Esercizi di disincanto

/ Articolo / Esercizi di disincanto
  • Condividi

Nel suo ultimo libro, Luca Ricolfi ha raccolto una serie di contributi pubblicati in precedenza nella rubrica Fatti&Credenze, su Panorama. Se Tremonti, istruzioni per il disuso vi è piaciuto, questo libro non vi deluderà.

Per i lettori di nFA, il fatto che numerose credenze diffuse (e tante dichiarazioni ufficiali di fonti che dovrebbero essere autorevoli) siano in realtà Bullshit non è una novità. Dovrebbe pertanto risultare godibile la lettura dell'ultimo libro di Luca Ricolfi, nel quale una serie di mircrosaggi pubblicati su Panorama, vengono presentati con una breve introduzione sulla nostra disponibilità a credere.

Il punto di partenza è la distinzione tra le credenze che non sono empiricamente verificabili (la vita ultraterrena esiste) e i fatti, che invece lo sono (l'anno scorso la povertà in Italia è aumentata). Mentre per le prime è abbastanza ovvio e giusto che ciascuno scelga liberamente le proprie opinioni, per i secondi dovrebbe essere inequivoco che siano o veri o falsi. Invece, scorrendo la carrellata di verifiche quantitiative presentata nel libro, possiamo osservare come di frequente credenze false oppure indimostrate vengano largamente accettate mentre altre posizioni, vere alla prova dei fatti, siano rifiutate dai più come inaccettabili.

L'introduzione  suggerisce brevemente una spiegazione a questo fenomeno. Si parte dalla teoria della dissonanza cognitiva dello psicologo Leon Festinger. L'idea è che la mente umana ricerca una rappresentazione rassicurante della realtà più che una rappresentazione veritiera e quindi preferisce rifiutarsi di conoscere evidenze spiacevoli (l'autore riporta l'esempio della canzone Non è Francesca). Posto che a volte preferiamo non sapere, la lezione dei grandi sociologi della cultura (Weber, Berger, Simmel, Lasch, eccetera) ci dice anche perché oggi lo facciamo più che in passato: l'uomo contemporaneo ha bisogno di rassicurazioni maggiori, e quindi di maggiore distanza dai fatti osservabili, perchè non essendo più interprete di un ruolo ricevuto alla nascita e determinato dalla propria posizione sociale, deve continuamente ridefinire la propria identità.

A complicare il rapporto tra fatti e credenze, tramontate le grandi ideologie, arriva il politicamente corretto, che talvolta spinge a negare l'evidenza dei fatti o a non investigare i fatti a fondo perché questi vengono percepiti in contraddizione con un determinato sistema di valori (esempio: l'ipotesi che gli immigrati delinquano più degli italiani). In altri casi spinge taluni esperti ad ergersi a "guardiani della correttezza" e ad operare con pregiudizi partendo dall'approccio di volere dimostrare che determinate tesi sgradite sono false. Infine, il "politicamente corretto" spinge alcuni individui od organizzazioni che si sentono investiti di una missione salvifica ad esagerare i mali contro i quali combattono per enfatizzare la propria posizione.

L'esercizio di sottoporre una serie di credenze diffuse a verifica empirica si presenta interessante e in qualche caso sorprendente. Ne riporto uno particolarmente significativo: l'opinione maggiormente diffusa è che la questione meridionale consista in un divario nord-sud esistente al momento dell'unificazione e mai risolto. Presentando dei dati di Paolo Malanina e Vittorio Daniele, Ricolfi ci mostra che il differenziale tra il PIL pro-capite del nord e del sud era in realtà  pari a 0 nel 1861: il divario si sarebbe dunque sviluppato dopo l'unificazione. Il periodo peggiore, secondo questa analisi, va dal 1880 al 1951. Nel 1951, ad esempio, il PIL pro-capite del sud era sceso al 50% di quello del nord. A parte una temporanea inversione di tendenza nel ventennio dal '51 al '70 e nel decennio 1995-2005, il trend appare chiaramente verso il  peggioramento (attualmente siamo intorno al 60%).

