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Fermare il Declino - La storia vera

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06/08/2012 redattori noiseFromAmeriKa

Non che Fermare il Declino (FilD) sia l'argomento più trattato dai media, però un po' ne parlano. Ne parlano ma, frequentemente, danno notizie che sembrano finalizzate più a rinchiudere FilD in un angolo predefinito che a informare i lettori di quello che il movimento che abbiamo aiutato a creare vuole essere e fare. Non ci stiamo lamentando, è normale: i padroni del vapore stanno altrove. Per questo motivo forniamo qui un po' di materiale per quei giornalisti che fossero interessati alla storia vera di FilD e alle sue vere intenzioni. Non esitate a chiedere, se i dettagli vi sembrassero oscuri o generassero curiosità ulteriori!

1. Perché esistiamo?

L'appello Fermare il Declino e l'associazione che lo promuove (ALI,  Alleanza Lavoro e Impresa) nascono dalla convergenza di alcune iniziative personali che si incontrano sul terreno delle cose da fare. Alcuni dei promotori si trovarono a discutere di questi temi in occasione del convegno "Non importa il colore del gatto", organizzato da noiseFromAmerika nel febbraio di quest'anno. In quel frangente abbiamo condiviso l'esigenza, da un lato, di perseguire obiettivi concreti su cui è possibile aggregare un ampio consenso, dall'altro di dare una risposta al fatto che queste persone, di estrazione e orientamenti ideali differenti, sono oggi non rappresentate. Nessuna forza politica esistente accetta quegli obiettivi o intende adottare gli strumenti necessari a raggiungerli. Qualcuna, qua e là, vagamente pretende di raggiungere uno degli obiettivi da noi enunciati ma, che noi si sappia, mai nessuno ha articolato come raggiungerli e men che meno come raggiungerli tutti!

L’idea di fondo della nostra scommessa politica è semplice: oggi in Italia almeno un terzo dell’elettorato non si riconosce in alcuno dei partiti che siedono in parlamento e almeno un altro terzo ha serissimi dubbi sia sulle politiche perseguite che sulla qualità umana e intellettuale dei politici che le perseguono. Tutti i sondaggi, le esperienze individuali e le rilevazioni statistiche suggeriscono che questi due terzi dell’elettorato son composti, in gran parte, dall’Italia più giovane e da quella che lavora e produce il reddito che poi tutti consumano. Essa è consapevole d’essere vittima d’un meccanismo politico-economico che la sta stritolando a vantaggio di una minoranza (ampia, ben organizzata, ma pur sempre minoranza) parassitaria o comunque non produttiva. In assenza di un referente politico su cui far leva per uscire da questa situazione di declino i “produttori” italiani si dibattono fra il ribellismo, comprensibile ma velleitario e a volte pericoloso, l’abbandono e l’indifferenza cinici e fatalisti, le esplosioni di rabbia anti-statalista o financo anti-sistema e il ritorno ai porti ideologici del passato i quali, pur non offrendo alcuna alternativa concreta, rassicurano con falsa retorica. Insomma: c'è chi s'indigna, chi si arrende, chi si rassegna a votare quello che, ai suoi occhi, è il "meno peggio", senza nutrire alcuna fiducia ma provando un senso di sfiducia ancora maggiore nei confronti delle formazioni alternative.

Per questo è maturata l’idea di lanciare un appello e verificare quante migliaia di italiani condividano questi giudizi e i dieci punti programmatici che articoleremo ulteriormente nelle settimane a venire. Crediamo sia possibile lavorare perché venga alla luce, come scriviamo nel manifesto, questo “soggetto politico che 151 anni di storia unitaria ci hanno sinora negato e di cui abbiamo urgente bisogno”.

2. Cosa vogliamo?

I nostri obiettivi concreti sono le 10 telegrafiche proposte che abbiamo presentato come base del progetto. Se le si legge attentamente (le parole non son scelte a caso anche se, magari, non sono quelle perfette) si noterà che i dieci gruppi di proposte non sono né vaghi né banali. Sono dirompenti: se applicati cambierebbero la situazione per il meglio; infatti, ribadiamo, nessun partito politico è oggi disposto a farle proprie tutte quante. Non diciamo che siano sufficienti né che siano complete: siamo però fermamente convinti che (a) siano al di là del "politicamente possibile" per i partiti "tradizionali" e (b) siano un significativo passo nella direzione giusta. Possono esserci passi successivi e c'è grande spazio per un adeguato affinamento degli obiettivi, ma se non si parte da qui, non si arriverà da nessuna parte.

Questa, dunque, la motivazione principale: se si vuole cercare di realizzare quelle riforme essenziali a fermare il declino e ritornare a crescere occorre che si aggreghi una forza politica o, almeno, un’area politica che persegua tali riforme. Poiché tale forza non esiste e non è in vista, dobbiamo impegnarci perché emerga.

Ci spinge la convinzione che esista e sia praticabile una politica economica diversa da, e alternativa a, quella perseguita rovinosamente negli ultimi trent’anni. Questa ha condotto ad aumentare il debito, la spesa pubblica e le imposte, senza dare quasi nulla in cambio ai cittadini. Senza dare, cioè, migliori servizi pubblici, migliore assicurazione sociale e, soprattutto, senza creare mobilità economica individuale e di gruppo, senza offrire un futuro per i giovani, senza generare – anzi, impedendo – crescita sostenuta e diffusa di produttività e reddito.

Durante gli ultimi trent’anni i fondamenti di questa politica economica fallimentare sono stati condivisi a destra e a sinistra. Su questi fondamenti vi è assoluta coincidenza all’interno del parlamento italiano attuale, con scarsissime eccezioni individuali. Per questo affermiamo che occorre cambiare quasi in toto la classe politica: perché essa condivide in toto e in solido la responsabilità per le politiche che ci stanno portando alla rovina. La rovina che vogliamo evitare. A partire dal fallimento più visibile del ceto politico che noi contestiamo: la scelta di finanziare le spese correnti del passato e presente attraverso la tassazione futura. Cioè la decisione, intenzionale e irresponsabile, di lasciar lievitare a dismisura il debito pubblico per farlo poi pagare alle generazioni giovani o future che, inermi, lo dovranno subire. Come sta cominciando ad accadere durante gli anni più recenti.

Il debito va quindi abbattuto cedendo patrimonio pubblico, in modo credibile agli occhi dei mercati e sistematico nel tempo, per mano di persone competenti che operino per il bene comune e non di quello dei soliti noti. Solo così i tagli alla spesa corrente, ingenti e da individuare in modo non lineare ma discriminante, potranno e dovranno essere restituiti in meno imposte su lavoro e impresa, per tornare a crescere.

Solo mettendo merito e concorrenza, lavoro e professionalità al centro dell’agenda nazionale, risolvendo i conflitti d’interesse con una legge severa e organica, restituendo a scuola e università il ruolo di ascensore sociale che hanno perso, sostenendo il reddito di chi ha perso il lavoro, facilitando la creazione di nuove imprese, crediamo sia possibile, con anni d’impegno, riscalare le posizioni che l’Italia ha perso.

3. Quale è il nostro obiettivo politico?

Dalla nostra analisi deriva una conseguenza immediata e di vasto respiro. Se la situazione italiana attuale è conseguenza per lo più di errori politici, e se questi errori sono stati condivisi dalla quasi totalità della classe politica esistente, allora occorre definire obiettivi corretti, scegliere strumenti adeguati per raggiungerli, individuare un personale politico che sia all'altezza del compito e che sia esente da responsabilità dirette per la condizione in cui ci troviamo. Occorre, cioè, un’aggregazione politica completamente diversa dai partiti esistenti, un’aggregazione che sia espressione di forze sociali produttive e pragmatiche e che esca dalla riproposizione dello schema tribale destra-sinistra che ha caratterizzato l’infausta storia della Seconda Repubblica.

Non un soggetto fondato su un leader, ma su scelte concrete, condivise e sostenute dal basso. Una squadra o, meglio una collezione di squadre, di saperi e specialismi, di gente che ha alle spalle anni di lavoro nel privato, in azienda e in fabbrica, nei mercati italiani e mondiali, nelle scuole, nei campi, negli uffici, nelle organizzazioni internazionali. Gente prestata davvero alla politica per cambiarla, non funzionari di partito o miliardari alla ricerca di sconti e prebende a fronte d’immani conflitti d’interesse.

Il declino non si ferma con uomini della provvidenza o salvatori della patria. E nemmeno riproponendo a oltranza la logica di tecnici svincolati dal consenso politico. Vogliamo un movimento di professionisti esperti e competenti: dall’artigiano all’imprenditore, dallo scienziato al medico, dal giornalista all’avvocato, dall’agricoltore all’insegnante. E vogliamo che le loro proposte siano vagliate dall’elettorato, approvate e votate esplicitamente. Per essere poi legittimamente attuate e messe in pratica, non abbandonate e scordate come tutti i programmi elettorali. Idealmente, nella forza politica che vorremmo veder nascere, tutti i candidati e non solo il/la candidato/a a Primo Ministro, dovrebbero essere scelti attraverso elezioni primarie o altri meccanismi di selezione competitivi e trasparenti. Di certo lo devono essere i candidati a posizioni di rilievo nazionale e questo è l’obiettivo che vorremmo raggiungere nelle prossime elezioni.

