I fatti di Quinto sono noti, come credo lo siano la mezza dozzina di episodi simili riportati dai media italiani durante le ultime settimane ed i molti altri che non hanno fatto notizia perché non "gravi abbastanza". La dinamica d'ognuno di essi è quasi sempre la stessa: mentre è impossibile verificare se le accuse di "mancanza di coordinazione" - rivolte dalle autorità locali, contrarie all'arrivo dei rifugiati, ai prefetti, che tali trasferimenti devono gestire, ed alle cooperative che ne amministrano poi la vita nel giorno dopo giorno - siano veritiere o meno, ciò che è invece certo è che con grande frequenza stiamo assistendo a veri e propri "pogrom" dei residenti che - appoggiati dagli amministratori locali e dai rappresentanti di Lega Nord, Fratelli d'Italia, Forza Nuova e CasaPound - cercano di cacciare gli "intrusi". Il grosso della popolazione o approva oppure tace facendo finta di non vedere.
È perfettamente possibile che la conclusione (spero temporanea) a cui sono arrivato non sorprenda nessuno fra i lettori, però ha spiacevolmente sorpreso me che ho cercato di evitarla il più possibile. Ma i sintomi che puntano nella direzione di quella diagnosi sono troppi e troppo dominanti.
Il primo sintomo da rilevare è che la gestione dei circa 90mila rifugiati presenti oggi in Italia sembra essere considerata da tutti come un'emergenza irrisolvibile. I classici rimpalli di accuse da un lato all'altro avvengono in una specie di consenso nazionale secondo cui la questione rifugiati è sia drammatica che insostenibile. Chi si occupa del tema fa giustamente osservare che, in % alla popolazione, siamo uno degli ultimi in Europa e che tutti i paesi dell'Europa del Nord accolgono da tempo quantità sia assolute che relative molto maggiori di rifugiati. L'amministrazione pubblica italiana, si sa, è quanto di più inefficiente vi sia (per la precisione siamo secondi nel mondo: secondo il World Economic Forum quella venezuelana è l'unica peggiore) ma l'inefficienza pubblica, come spiegazione di perché in Italia la questione "migranti" sia diventata l'argomento di scontro politico di maggior rilevanza, non mi convince. Anche perché SE davvero il problema fosse l'inefficienza dell'apparato pubblico, la sua corruzione e la sua irresponsabilità, ALLORA i buoni cittadini italiani se la prenderebbero con quell'apparato e non darebbero fuoco ai beni dei rifugiati.
Il secondo sintomo è che nel dibattito pubblico italiano i "rifugiati" vengono quasi sempre confusi con gli "immigranti clandestini". Questo non è vero solo nelle più ipocrite fra le reazioni popolari - esempio tipico: "non ho nulla contro chi viene qui a lavorare ma questi sono clandestini, violano la legge e quindi vanno cacciati" - ma anche sui media e nel dibattito politico. I rifugiati di cui si discute possono essere tante cose ma "clandestini" non sono di certo: all'arrivo vengono schedati e sono poi sottoposti ad un controllo piuttosto stretto che implica, fra le altre cose, l'espulsione alla prima irregolarità. La condizione di "rifugiato" è altra da quella del clandestino, ma questo in Italia sembra non passare. Non solo: la loro permanenza in Italia è tipicamente breve ed i 35 euro giornalieri di "costo" d'ognuno di loro sono finanziati, in gran parte, da UN ed UE (si veda per esempio qui www.huffingtonpost.it/2014/04/22/immigrazione-europa_n_5191540.html). Di nuovo: che la responsabilità di spiegare tutto questo sia dello stato e che questo faccia un pessimo lavoro è fuor di dubbio ma che, guarda caso, sia il "rifugiato", tipicamente africano o d'una qualche stirpe araba, ad attirare gli strali della popolazione è un indicatore rilevante.
