1995 della formula. Il resoconto dettagliato di questa presentazione, con i miei commenti, è pubblicato nel numero di gennaio-febbraio 1996 del Notiziario dell'unione matematica italiana. Naturalmente il modo di "spiegare" i maggiori costi delle università meridionali è quello di introdurre la variabile "numero di dipendenti". E' la variabile giusta se pensiamo che la funzione dell'università sia quella di contribuire ad alleviare la disoccupazione assumendo personale.  

Di grazia, in cosa consiste il "sovvenzionamento" che lo Stato dà ai fuori corso ?

Minori tasse ?

Buoni mensa gratis ?

Poter scrivere una tesi con meno pagine rispetto alla media ?

 

 

C'era un re che aveva due universita': una d'argento e una d'oro. Entrambe avevano all'incirca le stesse dimensioni ed entrambe erano finanziate direttamente dai forzieri del re. Ogni anno l'universita' d'argento riceveva 80 scudi, mentre l'universita' d'oro ne riceveva 120. Un giorno il re decise che il 10% dei 200 scudi destinati ogni anno alle sue universita' sarebbe stato distribuito su base meritocratica. Nella sua regale saggezza, il re valuto' che 11 scudi sarebbero spettati all'universita' d'oro e 9 scudi sarebbero spettati all'universita' d'argento. Di conseguenza l'universita' d'argento avrebbe ricevuto 81 scudi, mentre l'universita' d'oro ne avrebbe ricevuti 119. Un editto reale annuncio' al popolo un incremento di oltre l'1% nei finanziamenti all'universita' d'argento e una riduzione di quasi l'1% nei finanziamenti all'universita' d'oro. Un importante passo in direzione meritocratica era stato compiuto. Gli araldi del re diedero subito fiato alle trombe: finalmente il maggiore merito dell'universita' d'argento era stato riconosciuto.

 

C'era un re che aveva due universita': una d'argento e una d'oro. Entrambe avevano all'incirca le stesse dimensioni ed entrambe erano finanziate direttamente dai forzieri del re. Ogni anno l'universita' d'argento riceveva 80 scudi, mentre l'universita' d'oro ne riceveva 120. Un giorno il re decise che il 10% dei 200 scudi destinati ogni anno alle sue universita' sarebbe stato distribuito su base meritocratica. Nella sua regale saggezza, il re valuto' che 11 scudi sarebbero spettati all'universita' d'oro e 9 scudi sarebbero spettati all'universita' d'argento. Di conseguenza l'universita' d'argento avrebbe ricevuto 81 scudi, mentre l'universita' d'oro ne avrebbe ricevuti 119. Un editto reale annuncio' al popolo un incremento di oltre l'1% nei finanziamenti all'universita' d'argento e una riduzione di quasi l'1% nei finanziamenti all'universita' d'oro. Un importante passo in direzione meritocratica era stato compiuto. Gli araldi del re diedero subito fiato alle trombe: finalmente il maggiore merito dell'universita' d'argento era stato riconosciuto.

Questa storiella è molto bella: perchè non la mandi ai giornali (e poi eventualmente anche a Giavazzi e Compagnia Cantante)?

RR

Prendiamo un esempio reale: fino a poco tempo fa la laurea in fisica era quadriennale (adesso, col 3+2, le cose sono cambiate ma, non avendone esperienza diretta, parlerò del passato). In teoria quindi uno studente medio-bravo avrebbe dovuto laurearsi in 4 anni. Nella realtà dei fatti i migliori, gente che macinava esami a ritmi impressionanti, riuscivano a laurearsi ad aprile del quinto anno. Per strani giri burocratici però l'anno accademico finiva ad aprile e quindi venivano considerati "laureati nei tempi previsti" anche se gli anni effettivamente spesi erano di più di quelli teorici. Comunque sia stiamo parlando di una o due persone per anno in ciascun dipartimento. Il motivo non è mai stato che ci fossero solo un paio di studenti bravi per ogni anno di corso nè che fisica fosse particolarmente difficile (infatti la stessa identica cosa accadeva in facoltà come filosofia, scienza della comunicazione e pure ad ingegneria nonstante quest'ultima fosse quinquennale). Il vero motivo è che non c'è mai stato nell'università italiana la volontà di strutturare i corsi in modo tale che fosse possibile laurearsi nei tempi prestabiliti (e qui il discorso sarebbe lungo).

