una selezione di testi da "Futuro semplice" - di Gianni Montieri

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Il gesto dell’apparecchiare possiede grazia
così come la mano che chiede alla rosa
di non sentir paura mentre l’altra pota
è un rituale, una funzione
non c’è spavento dentro l’abitudine
conoscere l’azione successiva induce calma
riporre il libro sulla stessa traccia di scaffale
annusare il caffè prima di berlo lo certifica

(gianni montieri)

 

In questo post propongo una selezione di testi tratti dal libro Futuro semplice di Gianni Montieri. Buona lettura.

da Futuro semplice, ed. LietoColle, anno 2010

 

AVANZI

Il gesto dell’apparecchiare possiede grazia
così come la mano che chiede alla rosa
di non sentir paura mentre l’altra pota
è un rituale, una funzione
non c’è spavento dentro l’abitudine
conoscere l’azione successiva induce calma
riporre il libro sulla stessa traccia di scaffale
annusare il caffè prima di berlo lo certifica

la casa non sta nelle pareti colorate
sta nelle mani dove la testa appoggia
quando duole per la gravità del giorno
-per il troppo vento-

***

ANDIRIVIENI

Di grazia nei gesti
di sfumature, polvere tolta
e tornata dopo appena un minuto
il coraggio che sta nel perdono
già basterebbe

la tenerezza di una mano
quando appena ti sfiora
-farne a meno-
tenersi un ricordo appeso a un chiodo
una voce sentita alla radio
che quasi in ombra canti
per fortuna o per altro.

***

RESTYLING


Di questi tempi è pieno di gru
la città si espande verso l’alto
da ottomila al metro quadro

(non ci sfioriamo, non ci parliamo
gli extracomunitari puzzano
la 90 prendila tu)

anche Marta va in analisi
non cena mai al cinese
“vai a sapere che ci mettono in quei fritti”
Milano sarà perfetta, in tempo per l’expo

piazza Duomo ripulita ancora più rettangolare
-via i piccioni, via i neri e i braccialetti-

stamattina ci siamo salutati
ti ho detto ciao, mi hai dato un bacio
io uno zaino, tu una borsa
io Londra, tu altrove
cos’ha Milano che non va?

***

RISPARMI

Io sto al sud proporzionalmente
appartenenza più che somiglianza
porto tracce degli umori, la durezza
-certi sguardi-

(ci allenavamo a sognare
davanti alla chiesa di San Giovanni
certi che Dio non sarebbe passato
ma questo ci ha reso tenaci
indossiamo una pazienza
non concessa altrove)

se non fai attenzione
nei miei occhi non vedrai le briciole
di una purezza conservata a stento
sotto strati di maglioni a fibra mista

dicono che non ho l’accento
particolare privo d’importanza
le parole tronche, questo conta
sono tutti i miei risparmi

(all’una tornavamo a casa
l’appuntamento per la partita
il pomeriggio di nuovo urla, risate
altri sogni).

***

PARZIALMENTE TERRENI

Ci siamo spartiti molto
dissolto in lontananza il resto
tenendo bene in mente
la scelta fra l'andarsene e il sognare

non abbiamo imparato a pregare
accontentandoci dei nostri passi
del suono certo del tacco sull'asfalto
restare in una stanza vuota
a noi non è concesso
cerchiamo conforto nel rumore
-nel suono grezzo-

coltiviamo speranze in curva
non avendo mestiere per i rettilinei
nessuna competenza
sui tratti autostradali.

***

MILANO, ORE 19.30

C’è una luna gialla
altezza guglie
a illuminare le conversazioni
gli aperitivi a Piazza dei Mercanti

passi rapidi
verso le scale di Cordusio
o in direzione opposta
in coda per il cinema

un diniego negli occhi della donna
dice all’uomo che tornerà da solo
al tavolino fa di colpo freddo
-il conto, per favore-.

***

L’ASCESA

Precipito, rara acqua piovana
come foglia d'inizio autunno
prendo colore scivolando in basso

soprattutto non parlo
in questo volo radente
non pronuncio niente

è questo che ti sto spiegando
a ogni vuoto d'aria
stretta allo stomaco
ramo che spezzo col peso
racconto un pezzo di questa caduta.
La felicità è un abisso.