Il terzo sintomo è che l'Italia è paese di recente immigrazione, che il tasso di irregolarità è particolarmente alto [ho trovato stime d'ogni tipo cercando in rete, nessuna delle quali mi ha convinto di più di quelle presentate alle nostre recenti giornate a EUI, alle quali quindi rimando] e che la qualità della nostra immigrazione è particolarmente bassa, specialmente se la si confronta con quella dei paesi del Nord Europa (lasciamo stare gli USA, che sono un altro mondo) in cui il fenomeno migratorio è più antico. Tutto questo, senza dubbio alcuno, provoca tensioni sociali, fastidi, paure e confusioni d'ogni tipo. L'emigrante, ovunque, delinque più della media dei residenti (non a causa della sua etnia o nazionalita' ma per ragioni che hanno a che fare con le sue caratteristiche demografiche e socioeconomiche) e, in un paese in cui il sistema di polizia e giudiziario è d'una inefficienza mostruosa, questo si nota. Insomma, un paese in crisi strutturale ed in calo demografico rapido come l'Italia, che da secoli esportava persone, è il meno adatto ad accoglierne di nuove e, soprattutto, di tanto diverse. Ma, di nuovo, che questa "paura del foresto" non abbia prodotto, in più d'un decennio, alcuna politica organica dell'immigrazione ma solo esacerbate polemiche ed atti di violenza contro la componente più debole del flusso migratorio deve far riflettere. Come nel punto precedente la domanda diventa: perché l'opinione pubblica, l'elettorato, i media e le organizzazioni politiche italiane sembrano incapaci di far altro che o ben predicare l'insulso "accoglierli è nostro dovere" o ben gridare l'ancor più insulso "cacciarli è nostro diritto"?
Il quarto sintomo, quello che forse m'ha personalmente più colpito, è stato il sentirmi ripetere da ogni lato il seguente argomento: "Mi oppongo all'arrivo del rifugiato perché ospitarli fra di noi riduce il valore di mercato degli immobili e delle strutture che li accolgono. Ospitandoli in strutture residenziali normali si causa un danno economico agli altri residenti. Perché poi ospitarli sempre nelle zone meno abbienti, perché non si accolgono i rifugiati negli appartamenti o nelle ville di lusso?". L'ultima parte di questo ragionamento è sia quello populisticamente più efficace che quello più idiota. Perché, ovviamente, se si decidesse d'accogliere i rifugiati in appartamenti di lusso il loro costo per la collettività si moltiplicherebbe sostanzialmente. L'altro punto, quello della "riduzione del valore dell'immobile", è sia ipocrita (quanti di costoro riterrebbero legittimo che i loro vicini li avessero filtrati in base alla loro condizione socio-economica, al lato dell'affitto o acquisto?) che rivelatore. Perché, quando accompagnato dal grido di Zaia "vogliono africanizzare il Veneto", mi ricorda esattamente la ragione per cui la classe media bianca USA fuggì dalle città e si rifugiò nei "suburbs" utilizzando "zoning" (piano regolatore) a tutto spiano come strumento di discriminazione razziale a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Il motivo era lo stesso, la logica la stessa ed il colore della pelle di quelli che riducevano il valore di mercato dell'immobile lo stesso. Tutto un caso? Forse, ma dopo un numero oramai eccessivo di letture e discussioni mi sono convinto che non sia per nulla un caso.
Del tutto simile al precedente ma più esplicito è l'argomento secondo cui "siccome sono quasi tutti neri, musulmani o non cristiani, e provengono da società primitive sono sia scarsamente utili che scarsamente integrabili". Ne abbiamo avuto esempi anche in alcuni commenti al mio precedente articolo su Schäuble a Quinto e credo vi sia poco da discutere. Questo argomento è un sintomo esplicito: appartengono a società inferiori quindi non vanno accolti, ci fanno danno, ci corrompono, ci portano nulla di utile. Non credo valga la pena di spiegare che, per esempio, la migrazione dall'hinterland siciliano alla costa est degli USA d'un secolo e passa fa era, in termini relativi, della stessa "pessima qualità" e che, nonostante questo, ha avuto ampio successo. Il mio punto, qui, non è convincere il razzista ma semplicemente notare che, oggi, l'atmosfera in Italia è tale che affermazioni del genere sono diventate possibili in pubblico e vengono fatte frequentemente.