Indubbiamente un'interessante lettura per scienziati sociali, psicologi, e in generale tutti quelli che vogliono capire qualcosa della gente e del mondo.

Indietro

Commenti

Ci sono 72 commenti

 

Presentando dei dati di Paolo Malanina e Vittorio Daniele, Ricolfi ci mostra che il differenziale tra il PIL pro-capite del nord e del sud era in realtà  pari a 0 nel 1861: il divario si sarebbe dunque sviluppato dopo l'unificazione.

 

E' inappropriato parlare di "dati di Paolo Malanina e Vittorio Daniele". Gli autori menzionati usano dati raccolti, analizzati e catalogati da altri, e per il periodo 1861-1951, quello piu' difficile, e li collegano con altri dati sempre elaborati da altri (Tagliacarne, ISTAT).  Gli autori elaborano poi ulteriormente i dati citati. L'articolo chiarisce adeguatamente tutto cio' (cito):

 

 

Lo scopo di questo lavoro è, innanzitutto, quello di riprendere,
integrare e rendere confrontabili i dati del prodotto regionale
già elaborati da Giovanni Federico, Stefano Fenoaltea ed Emanuele
Felice1, di collegarli ad altre serie, come quelle di Tagliacarne
e Istat, riviste e modificate, dal 1961 al 1979 e, infine, a
quelle Istat dal 1980 in poi.

 

Inoltre, i dati un minimo attendibili appaiono partire dal 1891 e non dal 1861 come affermato. Cito:

 

È possibile, così, presentare l’andamento annuale del prodotto per regione costruendo serie omogenee fra il 1891 e il 2004.

 

Giovanni Federico ha gia' sottolineato questo punto in un recente commento.  Aggiungo che le stime sui PIL delle regioni italiane all'unificazione e negli anni seguenti sono state presentate alle giornate di nFA del 2009 da uno degli autori, E.Felice: slides pdf.

Infine, i dati sui PIL regionali precedenti all'unificazione e fino al 1891 non sono adeguatamente attendibili per stimare senza incertezze le differenze nord-sud.  Per quanto i divari dei PIL regionali si siano certamente accentuati nel tempo in periodi successivi all'unificazione per cui abbiamo stime attendibili (dopo il 1891) non e' per nulla certo che il sud fosse produttivo o avanzato come il nord prima del 1861. 

Personalmente ritengo che il Sud fosse molto piu' arretrato del nord gia' nel 1861, come del resto afferma anche C.M.Cipolla nella sua "Storia facile dell'economia italiana".  Secondo C.M.Cipolla il ritardo del Sud rispetto al Nord Italia risale al 1300 circa.

Seguono alcune considerazioni piu' personali. Ritengo sia fuorviante dare al PIL del 1861 la stessa valenza del PIL come lo conosciamo oggi: il PIL del 1861 era dominato dall'agricoltura e il PIL pro-capite dipendeva dal totale del prodotto agricolo diviso il totale della popolazione.  Nel 1861 non c'era quasi pianificazione delle nascite in Italia e ogni progresso dell'agricoltura piu' che aumentare il reddito pro-capite causava un aumento piu' o meno malthusiano della popolazione.  L'agricoltura del Nord Italia era certamente piu' produttiva di quella del Sud Italia nel 1861 perche' sosteneva una densita' di popolazione significativamente superiore.  Per essere piu' accurati occorrerebbe tuttavia considerare anche altri fattori come il totale delle terre arabili e la loro fertilita'.  In ogni caso, forse anche grazie a vantaggi naturali (pianura padana, piu' acqua e acqua meno irregolare) ai tempi dell'unificazione l'agricoltura del Nord Italia era gia' molto piu' produttiva di quella del Sud e percio' piu' adatta a fornire le basi per il futuro sviluppo industriale.