***

ATTRAVERSO MILANO

Io Milano l’ho imparata il sabato
nei passi lasciati ai bordi del naviglio
su bancarelle di libri troppo usati
l’ho assimilata nei caffè
bevuti appena dopo l’alba

osservando la fretta un po’ di lato
ho allungato la falcata
ne ho preso possesso in metropolitana
un lunedì qualunque di gennaio
sottoterra amando l’interscambio

le ho voluto bene veramente
quando ho capito
il senso delle tangenziali
compreso che la nebbia ha una ragione
distinto da lontano
il suono che fa il tram.

***

ATTO D’AMORE

Tornare a sfiorarti
a comprenderti davvero
nella discesa a gomito
che va dal bosco al centro

vedere se è rimasta poesia
fuori dalle cartoline
-dai denti-

scivolo dentro quelle notti
processioni d’auto sul lungomare
risate chiassose e clacson

come ci pareva facile

ignoravamo i motivi
delle voragini d’asfalto
dei palazzi fatiscenti

l’occhio non distingueva
l’inevitabile dallo straordinario
conteneva nella stessa iride
il contrabbando e San Martino
il parcheggio abusivo e via Orazio

un solo panorama

adesso che le ragioni dell’età
saprebbero spartire, scegliere
verso nel bicchiere la certezza
che a te devo almeno un uomo.

***

CONSUETUDINE INVERNALE

I piccioni volano bassi
fra strani tagli di vento
il rettangolo di piazza Duomo disegna
una perfetta chiusura del cerchio

freddo – noia – silenzio

qualcuno scatta foto da cartolina
l’unità di misura di un ricordo
in metrò è segnalato un guasto:
a Conciliazione si è ammazzato un vecchio

di essere soli non si smette mai.

****

nota di lettura:

Cos’è un “futuro semplice”? Un tempo in-definito ancora da venire, una speranza, un progetto da realizzare, costruire o – semplicemente – da augurarsi?

Non solo, è nell’aggettivazione che la connotazione temporale acquista la sua valenza, il suo spazio semplice come il rituale e quotidiano ripetersi dei gesti, che nel reiterarsi segnano gli oggetti, consumano della nostra presenza le cose, imprimendo loro l’odore dell’appartenenza, il calore del guscio, quel senso “materno” di certezza.

la casa non sta nelle pareti colorate / sta nelle mani dove la testa appoggia / quando duole per la gravità del giorno

Avete mai fatto caso a come i vecchi siano attaccati agli oggetti più consunti ed a quanto sia difficile allontanarli da una vecchia coperta, un logoro maglione, una plurincollata tazza per la zuppa di latte?

Futuro semplice. L’essenziale? Essenziale come il necessario, il poco da portarsi dietro; essenziale come pregno della nostra essenza, perché vissuto, “certificato”.

“Certificato”: certus + factus, certo perché già fatto, già provato e sperimentato: semplicemente “rassicurante” nella sua certezza come l’odore del caffè “prima di berlo”.

conoscere l’azione successiva induce calma / riporre il libro sulla stessa traccia di scaffale /

annusare il caffè prima di berlo lo certifica

Ma come arrivare ad un “futuro semplice” se non vivendo nell’osservazione rituale del presente per impossessarsi dei suoi gesti, dei suoi “punti di riferimento”, degli incroci negli scambi repentini di tempo nelle sue frazioni tra passato e presente continuo?

Il tempo: una convenzione? – forse. Uno spazio? – probabile. Una condizione in itinere – (in)certezza. Ma che certezza può dare una cosa che sia “in itinere”, in viaggio, in divenire? A rolling stone gathers no moss – dicono gli inglesi –una pietra che rotola sempre non raccoglie muschio intorno a sé:

Io sto al sud proporzionalmente / appartenenza più che somiglianza / porto tracce degli umori, la durezza /

-certi sguardi- […] dicono che non ho l’accento / particolare privo d’importanza /

le parole tronche, questo conta / sono tutti i miei risparmi

Qualunque cosa sia il tempo, è il nostro passo a determinarsi misurandolo, è l’occhio a fissarne i cambiamenti di luci ed ombre, la pelle a percepirne gli sbalzi di temperatura nell’alternarsi delle stagioni. Cosa fare?