4. Chi sono i promotori?

Negli ultimi mesi queste riflessioni sono state condivise da un gruppo di accademici, professionisti, imprenditori, manager ed esponenti dell’associazionismo e della società civile.

Nelle ultime settimane, nella crisi aggravata dell’euroarea e di fronte ai tentativi dei vecchi partiti e leader di riappropriarsi della scena, un gruppo ristretto ha deciso di serrare le fila.

Tra essi alcuni animatori del sito noiseFromAmerika, gli economisti Michele Boldrin, Sandro Brusco ed Andrea Moro; Alessandro De Nicola dell’Adam Smith Society; Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni; Oscar Giannino di Chicago-Blog; Luigi Zingales della University of Chicago.

5. Quali saranno i prossimi passi?

L’associazione Ali e il suo sito www.fermareildeclino.it sono un incubatore. Il nome stesso dell’associazione, pur indicativo, non ha nulla di definitivo. Vogliamo agire come il lievito nella pasta e saremmo felicissimi di sparire una volta che la pasta lieviti e una organizzazione popolare e di massa venga a crearsi.

Il manifesto, le 10 proposte e le iniziative che verranno nelle prossime settimane servono a misurare la risposta degli italiani e a facilitare condivisione ed elaborazione dal basso delle proposte programmatiche. Nelle prime settimane di attività, a partire dalla fine di agosto, organizzeremo dei forum tematici per approfondire i dieci punti del programma e valutare la necessità di aggiungerne altri, e per strutturare in modo più preciso le nostre proposte.

Per vivere e crescere, Ali ha bisogno di risorse. Queste risorse le chiede ai propri sostenitori, simpatizzanti, amici e lettori. I criteri dell’autofinanziamento sono ispirati alla massima trasparenza: non vogliamo dipendere da nessun singolo individuo o impresa e vogliamo che tutti sappiano chi ci finanzia.

Fare un salto di qualità? Diventare noi stessi non solo un catalizzatore ma una forza politica? Le prime settimane di attività servono a verificare se ciò sia necessario e possibile. L'orizzonte che ci siamo dati è da qui all'autunno.

6. E le alleanze?

Il manifesto, il programma, l’associazione e quel che ne scaturirà dopo avranno una sola regola:

Nessuna convergenza se non sull’esplicita e ferma condivisione del programma. Nessuna convergenza con chi non può vantare un curriculum cristallino, con chi ha giocato un ruolo nello sfascio del paese, con chi crede che basti un abito nuovo per continuare la vecchia politica. Non siamo rivenditori di false patenti di onestà, coraggio, visione e determinazione: speriamo di saper essere un polo di aggregazione per chi onesto, coraggioso, visionario e determinato lo è e fino a oggi, proprio per questo, non ha avuto modo di partecipare alla definizioni di politiche più responsabili ed efficaci di quelle che ci hanno trascinato in un declino apparentemente inarrestabile.

Gli italiani ne hanno le tasche piene di chi incolpa a destra e sinistra i propri alleati per non fare ciò che si è per vent’anni ha promesso, invano, di fare.

7. Chi è il leader?

Se e quando verrà il momento, chiunque abbia aderito sulla base di un’esplicita condivisione del programma e soddisfi precisi criteri sia di morale personale che di trasparenza che di assenza d’ogni conflitto d’interessi, non potrà evitare di essere sottoposto a primarie o altri meccanismi competitivi. E chi vince le primarie diventa il leader.

8. Cosa pensiamo di Monti?

A questo punto della riflessione, diventa necessario un chiarimento relativo al nostro rapporto con la politica: molti, infatti, ci chiedono se siamo pro o contro Monti.

A molti italiani, e noi tra essi, è chiaro che Monti non ha i difetti, le incompetenze e le (ir)responsabilità su cui si è consumata negativamente la parabola del berlusconismo. Ed è anche chiaro che, al contrario dell’arcipelago della sinistra ufficiale che chiede tutto ed il contrario di tutto, saprebbe forse cosa fare ed è perfettamente in grado di distinguere ciò che è desiderabile da quello che non lo è. Ma lo fa molto, molto parzialmente e troppo, troppo lentamente. È altrettanto vero che tecnici, senza un patto esplicito con l’elettorato, perdono rapidamente forza operativa, e finiscono limitati e prigionieri delle resistenze a riforme e cambiamento da parte della macchina pubblica come degli interessi corporativi. Torniamo al centro della nostra diagnosi: Monti, anche al di là delle sue competenze e del suo impegno, è prigioniero dei partiti. Di questi partiti. Ogni suo provvedimento deve superare, in qualche modo, il vaglio delle forze politiche che hanno prodotto il declino. Il problema non è essere con o contro Monti; il problema è liberare l'inquilino di Palazzo Chigi, chiunque sia, dall'abbraccio soffocante dell'attuale classe politica

Dal voto delle prossime elezioni politiche deve quindi partire una rilegittimazione della politica. Per questo lanciamo la nostra iniziativa. Un’Italia che si rassegnasse a governi privi di legittimazione popolare resterebbe un’Italia debole, e questo prescinde dai giudizi sulla persona di Monti. La verità di questa osservazione è già da mesi sotto gli occhi degli italiani e del mondo. Monti è il medico che l'Italia ha chiamato al capezzale: di questo lo ringraziamo, pur non convidendo necessariamente ogni singola misura presa dal governo. Tuttavia, un paese - come un individuo - non può sopravvivere a lungo se continuamente il medico è costretto a misurargli la pressione o somministrargli una medicina. Crediamo che l'Italia abbia bisogna di tornare alla normale fisiologia del dibattito democratico. E che questa fisiologia richieda l'emergere di una forza che sia davvero alternativa – non alternativa a Monti per se ma alla vecchia politica e alle sue ricette, che rendono destra, centro e sinistra indistinguibili e correponsabili degli errori che, con incredibile coerenza, hanno comunemente imposto al paese.

La legge elettorale non la scriveremo noi e ci influenzerà, ma non possiamo aspettare che si capisca quando e come si voterà per decidere. Perché l’offerta politica va cambiata da subito.

9. Più amici della sinistra o della destra?

Non siamo amici di nessuno che abbia governato il paese negli ultimi vent'anni e che, con le sue azioni e omissioni, ci ha portati dove siamo. Vogliamo essere al di sopra o avanti, non costretti nelle scatolette ideologiche che nemmeno comprendiamo. Parliamo a tutti, sia a destra che a sinistra. Ma sui contenuti concreti e sulla moralità personale non transigiamo.

Tentiamo di nascere per essere alternativi a entrambe. Siamo alternativi agli errori del passato e vogliamo proporre soluzioni possibili per il futuro. Perché, tra dieci anni, l'Italia possa guardarsi indietro e rileggere la storia di un paese che è tornato a crescere e che ha saputo fermare il declino.

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Commenti

Ci sono 77 commenti

Fra i possibili alleati, se non ci avete già pensato, considerate ACTA (Associazione Consulenti Terziario Avanzato), sono abbastanza attivi, influenti e non ideologici: http://www.actainrete.it/

Immagino avrete una lista di associazioni e gruppi cui rivolgervi. I lettori di nFa potrebbero contribuire, magari sulla base di un vostro post al riguardo.

http://www.impresecheresistono.org/

Non ho aderito e non ho intenzione di aderire. Non condivido le soluzioni che proponete, ma trovo indiscutibili i presupposti dai quali partite, quindi per questo e solo per questo ultimo motivo ho deciso di dare il mio modestissimo contributo rilanciando il vostro invito dal mio blog. Saluti.

Cari redattori, come ho già osservato a commento del primo annuncio, mi avete indotto in tentazione. Ma sono abbastanza avanti negli anni per essere alquanto scettico a proposito di innovazioni radicali nella politica italiana (ed europea, peraltro: tema che mi pare essere trascurato).

Mentre voi assumete una posizione così rigorosa - almeno in linea generale - il mondo attorno a voi (a noi, se volete) sembra in movimento. Ve ne siete occupati, per esempio, nei recenti articoli sul piano di riduzione del debito pubblico di Alfano & Brunetta e sull'incapacità di PD e PDL ad impegnarsi per una seria riduzione della spesa pubblica: ma adesso emerge il piano di Amato e Bassanini, mentre il premier mostra interesse per quello prima citato ed il PD si attorciglia attorno ad un intervento di Visco che sembra contraddire il manifesto di intenti dello stesso.

Da ultimo, Bersani rilascia un'intervista al Sole-24 Ore che suscita interesse e simpatia in Phastidio (spesso elogiato su codesto blog). Forse è il caso di avviare una riflessione sui particolari ed aprirsi al confronto con altre forze politiche, se non altro per "fare esplodere le contraddizioni" interne ai vecchi partiti o, almeno, verificare la sincerità di certi loro esponenti (i. e., il "liberale" Morando schierato per la patrimoniale straordinaria contro un "estremista" come Fassina).

