Il calo demografico: declino o lungimiranza?

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Periodicamente appaiono sulla stampa articoli o prese di posizione sul problema dell’invecchiamento della popolazione italiana e della denatalità. L’ultimo episodio è di queste settimane, con la pubblicazione del report dell’Istat sull’andamento demografico del 2015. I commenti sono generalmente negativi, se non quasi-catastrofici, ed il fenomeno viene assunto a simbolo del decadimento del Paese. Ma sarà proprio vero?

Population sciences

La bassa natalità dei Paesi industrializzati è il frutto di un processo ben studiato dalle scienze demografiche[1]. Prima della rivoluzione industriale l’andamento della popolazione era caratterizzato da alta natalità ed alta mortalità (essenzialmente infantile). La popolazione cresceva, ma lentamente, con alti e bassi legati a epidemie, carestie, guerre. Con la rivoluzione industriale ed il crescere del benessere economico, condizioni igieniche migliori, miglior nutrizione soprattutto, e poi anche migliori cure sanitarie, gradualmente la mortalità ha cominciato a declinare (soprattutto la mortalità infantile) e la popolazione ha cominciato a crescere. Poi, anche la natalità ha iniziato a diminuire e la dinamica demografica si è avviata ad un nuovo equilibrio. Questo fenomeno in termini demografici viene definito come Fase di transizione (figura 1).

 Figura 1. Schema di transizione demografica

                                                                          

Blu: natalità; Rosso: mortalità; Nero: popolazione

Il motivo fondamentale della denatalità sta nel fatto che i figli, da risorsa per la famiglia (forza lavoro gratuita) si sono trasformati gradualmente in un costo che consuma risorse economiche e risorse intangibili, come il tempo, le priorità personali, il carico di lavoro, etc. Questo processo non è lineare né omogeneo, ma certamente è una conseguenza dello sviluppo. Un esempio per far capire come sottosviluppo economico e culturale siano accompagnati da alta natalità e alta mortalità. Nella metà degli anni 70, dopo l’epidemia di colera, a Napoli sorsero una rete di centri sanitari volontari, pomposamente chiamati "Centro sanitario popolare" (erano quegli anni!) nei quartieri più degradati. Studente di medicina, ho frequentato uno di essi finché è esistito. Per prima cosa, facemmo una analisi con i principali indicatori epidemiologici in aree molto ristrette, non evidenziate dalle statistiche ufficiali. Ebbene, in quelle sacche di un degrado sociale e culturale di cui è difficile rendersi conto, la mortalità infantile era del 140‰! Le donne di 50/60 anni comunemente avevano alle spalle fino a 20 e più gravidanze (non scherzo!), di cui la metà interrotte artificialmente con mezzi vari. I figli vivi erano di regola i 3/4 o 4/5  di quelli nati.

 

Una visione planetaria

La popolazione umana è in crescita esponenziale (figura 2).

Figura 2

 

Fonte: The Abitable planet, cit.

 

Molte nazioni emergenti si trovano in piena fase di transizione demografica con alto tasso di crescita della popolazione, da cui derivano problemi enormi che i governi cercano di contenere come possono, a volte con mezzi poco condivisibili alla nostra sensibilità occidentale. I casi di Cina e India sono i più appariscenti. Le misure draconiane assunte da quei governi sono un chiaro indice della drammaticità del fenomeno, che alla fine riguarda tutto il pianeta e non solo quei paesi.

In Italia

In termini numerici, in Italia la vita media nella seconda metà del XIX secolo (150 anni fa) era di 35 anni, solo il 30% della popolazione arrivava a 60 anni di età e il 7% a 80 anni. Ora la vita media è di circa 81 anni, il 93% delle donne arriva a 60 anni (uomini: 86%) ed il 62% agli 80 anni (uomini: 39%)[2]. L’Istat ci fornisce serie storiche di lungo periodo. Per esempio il tasso di natalità (nati per 1.000 abitanti)  negli ultimi 150 anni (figura 3).