Utilizzare il numero di laurati nei tempi come parametro per la qualità della didattica è un tantinello semplificatorio ma magari potrebbe incentivare i vari corsi di laurea a riorganizzarsi in modo da essere un tantinello più razionali di quanto non siano adesso.

Il rischio del "passiamo tutti così tutti si laureano in fretta" è tuttavia reale e l'unico modo con cui penso possa essere combattuto è facendo in modo che le università competano per gli studenti migliori (nessuno va alla Normale di Pisa perché è più facile ma perché ti offre qualcosa in più).

Aggiungo che lo studente bravissimo che aveva terminato gli esami a giugno del quarto anno, poteva comodamente essere sfruttato come manodopera qualificata e gratuita, per le ricerche del suo relatore, con la scusa della tesi di laurea. Il risultato era che i migliori (parlo dell'uno per cento) laureati in fisica di una sede come Sapienza avevano una preparazione alla ricerca paragonabile a quella di un medio dottorato francese. Ma non era a mio parere un risultato di cui vantarsi. 

in molti paesi europei ci sono doppie tariffe all'università, gli stranieri pagano di più perchè dopo la laurea vanno nel paese dove più gli conviene e non ha senso spedendere soldi pubblici per loro. Le università potrebbero mettergli tariffe più alte e magari offrirli servizi aggiuntivi visto che c'è competizione per accapararseli. Se poi devono fare lavoretti per studiare cavoli loro.

Così soddisfiamo la lega e troviamo un po' di soldi per l'università.

chissà se si degenerà verso tariffe differenziate per italiani e stranieri in altri ambiti...

Non credo sia una buona idea.

Gia' gli studenti internazionali che si iscrivono alle universita' italiane sono pochi in percentuale, se poi gli aumentiamo la retta "solo perche' sono stranieri", non faremo che peggiorare le cose.

 

 

Un paio di commenti su e a partire dall’intervento di Figà Talamanca.

Figà Talamanca contesta il carattere di novità con cui è stata presentata a luglio la distribuzione del FFO 2009 (distribuzione, sottolineo, non ancora formalizzata in apposito decreto). Il sistema non è nuovo, egli sostiene, perché già la legge del 1993 prevedeva “di distribuire una quota del finanziamento sulla base di criteri oggettivi  e la quota complementare su base ‘storica’”.

Ma una novità c’è, come Figà Talamanca sa: è la destinazione diretta di una parte del 7% premiale ai risultati della valutazione della ricerca. Le conseguenze operative della valutazione della ricerca effettuata dal CIVR sono state fino ad oggi del tutto marginali: nel decreto del marzo 2006 sui criteri di ripartizione del FFO per tale anno si stabilisce semplicemente che, per quanto riguarda i criteri utilizzabili per la valutazione della ricerca nella distribuzione della quota di riequilibrio, “si terrà anche conto dei risultati del Rapporto del CIVR”. Analoga disposizione è contenuta nel decreto sulla ripartizione del FFO per l’anno 2007. Sulla base di tali disposizioni, i risultati dell’esercizio CIVR costituivano soltanto un “fattore correttivo” del “potenziale di ricerca impegnabile”, ossia del numero di teste potenzialmente impegnabili nella ricerca. Ora tener conto della ricerca, nella distribuzione dei fondi tra le università, non in ragione del numero delle persone potenzialmente impegnabili in essa, ma in ragione dei risultati fa una certa differenza e segna una novità.

Il guaio è che questa novità non è stata supportata da una coerente azione del governo diretta a garantire la continuità della attività di valutazione. Nel FFO 2009 i fondi premiali per la ricerca si distribuiscono su dati ormai vecchi, ossia i dati dell’esercizio CIVR per gli anni 2001-03. L’aver mantenuto il CIVR in stato di stallo è un errore inspiegabile di questo governo, un errore che rende meno limpida la rilevanza dei premi alla ricerca del FFO 2009. Ma i limiti della quota 7% non si fermano qui.