L'ulteriore sintomo, il sesto ed ultimo in questa lista selezionata, è l'uso politico del fenomeno. Non sono così ingenuo da pensare che, di fronte ad un fenomeno che per una ragione o l'altra preoccupa la popolazione, il "politico" debba evitare di utilizzarlo a fini elettorali. Andare a caccia di voti rimestando nel torbido è, nella maggioranza dei casi, ciò che il politico di professione sa fare e fa. Ciò che mi colpisce sono i toni e le forme di tale rimescolare nel torbido: la classe politica italiana ha prodotto solo due reazioni, entrambe mirate ad alimentare lo scontro razziale. Questo è, platealmente, l'obiettivo di praticamente tutta la "destra ufficiale" italiana la quale non tenta nemmeno di proporre una gestione alternativa dei rifugiati e del fenomeno migratorio in generale ma incita, semplicemente e platealmente, al respingimento, alla cacciata, al pogrom. Da Salvini alla Meloni sono tutti, ovviamente, consapevoli che non è certo con i pogrom stile Quinto o Casale San Nicola che si potrà mai gestire quanto avviene, né arrestare il flusso migratorio verso l'Italia e l'Europa. Ma, nella misura in cui governare il fenomeno non è loro obiettivo, è logico che lo si utilizzi per alimentare la guerra razziale nella speranza, folle, che questa porti voti più rapidamente di quanto possa portare, in un futuro non troppo lontano, a forme di scontro sociale sempre più esasperato. Tutto questo è palese e non fa altro che confermare, appunto, che la destra italiana, consapevole del profondo razzismo che serpeggia nella popolazione, ha pensato bene di trasformarlo nel proprio cavallo di battaglia elettorale invece che contrastarlo proponendo una gestione alternativa a quella della sinistra del fenomeno migratorio.
Ma un sintomo ulteriore, più occulto, è a mio avviso la posizione "buonista" da un lato, ed "affarista" dall'altro, che ispira la sinistra italiana. La quale sembra coltivare il sogno folle di un'Italia che accoglie senza filtrare, senza prevenire, senza programmare, senza selezionare ed indirizzare al mercato del lavoro, le masse di migranti in arrivo. I quali poi verranno "gestiti" da un universo sempre crescente di "cooperative sociali buone" finanziate con non si sa quali risorse. Si chiederà il lettore che cosa ci sia, in tutto questo, di razzista. Potrei dare una risposta lunga, a metà fra la filosofia e la psicologia-sociale, ma credo che finirei per aggrovigliarmi nei miei stessi pensieri. Cercherò quindi di dare una risposta in due parti, una banalmente politica e l'altra personale.
Quella banalmente politica è che questa sinistra italiana pensa di poter utilizzare le masse degli immigrati come nuovo "esercito proletario di riserva", da un lato, e come fonte di dominio socio-politico dall'altro. A quest'ultimo scopo lavora la rete sempre più vasta e, come abbiamo visto, parzialmente corrotta, di cooperative sociali che oramai sono parte integrante del sistema politico ed amministrativo italiano. Un mostro statalista che porta voti e soldi allargando a dismisura il controllo della politica sulla vita economica e sociale del paese. Altro che terzo settore, questa è una IRI costruita a forma di ragnatela che avvolge l'intero paese ed ha il compito di gestire, garantendone la fedeltà ideologica, i "poveri immigrati". I quali tali devono rimanere, poveri immigrati, perché quello il loro destino: come facciamo a guidare le masse impoverite se non vi sono masse impoverite da guidare? Ben vengano quindi i "neri" che rimangono tali e guai ad elaborare una politica che trasformi gli immigrati in "bianchi" capaci di badare a se stessi senza il supporto dello stato paternalista.
Quella personale è che, siccome so di essere istintivamente razzista anch'io (come ho cercato di spiegare nella mia immaginaria conversazione con Schäuble) ed ho dedicato una certa quantità di tempo a riconoscerlo ed a gestirlo, sento il razzismo altrui dall'odore. Ed il buonismo generalizzato della sinistra italiana mi puzza di "denegazione" del proprio razzismo istintivo tanto quanto l'ipocrita appellarsi a legge&ordine ed alla difesa dell'italianità minacciata permette a quello stesso istinto razzista di sfogarsi più apertamente in una pseudo-razionalizzazione patriottica.
Le conseguenze di questa doppia ipocrisia razzista non son certo di poterle comprendere, men che meno elencarle qui. Ma, di nuovo a naso, non credo saranno molto positive e la prospettiva di uno scontro politico molto aspro, incentrato sulla questione razziale, non mi sembra più tanto remota quanto mi sembrava tre anni orsono quando, in questi giorni, lanciavamo il manifesto per fermare il declino. Che non s'è fermato proprio per nulla, anzi ha accelerato.