 Figura 3. Tasso di natalità, Italia, 1960 - 2009

 

 

Fonte: Istat

 

 

Il grafico mostra molto bene la fase di transizione e lo stabilizzarsi del tasso di natalità su valori che oscillano di anno in anno, ma sono sostanzialmente costanti. Anche il tasso di fertilità (nati per donna) oscilla. Negli anni 80-90 per esempio era più basso di oggi (figura 4).

 Figura 4. Tasso di fertilità, Italia, 1952 - 2014

 

 

Fonte Istat

 

Il cambiamento dell’atteggiamento delle donne verso l’avere figli è ben descritto in una recente indagine campionaria dell’Istat[3], che identifica alcuni fenomeni strutturali e quindi non legati alla contingenza della crisi economica: il principale aspetto è la progressiva rinuncia al terzo ed anche al secondo figlio, poi c’è l’aumento dell’età a cui si partorisce il primo figlio e l’aumento del numero di donne che non fanno figli, specialmente marcato nelle ultime generazioni. Il report dell’Istat poi mette in relazione con la crisi economica l’andamento di alcuni trend, per esempio il calo del numero di matrimoni, supposto segno delle difficoltà dei giovani a metter su casa. Ma questa associazione non è dimostrata dai ricercatori. Che la congiuntura possa avere una qualche influenza, è possibile, ma ritengo sia marginale. Uno sguardo di lungo periodo infatti offre una prospettiva diversa.  I dati dell’OECD (figura 5) dimostrano chiaramente che siamo di fronte a un trend storico. I matrimoni, è vero, diminuiscono, ma aumentano moltissimo i figli nati fuori dal matrimonio; in assenza di dati affidabili sul numero delle coppie di fatto, il numero di figli nati fuori matrimonio ne sono un indice. Quindi non calano le nuove convivenze, famiglie non tradizionali che non si sposano, cambia il modo di metter su famiglia. Su questo la crisi non c’entra molto (mancano i soldi per la festa?) Inoltre questo andamento è comune anche a paesi con minor problemi economici del nostro.

 Figura 5. Matrimoni per 1.000 ab e percentuale di figli nati fuori dal matrimonio, Italia 1990 - 2012

 

 

Fonte: OECD. Attenzione alla differenza fra le scale: La linea blu è una percentuale, la linea rossa un tasso, per cui la sua variazione è meno apparente

 

C’è inoltre un fenomeno nuovo che il report Istat 2015 illustra: anche la fertilità delle donne immigrate, che si attestava al 2,23 nel 2010[4], è in calo al 1,93. Le donne immigrate, gradualmente, si occidentalizzano. E' accaduto ovunque ed accade anche da noi.

Ci sono poi delle caratteristiche dell’andamento demografico, strutturali e contingenti, che hanno fatto si che nel 2015 il deficit demografico sia stato particolarmente rilevante. Per la natalità, stanno uscendo dall’età fertile le donne del baby boom. Si riduce il numero di donne fertili e quindi, ceteris paribus, quello dei figli. Sul lato mortalità, il dato strutturale è che stanno arrivando ad età avanzata i figli del baby boom, sempre loro, e quindi il numero assoluto annuo di decessi nei prossimi dieci anni aumenterà. Poi nel 2015 abbiamo avuto tre fenomeni contingenti, che riguardano le classi di età oltre i 75 anni: a) nel 2013 e 2014 la mortalità è stata molto bassa, per cui molti decessi si sono trasferiti al 2015 (una fluttuazione statistica); tutti moriamo, prima o poi; b) un picco di mortalità nei primi mesi dell’anno, che è difficile non correlare alla sciagurata campagna mediatica contro le vaccinazioni antinfluenzali; c) un picco di mortalità a luglio e agosto, sicuramente ascrivibile alle altissime temperature di quei mesi (e che la dice lunga sui veri rischi del global warming, a prescindere delle sue cause). Come si vede, nulla di tutto questo ha a che fare con la crisi economica di questi anni.

Qual è il problema?

Ho fatto un excursus sui siti dei giornali e su FB per capire le ragioni per cui il fenomeno del calo demografico viene visto negativamente. Ho trovato tre ordini di motivi, due di natura economica ed uno, diciamo, psicosociale.