Certamente l'unificazione italiana e' stata fatta male, e ha amplificato e conservato il divario tra nord e sud (come ho gia' scritto anche poco tempo fa) ma ritengo non ci siano dati attendibili che indichino una parita' del PIL pro-capite precedente all'unificazione, anzi ritengo che una corretta analisi dei dati disponibili indichi che il Sud era gia' considerevolmente piu' arretrato del Nord prima dell'unificazione.

Queste due affermazioni:

 

i dati sui PIL regionali precedenti all'unificazione e fino al 1891 non sono adeguatamente attendibili per stimare senza incertezze le differenze nord-sud.

 

ritengo che una corretta analisi dei dati disponibili indichi che il Sud era gia' considerevolmente piu' arretrato del Nord prima dell'unificazione.

si ecludono a vicenda.

O i dati pre 1891 non sono affidabili e allora l'affermazione sud più arretrato del nord pre 1861 è arbitraria come il suo contrario, o sono attendibili e allora sarei curioso di sapere dove è l'errore nell'elaborazione di Malanina e Daniele.

 

 

Ringrazio Alberto, per le puntualizzazione.

Ovviamente non dispongo di elementi sufficienti per essere d'accordo o meno con il suo punto di vista. Vorrei però sottolineare che i microsaggi di Ricolfi non hanno la pretesa di essere vere e proprie pubblicazioni scientifiche. Anzi, con riferimento, ad esempio alla differenza di potere d'acquisto tra Nord e Sud Italia (argomento su cui alberto ha più volte scritto su questo sito) l'autore scrive:

 

 Può darsi che l'esercizio sia sbagliato, perchè nessuno sa con certezza qual'è il costo della vita nelle oltre 100 province italiane. Resta il fatto che,se vogliamo continuare a credere che il tenore di vita del mezzogiorno sia significativamente più basso di quello del centro nord, occorre dimostrare che i prezzi del sud sono di poco inferiori a quelli del resto del paese. Ipotesi assai poco verosimile. [grassetto mio]

 

Quindi è lui stesso a chiarire che vuole fornire uno spunto (i prezzi al sud potrebbero essere più bassi di quanto normalmente crediamo) non uno studio approfondito.

Con riferimento al divario Nord Sud Ricolfi scrive:

 

Fino a qualche anno fa la maggior parte degli studiosi pensava che al momento dell'Unità il sud avesse un ritardo dell'ordine del 15-20%. Oggi (...) una recente ricostruzione dovuta a due studiosi dell'economia Paolo Malanina e Vittorio Daniele ci restituisce una storia diversa.

 

Pertanto quella che viene proposta è una lettura alternativa della storia recente che, tuttavia è basata sul (cito ancora dal testo)

 

(...) lavoro certosino di integrazione di fonti statistiche diverse(fino agli anni '40 non esisteva la moderna contabilità nazionale)

 

Dubito che sia possibile avere dati veramente attendibili per un periodo in cui la contabilità nazionale non c'era,tuttavia, al pari del ragionamento fatto per i prezzi, io prenderei il microsaggio di Ricolfi e lo studio di Malanina e Daniele come uno spunto in merito alla possibilità che la realtà possa essere stata diversa (da approfondire poi quanto) da quella che credevamo. Tutto qua.

Più che del costo della vita si dovrebbe parlare del costo dei generi di prima necessità, ma è tutto quello che ho trovato:

 

 

 

 

http://www.repubblica.it/economia/2010/09/16/news/spesa_sud_nord-7124132/

L'Italia divisa dalla spesa più cara al Sud che al Nord

Inchiesta Altroconsumo sui prodotti di 421 marche in 926 punti vendita della grande distribuzione di 62 città. Firenze, Verona e Pisa le più economiche. Sassari e Catania quelle dove si spende di più. Divari fino a mille euro

 

di VALENTINA CONTE

 

Il carrello scotta. A sorpresa, più al Sud che al Nord. Così, fare la spesa a Sassari costa 900 euro più che a Firenze. Per gli stessi prodotti e nella stessa quantità, nonostante l'inflazione sia sotto controllo e i prezzi dei prodotti alimentari addirittura in discesa. Quasi tutti. Fa eccezione la pasta, cresciuta inspiegabilmente del 33% dal 2007. Un vero e proprio record. Le famiglie, intanto, sono più povere.