Figà Talamanca osserva che la novità più commentata del FFO 2009 è la “graduatoria” delle università in “virtuose”, con un punteggio positivo, e “viziose”, con un punteggio negativo. I punteggi, egli sostiene, dipendono dai criteri della quota di riequilibrio (il 7%) e dal “finanziamento ‘storico’ delle diverse sedi.” Egli richiama il finanziamento storico eccessivo attribuito ad alcune sedi quando stipendi e assegni del personale di ruolo erano pagati direttamente dal Tesoro, indipendentemente da parametri oggettivi, e cita due fattori che hanno condotto a tale eccesso: la presenza in alcune sedi universitarie di policlinici a gestione diretta e l’affollamento di personale amministrativo nelle università meridionali. La quota di riequilibrio, egli ritiene, consentirà di superare il finanziamento storico eccessivo, se la legge del 1993 sarà applicata “con il dovuto rigore”. In estrema sintesi dunque, nulla di nuovo nella quota del 7% secondo Figà Talamnaca, si sta solo riprendendo la strada indicata dalla legge del 1993.

Ora, la quota 7% del FFO 2009 è definita, nel comunicato ministeriale con cui è stata illustrata lo scorso luglio, come “Fondo premiale”. E in effetti gli indicatori illustrati per la sua distribuzione  hanno quasi tutti un carattere di premio o incentivo. Due quesiti: premia bene questa quota? Direi di no: perché incentiva un abbassamento della qualità degli studi universitari, perché utilizza valutazioni della ricerca vecchie e perché non garantisce che i premi alla ricerca nei singoli atenei vadano a chi ne ha determinato l’ottenimento. Secondo quesito: la quota 7% garantisce un riequilibrio tra gli atenei? Direi che il “Fondo premiale” 2009 non sia una quota di riequilibrio se non nel senso molto indiretto che le università sotto finanziate che fanno bene (per quel che può significare questa espressione, visti i criteri utilizzati) avranno più risorse di università sovra finanziate che fanno male.

Poi, la graduatoria: veramente non si capisce perché, essendo stato varato un fondo premiale, non sia stata fatta una graduatoria sui soli esiti della distribuzione del fondo premiale, ma sia stata invece presentata una graduatoria in termini di variazioni dei fondi complessivi attribuiti ai singoli atenei rispetto al 2008. Da quali elementi emerge la graduatoria presentata e se vi sono e quali incidenze di elementi diversi dagli indicatori del fondo premiale, oggi non sappiamo. Ma, se vi fossero incidenze di elementi diversi dagli indicatori del fondo premiale, sarebbe ancora corretto parlare di graduatorie di merito?

Infine, il peso della “spesa storica” nel finanziamento delle università. Naturalmente, nulla da aggiungere alle distorsioni, sottolineate da Figà Talamanca, create dai policlinici a gestione diretta e dall’abbondanza di personale amministrativo delle università meridionali. Ma accanto alle distorsioni create ai tempi dell’accentramento sul ministro di tutte le decisioni di spesa, non dovremmo trascurare, in tema di distorsioni, la copertura che il criterio assolutamente prevalente della spesa storica ha offerto negli anni della autonomia a tutti gli errori degli atenei, errori certo agevolati da riforme dissennate, ma pur sempre errori e cause di squilibri.