Il primo è che il calo demografico non facilita la crescita economica ed in particolare l’aumento del PIL. Non essendo un economista, faccio solo alcune osservazioni, sperando che il dibattito possa approfondire il tema:

  • la popolazione è in diminuzione da molti anni, anche quando il PIL cresceva;
  • comunque un calo della natalità oggi esplicherà i suoi effetti sul PIL dopo 20/30 anni
  • se poi si vuole mantenere numerosa la popolazione attiva da subito, basterebbe ritardare l’età dell’andata in pensione (magari è questo quel che si teme!), oppure aprire bene le porte ai giovani immigranti
  • se la popolazione diminuisce ma la produttività e l’efficienza del sistema economico aumentano, magari aumenta anche il PIL …
  • … specie se, sul medio lungo termine, come probabile, l’automazione e la robotica faranno diminuire il fabbisogno di manodopera per produrre beni e servizi; alla luce di questo, una diminuzione della popolazione forse non è poi tanto male..

Il secondo argomento riguarda le pensioni. Si sostiene la necessità di far figli per  pagare le pensioni ai vecchi. Questo mi pare uno degli aspetti più censurabili del conflitto generazionale. Certo, nel breve-medio periodo le pensioni sono un problema, e tutti sappiamo che presto bisognerà metterci mano. Sul medio-lungo termine le cose dovrebbero cambiare. Quando sarà sparita la generazione del baby boom, la piramide della popolazione italiana non sarà più una piramide, dritta o rovescia, ma una colonna, ed il problema sarà più gestibile.

 Figura 6. Piramide della popolazione italiana, 2010, 2040 e 2060

                                                        

 

Fonte: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division. World Population Prospects: The 2012 Revision In Population Pyramid

 

Il terzo ordine di problemi è più indefinito. Si fanno generici riferimenti a come il paese divenga vecchio, manchino i giovani, che il paese non si rinnovi, che non abbia futuro, etc. Si mischia il trend demografico con la fuga dei giovani all’estero o il mancato arrivo di giovani in Italia. Queste affermazioni non vengono molto motivate, sono date per ovvie. Ritengo derivino da una visione un po’ stereotipata, di tipo psicologico, filosofico, religioso, quel che volete, della famiglia e della società, e non da un ragionamento sui dati nel loro complesso. Per esempio si legge: i giovani sono pochi. In realtà ne nascono 490 mila ogni anno, comunque. Di fronte ad affermazioni di questo tipo, è difficile argomentare. Fanno riferimento ad archetipi culturali che permangono nonostante sia sotto gli occhi di tutti che la famiglia sta cambiando profondamente, come i dati dimostrano.

Cosa accadrebbe in Italia se la natalità ripartisse e tornasse a livelli alti? La numerosità della popolazione dipende sia da una aumentata natalità, che dall’incremento della vita media. Rimanendo costante l’aumento della vita media, ne risulterebbe un aumento della popolazione insostenibile globalmente (figura 7).

Figura 7. Rappresentazione grafica della numerosità di una popolazione

 

Le due popolazioni (A) e (B) hanno ambedue lo stesso tasso di natalità e mortalità (due individui per intervallo di tempo), ma gli individui della popolazione (A) vivono tre intervalli di tempo, contro due della popolazione (B). Risultato, la popolazione (A) è mediamente più numerosa della popolazione (B) nello stesso rapporto (sei a quattro).

 

La verità è che siamo di fronte ad un problema complesso ed epocale. Con esso bisogna confrontarsi laicamente e con una visione globale. La crescita della popolazione umana, in termini planetari, non può essere indefinita, dato che costituisce il principale fattore di squilibrio ecologico nel pianeta: consuma risorse come spazi, foreste, biodiversità, specialmente marina, atmosfera, etc.

