A volte ritornano

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Grazie a Renato Soru si torna a parlare di blind trust, quando di questo istituto se ne stava quasi perdendo la memoria.

Un fantasma si aggira nuovamente per i corridoi della politica italiana: il blind trust ha battuto un colpo e sembra lottare insieme a noi.

Era stato evocato una prima volta ai tempi gloriosi (o nefasti a seconda dei gusti) della prima discesa in campo di Berlusconi, allorquando l’Italia intera scoprì l’esistenza di una cosa chiamata "conflitto di interessi" e si mise alla ricerca delle soluzioni per risolverlo; anche nFA. Fu allora che alcuni, più esperti di cose internazionali, suggerirono la soluzione perfetta, ossia il blind trust, definito come il “trust blindato” da Bossi, in una delle sue migliori esibizioni di umorismo involontario, alle quali ci avrebbe poi in seguito abituato.

Come noto non se ne fece nulla ed il blind trust era andato a prendere polvere assieme ai numerosi progetti di legge che, in tutti questi anni, non hanno risolto il conflitto di interessi, né si sono minimamente avvicinati ad una soluzione del problema.

Nei giorni scorsi, però, è tornato nuovamente alla ribalta, perché i giornali hanno dato la notizia che Renato Soru, di cui anche nFA si è occupata in passato, avrebbe conferito i propri beni in un blind trust, in vista della propria ricandidatura a governatore della Sardegna. La mossa del governatore mira a risolvere così una volta per tutte il conflitto di interessi che affligge anche lui, data, tra l’altro, la sua sostanziosa partecipazione in Tiscali e la detenzione del pacchetto di controllo dell’Unità.

La notizia ha avuto un’eco positiva sui giornali, che hanno sottolineato la correttezza di Soru, la sua volontà di risolvere drasticamente il problema del conflitto e, più in generale, la novità politica, ipotizzando che quanto fatto in Sardegna potrebbe in futuro applicarsi anche al resto del Paese.

Il fatto ci è parso interessante e degno di approfondimento, anche perché, al di là di ciò che ha fatto Soru per il suo caso specifico, ci pare utile tornare a parlare di conflitto di interessi, che sembra oramai non interessare più nessuno nel tempo della terza venuta di Berlusconi.

Come noto, nell’era pre-berlusconiana l’ipotesi che un uomo politico potesse avere un conflitto di interessi economico durante la sua azione di governo appariva remota, soprattutto perché il mondo dei partiti era dominato dai politici di professione, che accedevano alle cariche attraverso un lungo cursus honorum che selezionava i dirigenti essenzialmente per vie interne. L’idea che un imprenditore, con corposi interessi economici, potesse guidare un partito o il paese, era lontana dalla realtà che avevano di fronte i costituenti, né, in seguito, gli stessi eletti ed elettori della "Prima Repubblica" si posero mai il problema di disciplinare analiticamente l’ipotesi.

Certo, ci sono pur sempre i principi costituzionali, ci sono alcune norme per specifiche attività, ma manca del tutto una regola generale, la cui mancanza non era mai stata sentita sino all’avvento di Berlusconi, per poi diventare, almeno a parole, la questione fondamentale della politica italiana per quasi un decennio e per venire, quindi, nuovamente accantonata.

Ringraziando dunque Soru per lo spunto che ci ha fornito, cercheremo di dare alcune informazioni e fare alcune considerazioni. In particolar modo si cercherà di dire:

- cosa è un trust

- cosa è un blind trust

- cosa ha veramente fatto Soru

e si cercherà di capire se il blind trust possa essere effettivamente la soluzione al problema.

Cominciamo dunque dalle basi.

- COSA E’ UN TRUST

Come si può intuire dal nome, il trust è un istituto giuridico frutto della common law anglosassone. Non è ovviamente questo il luogo per una sua spiegazione dettagliata (alcune notizie ulteriori si trovano qui), anche perché il trust è relativamente complesso e molto flessibile, con numerose varianti, sicchè può essere difficile darne una definizione unitaria.

Il meccanismo di base tuttavia è il seguente: un soggetto, chiamato "settlor" o "disponente", trasferisce determinati beni ad un’altra persona, chiamata "trustee", perché li amministri in funzione di un determinato scopo per un certo periodo di tempo, per poi ritrasferirli, al termine dell’incarico o al disponente stesso o ad una terza persona, il "beneficiario". I beni costituiti in trust costituiscono un patrimonio separato sia rispetto a quello residuo del disponente che rispetto a quello del trustee, col vantaggio di non poter essere aggrediti né dai creditori del primo, nè da quelli del secondo.