Si riduce il potere di acquisto (del 2,6% nel 2009) e il 17% tra loro non arriva alla quarta settimana. In questo quadro, a sciogliere il luogo comune - si spende meno da Roma in giù - e a scattare un'istantanea sui cartellini dei prodotti di uso quotidiano arriva l'indagine di "Altroconsumo" 1. Fare la spesa in Sicilia, Sardegna, Campania, Puglia (ma anche nel Lazio e in Abruzzo), secondo l'associazione dei consumatori presieduta da Paolo Martinello, costa molto sopra la media. Media che l'Istat certifica in 6.300 euro per ogni famiglia nel 2009. La scarsa concorrenza tra catene e punti vendita rende impossibile per chi vive nel Mezzogiorno spuntare scontrini migliori.

Così, riempire il carrello conviene a Firenze, Verona, Pisa, dove la spesa si aggira attorno ai 5.700 euro annui, sotto la media. Ma anche a Treviso, Udine, Arezzo, Livorno, Alessandria, dove è al di sotto dei 6 mila euro. Supera, invece, i 6.600 euro a Sassari e Catania. Ed è sopra i 6.500 euro ad Ancona, Roma, Lecce, Pescara, Messina. Differenze notevoli. Tra Firenze (la migliore) e Sassari (la peggiore) corrono quasi mille euro. Per l'acquisto degli stessi, identici, prodotti di marca e nelle stesse quantità.

L'indagine di Altroconsumo - condotta su prodotti di 421 brand, monitorati lo scorso maggio in 926 punti vendita visitati (tra hard discount, super e ipermercati) di 62 città italiane - svela anche il paradosso della pasta, il cui prezzo è triplicato senza motivo in tre anni, dopo i rialzi del 2007 dovuti alle tensioni internazionali sul costo del grano. L'impennata sulla materia prima è rientrata, ma i prezzi finali non sono più tornati a livelli accettabili. Mentre olio, saponette, coca cola, pelati scendono (i pomodori addirittura del 26%), anche il detersivo lievita del 14%, i corn flakes del 15%, la mozzarella del 3%.

I risparmi, secondo l'inchiesta, sono comunque possibili. Fino a 1.600 euro l'anno. Dal confronto tra un carrello "tipo" con prodotti di marca e uno low cost, Altroconsumo individua nei prodotti "hard discount" il vantaggio più consistente (-61% di minor esborso rispetto agli equivalenti di marca). Bene anche i prodotti "primo prezzo", quelli con il valore più basso per ciascuna categoria (-50% di risparmi) e quelli che portano il brand del centro commerciale (-41%). I prodotti di marca in offerta convengono sempre (-21%). Ma, avverte l'associazione, la variabilità di prezzo tra punti vendita può raggiungere anche il 30% sul singolo prodotto in offerta. "Una vera giungla", in cui è complicato orientarsi. Nella gara tra Coop ed Esselunga, per molti anni regina tra le catene meno esose, quest'anno si inserisce Iper, risultata la più economica. Maglia nera per Standa/Billa: un carrello "tipo" costa qui il 12% in più che da Iper. Il carrello low cost conviene, invece, da Eurospin.

Fare chiarezza (quantitativa) su questioni politiche e sociali che sono trattate in maniera ideologica e non obbiettiva è un punto essenziale per qualunque discussione politica seria.