Io Milano l’ho imparata il sabato / nei passi lasciati ai bordi del naviglio

Cercare un’appartenenza che concilî nelle intercapedini di spazio e tempo la memoria per investirsi della propria certezza.

tenersi un ricordo appeso a un chiodo / una voce sentita alla radio /

che quasi in ombra canti / per fortuna o per altro.

Muoversi lentamente apprendendo la fretta nella metropolitana tra gli scambi di passaggio.

l’istante in cui si mischiano i corpi / sulle scale della metropolitana /

quando nulla pare deciso / prima dei caffè, delle brioche / si fa finta di essere uguali.

Dalla lettura dei versi di Gianni Montieri emerge un disincantato spirito d’osservazione che restituisce senso di duale appartenenza ad ogni piccolo gesto del suo narrarsi in una Milano grigia eppure morbida, malinconica, come una decadente signora rimasta sola ad osservare, appollaiata tra i suoi piccioni, il convulso scorrere e scivolare via di incompiute esistenze dalle sue stesse tasche.

qui di questi tempi è pieno di gru / la città si espande verso l’alto / da ottomila al metro quadro /

[…] / anche Marta va in analisi / non cena mai al cinese / “vai a sapere che ci mettono in quei fritti” /

Milano sarà perfetta, in tempo per l’expo / piazza Duomo ripulita ancora più rettangolare /

-via i piccioni, via i neri e i braccialetti- / stamattina ci siamo salutati /

[…] / io Londra, tu altrove / cos’ha Milano che non va?

Futuro semplice” è l’aspirazione di una intera generazione di precari, uomini e donne precari negli affetti, precari rispetto alle certezze apprese nell’infanzia, precari nelle abitudini che devono essere sottoposte al vaglio dell’incerto. Ne emerge un quadro generazionale di affetti spezzati, di incognite, di memorie, di corse frenetiche e sguardi lenti, un film neorealista collocato fuori tempo, o – forse – un monito, un allarmante grido nell’assordante silenzio di un individualismo forzato, impossibilitato alla costruzione di una “comunione” di intenti, di vite, che sembra catapultarci indietro di mezzo secolo di storia, restando tuttavia ancorato alle aberranti contraddizioni di un presente dilaniato tra i fasulli ottimismi capitalistici e l’ombra dei suoi stessi fallimenti.

Uno sguardo vivo e ancora pieno degli umori di una terra che non ha offerto futuro, si muove su un terreno che promette frutti a caro prezzo: quello del tempo tramutato in profitto, soggetto ad ogni “cambio d’opinione”. Non resta che osservare, adattandosi, e “aspettare” (r)esistendo aggrappati alle poche ed importanti certezze del quotidiano, appartenedovi totalmente.

Le poesie di Montieri si possono leggere come capitoli di un’unica narrazione – descrittivi eppure musicalmente lirici nel verso naturalmente propenso all’endecasillabo, troncato e riallacciato in morbidi enjambement - dal procedere “minimalista” ed essenziale nel linguaggio, che rivela uno sguardo onesto e consapevole che non addita, non giudica, non infierisce ma, semplicemente, si racconta narrando.

*

alcuni lavori di Gianni Montieri sono online sul litblog Poetarum Silva di cui è redattore

mentre il suo blog personale è Inassenzadimetri

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Commenti

Ci sono 26 commenti

Arise ye starvelings from your slumbers!

Arise ye starvelings  from your slumbers

Arise ye criminals of want

For reason in revolt now thunders
and at last ends the age of cant.
Now away with all your superstitions
Servile masses arise, arise!
We'll change forthwith the old conditions
And spurn the dust to win the prize.ye starvelings from your slumbers!

Arise ye criminals of want!

For reason in revolt now thunders,

And at last ends the aArise ye starvelings from your slumbers!

Arise ye criminals of want!

For reason in revolt now thunders,

And at last ends the age of cant.

Now away with all your superstitions,

Servile masses, arise! Arise!

We’ll change forthwith the old conditions


Now away with all your superstitions,

Servile masses, arise! Arise!