Può già anticiparsi che la soluzione adottata da Soru (che ha sfruttato quanto stabilito da una legge regionale del 2008, qui) non ha niente a che vedere con il trust.

- COSA È UN BLIND TRUST

È una sottospecie di trust, che ha la caratteristica di essere blind, cioè cieco (e non blindato con buona pace di Bossi), nel senso che il disponente nulla sa e nulla può sapere di come i beni vengono amministrati dal trustee, il quale gode della più ampia autonomia e della massima libertà, sino al punto di poter vendere i beni e reinvestire il ricavato in altre attività ignote al disponente.

Date queste caratteristiche, il blind trust è uno degli strumenti utilizzati negli USA da chi accede a cariche politiche. Molto sinteticamente, secondo l'House Ethics Manual statunitense (qui) chi ha incarichi pubblici deve obbligatoriamente rivelare la composizione del suo patrimonio, salvo che in tre casi:

a) nel caso in cui costui sia beneficiario di un trust creato da terzi diversi da egli stesso, dal coniuge o da suoi "dipendenti", sempre che egli non sia a conoscenza della composizione del "trust fund", nel qual caso deve rivelarla;

b) nel caso di "qualified blind trust", che presuppone l'affidamento di beni al trustee, la loro valutazione e successiva vendita da parte del trustee stesso, ad esito della quale il disponente non conosce la composizione del trust fund e quindi non può essere influenzato nelle sue decisioni politiche (da qui l'aggettivo "blind");

c) nel caso di "qualified diversified trust" nel quale viene conferito un portafoglio di titoli diversificati e facilmente negoziabili, nessuno dei quali deve fare riferimento a settori di primaria responsabilità del disponente del trust, con divieto al trustee di rendere pubbliche le alienazioni dei titoli.

- COSA HA VERAMENTE FATTO SORU

L'art. 27 della legge regionale statutaria della Sardegna esordisce prevedendo al comma 1, quale regola generale, il divieto di rivestire la carica di Presidente della Regione, assessore regionale e consigliere regionale, per i soggetti che detengano, ai sensi del codice civile, direttamente o indirettamente, il controllo o la proprietà di società per azioni quotate in mercati regolamentati, nonché di società che abbiano un'influenza rilevante nella proprietà o nella gestione di una o più reti radiotelevisive o di uno o più quotidiani o periodici a diffusione nazionale o regionale.

L'ultima parte del comma prevede tuttavia un'eccezione all'incompatibilità, costituita dalla stipula di un «negozio fiduciario» avente le caratteristiche indicate dai commi successivi.

Soru, oltre ad essere titolare del 20% di Tiscali S.p.A. (qui) è socio unico di una società (A.D. S.r.l.) che controlla, insieme allo stesso Soru personalmente e a un'altra società, le società Nuova Iniziativa Editoriale S.p.A. e Nuova Società Editrice Finanziaria S.p.A., titolare della testata giornalistica l'Unità (quest'ultima società ha affittato la testata l'Unità alla NIE S.p.A.).

Tutte queste azioni e quote, con atti stipulati il 19 dicembre 2008, sono state "intestate" a un fiduciario. Come già accennato sopra, si è scritto su tutti i quotidiani, sui blog e su vari forum di discussione, che il negozio fiduciario in questione è un "blind trust".

Come al solito, a ripetere una cosa più volte, alla fine tutti ci credono. Anche il comunicato stampa del 19 dicembre 2008 emanato dalla Presidenza della Regione Sardegna (qui), con cui si dà notizia della stipula da parte del Governatore Renato Soru dei negozi previsti dall'art. 27 della legge, parla apertamente di blind trust, affermando, inesattamente a nostro modo di vedere, che si tratta del primo caso italiano di blind trust. L'affermazione è corretta se il riferimento è all'azione di un imprenditore che prima di accedere a una carica politica, intende prevenire l'insorgere di conflitti di interesse, ma non va dimenticato che anche il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, al momento di assumere l'incarico, ha trasferito tutti i suoi valori mobiliari (veramente!) in un trust (qui e, tutto sommato, qui).

Vediamo cosa ha invece fatto Soru, confrontando il comma 2 dell'art. 27 con le caratteristiche che deve avere un vero e proprio blind trust e che prima abbiamo tratteggiato.