In Italia, come nei paesi industrializzati e che si avviano alla post industrializzazione, la denatalità è strutturale e non contingente. La crisi economica può forse influire marginalmente sul fenomeno, ma non ne è la causa, ci possono essere semmai effetti trascinamento Se due vogliono sposarsi, o meglio, convivere, e far un figlio, ebbene magari quest’anno no, ma l’anno dopo si. Un tasso di fertilità di 1,35 è basso (ma negli anni 80 era ancora più basso), e porterà ad una diminuzione della popolazione indigena. Il tasso di fertilità è in calo anche fra le donne immigrate. È pensabile però che risalga, come negli anni 90-00. Le proiezioni a lungo periodo, per quello che valgono, prevedono una stabilizzazione della numerosità della popolazione su livelli più bassi.

Quindi come va considerato questo trend? Sul breve periodo esso crea due grossi problemi: le pensioni, su cui non mi dilungo, e la sostenibilità del servizio sanitario nazionale, di cui ho scritto in questo blog alcuni mesi fa. Sul lungo periodo, struttura di popolazione stabile o anche in lenta diminuzione è un modello equilibrato e lungimirante, cui è sperabile si avviino rapidamente anche paesi in piena fase di transizione demografica.

 


 

[1] The Abitable Planet, Unit 5: Population dynamics, in  http://www.learner.org/courses/envsci/unit/text.php?unit=5

 

 

[2] Lori A, Golini A, Cantalini B, et al. Atlante dell'invecchiamento della popolazione, Progetto Finalizzato Invecchiamento, CNR, Roma, in http://www.italz.it/CNRPFINV/atlante.htm

 

 

[3] Istat. Avere figli in Italia negli anni 2000.  Approfondimenti dalle indagini campionarie sulle nascite e sulle madri 2014 Roma http://www.istat.it/it/files/2015/02/Avere_Figli.pdf?title=Avere+figli+in+Italia+negli+anni+2000+-+02%2Ffeb%2F2015+-+Volume.pdf

 

 

[4] Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti, in http://www.istat.it/it/archivio/38402, accesso del 7 dicembre 2012

 

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Commenti

Ci sono 50 commenti

 

[...] specie se, sul medio lungo termine, come probabile, l’automazione e la robotica faranno diminuire il fabbisogno di manodopera per produrre beni e servizi; alla luce di questo, una diminuzione della popolazione forse non è poi tanto male...

 

Il problema non e' tanto la diminuzione della popolazione quanto il suo invecchiamento, che comporta una minore produttivita' (soprattutto in campo intellettuale). Ed e' proprio la creativita' intellettuale la chiave a una maggiore prosperita':  che le risorse grezze del pianeta siano limitate lo diceva anche Malthus, ma le sue fosche previsioni sono state regolarmente smentite dal fatto che la tecnologia da allora ha saputo moltiplicarle. Purtroppo, come si suol dire, "you can't teach an old dog new tricks": la persistente stagnazione del Giappone e' in gran parte ascrivibile all'invecchiamento della sua societa' (reso piu' serio dall'ostilita' dei suoi cittadini verso l'immigrazione).

... ma non mi sento per nulla meno produttivo intellettualmente. Qualche neurone in meno e molta esperienza in più. Chissà cosa è più importante? Credo si sottovaluti che l'allungamento della vita media si accompagna con un allungamento della vita attiva, libera da malattie. per cui questa storia dell'invecchiamento della popolazione non mi convince, mi pare un clichè. I giovani comunque ci sono, diamine, mica sono morti. Si andrà in pensione più tardi, l'automazione sta facendo sparire molti lavori, come si dice, usuranti.

Dov'è il problema?

 

Un tasso di fertilità di 1,35 è basso (ma negli anni 80 era ancora più basso), e porterà ad una diminuzione della popolazione indigena

 

Un tasso di fecondità totale ad 1.35 in generale é economicamente e socialmente insostenibile, e chi riesce a sopravvivere decenni con quel genere di natalitá lo fa rendendo il proprio paese estremamente fragile, e comunque lo fa al prezzo di un mancato sviluppo.

In natura, é molto piú probabile che ad un TFT da 1.35 corrisponda un declino economico e sociale che anche solo ad una stagnazione.

Qualsiasi cosa si pensi in merito alla strutturalitá della denatalitá, permettere un TFT da 1.35 senza nemmeno cercare di mitigarlo o meno é da incompetenti, incoscenti ed inetti.