We’ll change forthwith the old conditions

And spurn the dust to win the prize.

For reason in revolt noArise ye starvelings from your slumbers!

Arise ye criminals of want!

For reason in revolt now thunders,

And at last ends the age of cant.

Now away with all your superstitions,

Servile masses, arise! Arise!

We’ll change forthwith the old conditions

And spurn the dust to win the prize.w thunders,

And at last ends the age of cant.

Now away with all your superstitions,

Servile masses, arise! Arise!

We’ll change forthwith the old conditions

And spurn the dust to win the prize.

hasta siempre. - bella Adriano, ma si solleveranno?

grazie per l'ospitalità e a natàlia per la cura che ci ha messo.

Ciao Gianni! grazie di esserci.

E' bello leggere qualcosa di interessante la domenica mattina. Sottolineo alcune strofe che mi sono molto piaciute:

 

Io sto al sud proporzionalmente
appartenenza più che somiglianza
porto tracce degli umori, la durezza
-certi sguardi-

 

La felicità è un abisso.

Comunque sono tutte molto belle.

l'ho postato dopo aver letto i tuoi commenti all'altro post di poesia, ero sicura che ti sarebbero piaciute. consideralo per te. :)

grazie marco

Ho apprezzato molto, molto belle, chiare senza essere facili, milanesi ma universali.

PS

Il protagonista di Milano 19:30 non si sarà mica comportato così? ;-)

eheheh :D - Poor Gianni! naaaa. he is a gentleman.

grazie corrado.

 

eh, chi lo sa come si è comportato il protagonista di quella poesia...forse la protagonista lì è una certa malinconia autunnale...e le troppe solitudini viste sfilare davanti agli occhi in questa città

 

grazie

Bella la sezione poesia.

Non cnoscevo Montieri. Mi piace il modo di parlare di emozoni e sensibilità con un linguaggio non scontato, non lezioso e non banale. Centrando comunque il risultato emotivo nel lettore.

è vero, non è lezioso, non è scontato e non è banale. grazie Luzo, spero che Gianni mi aiuti con altri suoi lavori (recensioni/consigli) da proporvi.

La società è morta il giorno in cui ha smesso di avere coscienza

del diritto e del dovere, dovere di esercitare il proprio diritto

dinanzi al potere. La società è morta, senza estrema unzione.

anche tu sei così vera e per nulla scontata

 sei come ti avevo immaginato complimenti

O_O ohmmamma! grazie Biba.

l'artista esiste perche' il mondo non e' perfetto

l'arte sarebbe inutile se il mondo fosse perfetto

un uomo non cercherebbe l'armonia ma vivrebbe semplicemente nell'armonia del mondo

l'arte nasce da un mondo fatto male

dalla ricerca di relazioni armoniose tra essere umani

tra arte e vita

tra tempo e storia

non e' possibile imparare dagli altri

o passare la nostra esperienza agli altri

dobbiamo vivere la nostra personale esperienza

non possiamo ereditarla

ma una volta che l'abbiamo, non abbiamo piu' il tempo di usarla

e la nuova generazione giustamente non vuole ascoltare la sua lezione

essi vogliono viverla ma poi tocca anche a loro di morire

questa e' la legge della vita, il suo vero significato:

non possiamo imporre agli altri la nostra esperienza

o forzare gli altri a sentire emozioni da noi suggerite

noi comprendiamo la vita solo per mezzo della nostra esperienza personale

qual'e' il significato della nostra esistenza sulla Terra?

forse siamo qui per elevarci dal punto di vista spirituale

se la nostra vita ha come scopo questo arricchimento spirituale

allora l'arte e' un mezzo per questo arricchimento spirituale

questo naturalmente vale secondo la mia concezione della vita

l'arte dovrebbe aiutare l'uomo a realizzare questo scopo

alcuni dicono che l'arte aiuta l'uomo a conoscere il mondo

ma io non credo

sono quasi un agnostico

la conoscenza ci distrae dallo scopo principale della nostra vita

piu' cose sappiamo, meno conosciamo

andando piu' in fondo il nostro orizzonte diventa piu' piccolo

l'arte agisce sulle capacita' spirituali dell'uomo e le rende piu' forti

al punto che l'uomo riesce a innalzarsi al di sopra di se stesso

e riesce a usare quello che viene chiamato ``libero arbitrio''

e l'uomo non sa più desiderare la stanza dei desideri.