Cari Redattori, anche questo ulteriore chiarimento mi trova molto felice ed ottimista, anche se continuo a dirvi che se avete individuato i due terzi della gente che produce in Italia ed e' scontenta, non state mostrando di attivarvi nel reclutarla: in questa lettera molto candida spiegate anche come fare a autofinanziarvi con le donazioni, ma non mi date la lieta novella di aver imbarcato una donna...per favore, vi scongiuro mettetevi una donna in redazione, cominciate veramente ad essere poco credibili

con la stima di sempre

giuliana allen

Ho appena letto un fondo del Sig. Sartori sul CdS, "Il lavoro che dà ricchezza", una lettura che purtroppo non mi è piaciuta per nulla, ma la cui chiusa mi pare fosse implicitamente rivolta ai promotori di FiD: "Qualche economista mi potrebbe aiutare a capire meglio?"

... dovrebbe chiederlo a Matt Wuerker che ha già trovato la risposta al quesito, cosa che gli ha peraltro procurato il Premio Pulitzer. Ah... dimenticavo... il Pulitzer non lo ha vinto per i suoi articoli di giornalismo economico... ma per le sue formidabili vignette satiriche.

 

... per cui basta stamparne tanta e fare debiti che "la pillola va giù"

L'appello ha raggiunto 15.000 firme. Niente male, consideraendo il periodo estivo, ma al contempo niente di particolare considerando il seguito che nFA, Chicago Blog e IBL possono vantare. è necessario ammettere quindi che il movimento è MOLTO lontano dall'assumere una qualche rilevanza nazionale. E per "rilevanza" non intendo arrivare in Parlamento, ma avviare una discussione pubblica che coinvolga almeno svariate decine di migliaia di persone.
Come farlo? Innanzitutto utilizzando un linguaggio semplice e chiaro. Quindi, abbandonando termini come liberismo e liberalismo, che hanno ormai ben poco senso, in parte per lo stupro che hanno subito in questi decenni, in parte per l'originale ambiguità di cui sono sempre stati pregni. Ad esempio, che significa liberismo? Significa essere contrari all'intervento dello Stato nell'economia o essere pro-concorrenza? Ci sono opinioni divergenti sull'argomento.
Sarebbe quindi opportuno presentare esplicitamente, ad esempio, le liberalizzazioni, come provvedimenti volti a favorire la creazione di mercati competitivi. Sarebbe però necessario anche spiegare perché la concorrenza è un obbiettivo che si vuole perseguire: cosa che molte persone non sanno.
In secondo luogo, bisogna identificare l'elettorato di riferimento, quello da cui si può pescare a man bassa. Come avete giustamente detto c'è almeno un terzo degli elettori che è completamente sfiduciato dalla politica e dai pessimi risultati che ha ottenuto. Temo però che sia impossibile attrarre consenso mantenendo un programma così "limitato". C'è il rischio (a mio avviso, la certezza) di risultare troppo "tecnici",  di apparire una riedizione senza sponsor del montismo. Sarebbe quindi interessante sottolineare le conseguenze sociali di alcune politiche economiche che si vogliono sostenere: ad esempio, una riforma della proprietà intellettuale come leva per spaccare le barriere all'entrata, un accento marcato sulla necessità di introdurre concorrenza vera nel settore bancario (a costo di essere accusati di populismo).
Infine, i punti più strettamente etico-politici. Ne ho già parlato su Facebook con alcuni di coloro che sostengono FiD, ci torno in questa sede: che atteggiamento si vuole tenere sui diritti civili? Non è soltanto una questione di principi, attenzione: avere una posizione coraggiosa su questi temi può attirare le simpatie di gran parte degli elettori "di sinistra". E non è escluso che possa andare bene anche ai "moderati" (ammesso che esistano e che il termine abbia un senso).

Infine, una nota tecnica: nel manifesto uno dei punti che avete elencato prevede l'introduzione di un sussidio universale di disoccupazione. Come si intende finanziarlo? L'ipotesi non è in contrasto con il punto in cui si chiedono tasse più basse e minore spesa?

Confrontando cio' che fanno gli altri paesi occidentali (OECD) nel  90% dei casi (ma forse anche 95%) un sussidio universale di disoccupazione è finanziato con un prelievo proporzionale in busta paga, suddiviso in parti uguali - o abbastanza simili - tra datore e lavoratore. In certi casi si puo' richiedere una % piu alta per gli alti redditi da lavoro.

Praticamente tutte le nazioni con un welfare evoluto hanno questo sussidio universale, piu' o meno generoso e conto anche azioni con basse tasse e spesa bassa (come la Svizzera, che ha ottimi sussidi di disoccupazione ma anche tassazione moderata e spesa pubblica sotto controllo e bassa). Quindi direi che no, non è per forza in contrasto. Potrebbe esserlo come non esserlo. Se  si basa sull'assenza di pasti gratis, non lo è.

..... di problemi ne abbiamo già abbastanza a far passere un messaggio rivoluzionario come questo ( cambiare la mentalità di un paese ). Ma non ci rendiamo conto dei danni che i temi etici hanno fatto, sono ARMI DI DISTRUZIONI DI MASSA nel corso degli ultimi anni ( ma sarebbe meglio dire ultimi 60 anni ) ci hanno imbottito di temi etici per accendere l’antico sport nazionale ( il GuelfoGhibellinismo ) facendoci perdere tempo su cose alle quali non avremo mai una soluzione definitiva, non che non siano importanti, ma la distanza che c’è tra la visione di destra e quella di sinistra ( in senso generale ) è ampia di suo, poi noi ci mettiamo il carico a coppe idealizzando tutto mantenendo un divario anche maggiore con la scusa dell’ideologia.

Ho capito sono tempi importanti, ma, perdiana, non possiamo perdere mesi di discussioni civili (?) e politiche sull’eutanasia bloccando il parlamento ed intanto il mondo va avanti e gli spread salgono e scendono e la borsa varia e le aziende chiudono. Se ci mettiamo a discutere per mesi su eutanasia ( un tema a caso ) l’unico risultato certo è che condanniamo all’eutanasia il paese.

Ripeto sono temi importanti in cui dovremo dare una risposta politica, se mai diventeremo un partito politico, ma ci sarà tempo e modo per farlo.

Ve lo immaginate se ci schierassimo da una parte o dall’altra, che ne so sulle coppie di fatto, quanto il pubblico si mostrerebbe disponibile a darci degli sfasciamaiglie o degli omofobi e le nostre 10 proposte che fine farebbero? Nel cestino dell’intellighenzia pubblica ed i vari AA, BS, CPF, BPL ne gioverebbero. E di regali già gliene facciamo a iosa non mi sembra di dover metterci il fiocco sopra.

 

Sul linguaggio concordo in pieno, ma aggiungerei che deve essere comprensibile ai più che, magari, di politica economica non ne mastica tanta e sono rimasti a “Meno Tasse Per Tutti” o a “Cambia il Vento” insomma bisogna parlare, anche, alla mitica CdV e all’altrettanto mitico OdB ( “Operaio di Budrio” ). Ma è anche vero che dobbiamo far capire concetti alti e quindi occorre anche abituare ( forse meglio dire educare ) l’elettore ad informarsi su cosa vogliono dire certe parole o il senso di certe frasi.

 

Siamo solo 15.000 è vero, ma questi 15.000 possono fare molto, anche tantissimo se si applicano bene. Se prendiamo per esempio il M5S senza questa tornata elettorale non è che faceva numeri da primo partito o come quello attuale, hanno sfruttato una congiuntura favorevole e la “tempesta perfetta” tra la disaffezione degli elettori per i partiti e l’esposizione mediatica. Quindi, in una mera teoria, 15.000 potrebbero diventare 150 K o 1,5 Milioni o 15 Milioni. Il nocciolo della questione è ma si fa un partito o no? A mio modesto parere ci si deve provare ed ottobre è troppo lontano. Fosse per me lo farei domani, ma, forse, è un bene che non dipenda da me. Confido nell’intelligenza dei promotori. Ma mi raccomando fatelo e

FATE PRESTO

 

Antonio

Sul primo punto sono daccordo e ho già accennato, qui non fanno altro che etichettare ed è meglio non esaltare liberismo e affini e dedicarsi ad efficienza, meritocrazia ed organizzazione.

Per quanto riguarda discorsi su elettorato di riferimento e parlare di diritti degli altri e altre menate vorrei chiarire una cosa, non diventeremo mai un paese civile come altri se non parliamo di doveri, regole e sanzioni, anche se chiaramente efficienza e meritocrazia della giustiziasono  strettamente legati.
Lo so che si vuole puntare solo ad argomenti economici, ma io non sono daccordo, se questo continua ad essere un paese semicivile qualsiasi movimento politico non mi interessa.
Sinceramente i movimenti che continuano a tralasciare questo argomento e che non affrontano e propongono come affrontare e risolvere un fondamentale quale diventare un paese civile non mi interessano, altro che diritti degli altri in un paese dove ognuno fa i cacchi che vuole e che non capisce  che così si esalta e si  attira imprenditori delinquenti e deliquenti di piccolo calibro.