Detto questo, pur non avendo letto il libro, ho notato che l'autore prende il tema alla larga facendo distinzioni fra credenze (non empiricamente verificabili??????) e fatti. Ecco questa è una cosa abbastanza discutibile, nel senso che possono esserci benissimo credenze vere o false, ed empiricamente verificabili. A meno che l'autore non intenda per credenza qualcosa di già pre-definito come falso. Invece una credenza, seppure intesa canonicamente come stato psicologico, può non essere empiricamente verificabile, ma può essere vera o falsa a seconda del contenuto che possiede.

Posto che a volte preferiamo non sapere, la lezione dei grandi sociologi della cultura (Weber, Berger, Simmel, Lasch, eccetera) ci dice anche perché oggi lo facciamo più che in passato: l'uomo contemporaneo ha bisogno di rassicurazioni maggiori, e quindi di maggiore distanza dai fatti osservabili, perchè non essendo più interprete di un ruolo ricevuto alla nascita e determinato dalla propria posizione sociale, deve continuamente ridefinire la propria identità.

Anche queste parole mi sembrano molto una alberonata...con tutti questi autori messi insieme. Senza contare che esistono mille ragioni per non occuparsi di questioni complesse di tipo politico senza bisogno di ricostruire gli stati psicologici di persone che "si sentono insicuri" e quindi farebbero gli struzzi.

Insomma, Ricolfi analizzi i dati e ci chiarisca le sue riflessioni critiche su quelli senza fare filosofia o sociologia a buon mercato.

Ovviamente il testo sembra interessante...sono solo i cappelli culturali che appaiono deboli.

 

A meno che l'autore non intenda per credenza qualcosa di già pre-definito come falso.

 

Non ho letto il libro, ma conoscendo l'autore dubito che abbia definito una credenza come qualcosa di pre-definito come falso. In psicologia come in sociologia (Ricolfi è un sociologo, ma insegna psicometria) le credenze sono proposizioni ritenute vere o false dagli individui. Il problema è che alcune credenze possono essere empiricamente dimostrate vere o false (es.: in Italia i disoccupati sono x% della popolazione) e altre no (es.: Dio esiste). Non capisco invece cosa intendi quando dici che una credenza può non essere empiricamente verificabile, ma può essere vera o falsa a seconda del contenuto che possiede.

 

Fare chiarezza (quantitativa) su questioni politiche e sociali che sono trattate in maniera ideologica e non obbiettiva è un punto essenziale per qualunque discussione politica seria.

 

questa parte è oltre il 90% del libro. Mi pare che gli articolidi Ricolfi possano essere considerati un valido "gioco educativo" sugli errori da non fare nel trattare argomenti sociali e politici.

 

...sono solo i cappelli culturali che appaiono deboli.

 

quelli stanno in 3 o 4 paginette introduttive (che peraltro includono anche  il riferimento a Festinger che, a differenza delle storie sull'identità  io trovo appropriato) che non inficiano l'effetto complessivo.

.. segnalo un paper interessante (secondo me) sul perchè le industrie del Sud (che esistevano al momento dell'unità d'Italia) non sopravvisero a quell'evento (l'unità). Qui.

E' di un inglese, quindi non è parte in causa.

Sembra molto interessante, grazie!

In effetti mi è capitato di leggere che le ferriere calabresi producessero ferro e acciaio di ottima qualità grazie all'abbondanza di carbone di faggio:  bisognava usare carbone di legna per produrre l'acciaio per evitare la contaminazione con lo zolfo. Peccato che questo problema fosse stato risolto con l'invenzione del convertitore Bessemer, prima dell'Unità. Il neomeridionalismo alla Pino Aprile meriterebbe una confutazione

Vorrei una valutazione (cioè se trattasi di bullshit o no) di questo lavoro che sto trovando citato come contraltare a Ricolfi:

Sviluppo, rischio e conti con l'esterno delle regioni italiane : lo schema di analisi della "pentola bucata" / a cura di Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi, Paolo Savona ; prefazione di Roberto Nicastro ; con la collaborazione di Francesca Bartoli...[et al.]. Roma ; Bari : Laterza, 2010.

secondo cui gran parte della spesa pubblica al Sud torna al Nord sotto forma di acquisti di beni e servizi. 

secondo cui gran parte della spesa pubblica al Sud torna al Nord sotto forma di acquisti di beni e servizi. 