L'art. 27, comma 2, della legge regionale sarda stabilisce che col negozio fiduciario lo stipulante trasferisce al fiduciario i "diritti" e i "privilegi" connessi alle azioni. E’ quindi assente nella norma qualsiasi riferimento al trasferimento della "proprietà" delle azioni, ciò che, invece, è caratteristica della posizione giuridica del trustee di un trust (di qualunque trust, non solo di un blind trust).

Pare di poter concludere che attraverso quello che potremmo chiamare “trust Soru”, ciò che viene trasferita al fiduciario è la mera legittimazione all'esercizio dei diritti patrimoniali e amministrativi inerenti le azioni e non la proprietà, che rimane al fiduciante, esattamente secondo il modello della c.d. fiducia germanistica, che caratterizza, almeno secondo la visione corrente, il rapporto tra fiduciante e società fiduciaria. Significativamente, la lettera m) del comma 5 dell'art. 27, parla di fiduciario che "accetta il mandato", ciò che, quindi, è quanto di più lontano dal trust possa immaginarsi.

Ulteriore elemento di differenziazione rispetto al blind trust è la previsione, contenuta nella seconda parte del comma 2, secondo cui

 

"È fatto espresso divieto al fiduciario di procedere, in qualsiasi momento, all'alienazione, divisione, ipoteca (sic !), vendita o modifica sostanziale delle azioni".

 

È evidente la differenza rispetto al blind trust (meglio al "qualified blind trust") previsto dall' House Ethics Manual statunitense. Caratteristica imprescindibile di tale trust è infatti la seguente:

 

"There may be no restrictions on the disposal of the trust assets".

 

Il trustee (di regola) deve poter disporre dei beni in trust senza alcuna limitazione, esattamente l'opposto di quanto previsto dalla legge sarda e di quanto effettivamente fatto da Soru

Sfruttando il registro imprese e la sua affidabilità, abbiamo potuto visionare l'atto notarile stipulato il 19 dicembre 2008 (riguardante A.D. S.r.l. e non anche Tiscali S.p.A.; ma il contenuto di quest'ultimo atto non dovrebbe differire), nel quale si legge appunto che

 

è fatto espresso divieto alla parte fiduciaria di procedere, in qualsiasi momento e per tutta la durata del rapporto fiduciario, all'alienazione, divisione, ipoteca, vendita o modifica sostanziale dell'intero capitale della A.D. S.r.l.".

 

In realtà la normativa sarda ricalca "all'italiana", la normativa canadese, cioè il Conflict of Interest Act approvato il 12 dicembre 2006 (alcuni passaggi della legge ne costituiscono quasi la traduzione letterale). Il riferimento alla normativa canadese è palese nella relazione accompagnatoria al disegno di legge regionale n. 4/Stat del 20 maggio 2005, che ha condotto all'emanazione di quella qui illustrata, dove si parla appunto non di trust bensì di blind management agreement, che è una delle soluzioni (le altre sono la vendita e il vero e proprio blind trust) da essa adottate.

In altri termini ciò che nella figura introdotta dalla legge sarda dovrebbe essere "blind" non è la composizione degli assets detenuti dal fiduciario, che, si ripete, sono ben visibili e, anzi, sono rimasti "sostanzialmente" in proprietà del fiduciante, ma a tutto concedere, la gestione delle società (che rimangono) controllate dal fiduciante. La legge sarda vieta infatti al fiduciante (Soru nel nostro caso) di dare consigli, direttive o istruzioni al fiduciario nell'esercizio dei diritti e privilegi connessi alle azioni. Ancora, per tutta la durata dell'accordo, lo stipulante non può fornire al fiduciario nè quest'ultimo chiedere al fiduciante alcun consiglio, direttiva o istruzione circa l'amministrazione delle azioni o dei beni o delle operazioni della società.

Il fiduciario sembra quindi essere dotato di piena autonomia rispetto al fiduciante a livello, in senso lato, della sola gestione della società e sempre che egli ne sia consigliere di amministrazione.

In conclusione, nessun trust, ma un semplice negozio fiduciario con alcuni adattamenti. Tra l'altro, poichè si tratta di normativa regionale, che quindi non può imporre legittimamente nullità negoziali o, tanto meno, sanzioni penali, il tutto rientra in un rapporto puramente privatistico tra fiduciario e fiduciante. L'eventuale violazione delle clausole di riservatezza o di non ingerenza, quindi, non avrebbe di fatto nessuna sanzione.