Grazie Fausto per questa traduzione, un bellissimo contributo. La mia curiosità, sempre se posso, mi porta a chiederti cosa sia per te l'arte.

Ti ringrazio, Natàlia, sei gentile a pormi una domanda così difficile; si tratta di terreno minato, ma proverò a dire quello che penso, senza le cautele degli specialisti.

Dice il Poeta:

Nella caverna che chiameranno Altamira
una mano senza volto traccia la curva
di un dorso di bisonte.

Tornerò tra un momento su questa curva, per proporre subito due tesi.

Prima tesi (mutuata dalla matematica): rigetto quella posizione che si potrebbe descrivere come "essenzialismo metafisico", cioè non credo che per comprendere il mondo sia utile porsi domande del tipo "che cosa è X ?" (domande la cui risposta ha la forma "X è Y").

Penso invece che per comprendere il mondo sia più utile porsi domande del tipo "qual'è la relazione che X intrattiene con Y, Z, e W ?", e direi anzi che è proprio l'insieme di queste relazioni che identifica X. Cioè, in genere, per comprendere X bisogna descrivere la funzione svolta da X nei suoi rapporti con gli enti che gli girano intorno.

Seconda tesi: la formazione della nostra struttura antropologica procede come in una cipolla:
vale a dire: a strati, che si avvolgono appunto intorno a un nocciolo originario, uno strato sopra l'altro, ma tutti intorno al nocciolo, la cui funzione riaffiora ogni tanto, anche in noi uomini moderni.

Sulla base di queste due tesi preliminari, proverò a rispondere non tanto alla domanda:

"che cos'è l'arte?"

ma alla domanda:

"qual'è la funzione originaria dell'arte?"

dove, ripeto, per funzione originaria intendo dire: la sua funzione nella formazione della nostra struttura antropologica, una struttura (a cipolla, come dicevo) che si è formata nel corso del tempo, a partire dalla fase in cui l'uomo si è distaccato dagli altri animali. (Ripeto: questa funzione originaria sarebbe il nocciolo intorno al quale si sono poi avvolti gli altri strati: un nocciolo che però si rivela ogni tanto nonostante gli strati che lo nascondono)

Terza tesi: la funzione originaria dell'arte si sovrappone e si confonde con la funzione originaria del linguaggio.

Quale sarebbe la funzione originaria del linguaggio?

Io credo che abbia ragione R. Thom, quando sostiene, se ho ben compreso le sue idee, che la funzione originaria del linguaggio sia stata quella di liberare la psiche umana dagli automatismi animali alienanti, cioè dagli automatismi che la sua psiche aveva (e in certa misura ha ancora oggi) in quanto psiche di un animale, cioè mosso da automatismi dominati dall'istinto (cartesianamente, animal non agit, agitur). Qui il termine alienante viene dunque usato in maniera distinta dall'uso che ne fa Marx, e viene usato in un senso che combacia felicemente con il fenomeno che Ernesto de Martino ha chiamato "perdita della propria presenza", come dirò tra poco.

Credo quindi che l'emergenza del linguaggio abbia a che fare non tanto con la sua funzione comunicativa (come sostiene Pinker), ma piuttosto con una funzione di distacco dalle rappresentazioni mentali dominate dagli istinti. Quindi sarebbe in origine un "linguaggio del pensiero, disponibile internamente" (come sostiene Chomsky).

E credo (questa è una idea mia) che i processi onirici abbiano svolto una funzione importante in questo processo, nel senso che la prima implementazione del linguaggio, come forma autonoma di rappresentazione mentale, nella nostra psiche, sia avvenuta attraverso il sogno (dove autonomo significa appunto non del tutto dipendente dagli automatismi dominati dagli istinti).