 

Il concetto di "nuovo" è sempre relativo. Nel 2004 il Ministro Moratti apparve assieme al presidente del Consiglio nella trasmissione Porta a Porta, ed espose "il nuovo modello di finanziamento" per le università che attribuiva un terzo del finanziamento in base ad una valutazione della ricerca. In realtà si trattava di un terzo della quota di riequilibrio che amontava nel 2004, se non mi sbaglio all'1,5% del finanziamento totale, ed i criteri di valutazione della ricerca erano molto discutibili. Al di là delle polemiche sul "nuovo", io credo che in regime di autonomia universitaria i finanziamenti delle università non possono che essere erogati sulla base di una "formula" basata su variabili facilmente rilevabili in modo affidabile. Quali variabili scegliere e quali coefficienti attribuire alle variabili dipende dalla volontà di chi finanza, cioè del governo. In altre parole, non esiste una definizione a priori di "comportamento virtuoso" da parte delle università, la virtuosità è definita sulla base degli scopi di politica generale che dovrebbe proporsi il governo (Ministro dell'Istruzione e Ministro dell'Economia assieme). Naturalmente spetta al parlamento e all'opinione pubblica il controllo della formula e dei suoi coefficienti. Per quanto riguarda la valutazione della ricerca, credo che gli unici dati affidabili sono quelli ottenibili da esercizi di valutazione come quelli inglesi cui si richiamano quelli del civr. E' inevitabile che questi dati siano aggiornati solo ad intervalli di 4-5 anni. Naturalmente questo tipo di distribuzione dei finanziamenti (formula funding), e la politica di incentivi che ne deriva, puo' essere applicata solo dopo che si sono superati le enormi differenze nei finanziamenti che caratterizzavano il sistema universitario negli anni novanta. E' per questo che il problema delle università meridionali e delle facoltà di medicina è assolutamente primario, e richiede, credo l'attenzione del governo.

 OK - la riforma è spiegata male (o forse venduta come se fosse una montagna mentre è solo un topolino), non è trasparente, penalizza i dipartimenti virtuosi all'interno di università pessime (Pagano/Jappelli), non corregge le distorsioni dell'allocazione del 1993 (e neppure gli effetti delle guerre puniche), utilizza dei criteri di valutazione della didattica demenziali e dei dati sulla qualità della ricerca obsoleti. Tutto verissimo. Ma stiamo perdendo di vista la novità - che per la prima volta i risultati della ricerca (gli output) sono considerati un parametro per dare soldi alle università. E' quello che tutti i riformatori hanno chiesto da anni. Vogliamo apprezzare, e magari anche fare delle proposte per migliorare la prossima allocazione? Magari chiedendo a gran voce che l'ANVUR (o il CIVR) parta subito e che utilizzi quanto possibile criteri "oggettivi" e predefiniti - cioè trasparenti. Oppure continuiamo a criticare - magari per lasciare tutto come sta, col supporto di una bella agenzia europea?

Vogliamo apprezzare, e magari anche fare delle proposte per migliorare la prossima allocazione? Magari chiedendo a gran voce che l'ANVUR (o il CIVR) parta subito e che utilizzi quanto possibile criteri "oggettivi" e predefiniti - cioè trasparenti. Oppure continuiamo a criticare - magari per lasciare tutto come sta, col supporto di una bella agenzia europea?

Ora, io posso capire tutto, prepararmi lo stomaco con adeguate pozioni, dare la disponibilità a discutere ad libitum di tutto e di più, ma francamente questa è una situazione in cui non ci si capisce su delle cose di fondo... le intersezioni possibili sono oggettivamente limitate.

Cioè io (presumo di) capi(re)sco di politica e segnatamente quella italiana; e per il solo caso della politica dell'istruzione e della ricerca sono disposto a seguire e in qualche modo partecipare alle contorsioni concettuali che vengono propinate... ma qui siamo in una situazione in cui nemmeno dal ceto intellettuale sono venute le spinte un minimo adeguate per mettere l'edificio almeno su delle palafitte - non dico neanche fondamenta.

Basti dire una cosa, che l'ANVUR - contrariamente a quello che si scrive - ha già un regolamento da un anno e mezzo, pubblicato sulla G.U. del 9 aprile 2008. Gli è che, a causa di una osservazione del Consiglio di Stato, andava poi complementato con un altro Regolamento sull'organizzazione interna - ma sicuramente per cominciare a nominare il Consiglio Direttivo e fare il necessario lavoro di elucubrazione si poteva mettere in moto il baracchino già più di anno fa.