Una politica lungimirante dovrebbe cercare di evitare ad ogni costo quel livello di TFT, mitigando la denatalitá, strutturale o contingente che sia, con politiche atte a contenerla.

Se proprio non si vuole raggiungere 2.05/2.10 (o comunque  replicarne gli effetti con l'aiuto dell'immigrazione), una quota minima di 1.85/1.90 deve essere un obiettivo strategico imprescindibile.

Io metterei l'equilibrio demografico in Costituzione, anzi, gli darei un risalto ed una importanza anche maggiore della previdenza sociale.

 

Quindi come va considerato questo trend? Sul breve periodo esso crea due grossi problemi: le pensioni, su cui non mi dilungo, e la sostenibilità del servizio sanitario nazionale, di cui ho scritto in questo blog alcuni mesi fa. Sul lungo periodo, struttura di popolazione stabile o anche in lenta diminuzione è un modello equilibrato e lungimirante, cui è sperabile si avviino rapidamente anche paesi in piena fase di transizione demografica.

 

Il punto centrale è lenta diminuzione. Un TFT da 1.35 é un TFT da guerra ultradecennale, non lenta diminuzione. Un TFT da 1.20 o meno é un TFT da peste nera, non lenta diminuizione.

Il tasso di fecondità totale (TFT) italiano è sceso sotto quota 2 nel 1977, precipitando in un 3 anni dalla banda in cui si era stabilizzato tra il 1950 ed il 1974 (2.31-2.70). Il TFT in quei 25 anni era leggermente troppo elevato, ma se la politica avesse fatto qualcosa per fermarne la caduta tra 1.90 e 2, l'impatto sulla situazione economica attuale non sarebbe stato particolarmente evidente. La politica invece non fece nulla. Nulla di nulla. Ed il TFT precipitò da 1.98 nel 1977 a 1.18 nel 1995. Una catastrofe apocalittica. Roba da peste nera medievale, o da guerra Romeo Gotica. Fortunatamente si iniziò a sentire l'impatto degli stranieri, soprattutto delle straniere, che fino ad oggi hanno mantenuto un TFT poco sopra a 2 mitigando quindi la situazione, per cui il TFT italiano risalì leggermente da quello 1.18 del 1995 allo 1.40 dei giorni nostri. Siamo ancora a 0.6 figli a donna di distanza da quota 2. Ipotizziamo che finalmente arrivi un governo assennato, e che attui le politiche necessarie a riportare il TFT a 2, diciamo entro il 2020, e che riuscirà a mantenerlo a quota 2 per i prossimi 100 anni. Quello che succederà è che i nati dal 2020 in poi inizieranno a fornire il loro apporto produttivo all'economia italiana almeno 25 anni dopo, nel 2045, e che questo effetto raggiungerà il suo massimo soltanto quando saranno morti tutti gli over 25 nel 2045 inclusi ovviamente tutti i vivi nel 2016.

Quale sarebbe il ruolo dei vivi nel 2016 in questo scenario? Produrre per mantenere i pensionati ed i nuovi nati. Un compito piuttosto difficoltoso, dato che i primi sono e saranno molti di più per decenni, ed i secondi diventeranno sempre di più. Per dare numeri (arrotondati, ma guarda alle dimensioni), l'INPS spende in prestazioni 330 miliardi di Euro annui, e dato che riceve contributi solo per 230 miliardi, lo stato ogni anno deve ripianare un buco di 100 miliardi di Euro. Solo per la previdenza (l'assistenza è un altro capitolo tragico).

Quale è l'unica alternativa razionale ed auspicabile? Incentivare immigrati di qualità under 35 con cui condividere quel ruolo, e suddividere con questi i costi per mantenere i pensionati ed i nuovi nati. Si possono fare altre cose per mitigare il problema, ad esempio passare tutte le prestazioni, anche quelle in essere, al contributivo, riforma con cui si recupererebbe qualche decina di miliardi ogni anno, ma non si risolverebbe il problema, determinato dal fatto che le generazioni over 40 sono molto più grandi delle under 40.

Il disoccupato italiano oggi è disoccupato almeno nello 80% dei casi perché la struttura demografica è totalmente sbilanciata.