Mi permetta di ri-farle di nuovo la stessa obiezione che le facevo nell'apologo.
E se mi vuole bannare mi banni, così la moglie smette di arrabbiarsi perché perdo tempo a discutere su nFA, invece di fare altre cose.
Era questa:
Continuando a negare anche solo l'esistenza di un problema culturale connesso all'immigrazione si fa il gioco dei razzisti.
Ogni volta che affronta questo tema, Lei evita di parlarne.
Magari vi accenna (per esempio qui parla di bassa qualità media dell'immigrazione) ma poi scivola via e passa oltre, concentrandosi solo sulle invettive contro i razzisti.
Sterili, queste: me lo faccia dire.
Ma anche ammettendo l'esistenza di un problema culturale, questo cosa risolve?
Volendo possiamo ammettere anche l'esistenza di "problemi" culturali (leggasi differenze) tra Livigno e Lampedusa ... ma con questo? Siamo uniti nella stessa nazione da piu' di 150 anni, vediamo la stessa TV e molti hanno fatto la stessa naja. E allora? Il problema è stato risolto? Le differenze ci sono e come tali restano a lungo. C'è una sostanziale resistenza umana che rende lenti i cambiamenti etico-culturali, che pur ci sono con i secoli. Noi siamo piu' quelli che buttavano via i bambini malformati dalla classica rupe in cui si buttava di tutto. Ogni popolo ha il suo percorso ed è proprio con la fusione e l'incontro che si ha la possibilità di incrementare il ritmo di cambiamento. Ma sono cose che richiedono generazioni, ... un orizzonte temporale molto piu' lungo della classica legislatura a cui guardano i politici.
Se leggi (scusa uso il 'tu' a cui sono abituato su internet) il precendete articolo di Boldrin è estremamente chiaro che riconosce un problema culturale (anche con parole piuttosto forti).
I problemi culturali esistono, anche se sono più complessi e meritano analisi più raffinate di quelle proposte dalla Lega. Senza abusare del tempo altrui ti dico l'idea che mi sono fatto: l'impatto negativo dell'immigrazione di un certo individuo/gruppo di individui può dipendere sia dalla differenza culturale, che dalle circostanze socio-economiche legate all'immigrazione stessa. Se la Svezia domani fosse soggetta a un cataclisma naturale che costringesse i suoi pazienti all'emigrazione, i profughi svedesi destituiti di tutto (nonostante la partecipazione alla cultura occidentale, l'elevato senso civico ecc.) probabilmente avrebbero un tasso di criminalità aumentato (a causa della disoccupazione e dell'emarginazione), produrrebbero un racket di protezione (per le difficoltà a interagire con le istituzioni del paese accogliente) che potrebbe trasformarsi in associazione mafiosa ecc. ecc.; all'estremo opposto ci sono anglo-pakistani di terza generazione, professionisti o piccoil imprenditori agiati, che abbracciano l'estremismo religioso e in alcuni casi anche il terrorismo.
Queste sono tutte considerazioni che meritano dibattito e studio. Ma se Boldrin e tanti con lui si concentrano 'sulle invettive contro i razzisti' è che le argomentazioni di leghisti e soci sono assolutamente inutili per approfondire le tematiche, e viziate dal più becero populismo nel proporre delle soluzioni, quando non totalmente mendaci.
L'immigrazione è un dato di fatto, che nessuno stato è riuscito a eliminare*, e l'accoglienza ai richiedenti asilo rappresenta un piccolo sottoinsieme del fenomeno immigrazione. I politici che berciano al riguardo si limitano ad ottenere facile seguito politico senza avere l'onere di nessuna iniziativa conseguente, e fin qui chi se ne frega a un certo punto; il problema è quando cominciano le race riots.
* per chi voglia tirare fuori l'Australia invito a informarsi sul prezzo che quello stato paga per ogni individuo di cui si evita l'immigrazione, a chiedersi se qualcosa del genere sarebbe applicabile in Italia, e infine ricordarsi che stiamo parlando di un paese in cui il 25% degli abitanti è nato all'estero.