Questo solo per dire un fatto su come siamo messi sbieghi sulle cose di fondo. E che ti fa, comunque, questo Ministro? Ci pensa su più di un anno e presenta un nuovo regolamento che adesso ci metterà un altro anno per passare di nuovo a Consiglio di Stato, Commissioni Parlamentari, Corte dei Conti, G.U....

Sul merito siamo ancora messi male male male che non dico - ma come si fa a impostare un discorso anche politico duro ma necessariamente fondato su certi schemi teorico-concettuali senza mettere in campo dei documenti di riferimento (anzichè interviste), e sperabilmente compatibili con la scienza del settore su cui si discute e si pubblica nel resto del mondo?

Mah, io non so che dire e fare, o comunque - per essere più preciso - faccio quello che posso.

RR

 

 

 

Ma stiamo perdendo di vista la novità - che per la prima volta i risultati della ricerca (gli output) sono considerati un parametro per dare soldi alle università. E' quello che tutti i riformatori hanno chiesto da anni. Vogliamo apprezzare, e magari anche fare delle proposte per migliorare la prossima allocazione?

 

Si, io apprezzo senza dubbio quanto soprattutto detto e sia pure un po' malamente anche fatto dal ministro Gelmini finora, tenendo conto del contesto italiano di riferimento apprezzo sinceramente. Non ho alcun problema a dirlo. Apprezzo anche l'enfasi data ai confronti internazionali sulla preparazione degli studenti, e alle riforme che sia pure malamente hanno avviato una riduzione del numero di dipendenti pubblici nella scuola che appare doverosa rispetto agli standard internazionali, e anche un aumento dell'efficienza della spesa pubblica in questo settore.

Detto questo deve essere concesso anche criticare i molti aspetti negativi e fare proposte perche' ventano attuati ulteriori miglioramenti.

 

Non capisco questo intervento. Avere un minimo di incidenza sul decisore politico richiede osservazioni e critiche puntuali. Commenti che si riducono a "meglio qualcosa di niente" non servono, questi sì, a niente.

La ricerca (in modo discutibile) rientra nelle variabili della quota di riequilibrio dal 2004. Anche precedentemente (non ricordo bene l'anno, ma era ministro Zecchino) una modesta quantità di fondi fu distribuita sulla base di una valutazione della ricerca (sulla base del successo nelle domande PRIN).

Segnalo la pubblicazione di uno studio sulla "graduatoria di merito" e in particolare sui criteri di valutazione usati dal Ministero per la determinazione dei fattori relativi al ben noto 7% dell'FFO. Si tratta di un lavoro a cura dell'Università di Macerata, che era risultata una delle ultime 4 in classifica - quindi è, diremmo, uno studio-sfogo, ma non per questo meno corretto, in linea di principio. Essendo ancora difficile (e/o impossibile) reperire informazioni pubbliche su tutto il marchingegno messo in piedi per questo "esercizio di valutazione", la sua lettura risulta utilissima per una serie di approfondimenti sui semplici dati di fatto, oltre che sul merito delle scelte e dell'intera "operazione" messa in piedi.

Si tratta di una quarantina di pagine ben scritte (modulo, se si vuole, la comprensibile ansia da "replica", e di "controaccusa"), dal titolo "Se questa vi sembra una valutazione".

Devo dire che condivido quasi tutto, diciamo al 90%, l'apparato della "controcritica" di questo studio. Alcuni particolari ivi reperibili rendono in effetti ancora più assurda la sedicente operazione-qualità impancata dal Ministro. Fra l'altro è evidente, da quanto si capisce, che la "classifica" dovrà essere riscritta alla luce delle "correzioni" apportate sui dati grezzi con i quali sono stati calcolati i fattori di merito (cosa per la quale le Università hanno avuto tempo dal 30 luglio fino al 15 settembre attraverso un sito riservato appositamente allestito in tutta fretta dal Ministero).

Per una disamina ulteriore mi riprometto di scribacchiare dell'altro. Per ora mi limito ad osservare che per analizzare veramente bene tutto questo popo' di operazione ci vorrebbe uno studio ancora più approfondito, e comprensivo dei dati grezzi che anche noi attendiamo, a questo punto, con "ansia".