Ne ho piene le scatole di una parte della popolazione che si alza la mattina che si fa figa quando pensa ai diritti degli altri o al perdono, vivere in un paese di finti civili non mi interessa, anche se ricco, si trova molto di meglio.

C’E TROPPO SILENZIO o troppo rumore (olimpiadi).

 Nella confusione i topi fuggono… La nave affonda?

10 agosto 2012   Di Joe Black

 

 

 http://www.rischiocalcolato.it/2012/08/ce-troppo-silenzio-o-troppo-rumore-olimpiadi-nella-confusione-i-topi-fuggono-la-nave-affonda.html

non capisco perche' dai per scontato il concetto lettori "di sinistra" mentre sembri perplesso sui moderati.  Non vedo perche' per i secondi tu dica "ammesso che esistano e che il termine abbia un senso." le perplessita' dovresti averle per tutti i tipi di lettori, oppure per nessun tipo. Non capisco

Da tempo sognavo un movimento del genere. Secondo me però così non si va da nessuna parte. La gente non sa che FiD esiste! C'è di più: a nessuno gle ne frega niente. Quasi nessuno legge le paginate di roba che pubblicate, a meno che gia non vi conosca da prima. Inoltre quasi tutti ormai sono scettici nei confronti dei buoni propositi, delle liste di punti programmatici. Chiunque legga la frase "abbasseremo le tasse" si sente preso dalla nausea. Purtroppo io non ho idea di come si debba fare per raggiungere la gente. Se si va avanti così però la vedo male. Forse ci vorrebbe più presenza televisiva, ci vorrebbero tre o quattro giannini.

Caro Giannino, questo è accanimento terapeutico. Lo Stato deve morire

di Gilberto Oneto

 

Prima di poter adeguatamente commentare il Manifesto attribuito a Oscar Giannino occorre fare una lunga e noiosa premessa – di cui si chiede scusa a chi queste cose ormai le conosce a menadito – che è necessaria per dare un senso logico e consequenziale (quasi scientifico) a tutto il ragionamento.
Lo Stato italiano è nato da una operazione eterodiretta funzionale a soddisfare esigenze non sempre coincidenti con il bene dei popoli della penisola. È stata una operazione violenta, innaturale e perciò immorale. Ha prodotto una struttura artificiale e oppressiva la cui sopravvivenza ha sempre richiesto interventi pesanti e costosi. In uno straordinario saggio di parecchi anni fa, Sergio Romano ha descritto i due grandi filoni di azioni messe inizialmente in atto per tenere in piedi lo Stato unitario: il “ferro e il fuoco” e il convincimento propagandistico. Del primo fanno parte repressioni, stati d’assedio, violenze interne, dittatura, le avventure coloniali e tutte le guerre che sono servite a deviare le energie che avrebbero potuto essere potenzialmente pericolose per la stabilità interna. Nel secondo rientrano la scuola, la leva obbligatoria, la propaganda a tutti i livelli, la retorica patriottica vecchio stile e quella postmoderna rappresentata dal calcio, dalla televisione e da tutti i mezzi di indottrinamento e distrazione di massa. Nel secondo dopoguerra, quando il conflitto mondiale ha dimostrato l’inutilità di tutti gli sforzi precedenti per solidificare una unità che si è salvata ancora una volta soprattutto grazie alle esigenze degli equilibri internazionali, si sono percorse altre due strade: l’acquisto del consenso e la diluizione del problema nel calderone europeo.
Il consenso elettorale, divenuto necessario per l’introduzione del suffragio universale, è stato “comperato” con la distribuzione di denaro pubblico (impieghi statali, pensioni, cariche politiche, appalti eccetera), con l’acquisizione della connivenza delle organizzazioni criminali, con le grandi migrazioni interne (che hanno frastornato molte realtà identitarie) e con i massicci trasferimenti di risorse verso il Meridione. L’Europa è invece stata vista come l’occasione di congelare l’unità dello Stato all’interno di un contenitore più grande, smorzando le pulsioni autonomiste dentro una ideologia europeista di comodo.
Neppure questi espedienti hanno funzionato e oggi c’è un generale rigetto nei confronti sia dello Stato nazionale che del Superstato burocratico europeo.
Ancora più delle mortifere politiche militaristiche del passato, la necessità di spendere pubblico denaro per acquisire consenso e salvaguardare l’unità dello Stato italiano hanno costruito un debito pubblico enorme e ormai fuori controllo.
Di fronte all’irreversibilità della crisi vengono tirati fuori tutti i possibili espedienti e le loro combinazioni, così oggi i cittadini sono bombardati di retorica patriottico-calcistica, vengono inventate dissennate avventure militari, si attenta alle autonomie esistenti, si incrementa il livello di repressione centralista, si patteggia con le mafie, si controlla l’economia, si schiaccia il libero mercato e ci si affida alle maldestre illusioni collegate a una superiore autorità europea cui si attribuisce la salvifica funzione di pozione magica.
Come un malato allo stato terminale che ha esaurito tutte le possibilità della medicina scientifica e che si affida a stregoni, riti magici o a speranze miracolistiche, oggi anche chi vuole salvare lo Stato italiano ricorre a ogni genere di espediente.
É un accanimento terapeutico su cui si intestardiscono parenti sconfortati ma anche fior di mascalzoni che in questa situazione di malessere perpetuo prosperano e che vivono lucrosamente proprio di Italia, succhiandone ogni energia e facendo finta di curarla. Spiace che a questa comitiva di disperati e di trusoni si possa anche aggregare qualche persona per bene che insegue ancora speranze improbabili. Soprattutto spiace che oggi anche un galantuomo intelligente come Oscar Giannino possa partecipare a questa sciagurata fiera dell’intubamento, del farmaco estremo e della respirazione artificiale per protrarre di qualche ora il coma irreversibile dello Stato italiano, che da anni è solo un corpaccione incancrenito che ammorba tutto quello che ha attorno. Ogni giorno in più di forzata sopravvivenza dell’Italia comporta ulteriori sofferenze dei suoi cittadini, e significa periodi sempre più lunghi per la loro futura disintossicazione.
La cosa più saggia è lasciare che la morte faccia il suo corso naturale: tutt’al più si può pensare a un aiutino umanitario, a una caritatevole “spintarella” che ne acceleri la fine. Il solo modo per salvare i popoli della penisola italiana è di terminare lo Stato unitario: 151 anni di fallimenti sono tanti, troppi. È ora di chiuderla lì, di staccare la costosissima spina che sta facendo ammalare anche la Padania. É il solo caso di eutanasia cui nessuna persona dabbene potrebbe opporsi.
Non servono più ricette liberiste o miracoliste: si deve farla finita con lo Stato italiano! Per quel che ci tocca, dobbiamo cominciare seriamente a pensare a come ricostruire la nostra casa sopra il Fosso del Chiarone e sopra la Linea Gotica. Ogni altra iniziativa è inutile e addirittura dannosa, se serve a far sopravvivere il moribondo e i suoi miasmi pestiferi.
Non è neppure pensabile di cercare di salvare lo Stato e l’Italia in forma separata. L’Italia non può essere che statalista e centralista, e sono inutili gli sforzi dei liberisti per farne qualcosa di diverso. Lo Stato centralista non può che essere patriottico, non può che attaccarsi all’ideologia italiana. Stato oppressivo e Italia sono nati assieme e devono scomparire assieme. Patriottismo e statalismo sono nell’italico stivale inseparabili fratelli siamesi che possono sopravvivere solo se restano incistati l’uno nell’altro.
La sola strada davvero percorribile che può dare una speranza alla nostra gente è quella dell’indipendenza della Padania e della sua ricostruzione su base federale e liberale.
Quella che qui ci viene ancora una volta proposta è una curetta inutile, è un altro tentativo di tirare in là l’inevitabile redde rationem di un esperimento mal riuscito. Non serve più giocare sulle piccole percentuali e sulle buone intenzioni. Non serve più neppure ritirare fuori dal cilindro il federalismo che per funzionare ha bisogno di libertà, autonomie vere, “soci” che si confrontino con pari dignità e poteri, correttezza nei rapporti (non ci devono essere soci che cercano di “fregare” gli altri o di farsi mantenere): tutte cose che nella penisola scarseggiano e che più nessuno può sperare di inventarsi sull’orlo del baratro.
Non è più tempo di trovare cure per salvare l’unità dello Stato italiano, ladro e moribondo, ma di elaborare con serietà progetti di separazione civili e possibilmente indolori.
Giannino è uomo troppo intelligente e accorto per non convenire su questo punto essenziale e su questo dobbiamo cominciare a ragionare e a pianificare il nostro avvenire. Per poter avere seguito ed essere accettato, ogni manifesto di intenti non può che mettere al suo primo punto l’indipendenza, sulla base del sacrosanto diritto all’autodeterminazione e del riconoscimento delle identità vere.
Abbiamo bisogno di tutte le energie migliori e per questo lanciamo noi un appello a Oscar Giannino per scrivere assieme un manifesto di salvezza, sottoscritto dalla gente e non da furbastri che vogliono solo far finta di cambiare per lasciare tutto così com’è. E continuare a vivere allegramente di Italia.
Non ci sono più alternative all’indipendenza.