- QUALCHE CONSIDERAZIONE FINALE

Non v'è dubbio che quanto stipulato da Soru per evitare il potenziale conflitto di interessi con la carica pubblica che egli intende ricoprire (le elezioni regionali si terranno il 15/16 febbraio) è meritevole di attenzione e non v’è dubbio che sia pienamente conforme alla normativa sarda in materia, del resto da lui stesso sollecitata e favorita (altro discorso è verificare se la stessa normativa sarda sia costituzionalmente legittima).

Il problema di fondo è quanto "blind" sia questo negozio fiduciario e quanto effettivamente eviti il coinvolgimento dello "stipulante". Il problema certamente resta, ed è ovvio che se, al di là della forma, lo stipulante rimane coinvolto nella gestione delle partecipazioni trasferite, da un lato la struttura utilizzata diviene un mero simulacro e dall'altro l'interesse pubblico rischia di essere seriamente compromesso.

Ipotizziamo però che la gestione fiduciaria venga praticata secondo i modelli della massima correttezza – cosa della quale nessuno ha motivo di dubitare – ciò che dobbiamo chiederci è se la soluzione Soru sopra descritta sia o meno una soluzione efficiente al problema del conflitto di interessi. A nostro parere no, per la semplice ragione che consentendo all’uomo politico di conservare la proprietà dei beni, non recide di netto il legame potenziale tra i suoi interessi economici, che rimangono ben individuati, e la sua azione di governo.

In altri termini, Soru potrà non sapere come voterà il proprio uomo di fiducia in assemblea, ma saprà certamente che l’Unità è ancora sua e che di Tiscali ha ancora il 20%. Si sostituisca al nome di Soru il nome di Berlusconi e si vedrà ancora di più l’inadeguatezza di tale soluzione alla luce delle immense ramificazioni dell’impero economico berlusconiano.

Nei fatti, forse, l’unica soluzione realmente efficiente è quella che non verrà mai posta in essere in Italia, vale a dire il “qualified blind trust”, che realmente, con la vendita forzata, taglia di netto il legame tra interessi economici e azione politica, ma le possibilità che ciò venga realizzato qui ed ora o nel prossimo futuro sono prossime allo zero.

Ergo, il conflitto di interessi in Italia non verrà mai effettivamente disciplinato nei prossimi anni e, con ogni probabilità, si risolverà solo per via biologica, attraverso il pensionamento politico di Berlusconi per limiti di età.

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Commenti

Ci sono 12 commenti

Ringrazio gli autori per provvedere l'informazione che latita quasi del tutto nel circo mediatico ufficiale. E' oltremodo corretto l'accostamento tra Soru e Berlusconi, descritto anche dall'editoriale del 23/12/2008 di P.Battista, "La maledizione doppiopesista". Li' si sottolinea anche l'evidente doppio standard applicato nel centro-sinistra nei confronti degli amici (Soru) e degli avversari (Berlusconi).

E' interessante notare che:

  • sia Berlusconi che Soru vengono eletti in assenza di una normativa seria sul conflitto di interessi;
  • sia Berlusconi che Soru, quando sono al potere, si confezionano piu' o meno a misura una legge con risolve "all'italiana" il conflitto di interessi, mantenendo il controllo delle attivita' imprenditoriali e mediatiche possedute (per Soru, il Corriere della Sera parla addirittura di "legge Soru");
  • sia Berlusconi che Soru affidano in qualche misura ai fratelli (Paolo ed Emanuele, rispettivamente) responsabilita' gestionali nella edizione dei quotidiani posseduti (qui a vantaggio di Soru va la recente estromissione di Emanuele dalla gestione delle societa' editrici dell'Unita')
  • sia Berlusconi che Soru risolvono "all'italiana" il conflitto di interessi con un'operazione di maquillage consistente nella piu' o meno virtuale separazione tra proprieta' e gestione delle imprese possedute: e' evidente che questo non puo' azzerare i conflitti di interesse, perche' per esempio Berlusconi puo' sempre decidere di assegnare aiuti di Stato "chirurgicamente" a settori di suo interesse, come la TV digitale, evitando che ne beneficino alcuni suoi concorrenti (Murdoch e le TV satellitari) e Soru pur avendo poteri nettamente inferiori puo' ugualmente trovare il modo di favorire le sue attivita' imprenditoriali affidate al gestore di fiducia.