RR

 

Dopo che abbiamo già discusso ampiamente delle varie categorie di macro-errori del Pagellone della Gelmini, ecco che arrivano finalmente dei dati più precisi, frutto del lavoro di analisi di alcune Università sulla mole di dati grezzi (a noi cittadini normali non ancora disponibili) con cui è stata calcolata la ripartizione del FFO 2009.

Oggi viene data notizia del lavoro che aspettavamo: la classifica di "qualità" calcolata sui soli criteri (che pur fanno acqua da tutte parti), anzichè sul differenziale (percentuale) di finanziamento 2009/2008. Il lavoro si deve all'Università di Parma, che ha elaborato - pare, dall'articolo del Messaggero - numerose tabelle diffuse dal Rettore ai suoi colleghi di tutta Italia. Lo stesso articolo riporta la classifica che vede al primo posto Bologna, al secondo La Sapienza, e via a seguire i 56 Atenei Statali interessati dal Finanziamento. Anche l'Unione degli Universitari, sindacato studentesco (certamente qualcuno dirà che è "di sinistra", ma in ogni caso è chiaramente ben informato con le stesse cifre, apparentemente, di Unipr) ha reso note le proprie elaborazioni dal suo sito web (tabella riassuntiva).

Dopo la già segnalata analisi dei criteri da parte dell'Università di Macerata, ecco quindo che ci stiamo avvicinando ad una più realistica informazione e interpretazione di quanto è stato reso noto con trombe e majorettes dal Ministro il 24 luglio scorso. Non si può quindi negare l'opportunità, e anzi il dovere, di far sentire la voce a riguardo da parte di chi ha dei mezzi di comunicazione indipendenti dalle emittenze governative.

In Gran Bretagna perfino il RAE, il più solido sistema di valutazione (della ricerca) del mondo ha dovuto difendersi in tribunale. Dovrà almeno dare spiegazioni (e molte scuse) il nostro Ministero? Fossi un Rettore, andrei certamente a fare un giro al TAR...

RR

 

Non ho capito come si costruisce la classifica pubblicata da Il Messaggero. Mi sembra però che non si tenga conto delle dimensioni delle diverse università. Sembra infatti che prevalgano le università con il maggior numero di studenti. Potrebbe essere che si sommino i dati con i pesi indicati dal MIUR, senza tener conto dell'ovvio vantaggio che ne traggono le sedi più grandi? 

Seppur "trasversalmente" forse anche la classifica stilata sulla base del punteggio riportato nel test di accesso a Medicina dall'ultimo candidato piazzatosi in posizione utile dice qualcosa sulla eterogeneità che caratterizza la realtà universitaria italiana.

 

 

No, dice qualcosa sulla preparazione dei candidati: i test di ingresso sono uguali in tutta Italia, ma si fanno classifiche separate per sede (che hanno un proprio numero programmato). Quindi la classifica non è unica per tutta Italia -questo è stato l'oggetto di un piccolo dibattivo di fine estate, con Roberto Perotti che, tomo tomo cacchio cacchio, scrive un editoriale in prima sul Sole proponendo la classifica unica, con successiva facoltà di scelta della sede - a scalare - da parte dei vincitori. Come se non sapessimo già da tempo che questa cosa favorisce i candidati del Nord, mediamente più preparati; e quindi il problema è essenzialmente politico, non di incapacità di capire il metodo e il concetto di merito.

RR

Fonti, non autorevoli, ma molto bene informate, del Ministero della Istruzione mi hanno rivelato che la famosa graduatoria pubblicizzata a luglio era basata sulle cifre di un documento interno non destinato ad essere diffuso come graduatoria, che mostrava l'incidenza (positiva o negativa) sullo FFO delle singole università di tutte le somme diverse da quelle assegnate in proporzione allo FFO 2008. Tra queste somme c'erano non solo le distribuzioni "premiali" del famoso 7% ma anche le somme erogate per far fronte alle maggiori spese di personale imposte dagli incrementi dovuti per legge. Queste ultime  somme erano naturalmente maggiori per le università con molti ordinari anziani, e minori per le sedi come Macerata dove tradizionalmente gli ordinari restano pochi anni in attesa di trasferimento a Roma. Se si ricostruisce la graduatoria depurata dalle "maggiori spese per gli stipendi dovute per legge", Macerata che era l'ultima sede della graduatoria, sale di molto e, naturalmente, scendono invece sedi come Sapienza con molti ordinari anziani. Insomma un bel pasticcio di cui non si conosce il responsabile.