 

Fonte:

http://www.lindipendenza.com/caro-giannino-questo-e-accanimento-terapeutico-lo-stato-deve-morire/

 

 

GIANNINO E IL SUO MANIFESTO: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO

 

 

di LEONARDO FACCO

 

Attribuire i dieci punti proposti nel manifesto “Fermare il declino” ad Oscar Giannino è, visto il risultato finale, una forzatura.L’etichetta però, non senza ragioni, è rimasta appiccicata al pirotecnico giornalista per un unico motivo: il testimonial di quel progetto politico, annunciato per mesi dalla radio confindustriale (e rimbalzato in Rete con frenesia), è stato lui stesso, per cui è comprensibile che sia i delusi che gli entusiasti – entrambi in dolce attesa del parto ideologico – lo abbiano identificato come “il proponente di ultima istanza”.

Quel manifesto – denominazione squisitamente sessantottina peraltro, da cui trapela la stesura a più mani – non lo ho sottoscritto, il che non modifica di una virgola la stima che provo per Giannino, uomo che reputo coraggioso, libero e capace. Non avendo alcuna ambizione elettorale – in vero non credo affatto che attraverso le “discese in campo” questo paese sia riformabile – il mio dissenso va giustamente motivato ed articolato, il che non significa che debba essere condiviso da chi mi legge. Intanto, concordo con quanto scritto dall’amico Fabrizio Dal Col su queste stesse pagine laddove sostiene che la proposta gianninesca “va bene per un paese normale, non per l’Italia”. E considerato che quello che auspicava un paese normale era un tal “baffetto” uso a vestire il Montgomery e lanciare molotov per difendere “il bene comune”, sinceramente opterei per l’anormalità.

In secondo luogo, ho spulciato i nomi di coloro che hanno sottoscritto quei dieci punti, visto che le idee camminano sulle gambe degli uomini. Esclusi i soliti “liberisti ed onanisti della tastiera”, fatti salvi alcuni conoscenti libertari che un tempo volevano fare la rivoluzione inneggiando a Rothbard, alla disobbedienza fiscale e al secessionismo bossiano e oggi sono a libro paga della casta (questa è l’Italia, il vero paese normale), quelli che spiccano agli occhi dei più sono taluni personaggi che con il liberalismo coerente c’entrano come gli spaghetti con sopra la marmellata alle amarene. Anche qui mi permetto di rapinare le parole di un altro amico, Mauro Gargaglione, che ha scritto: Ai sognatori desiderosi di una formazione veramente liberale e liberista, anche piccola, vi ricordo l’imprenditore Zamparini che invocava la ripresa degli aiuti di Stato alla Fiat, poi il capitalista Marchionne che se la prende con Volkswagen perché fa troppi sconti, quindi la charmant imprenditrice Todini che fa il 70% del suo fatturato con lo Stato, poi quell’altro imprenditore che ha sbancato a New York e altrove nel mondo col gusto italiano il quale invitava a comprare BOT. Per non scordare un grandissimo “shoemaker” che ha poltrone in Generali, Corriere della Sera, Mediobanca etc. Ve lo dico così, da tenere a mente in caso di nuovo soggetto politico prossimo venturo”. Ebbene, taluni dei nomi citati sopra, non appaiono – ad oggi – ufficialmente tra i sottoscrittori del progetto di quelli che “vogliono fermare il declino” italico, ma vi assicuro che allo stato dell’arte potrete trovare anche di peggio, compreso un artista che – di fronte al sottoscritto – sosteneva le idee politiche di “Casa Pound” (del resto a Pulcinelland crisi e confusione regnano sovrane, non fosse così il liberalismo non sarebbe sputtanato). Insomma, ho l’impressione che il “manifesto del partito liberista” – persino turbo per certa stampa – non sia che un bel compitino confezionato “ad hoc” per fare pubblicità ad un gruppo di personaggi i cui terminali sono Confindustria e un tale capelluto che di nome fa Luca Cordero di Montezemolo (per inciso, mi è bastato vederlo all’opera durante Italia ’90 per metterci una croce sopra), il cui braccio destro – il senatore del Pd Nicola Rossi – è presidente dell’Istituto Bruno Leoni, che – legittimamente sia chiaro – lavora a mo’ di “spin doctor” di questo proponimento politico (ancora tutto da definire nella sostanza e nelle alleanze). Stendo, invece, un velo pietoso sul nome di certi quaquaraquà politici (con portaborse annessi) che han fatto a gara per apporre il loro autografo digitale in calce al papiro (ma si sa, quando la poltrona chiama, il paese normale risponde), oppure certi professoroni che, fino a ieri, erano in quota Matteo Renzi. Ho molta più stima per uno solo dei “Serenissimi” che per il 90% di certi compagni di viaggio.

Prima di esaminare meglio il “decalogo delle libertà”, val la pena ripescare alcune affermazioni dello stesso Oscar Giannino per convincersi che l’iniziativa è squisitamente nel solco del “già visto”. Sul suo “Chicago-blog” si possono leggere queste parole:

La versione di Oscar 1- “Occorre un’aggregazione politica completamente diversa che sia espressione di forze sociali produttive e pragmatiche. Vogliamo un partito non di tecnici ma di esperti e competenti professionisti, dall’artigiano, all’imprenditore, dallo scienziato al medico, dal giornalista all’avvocato all’agricoltore. E vogliamo che le loro proposte siano vagliate dall’elettorato, approvate e votate esplicitamente. Per essere poi legittimamente attuate e messe in pratica, non abbandonate e scordate come tutti i programmi elettorali”.

Cosa scriveva Silvio Berlusconi nel 1994? “Ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili. Noi vogliamo rinnovare la società italiana, noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea occupazione e benessere, noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide produttive e tecnologiche dell’Europa e del mondo moderno. Noi vogliamo offrire spazio a chiunque ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro, al Nord come al Sud”.

La versione di Oscar 2- “Dalla certezza che solo mettendo merito e concorrenza, lavoro e professionalità al centro dell’agenda nazionale, risolvendo i conflitti d’interesse con una legge inequivocabile ed organica, restituendo a scuola e università il ruolo di ascensore sociale che hanno perso, sostenendo il reddito di chi ha perso il lavoro, facilitando la creazione di nuove imprese, sia possibile con anni d’impegno riscalare le posizioni che l’Italia ha perso”.

E Silvio Berlusconi nel 1994? “Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo movimento, e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi – ora, subito, prima che sia troppo tardi – è perché sogno, a occhi bene aperti, una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia la paura, dove al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita”.

Propositi molto simili insomma, con aderenze anche in termini di materiale umano in vero, dato che tra i sottoscrittori della “bozza contro il declino” ho scorso non poca gente che inneggiava a Forza Italia anni addietro. Per onor del vero, va riconosciuto all’Oscar nazionale una critica serrata nei confronti di Berlusconi. Dirò di più probabilmente lui ed i suoi compagni di viaggio sono anche più bravi e anche più attrezzati del “tycoon” di Arcore, ma falliranno perché non affrontano il cuore del problema e non potranno mai affrontarlo se tireranno la volata allo “zazzeruto”. Ricapitolando: non mettono in discussione l’Italia!

Puntiamo la lente su questi buoni propositi allora, riportando solo le enunciazioni principali:

1) Ridurre l’ammontare del debito pubblico.

2) Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti percentuali del PIL nell’arco di 5 anni.

3) Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni.

4) Liberalizzare rapidamente i settori ancora non pienamente concorrenziali.

5) Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro esistente o le imprese inefficienti.

6) Adottare immediatamente una legislazione organica sui conflitti d’interesse.

7) Far funzionare la giustizia.

8- Liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne.

9) Ridare alla scuola e all’università il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione socio-economica delle nuove generazioni.

10) Introdurre il vero federalismo con l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo.

In attesa che arrivino anche i dettagli delle promesse di cui sopra (solo tecnicismi immagino), mi sia consentito di fare qualche affermazione perentoria, senza bisogno che qualcuno mi tacci di essere il solito velleitario che vorrebbe trasformare l’Italia in Singapore domattina. Non è così, ma dato che quando presentano ‘sti manifesti parlano di rivoluzione, beh allora deve essere chiaro a tutti che nelle rivoluzioni qualcuno (in Italia in tanti, a milioni) deve smettere di vivere alle spalle degli altri, di privilegi, di stipendi pubblici, di sussidi, di camarille, di commesse regionali e servizietti assessorili (e tra gli aderenti al manifesto c’è un ampio catalogo di figuri del genere). Lo Stato va drasticamente ridotto! Espulso! Se uno si dice mercatista, non può non pensare che da determinati settori della società il “servizio pubblico deve sparire”. E questo futuro partito politico (dovrebbe essere presentato in autunno ho letto) pensa di fare la “rivoluzione liberista” riducendo di un punto all’anno la pressione fiscale per 5 anni? Oppure tagliando poco più di un punticino di PIL all’anno di spesa pubblica? E mentre tagliuzzano di fino pretendono, al contempo, di poter garantire indennità di licenziamento, quote rose e aiutini ai giovani per favorire il merito? A me pare si voglia operare di appendicectomia un corpaccione affetto da tumore disseminato di metastasi.