Credo che per BS neppure il “qualified blind trust” risolva del tutto la questione: se non sbaglio ha suddiviso in famiglia la proprietà delle aziende, e resterebbe interessato a favorire figli, moglie e fratello.

Beh, almeno il conflitto di interesse é trasparente e non occulto. Se gli elettori se la sentono di scommettere sull'adamantina correttezza di Soru e Berlusconi, cosi' sia.

La situazione attuale si presta anche ad un utilizzo malizioso: siccome tanto le società del primo che quelle del secondo sno quotate in borsa, un elettore malpensante potrebbe acquistarne le relative azioni, in modo da essere associato ai possibili benefici del conflitto di interesse. Si potrebbe quindi configurare un'estesione del conflitto di interesse agli elettori...

In conclusione, nessun trust, ma un semplice negozio fiduciario con alcuni adattamenti. Tra l'altro, poichè si tratta di normativa regionale, che quindi non può imporre legittimamente nullità negoziali o, tanto meno, sanzioni penali, il tutto rientra in un rapporto puramente privatistico tra fiduciario e fiduciante. L'eventuale violazione delle clausole di riservatezza o di non ingerenza, quindi, non avrebbe di fatto nessuna sanzione.

Tra l'altro, ad una prima lettura dell'atto, il negozio utilizzato sembra un po' un ibrido abbastanza curioso, con una certa confusione terminologica (si passa dal "trasferimento della proprietà" di cui all'inizio alla gratuità del mandato di cui alle ultime pagine con una certa disinvoltura). E ho questa vocina in testa che continua a ripetermi il divieto di creazione negoziale di nuovi diritti reali (legge regionale o non legge regionale)...

La trattazione è molto interessante e ben documentata. Non sono però sicuro della sua correttezza per quanto riguarda le conclusioni, ovvero l'inadeguatezza a risolvere il conflitto di interessi.

Laddove scrivete "Soru potrà non sapere come voterà il proprio uomo di fiducia in assemblea, ma saprà certamente che l’Unità è ancora sua e che di Tiscali ha ancora il 20%", vedo comunque un sostanziale passo avanti quanto meno nella trasparenza, e nella limitazione dei possibili atti in conflitto di interesse.

Mi spiego: il divieto di compiere le azioni sopraelencate mi sembra valido anche in caso di interesse contrastante del fiduciante. Cioé, se Soru avesse interesse per qualche motivo ad apportare modifiche al capitale di AD, il fiduciario non potrebbe farlo, nè lui potrebbe autorizzarlo a farlo, a meno di violare la legge. E' corretto?

In tal caso, la proprietà sarebbe palese, e la sua gestione de facto congelata. Non un blind trust nel senso letterale del termine, ma il conflitto di interesse ne risulterebbe molto ridotto, sia in termini informativi che operativi.

 

Non sono però sicuro della sua correttezza per quanto riguarda le conclusioni, ovvero l'inadeguatezza a risolvere il conflitto di interessi.

 

Suvvia, MarioM, scherziamo? Come definisci tu il conflitto d'interessi? Forse che il conflitto d'interessi per un politico al governo si deve al fatto che il soggetto in questione ha il diritto di prendere decisioni operative o di votare nei consigli d'amministrazione delle sue aziende? NO!

Il conflitto d'interessi, per chi governa, si deve al fatto che con mille atti in suo potere IN QUANTO POLITICO, può far crescere il valore delle aziende che possiede o dei settori in cui ha investito! In questo risiede il conflitto d'interessi che, come dice la parola stessa, si deve al fatto che "mentre l'azione A fa l'interesse del paese, l'azione B fa l'interesse delle aziende che pubblicano giornali, per esempio, quindi fa gli interessi del politico". Da lì il conflitto. Il quale conflitto è eliminabile solo in due maniere

- i politici ed i loro familiari non possiedono nulla (alquanto improbabile)

- i politici ed i loro familiari possiedono un portafoglio estremamente variegato e la cui composizione comunque non conoscono.

Io capisco che a te stia simpatico Soru (de gustibus) ma non stravolgere la realtà. Non ha fatto nessun passo in avanti, ha fatto solo un polverone. Cerchiamo di non confondere la propaganda elettorale con la realta', per favore.

A mio avviso Soru è quasi più esecrabile di BS: perché fa FINTA di cercare di risolvere il conflitto d'interesse, si fa una gigantesca pubblicità apparendo come san francesco d'assisi che si spoglia di tutti gli averi, ed invece fa solo un trucchetto da circo italiano della politica. Il che mi fa sospettare, appunto, della sua rettezza morale visto che è troppo intelligente per non capire che sta cercando di prendere in giro gli elettori.