Con Schiaffo stiamo lavorando per chiarire tutto. Poi vi facciamo sapere.

RR

Segnalo che sul blog dei ricercatori precari è disponibile la bozza del bando dell'esercizio di valutazione della ricerca VQR 2004-2008.

RR

Segnalo che il Presidente della Repubblica ha firmato il D.P.R. 01/02/2010

Regolamento concernente la struttura ed il funzionamento dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ANVUR, a norma dell'articolo 2, comma 140, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.

cioè il Regolamento dell'ANVUR, che ora è in attesa di pubblicazione in G.U.

Ad essere sincero non so se il controllo della Corte dei Conti sia stato fatto prima della firma o debba essere fatto adesso. Per il Regolamento Mussi-Modica il Presidente firmò il 21 febbraio 2008, e la pubblicazione in G.U. avvenne il 9 aprile, a ridosso delle elezioni che avrebbero scalzato il piombinese dalla sedia che fu di Croce e Gentile.

Insediatasi la Gelmini, la nuova inquilina dell'EUR, e di Trastevere, fece subito capire di volerci mettere le mani sopra, e infatti ce le ha messe. Dopo 2 (DUE) anni siamo quindi ad un "nuovo" testo che, passati 15 giorni dalla pubblicazione in G.U., potrà consentire la effettiva messa in opera dell'Agenzia con la nomina del Consiglio Direttivo (attraverso un search committee). Ho messo qui la versione del Regolamento che dovrebbe corrispondere a quella finale.

C'è tutto il tempo per emettere anche il Decreto di Valutazione Quinquennale della Ricerca 2004-2008, in gestazione da oltre un anno, sul quale è stato richiesto e acquisito un fulmineo parere del CUN e della CRUI.

RR

 

 

 

Sulla sedia di Croce e Gentile, sedeva Fioroni.

Il regolamento attribuisce all'ANVUR poteri enormi - e stabilisce procedure di scelta del comitato direttivo assolutamente non trasparenti. Infatti tutto è demandato ad un Comitato di Selezione di

 

membri di alta qualificazione, designati, uno ciascuno da Ministro, dal Segretario generale dell’OCSE e dai Presidenti dell’Accademia dei Lincei, dell’European Research council e del Consiglio nazionale degli studenti

 

 

 

(esiste? Ma chi ne fa parte? Quanto sono rappresentativi?). Il comitato può accettare suggerimenti da tutti ma poi decide di testa propria. Deve infatti compilare  un elenco di 10-15

 

personalità, anche straniere, di alta e riconosciuta qualificazione ed esperienza nel campo dell'istruzione superiore e della ricerca, nonché della valutazione di tali attività, provenienti da una pluralità di ambiti professionali e disciplinari.

 

Questa definizione si applica praticamente a chiunque, purchè sia anziano ed abbia un titolo altisonante. Si noti che non esistono vincoli per disciplina - per cui si possono avere, per assurdo, tutti medici o magari tutti "esperti di valutazione" che non hanno mai pubblicato un articolo scientifico. Poi il ministro sceglie sette membri del Consiglio  direttivo che elegge il presidente.

Speriamo bene.. ma mi aspetto il peggio

 

Il regolamento attribuisce all'ANVUR poteri enormi - e stabilisce procedure di scelta del comitato direttivo assolutamente non trasparenti. Infatti tutto è demandato ad un Comitato di Selezione di

membri di alta qualificazione, designati, uno ciascuno da Ministro, dal Segretario generale dell’OCSE e dai Presidenti dell’Accademia dei Lincei, dell’European Research council e del Consiglio nazionale degli studenti

(esiste? Ma chi ne fa parte? Quanto sono rappresentativi?).