Prendiamo la scuola? Nello specifico siamo al paradosso, probabilmente i progenitori del manifesto non leggono neppure i libri che pubblicano, dato che hanno nel loro prestigioso catalogo un prezioso volume di Denis de Rougemont intitolato “I misfatti dell’istruzione pubblica”, nel quale la quarta di copertina recita:“L’autore denuncia il carattere disumano della scuola pubblica, che spegne la creatività e si propone deliberatamente di intruppare i ragazzi, addomesticare le coscienze, spegnere ogni aspirazione all’autonomia e fare di ogni studente un docile cittadino delle moderne democrazie di massa. Come sottolineano don Bruno Bordignon e Alberto Mingardi nei testi introduttivi, a quasi ottant’anni di distanza l’accesa invettiva dello scrittore svizzero mantiene intatta la sua forza persuasiva e invita ognuno di noi ad impegnarsi per una scuola liberata dalla tutela statale e riconsegnata alla società civile e alla pluralità delle sue culture”. Traduzione per chi anela il mercato libero: la scuola pubblica va abolita, dopodiché la meritocrazia (che è imperfetta) farà il suo corso.

Qualche lettore potrebbe rinfacciarmi: “Ma anche Hayek sosteneva la necessità di un reddito minimo garantito”. Vero, ma puntualizziamo. Potrei rispondere che proponeva anche la denazionalizzione della moneta (non la corsa a restare nell’euro); oppure – più obiettivamente – che quel mini-sussidio che immaginava era ipotizzabile in una società così aperta da prevedere uno Stato ridotto ai minimi termini, opzione che non traspare neppure lontanamente nelle intenzioni dei “declinatori”. Suvvia, serve un po’ di onestà intellettuale mista a pragmatismo, per questo mi sento di condividere il parere di Luca Fusari quando sostiene che i dieci punti proposti “al di là della retorica della loro presentazione, non mi paiono per nulla condivisibili né annoverabili come rivoluzionari, libertari o coerentemente liberisti”.

A parte il metodo tipicamente costruttivista (da pianificatori sociali) che appartiene ad economisti alla Michele Boldrin (convinti che le crisi siano solo una questione matematica e che implorano Draghi di stampare cartamoneta), nel “progetto Giannino” non si tiene conto neppure di come è fatto ‘sto paese nei suoi meandri più oscuri. Ma davvero son mossi dalla convinzione che si possa risolvere il bubbone Sicilia – per citarne uno – solo scalfendo in superficie una pressione fiscale che è oltre il 70%? Pensano sul serio che i diecimila, centomila rivoli clientelari (gestiti dal potere vero della Triplice sindacale e dalla Magistratura) si tamponino con 6 punti di Pil in 5 anni e con qualche incentivo a studenti e disoccupati?

Diamoci alla fantapolitica per un momento: con tutta la buona volontà di questo mondo e degli elettori attualmente indecisi il partito di Montezemolo (o della Marcegaglia?) che adotterà le linee programmatiche di cui sopra come fossero il nuovo “contratto con gli italiani” quanti voti prenderà? Andiamoci giù pesante: il 30%! E poi? Da solo non potrà governare. Con chi condividerà il suo consenso? Con Bersani? Con Berlusconi Sesto? Con Grillo e le sue Cinquestelle? O magari con Casini e Bersani insieme? Facciamola breve: per me ha ragione Salvatore Antonaci, che a proposito del “libretto dei sogni” di cui sopra ha affermato: “Oltretutto, lo iato tra buoni proponimenti e melmosa prassi politica è già amplissimo. Il rischio serissimo che intravvedo, facendo salva l’onestà intellettuale dei promotori l’iniziativa, è che partendo dal poco si approdi ad un desolante nulla. Un leitmotiv ricorrente o meglio un canovaccio consueto nell’eterna commedia dell’arte italica”. E non voglio credere che i cervelloni che si son fatti in quattro per creare il futuro movimento non sappiano che le cose stanno così. Non è, allora, che il “partito delle altre libertà” prossimo venturo sia solo l’ennesimo strumento per “parare le terga di qualcuno” e far trovare un posto a tavola a qualcun altro?

Come sostiene Francesco Carbone bisogna prendere atto che l’Italia è tecnicamente fallita. Le banche italiche, propaggine dello Stato, sono in profondo rosso. Insomma, questo è un paese “ir-ri-for-ma-bi-le”  e ciò che si prospetta in un futuro più o meno breve è, a parer mio, sintetizzabile in due scenari:

1- Una lenta agonia. C’è solo la possibilità di guadagnare un po’ di tempo, magari riuscendo a convincere i tedeschi a dar vita ad una BCE ad immagine e somiglianza della FED americana, con tanto di governo unico europeo con sede a Bruxelles;

2- Il default. In questo caso si materializzeranno situazioni non piacevoli e di difficile lettura a priori, con un bel po’ di gente arrabbiata (i meglio organizzati prevarranno) che scenderà per le strade per chiedere allo Stato di essere aiutata.

Questa seconda ipotesi, cade a fagiolo per innestare una critica severa al punto dieci delle proposte dei “declinatori”. Scrivono: “Introdurre il vero federalismo con l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo. Un federalismo che assicuri ampia autonomia sia di spesa che di entrata agli enti locali rilevanti ma che, al tempo stesso, punisca in modo severo gli amministratori di quegli enti che non mantengono il pareggio di bilancio rendendoli responsabili, di fronte ai propri elettori, delle scelte compiute. Totale trasparenza dei bilanci delle pubbliche amministrazioni e delle società partecipate da enti pubblici con l’obbligo della loro pubblicazione sui rispettivi siti Internet. La stessa “questione meridionale” va affrontata in questo contesto, abbandonando la dannosa e fallimentare politica di sussidi seguita nell’ultimo mezzo secolo”. Divertente! Come se non avessimo conosciuto vent’anni di leghismo, che oggi qualcuno finalmente scopre cosa è stato, ma che in passato ha portato centinaia di migliaia di individui sul Po per protestare, ha incassato 4 milioni di voti, ha avuto posizioni di governo di primissimo piano. Risultato? Sottozero.

Eppoi, quale federalismo? Se solo domattina rimanessero in Veneto e Lombardia – dati di Ricolfi – quei 60 miliardi di surplus da gestire altro che Forconi vedremmo per le strade del Meridione. In sintesi, il federalismo per salvare l’Italia unita aveva un senso all’inizio degli Anni Novanta forse, oggi non sarebbe altro che la miccia che innescherebbe fenomeni secessionisti. Peraltro, la stessa crisi sta fungendo da accelerante dell’indipendentismo e il fallimento del paese potrebbe essere il detonatore. Tutto dipenderà, però, dalla capacità di un qualche leader politico (non che io ne veda) di occupare per primo la piazza e convincere i suoi concittadini ad avviare azioni – come potrebbe essere un referendum sullo stile di quello scozzese – nel solco dell’autodeterminazione. Credo che ci convenga osservare con attenzione quel che accadrà in Spagna da oggi in poi, dove la Catalunya (da sempre alla ricerca della più totale autonomia) ha già detto che “se non dovesse dare i soldi a Madrid sarebbe più ricca”.

Per chiudere questa lunga digressione: quando avevo i capelli firmavo anch’io qualche “manifesto-petizione” per cambiare il paese, pensavo servisse a qualcosa. Vi risparmio l’elenco. Vi dico solo che a vent’anni da quei tempi l’unico risultato ottenuto dai proponenti è che è arrivata la recessione (il declino se preferite) e che anziché De Mita, in Parlamento ci è finito l’autista di Roberto Maroni.

P.S. Caro Oscar, spero tu non prenda male questa mia appassionata presa di posizione. Son totalmente convinto della tua onestà intellettuale e buona fede. Semplicemente ritengo che il mezzo che hai (avete) adottato sia poco consono alla bisogna. Quelli come me – e tu lo sai – non fan solo protesta, ma – insieme ad altri – si portano avanti azione di disobbedienza fiscale e civile. Sappi che se “scenderai per strada” (anziché in campo) contro il Fisco e questo “Stato ladro”, io sarò al tuo fianco.

 

Fonte:

http://www.movimentolibertario.com/2012/08/01/giannino-manifesto/

 

qual è la provenienza geografica dei principali animatori di questo movimento politico?

(sembra una domanda scema, non lo è)

Ma la risposta dalle regioni del Sud e' molto superiore al previsto.  