Aggiungo che, negli USA, la legislazione e le varie norme si occupano anche di familiari e non solo di quelli più immediati. Se il cognato del presidente o del ministro fa affari con X o Y si solleva un conflitto d'interesse, mica sono scemi. Negli USA i trucchetti di Soru e BS (intesto questo e quello a figli, figlie, mogli, fratelli, sorelle e nipoti) farebbero sorridere, come il BS appunto.

 

E' solo una curiosità teorica, perché concordo con la pessimistica previsione dell'articolo, ma sarebbe possibile all'interno della legislazione italiana un vero "blind trust"? E, se possibile, ci sarebbero in Italia soggetti in grado di gestire con competenza ed affidabilità un patrimonio altrui sul quale avrebbero pieni diritti, compreso vendere e reinvestire? Io sarei terrorizzato dai conflitti di interesse del "trustee", ad esempio una banca potrebbe reinvestire tutto in obbligazioni immondizia di un suo debitore.

 

E' solo una curiosità teorica, perché concordo con la pessimistica previsione dell'articolo, ma sarebbe possibile all'interno della legislazione italiana un vero "blind trust"?

 

Ritengo che un blind trust sia assolutamente compatibile con la legislazione italiana, i veri problemi sorgerebbero nella effettiva garanzia che eventuali violazioni della legge e dei vincoli contrattuali siano perseguite e sanzionate efficacemente, data la notoria inefficienza e i tempi di risposta inaccettabili della magistratura (solo in parte a loro volta effetto di una legislazione scadente e farraginosa).

E' solo una curiosità teorica, perché concordo con la pessimistica previsione dell'articolo, ma sarebbe possibile all'interno della legislazione italiana un vero "blind trust"?

L'Italia è tra i firmatari della Convenzione dell'Aja del 1985 sul riconoscimento dei trust, che ha recepito con la legge n. 364/1989. Con il risultato di rendere perfettamente possibile la creazione di un blind trust anche nel nostro Paese. Rimane purtroppo vero quanto ha detto Alberto Lusiani...

 

Un vero blind trust rispetto alle proprietà di Berlusconi (ma anche rispetto a quelle minori di Soru) è oggettivamente improbabile e - francamente - anche difficilmente proponibile.

SB è infatti titolare di partecipazioni (di controllo) in società quotate ed è facile imaginare le conseguenze sul mercato borsistico di una liquidazione di tali partecipazioni al fine rendere blind il patrimonio, oltretutto, in mancanza di una legge ci sarebbero delle conseguenze fisclai non indifferenti.

Insomma, SB è semplicemente "troppo grosso" perchè il suo patrimonio possa  essere gestito attraverso un vero blind trust. Vero è che non doveva diventare così grosso, quanto meno nel campo sensibile dell'informazione, ma qui si riaprono le antiche ferite delle carenze normative in materie e delle leggi ad personam, a partire dal decreto Craxi che graziò le sue TV, passando per la legge Mammì sino alla situazione attuale.

Come ipotizzato nell'articolo, dopo il pensionamento di SB tutta la questione è destinata a sgonfiarsi e, forse, verrà scritta una legge applicabile in concreto.

Per ora è inutile illudersi, come è inutile illudersi dell'arrivo di una vera concorrenza nel campo radiotelevisivo, magari attraverso la privatizzazione della RAI.

Per quanto riguarda i beni affidati al trustee, il tutto si basa sulla fiducia ed è ovvio che si possano rischiare fregature, tuttavia il trust è un istituto che oramai comunemente viene utilizzato anche qui in Italia e, se ci si pensa, non sono rari i casi in cui determinati beni vengono affidati in gesione sulla base della pura fiducia, dalle offerte alle organizzazioni scientifiche o caritatevoli, agli stessi investimenti in borsa: comprando azioni non si fa forse (anche) un atto di fede verso chi amministra le società quotate ? Molti trust, tra l'altro, prevedono la figura del "guardiano" che ha il compito di sorvegliare il trustee.

Per quanto riguarda i dubbi di Alberto, i tempi delle giustizia si possono aggirare (ed in molti atti di trust vengono così effettivamente aggirati) attraverso la previsione di un arbitro che valuta e decide le eventuali controversie senza attender ei tempi biblici dei tribunali.