Gli effetti di questo sbilanciamento sono: collasso del mercato interno, aumento della pressione fiscale, aumento della pressione contributiva, proibizione della redistribuzione territoriale, fine della convergenza tra le aree del paese, compressione degli investimenti in conto capitale, declino, mancato sviluppo.

Dato che non abbiamo la macchina del tempo, l'unica opzione moralmente accettabile è quella di incentivare l'immigrazione di 25-30 milioni di immigrati nei prossimi 25 anni, di cui 6 nei prossimi 2 o 3 anni (lo scenario centrale di previsione dell'INPS prevedeva 16 milioni e mezzo di immigrati, io personalmente li vorrei spalmare in maniera più intelligente tra le varie coorti d'età).

Altrimenti rassegnarsi ad una vita di schiavitù generazionale, o emigrare

 

 Figura 6. Piramide della popolazione italiana, 2010, 2040 e 2060

                                                       image

Fonte: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division. World Population Prospects: The 2012 Revision In Population Pyramid

 

Mi riprometto di leggere e rileggere l'articolo piú volte prima di intervenire con piú cognizione di causa, ma mi chiedevo, dato che si cita l'ISTAT, se l'autore dell'articolo fosse a conoscenza del particolare che lo scenario di previsione centrale dell'ISTAT prevede almeno 16 milioni e mezzo di immigrati dal 2015 al 2040 (e di conseguenza che se la struttura demografica centrale nel grafico di Population Pyramid é basato su quello scenario di previsione centrale, o qualcosa di simile, come ad occhio pare che sia, richiederebbe una immigrazione netta di 16 milioni e mezzo di persone entro il 2040).

Ripeto: lo scenario di previsione centrale dell'ISTAT per la popolazione italiana nel 2040 richiede che nei prossimi 25 anni (2015-2040) l'Italia riceva una immigrazione netta di 16 milioni e mezzo di persone.

In luce del rallentamento dell'immigrazione e dell'aumento dell'emigrazione negli ultimi anni, spero che chiunque usi quello scenario centrale dell'ISTAT per fare previsioni sulla sostenibilità magari del sistema previdenziale, lo usi con un bel po' di sale, altrimenti i conti del paese sballeranno molto rapidamente. 

Tra l'altro lo scenario stesso a mio avviso é giá abbastanza sballato di suo, perché prevede l'arrivo di molti over 65 (del 2040), il grafico sotto (elaborato da me sui dati ISTAT) dovrebbe mostrare chiaramente il problema:


ISTAT 2040 centrale 16485589 v2

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 Qualche mese fa il Centro studi Confindustria scriveva:

 http://www.ilsecoloxix.it/p/economia/2015/09/17/ARUoVEzF-confindustria_lavoro_posti.shtml

Ma gli inoccupati restano
«Agli oltre 3 milioni di disoccupati nel secondo trimestre 2015 (+84,8% rispetto a sette anni prima)», si legge nel Rapporto, «bisogna aggiungere gli occupati part-time involontari (2,6 milioni, +88,8%) e i non occupati che sarebbero disponibili a lavorare ma non hanno compiuto azioni di ricerca attiva perché scoraggiati (1,6 milioni, +53,4%) oppure perché stanno aspettando l’esito di passate azioni di ricerca (638mila, raddoppiati). In totale si tratta di 8 milioni di persone (+105,9%)».

 L'ISTAT non va molto lontano: http://www.piolatorre.it/public/art/sette-milioni-di-italiani-a-casa-senza-un-lavoro-586/


In conclusione: i problemi italiani NON derivano per ora dalla carenza di manodopera; se il lavoro ci fosse, l'occupazione potrebbe facilmente aumentare di 7-8 milioni di unità, facendo schizzare il PIL. Gli studi sopra citati ovviamente con considerano coloro che occupano un posto di lavoro e percepiscono un regolare stipendio, ma non svolgono alcuna attività produttiva. Può anche darsi che nel 2040 si possa verificare una reale carenza di manodopera, ma allora potremmo cominciare a programmare un'immigrazione massiccia nel 2035; per adesso non se ne vede assolutamente la necessità.