Alcuni commenti, non esaustivi, da una vostra affezionata lettrice, che peraltro spesso dissente dalle vostre analisi e proposte, apprezzando comunque il tentativo di essere chiari

1) come altre volte, anche in questo caso il vostro programma sconta la hubris degli economisti: fatevi dare una mano da qualche giurista, ne troverete certo all'altezza che potranno aiutarvi a definire un po' meglio alcuni aspetti non secondari del vostro programma. Ad esempio cosa intendete per "riformare il codice di procedura"? Vi riferite a quello civile, penale, amministrativo (escludo che abbiate in mente quello penale militare, ma come vedete c'è spazio per un po' di dettagli), e potreste indicare in che modo? Perchè vedete, tutti e tre i codici di procedura sono stati oggetto di ripetuti e spesso maldestri interventi riformatori, diciamo a partre dalla riforma del diritto societario per finire con il codice del processo amministrativo, varato nel 2010 e già mazzolato dalla Corte Costituzionale, sicchè ad oggi tutti e tre i codici del nostro processo sono stati ampiamente e ripetutamente rimaneggiati, senza che nessuna riforma abbia avuto il tempo di spiegare i propri effetti e poter essere quindi giudicata con serenità nei suoi pregi e difetti. Oltre all'assenza di riforme, l'eccesso di riforme può determinare altrettanti se non maggiori danni, lo stato disastrato dell'amministrazione della nostra giustizia lo dimostra. Quindi se il vostro obiettivo, come credo, era quello di garantire un accesso economico ad una giustizia civile e commerciale rapida, non mi sembra che necessariamente l'obiettivo possa essere centrato tramite l'ennesima riforma del codice di procedura civile, ma se poteste essere più concreti magari questo aiuterebbe a capire meglio la vostra proposta;

2) sul deficit di rappresentanza femminile già altri si sono pronunciati, non mi dilungo, mi permetto solo di osservare che la mancanza di proposte concrete su temi "femminili" si fa sentire: un suggerimento, perchè non contattate la prof. Chiara Saraceno? Se avete potuto aprire a Giannino...;

3) scusate ma nessuno, neanche la Gelmini, ha avuto il coraggio di dire che voleva distruggere l'istruzione, permettetemi di farvi notare dunque che il demonio si nasconde nei dettagli, voi come pensate di procedere? Alcune delle cose che altrove avete scritto mi convincono (ad es aumentare l'autonomia delle scuole, specie nella chiamata diretta degli insegnanti, superamento del sistema delle graduatorie a scorrimento etc.) molte altre un po' meno, anche qui maggiori dettagli sarebbero essenziali. Per esempio, è necessario distinguere tra l'istruzione obbligatoria, per la funzione sociale e le caratteristiche della platea servita, e l'istruzione superiore, cui solo i capaci e meritevoli, nelle parole della nostra Costituzione, devono poter accedere. Ora se per l'istruzione superiore può avere senso - anche se ne dubito - porre le istituzioni scolastiche in competizione, per l'istruzione obbligatoria non ha senso: forse perchè abitate in America non vi rendete conto che non si possono mettere in competizione scuole materne o elementari, attendendo che quella inefficiente "fallisca", perchè il processo creerebbe nel frattempo migliaia di cittadini privi di diritti essenziali, cioè il diritto a un'istruzione di base adeguata ad essere cittadini. Rileggete Don Milani, qualcosa potrebbe interessarvi. Poi vi regalo una mia considerazione, sul ruolo della scuola nella nostra società: il maestro diplomato che insegnava nella scuola degli anni '60 faceva comunque parte di una piccolissima elite culturale di un paese in cui gli analfabeti erano tanti e i laureati si contavano sulle dita di una mano, oggi le insegnanti di mio figlio - oltre a non maneggiare con disinvoltura l'italiano nè altre lingue europee - hanno completato un ciclo di studi che le pone nella fascia culturale medio bassa del paese. Se vogliamo recuperare il ruolo di ascensore sociale del sistema di istruzione, a mio avviso dobbiamo partire da qui. Vi prego però di non riproporre ricette propagandistiche come "lo studente dell'anno", magari qualcosa su come recuperare l'evasione scolastica o rendere l'istruzione professionale effettivamente tale e chiudere le Università che sfornano disoccupati (la laurea dovrebbe comunque essere utile sul mercato del lavoro, non una targa decorativa) e sprecano soldi pubblici: l'idea che togliere il valore legale del titolo di studio sia la panacea di tutti i mali mi sembra ignorare il problema delle asimmetrie informative, nonchè la mancanza di sostegni reali all'istruzione universitaria per i "capaci e meritevoli" di cui sopra (il nostro sistema di borse di studio è semplicemente inesistente, mentre è molto florido il mercato dei posti letto a nero per gli studenti nelle città universitarie, ma forse dall'Amerika questo non si vede).

In attesa di leggervi ancora, in bocca la lupo, al nostro Paese innanzitutto.

non tutti i redattori vivono in America e tutti hanno ben presente la complessità dei problemi della scuola e dell'università. Stiamo lavorando a dei programmi più completi che forse potranno rispondere a parte dei tuoi timori.  Poi libera di condividere o meno le proposte concrete

Quello che Lei dice è corretto e giusto sono argomenti decisamente ficcanti nel tema, ovviamente come Le ha scritto il sig. Federico la cosa è in costante evoluzione e quindi necessita di tempo.

A titolo personale Le posso dire che quello che Lei dice ed indica come mali hanno provenienza antica e quindi non basterebbero 20 anni per cambiare la mentalità di questo paese e questo popolo, ma questo non ci esime dal porci e, contestualmente, rispondere alle domande che Lei pone e non lo dico come "noi" di nFA o di FiD, ma come noi di cittadini. Non necessitiamo di ulteriore benaltrismo.

Mi permetto di chiederLe una Sua mail personale dato che stiamo, io, Giuliana Allen e Francesca Chiaromonte, di dare una risposta dall'estremo basso nei confronti del punto 8 ed in particolare nella ricerca di coinvolgere nelle varie discussioni il gentil sesso o le cortesi Signore.

Se volesse saperne di più senza, per questo, doversi impegnare in qualcosa che potrebbe non condividere La prego di non esitare a contattare me o Giuliana o Francesca ( tutte le mail sono nei nostri profili ) per avere un confronto maggiore sui temi da Lei indicati e sul nostro progetto.

Sperando di poterLa annoverare tra le mie mail Le porgo i miei più sinceri saluti

Antonio Savà

Potrebbe sembrare un O.T. ma a mio modo di vedere non lo è. Vorrei porre una domanda a quei radattori di noisefromamerika che svolgano la loro professione negli USA: cosa pensate della storia personale e politica di Paul Ryan? Ovviamente sarà gradita anche la risposta di chiunque conosca il personaggio in oggetto.

Grazie.

L'economia è solo un aspetto della società. Sarebbe interessante riprendere il filone dell'economia civile, nata proprio qui in Italia. Bisogna superare il dualismo Stato-mercato ovvero la contrapposizione fra pubblico e privato per inserire nei discorsi economici la società civile. Per superare questo dualismo bisogna guardare anche alle altre organizzazioni della società: le organizzazioni non profit, le imprese sociali etc.  Bisogna fermare soprattutto il declino della società italiana oltre che quello della sua economia.
Vorrei chiedere ai redattori cosa ne pensano dell'economia civile proposta ad es. dai professori Zamagni, Bruni e Becchetti e se pensano di prendere spunto dalle loro riflessioni per il loro programma politico.
Cordiali saluti.

Non sono uno dei vostri sostenitori, ma sto seguendo l’avventura di FilD con interesse e anche un po’ di speranza. Sono in perfetto accordo con voi quando parlate di professionalità, competenza, onestà, trasparenza, rinnovamento e denunciate la drammatica inadeguatezza della nostra classe dirigente (o digerente?), cioè di politici e di manager pubblici (e privati?), ed insistete facendo paragoni impietosi con quanto avviene all’estero.

Tuttavia, alcuni vostri modi di discutere e affrontare i problemi mi infastidiscono (e chi se ne… potreste dire), ma ho la presunzione di pensare che questa sensazione possa essere comune a molti vostri potenziali sostenitori e quindi ecco le mie osservazioni.

La critica degli avversari

Un partito non è solo fatto dai suoi dirigenti, ma da molte migliaia di persone impegnate in amministrazioni locali, che fanno politica spesso per passione e senza grandi retribuzioni. Quindi l’insulto e lo sberleffo spesso hanno un effetto controproducente sul consenso che può venire da queste persone (almeno nel caso del PD, che conosco meglio). Spesso la critica scende ad un livello così basso che non vale nemmeno la pena di rispondere (vedere il primo commento di Grenti qui). Non sono esenti effetti comici, quando per esempio Famularo se la prende con Bersani che parla di mercati senza regole. Famularo, mai sentito parlare di derivati?

E’ vero che nei 10 punti del PD non ci sono numeri tranne quelli delle pagine, mentre nei 10 punti di FilD ce ne sono quattro, 400, 90, 75 e 5: ridurre il debito di 400 miliardi, ridurre la spesa pubblica di 90 miliardi e la pressione fiscale di 75 miliardi in 5 anni. Però questi numeri restano appiccicati lì e non vogliono dire niente, finché non si specifica come, quando, dove e a spese di chi verranno effettuati questi tagli e redistribuzioni. Vedremo il programma dettagliato, però intanto toni meno trionfalistici a mio parere non guasterebbero.