Gran parte, secondo me, no. Secondo me una percentuale non infima ritorna dal Sud al Nord comunque, perche' il Sud conta come serbatoio di manodopera e risorse a basso costo e buona mobilita'.


 

Mai sentito, ma l'assurdità della tesi che sembra risultare dal riassunto che ne fai era stata, secondo me, sintetizzata benissimo su un vecchio posto qui su nfa.

Qualcuno proponeva a un (ipotetico?) costruttore edile di regalargli 150.000 euro che poi lui avrebbe usato per acquistargli una casa da 160.000 euro, aggiungendoci 10.000 di suo.

In base a quella tesi, il costruttore avrebbe dovuto essere felice per l'affare.

Credo che la proposta sia ancora aperta se qualcuno vuole accettarla.

Direi anche che mi affianco al proponente originario (non mi ricordo chi fosse), nel caso ci sia più di un costruttore disposto a regalare i soldi per commissionargli la casa. Credo di poter arrivare ad aggiungere un 10% di mio.

Quella del nord che ha interesse a mandare soldi al sud perchè gli ricomprano i prodotti è una tesi che ciclicamente riemerge.Il commento di Marcello che ne demolisce la logica è qui

 

Ti propongo un' affare: tu mi dai 150000€, ed in cambio io ti compro un' appartamento da 160000€.Tu ci guadagni 10000€, non mi sembra male ;).

 

La versione più sofisticata proposta da Marco:

 

trasferimento sarebbe dalla classe media del Nord alla Grande Industria del Nord, passando per Roma prima, e per i califfati locali al Sud poi (con la tecnica del pezzo di ghiaccio passato intorno a un tavolo).

 

dice una cosa diversa che a mio avviso rientra nel capitolo casta (=spreco di denaro pubblico ad uso e consumo dei soliti noti che si trovano al sud come al nord).

Per quanto riguarda frasi come:

 

Si potrebbe dire che senza il resto d'Italia la Lombardi sarebbe una delle regioni più povere d'Europa

 

io la annovereri senza indugio tra le stronzate.

puoi postare gli estremi del libro? Grazie in anticipo.

Quello che viene sempre sottovalutato nei conteggi dei trasferimenti nord sud via stato centrale sono meccanismi tipo azienda del nord che apre filiale al sud si prende gli incentivi, paga le tasse al nord dove ha la sede, e poi, spesso, chiude la filiale al sud. Oppure i grandi gruppi tipo ENEL Autostrade ecc. che investono con soldi pubblici prevalentemente al nord (es. la rete elettrica meridionale è molto più vecchia, specie per le isole, di quella del nord ciò porta a prezzi pagati molto più alti ad es. dal GME il prezzo max di ieri per la Sicilia è di 149 euro/MWh per il nord di 72.)

Mai visto valutazioni su questo, foss'anche per dimostrarne l'irrilevanza.

Esiste anche l'aspetto opposto: aziende del nord che si lamentano della concorrenza di aziende del sud che godono di vantaggi fiscali (riferisco quello che dicono non so se corrisponda al vero) oppure casi come FIAT anni 80/90 cioè Autobianchi e Alfa Romeo in CIG quasi totale (poi chiuse) mentre venivano potenziati gli stabilimenti di Melfi. Praticamente Fiat chiuse due stabilimenti vecchi gravando (tramite CIG) i costi sulla collettività ed allo stesso tempo (sempre gravando sulla collettività) si costruiva uno stabilimento nuovo.

Sono due facce della stessa medaglia: l'utilizzo errato di incentivi statali. 

 

già fatto in una replica a un altro post

commenti come questi (sia chiaro pienamente legittimi):

Personalmente sono un separatista convinto: abbiamo i prezzi del Nord e la qualità dei Borboni. Concordo sul cornuti e mazziati...