 

se il lavoro ci fosse

 

Il "lavoro" non c'è più perche le conseguenze della struttura demografica lo disincentivano. La struttura demografica é stata devastata da decenni di politica incapace, ma ormai il danno è fatto, e non si può risolvere che in un quarto di secolo di buone politiche demografiche.

Ad ogni modo se gran parte della popolazione non riesce a, si rifiuta, non vuole, non desidera cogliere la correlazione tra una struttura demografica da post peste nera e guerra dei trent'anni e decenni di declino economico e sociale del paese stesso, forse tale declino lo si merita.

Chi coglie la correlazione farebbe meglio ad emigrare il prima possibile, lasciando a godersi il declino quelli che non vogliono vedere.

Bambino nascosto

L'articolo nella sua parte introduttiva fa riferimento alla popolazione mondiale, in forte aumento; e subito dopo passa all'italia, di cui discute il calo demografico.

Manca la misura intermedia (secondo me) la più significativa nell'analisi del processo storico: l'Occidente. In tutta la Civiltà Occidentale i TFT sono scesi da trenta anno al di sotto del tasso di sostituzione che è circa 2,1. Vado a memoria, ma mi pare che vadano un po' meglio USA e Francia (dove comunque TFR<2) mentre è drammatica la situazione dell'Italia (circa 1,3) da poco avvicinata, in questo poco esaltante primato, da Spagna e Germania.

 

[chiedo scusa e aiuto all'admin: non riesco a completare ne cancellare il precedente abortito intervento]

-) L'articolo nella sua parte introduttiva fa riferimento alla popolazione mondiale, in forte aumento; e subito dopo passa all'italia, di cui discute il calo demografico.
Manca la misura intermedia (secondo me) la più significativa nell'analisi del processo storico: l'Occidente. In tutta la Civiltà Occidentale i TFT sono scesi da trenta anno al di sotto del tasso di sostituzione, che è circa 2,1. Vado a memoria, ma mi pare che vadano un po' meglio USA e Francia (dove comunque TFR<2) mentre è drammatica la situazione dell'Italia (circa 1,3) da poco avvicinata, in questo poco esaltante primato, da Spagna e Germania.
La situazione è mitigata dall'immigrazione, ma c'è da tenere presente che gli immigrati sono non-occidentali, fatto che sarà (forse) indifferente dal punto di vista economico, non lo è da quello antropologico, dell'evoluzione dei valori e dei modelli culturali, della coesione, dell'autopercezione e dell'idem sentire del corpo sociale.

- Calo demografico/PIL. Su questo aspetto l'opinione degli economisti, io ne capisco poco.
Ma mi pare banale che - in prima istanza e a parità di altri fattori - lo sviluppo sia direttamente proporzionale al tasso di crescita demografica, con un ritardo di 25-30 anni.
Ora, in base anche ai dati portati qui, vedo che la popolazione fu in aumento fino alla metà degli anni '80, con TFT >2.
Il TFT collassa a valori compresi tra 1,3 e 1,5 nel 1984-86 (in italia in base ai dati Istat, ma è lo stesso in tutto l'Occidente).
Nei successivi trenta anni, la popolazione si mantiene costante, grazie al diminuire del numero delle morti ed ai flussi migratori in ingresso, ma cessa di aumentare.
Cambiano però la sua età media e la sua composizione tra indigeni e immigrati.
La generazione dei nati tra il 1984-86 entra nel mondo del lavoro circa tra il 2006 e il 2008. Cioè proprio quando inizia la crisi. Non ci sarà un nesso?