Contrapposizione pubblico privato

E’ giusto schierarsi con la parte sana del paese, contro la parte parassitaria e improduttiva. Però questa linea è molto diversa dalla discriminazione pubblico/privato, che spesso sembra guidarvi. Certamente bisogna liberalizzare, introdurre concorrenza , trasparenza e competitività, ma questo non significa privatizzare. Quindi bisogna valutare caso per caso cosa sia meglio vendere e perché, stando bene attenti a non favorire chi, in Italia e all’estero, si sta già fregando le mani in vista dello spolpamento dell’Italia. Cosa vale la pena di sacrificare, per risparmiare un punto di PIL di interessi?

Va bene spazzare via la Casta pubblica, ma quella privata? Non è possibile limitare gli stipendi e i benefit dei manager privati in nome del libero mercato? Beh, tagliamo totalmente i fondi pubblici alle aziende dove i top manager guadagnano, inclusi i benefit di ogni tipo, una cifra X volte (10 volte? 15 volte?) lo stipendio medio dei propri dipendenti.

Tagliamo le pensioni oltre un certo limite, ma sia nel pubblico sia nel privato.

Il completamento del programma, l’economia non è tutto

Sul completamento del programma ho già detto. Concordo sul fatto che, per il momento, si può lasciare libertà di coscienza sui temi etici e religiosi, ma credo che non si possa ignorare il problema principale per i prossimi 10 anni: l’energia e l’ambiente.

Sono tra quelli convinti che l’economia attuale non sia sostenibile e che occorrano nuove politiche e nuove idee, sia a livello nazionale che mondiale. Non potete ignorare l’argomento.

 

Spesso la critica scende ad un livello così basso che non vale nemmeno la pena di rispondere

 

Perché colpisce il cuore dei fallimenti della politica italiana, soprattutto la sinistra.

 

 



che parla di mercati senza regole. Famularo, mai sentito parlare di derivati?

 

E infatti parla per niente, dato che i mercati sono iper-regolamentati.
Per caso Lei può emettere dei derivati?
I mercati over the counter, per esempio, sono regolati per definizione dalle parti che stringono l'accordo.

E' chiaro che una regolamentazione standard farebbe perdere il senso dell'over the counter.

 

E’ vero che nei 10 punti del PD non ci sono numeri tranne quelli delle pagine, mentre nei 10 punti di FilD ce ne sono quattro, 400, 90, 75 e 5: ridurre il debito di 400 miliardi, ridurre la spesa pubblica di 90 miliardi e la pressione fiscale di 75 miliardi in 5 anni. Però questi numeri restano appiccicati lì e non vogliono dire niente, finché non si specifica come, quando, dove e a spese di chi verranno effettuati questi tagli e redistribuzioni. Vedremo il programma dettagliato, però intanto toni meno trionfalistici a mio parere non guasterebbero.

 

Potrebbe anche farsi un giro su nFA e andare a leggere un po' di articoli, al posto di emettere sempre delle sentenze.

 

 

Però questa linea è molto diversa dalla discriminazione pubblico/privato, che spesso sembra guidarvi.

 

E mi pare ovvio, dato che lo Stato ha sempre avuto una forte influenza sull'economia nazionale.

 

 


Beh, tagliamo totalmente i fondi pubblici alle aziende dove i top manager guadagnano, inclusi i benefit di ogni tipo, una cifra X volte (10 volte? 15 volte?) lo stipendio medio dei propri dipendenti.

 

L'intenzione è quella di toglierli totalmente...

 

 


Tagliamo le pensioni oltre un certo limite, ma sia nel pubblico sia nel privato.

 

Chi ha versato di più non vedo perché non possa percepire una pensione alta.

 

 


ma credo che non si possa ignorare il problema principale per i prossimi 10 anni: l’energia e l’ambiente.

 

Veramente quella è la linea dei governi a continuare sulla stessa strada per tutelare interessi corporativi. Fosse per gli economisti, si sarebbero già introdotte forme di energia alternativa...

 

In conclusione, la sinistra è sempre stata storicamente antimercatista, non comprendendo che una maggiore influenza dei governi nell'economia è opprimente e non genera maggiori benefici.
Ci sono buone intenzioni che non guardano però ai possibili risultati (se buoni o cattivi), senza una vera impostazione dei proclami dichiarati, in questo caso dal PD e affini (includerei anche la "destra" attuale).
In sintesi, solo demagogia.

Gentile Alberto, per favore manda tua e-mail a francesca.chiaromonte@gmail.com

a noi interesserebbe parlarti sia all'interno di nFa che nel gruppo (per espandere il consenso a  FiD [con attenzione primaria,ma non esclusiva,] al punto 8 del manifesto) che stiamo faticosamente formando con la semi-greenlight data da Boldrin due settimane fa.

saluti

giuliana allen

per favore contattaci

giuliana allen

Non c'è per forza una contrapposizione pubblico-privato, anzi, sono proprio i difensori ad oltranza del pubblico che rifiutano ogni equiparazione tra i due, in dirigente privato che danneggia l'impresa per cui lavora va a casa, i dirigenti pubblici sono INTOCCABILI.

Dal punto di vista poi dell'inquinamento e dell'energia i problemi non si risolvono con la utopica bacchetta magica delle "politiche", per consumare meno energia e inquinare meno, a meno di non essere come i fanatici della decrescita ( che di solito pretendono di peggiorare la vita altrui ) servono investimenti, lavoro sviluppo tecnologico, tutte cose che COSTANO e che quindi sono IMPOSSIBILI se si prescinde dall'aspetto economico.

 

1) Chiunque abbia a che fare con imprese pubbliche e con la PA italiana vede benissimo che sono gestite da raccomandati incompetenti con la tessera di partito nel 99% dei casi.

2) Se ci sono meno parassiti che succhiano il sangue alle imprese produttive ci sono più soldi per tutte le azioni per migliorare l'efficenza energetica, per ridure l'inquinameno e per pagare di più i dipendenti, e questo è EVIDENTE se si confronta l'Italia con il resto dell' Europa.

3) l' idea che i derivati siano la causa della crisi è abbastanza azzardata, perchè la Svizzera che è uno dei centri mondiali della cattiva finanza speculatrice NON è IN CRISI mentre l'Italia che ha un sistema finanziario decisamente arretrato e un esposizione nel campo dei derivati molto minore della media occidentale è quella messa peggio?

dalla sua conoscenza dei derivati, lei sarebbe daccordo, in linea teorica, a consentire solo quelli a copertura di rischi finanziari, proibendo quelli di natura speculativa?

Appurato che sulle cause della crisi la distanza fra economisti ed il resto del modo è abissale, possiamo almeno stabilire che il punto di vista economico, se non integrato da altri aspetti non è sufficiente per sostenere la rinascita di questo Paese?

Temi come organizzazione dello Sato (a tutti i suoi livelli), rapporto con il cittadino, scuola, ricerca, assetto energetico, assetto industriale, rapporto impresa territorio/società, liberalizzazioni e privatizzazioni vanno approfonditi e sviluppati se si vuole stimolare la discussione e l'adesione ad un programma come quello di FiD.

In questo momento credo che, più che discutere se i derivati siano  stati o meno la causa della crisi, si dovrebbe discutere se è chi sbaglia paga, chiunque esso sia, di quale posizione ha FiD rispetto al piano Energia presentato dal governo Monti, di come intende riformare la Giustizia, la burocrazia, di come evitare che la Magistratura sia il difensore di ultima istanza dei diritti della collettività.

Quali sono le posizini rispetto ad Ilva, Fiat, Omsa...

Definire cosa intende privatizzare, cosa liberalizzare, e se ritiene invece, che ci siano pochi settori che per la loro importanza sociale o strategica non possono essere nè privatizzati, nè liberalizzati Insomma...  Fateci capire concretamente come volete trasformare questo Paese. Le frasi vaghe e di circostanza lasciatele agli altri, credo che ci siano parecchie orecchie come le mie in ascolto.

Carissimi, un anno fa il Manifesto dei dieci punti con 150 firme altisonanti, tutto rigorosamente open source (potevi vedere ogni firma e gogoolare ogni aderente, ogni infiammato, ogni idealista). I magnifici sette (+ due donne messe alla svelta a ridosso delle elezioni) che riuscirono contro ogni previsione a far schizzare l'adesione al manifesto in trenta giorni ,se non ricordo male, a piu' di ventimila firme e per la fine dell'estate a cinquantamila. Eppure , a parte Boldrin che nella sua pagina pubblica FB cerca di onorare questo anniversario, (in america mentre scrivo e' ancora il 28 luglio data di pubblicazione del Manifesto sui giornali) nessun articolo su nFA che per mesi e mesi aveva il link al manifesto nell'occhiello della prima pagina. Perche'? La revisione interna non e' possibile? 

Vedo che il sito fermareildeclino.it non c'è più. FARE ha chiuso silenziosamente bottega (e nessuno se n'è accorto)?

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