Sono convintissimo che una suddivisione dell'Italia risolverebbe una marea di problemi, da quelli economici a quelli psicologici.

al massimo penso che senza la sicilia qualche vantaggio lo avremo

uniti a considerazioni, non ricordo fatte da chi, del tipo lo Stato italiano è un peso per il nord e il sud dimenticando che lo stato non è una dittatura aliena, ma è formato da noi cittadini, mi fanno perdere ogni speranza di cambiamento per questo paese. Gli autori sono tutti persone equilibrate ed informate. Se anche persone con questo profilo la pensano così, non c'è più speranza.

 

Che speranze riesci ad avere quando il più grande problema dell'Italia è chi ha comprato (e pagato) una casa a Montecarlo ?

Il nostro è un paese morto da un pezzo, fattene una ragione, ci sono tante persone che pensano che con più soldi  si risolvano i problemi culturali e strutturali dell'Italia.

Se questo ragionamento fosse vero già da un pezzo gli italiano al nord  dovrebbero fare più figli, per non parlare dell'immigrazione uno dei maggiori problemi europei, gli immigrati vanno dove ci sono più soldi non l'opposto e buttandola sulla politica non ci credo manco morto che in una eventuale stato padano si crei un partito con tali caratteristiche basilari:

a) sufficientemente liberista/meritocratico

b) un minimo indipendente dal vaticano

c) non buonista.

Probabilmente, anche sulla base dei dati esposti, la differenza del Pil tra le due aree del Paese non era eccessiva, questo per il motivo della maggiore disponibilità di terre arabili, bisogna tenere conto dell'enorme sperequazione nella distribuzione della ricchezza prodotta concentrata in un numero limitato di individui. Infatti la condizione dei contadini meridionali e delle loro famiglie presentava un divario significativo con le regioni del Nord, inoltre l'economia del Reame presentava degli aspetti protezionistici: vedi le industrie di Stato e gli investimenti di capitale straniero(svizzeri, inglesi) sostenuti ed incoraggiati da una favorevole tariffa doganale. Tutto ciò venne a mancare con l'Unità attraverso la liberalizzazione dei mercati con la crisi agraria e con l'incapacità delle classe dirigente meridioale(latifodisti e borghesia) ad investire ed innovare. L'emigrazione porto via persone capaci, specialmente nel campo artigiano, molti partirono non solo per la "fame" ma anche per la ricerca di una migliore qualità della vita(il viaggio verso le Americhe era costoso, ed il denaro per pagarlo veniva ricavato dalla vendita dei beni immobili). E' mia opinione che l'accentuarsi del divario NORD/SUD sul finire degli anni 80 DELL'800 fù in buona parte dovuto alle suddette condizioni

 

 dimenticando che lo stato non è una dittatura aliena,

perché, SB non è un Visitor?

http://www.youtube.com/watch?v=W4T-rQe5fn4

 

Qui il link della diretta web, per i forti di stomaco ora sta parlando la Brunetta. Michele è prevsito domattina alle 10.30. Il link è pubblico, almeno credo.

Che tristezza questo Laszlo Andor: 44 anni, commissario europeo e più evasivo di qualunque politico italiano.

Padroneggia perfettamente la tecnica di ripetere con parole sue la domanda dell'intervistatore e poi aggiunge la giusta proporzione di

innovazione

sostenibilità

educazione continua...

CIO' ERA POSSIBILE 150 ANNI FA' , NON PENSO CHE ADESSO CI SIANO LE CONDIZIONI

BISOGNA RIMBOCCARSI LE MANICHE E CERCARE DI FARE UN NUOVO RISORGIMENTO

 

Tra un po' tutti all'inferno.
Però per il momento
è finita l'estate.
Avanti, su, ai divani!
Ai divani! Ai divani!


 


 


 


 


 


 

ringrazio Patrizia Cavalli

 

da

 

L'io singolare proprio mio

Einaudi, Turin 1999