Aggiungo qualche parola sugli automatismi animali alienanti da cui la nostra psiche sarebbe liberata attraverso il linguaggio, osservando che Ernesto de Martino, nel suo libro Il Mondo Magico, riporta numerose testimonianze etnografiche del fenomeno che lui chiama perdita della propria presenza, e del fenomeno collegato, che è quello della paura di perdere la propria presenza, fenomeni che a suo avviso fanno parte del nocciolo interno della nostra struttura antropologica (e quindi, si tratta di qualcosa che si fa sentire, ancora oggi, nonostante tutti gli strati che si sono poi avvolti, come una cipolla, intorno ad esso); per chi non ha letto il libro, riassumerò rozzamente di che si tratta (sperando di non scoraggiare il lettore dalla lettura di un libro così bello): perdere la propria presenza significa trovarsi in uno stato di fascinazione (alienante), centrato intorno a un oggetto del mondo naturale, come un albero, o un bisonte, ad esempio: si è come ipnotizzati dall'albero, o dal bisonte, incapaci di distaccarsi da esso, ecc.;

Ecco, questi fenomeni, descritti da Ernesto de Martino, combaciano felicemente con le idee di R. Thom sulla capacità alienante  degli automatismi della psiche animale, e mi portano a ritenere fondate le idee di quest'ultimo sull'origine del linguaggio, che poi in qualche modo combaciano felicemente con quelle che Chomsky (un autore che si era sempre rifiutato di avanzare speculazioni sul tema) ultimamente ha iniziato ad avanzare.

Torniamo al profilo del dorso di bisonte: sarò semplicistico, forse fumettistico, ma spero però di catturare qualcosa di vero, sulla base delle tre tesi già esposte:

nel momento in cui la mano senza volto disegna la curva di un dorso di bisonte, la psiche animale di quell'uomo si libera dalla fascinazione alienante esercitata dal bisonte, e la domina, in qualche modo: la domina mentalmente, tanto per cominciare, in quanto la sua psiche non è più dominata dalla sua presenza alienante, e si affranca dal pericolo di perdere la propria presenza. La cosa curiosa (che differenzia la funzione originaria dell'arte dalla funzione comunicativa del linguaggio) è che quell'uomo si affranca da quel pericolo attraverso la creazione di un prodotto linguistico (il graffito) che a sua volta ha, verso lo spettatore, una sua capacità alienante.

Cioè il graffito agisce come uno specchio: riflette il potere alienante degli oggetti della natura, nel duplice senso che lo riflette lontano dall'artista (che così usa l'opera come uno scudo, e così si affranca da quel potere alienante e dal pericolo di perdere la propria presenza), e riversa tale potere alienante sullo spettatore (nel senso che l'opera d'arte si carica di quel potere alienante, di quella carica di fascinazione, di quella tendenza a farci perdere la propria presenza, che aveva l'oggetto originale). L'opera d'arte affascina, e questo fenomeno, alla luce di quello che ho detto, non è un caso. L'opera d'arte libera l'artista. E anche questo non è un caso.

Riassumo: la creazione artistica libera l'artista dal potere alienante di una particolare situazione. In modi affini alla legge di ricapitolazione di Haeckel (una legge che si riassume, com'è noto, nel motto "l'ontogenesi è una  ricapitolazione della filogenesi") l'atto della creazione artistica riproduce  il momento in cui l'uomo si è liberato dalla sua condizione animale, dal fascino alienante che gli oggetti della natura esercitano su di lui, dal pericolo di perdere la propria presenza. Non è quindi un caso se il prodotto artistico, a sua volta, affascina (cioè assume verso lo spettatore una certa carica che vorrei continuare a chiamare alienante, dove il termine non deve però essere inteso in un senso troppo letterale, ma deve invece essere inteso in uno spettro di sfumature possibili: tutte sfumature di un significato originale che si trova dentro il nocciolo della cipolla: un significato originale che è quello che è stato descritto da Ernesto de Martino e che combacia felicemente con le idee di R. Thom).

Quindi, in sostanza, concordo con A. Tarkovskij. O, se vuoi, quello che ho scritto può essere visto come una interpretazione (materialistica) delle parole di Tarkovskij.

Occorre qualità per scrivere poesia che si lasci cogliere senza vanto. Questa la vera bravura del Poeta.

Molto belle, Gianni.

Grazie

c.

 

grazie clelia