Il metodo dei "Comitati di selezione" venne inaugurato da Mussi per gli Enti di Ricerca (ASI, INAF, CNR). Si tratta di Comitati ad hoc, nominati all'uopo dal Ministro, non esiste un "comitato permanente". Tutti ricorderanno, ad esempio, quello per il CNR, presieduto da Giorgio Parisi, il quale fece un bando ad evidenza pubblica per raccogliere le candidature, una short-list per dei colloqui, e poi propose la nomina di Maiani. L'unico che si arrabbiò fortemente fu Enzo Boschi, Presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, il quale suggerì alla deputata Carlucci di preparare un collage di accuse verso Maiani.

Comunque torniamo all'ANVUR. Nella versione di Mussi non era definita "a priori" la composizione del comitato, cioè il Ministro avrebbe potuto decidere egli/ella stesso/a in piena libertà i suoi componenti, e poi questi avrebbero proposto 15 nomi fra cui il Ministro poteva estrarne 5. In parallello, l'European Research Council e l'European University Association avrebbero proposto altre 2 terne (di stranieri), da cui il Ministro avrebbe dovuto pescare, rispettivamente, gli ulteriori 2 nomi.

Nella versione Gelmini, la composizione del Comitato di Selezione è più rigida (come in citazione), ma poi non ci sono ulteriori vincoli sul Comitato Direttivo. Poichè la Commissione Selezionatrice è importante tanto quanto i potenziali componenti del Consiglio Direttivo (nel contesto/clima delle Commissioni selezionatrici/giudicatrici italiane), la fissazione di quella forma di composizione, con nomine da parte di 5 diverse entità, è stata ritenuta un improvement, una garanzia di maggiore indipendenza e autonomia di giudizio. Devo dire la verità e affermo quivi che anche secondo me lo è.

Non sappiamo quando il Ministero comincerà le procedure per ottenere i nomi dei 5 selezionatori - in teoria solo 15 giorni dopo la pubblicazione del Regolamento in G.U., in pratica potrebbe essere già stato avviato informalmente tale processo. Va detto che la prerogativa delle persone indicate in parola è chiara, quindi in questa fase non c'è nessuna consultazione pubblica, a meno di libera scelta delle medesime (ad esempio il Presidente dell'Accademia dei Lincei potrà volersi consultare con i suoi Pari, o forse no, chi lo sa, e lo stesso per altri). Tuttavia è chiaramente espressa la necessità, per il Comitato, di fare un bando ad evidenza pubblica per raccogliere le candidature al Consiglio Direttivo, e saranno possibili sia candidature di Società ed Entità "interessate", sia auto-candidature (questa parte è stata mantenuta dalla versione Mussi-Modica).

Il comitato può accettare suggerimenti da tutti ma poi decide di testa propria. Deve infatti compilare  un elenco di 10-15

personalità, anche straniere, di alta e riconosciuta qualificazione ed esperienza nel campo dell'istruzione superiore e della ricerca, nonché della valutazione di tali attività, provenienti da una pluralità di ambiti professionali e disciplinari.

Questa definizione si applica praticamente a chiunque, purchè sia anziano ed abbia un titolo altisonante. Si noti che non esistono vincoli per disciplina - per cui si possono avere, per assurdo, tutti medici o magari tutti "esperti di valutazione" che non hanno mai pubblicato un articolo scientifico. Poi il ministro sceglie sette membri del Consiglio  direttivo che elegge il presidente.

In ambiente internazionale una simile procedura è sufficientemente chiara, quindi la definizione non può applicarsi a chiunque. Vuol dire che non si esplicitano i criteri ma si utilizzano quelli "di comune conoscenza" per una mansione del genere. A questo proposito mi auguro che la presenza di persone nominate dal Presidente dell'ERC e dal Segretario Generale dell'OCSE (che saranno non italiani, immagino) possa essere funzionale al rispetto di questa disciplina professionale in materia di selezione/nomine.

RR