-) Alessandro Riolo. Capisco le sue preoccupazioni e le condivido. Ma non vedo quale politica potrebbe attuare l'auspicato "governo assennato" per riportare il TFT vicino a 2.
Il collasso demografico non è originato da qualche politica o mancata politica, ma da una evoluzione (meglio sarebbe forse involuzione) delle forme mentali della maggioranza.
E' accaduto che il modello culturale borghese - che dalla sua comparsa per i primi due secoli abbondanti fu di elite, e in quanto tale non sostenibile, cioè impossibile da estendere a tutto il corpo sociale - è divenuto di massa.
Ed ha volerlo massificare è stata proprio la borghesia stessa, che dal dopoguerra ha profuso in questo obiettivo tutti i suoi sforzi migliori, convinta forse che in questo modo avrebbe attenuato se non risolto definitivamente i conflitti, e pacificato il corpo sociale.
Così è stato, infatti. Non è possibile nessuna "lotta di classe", se siamo tutti borghesi.
Ma abbiamo commesso un errore: non abbiamo considerato che se siamo tutti borghesi.. ci estinguiamo.

 

 Ma non vedo quale politica potrebbe attuare l'auspicato "governo assennato" per riportare il TFT vicino a 2.

 

La Francia a meno di 1.66 non è scesa, nel 1993, per poi risalire abbastanza velocemente, con un picco di 2.02 nel 2011. Anche il Regno Unito non è sceso sotto 1.63, per poi risalire, recentemente intorno a 1.94. I governi possono fare tantissime cose per mitigare il declino demografico, cose che i governi Italiani hanno scelto di non fare, per incapacità, incoscienza, inettitudine, incompetenza, imbeciliità.

Un TFT a 1.18 non è sostenibile, e nemmeno a 1.30 o 1.40.

Per trattare anche gli altri Paesi ci sarebbe voluto una lavoro di ricerca molto più impegnativo e molto più spazio. Il mio scopo è di lanciare un sasso nello stagno e promuovere una visione diversa e meno ancestrale del problema

Mi sembra che gran parte dei commenti ricadano nel terzo tipo di atteggiamento rispetto al calo demografico, come definito nell'articolo.

Prendiamo le appassionate enunciazioni di Alessandro Riolo. Fa sempre affermazioni un pò apodittiche, mai un ragionamento:

 

Un tasso di fecondità totale ad 1.35 in generale é economicamente e socialmente insostenibile, e chi riesce a sopravvivere decenni con quel genere di natalitá lo fa rendendo il proprio paese estremamente fragile, e comunque lo fa al prezzo di un mancato sviluppo

 

Perchè? Da cosa deriva questa convinzione? Ancora

 

Un TFT da 1.35 é un TFT da guerra ultradecennale, non lenta diminuzione. Un TFT da 1.20 o meno é un TFT da peste nera, non lenta diminuizione.

 

Scenari drammatici poco o nulla motivati.

Nasissimo

 

La situazione è mitigata dall'immigrazione, ma c'è da tenere presente che gli immigrati sono non-occidentali, fatto che sarà (forse) indifferente dal punto di vista economico, non lo è da quello antropologico, dell'evoluzione dei valori e dei modelli culturali, della coesione, dell'autopercezione e dell'idem sentire del corpo sociale.

 

Una preoccupazione culturale e sociologica, cui è facile rispondere che questo è un motivo di più per attuare politiche di integrazione. Io non condivido le preoccupazioni di Nasissimo. La natalità delle donne immigrate sta diminuendo, come per le italiane, è più alta perchè il trend in diminuzione è cominciato più tardi. Credo sia molto più probabile che gli immigrati si occidentalizzino, se ben accolti, che non il contrario. Il nostro modello di vità è molto più divertente.

Tutti i commenti poi sono incentrati su PIL e pensioni. Certo, ci sono problemi di questo tipo. Ma il mio scopo era di lanciare un sasso nello stagno e trasmettere una visione diversa e più longimirante del problema demografico. Vedo che anche in persone colte e attente come i lettori di NfA questo aspetto fatica a trovare attenzione. Il boom demografico E' il prblema ecologico principale del pianeta. Forse tra qualche tempo la tecnologia troverà soluzioni che lo potranno mitigare (il principale probelma secondo me è l'impatto sul ciclo del carbonio), ma il problema spazio fisico e biodiversità difficilmente possono essere risolti con la tecnologia.

Soprattutto vedo che non si coglie il motivo principale della denatalità, che è culturale e molto legato al nuovo ruolo della donna. E' strutturale signori, non congiunturale. le proposte di incentivi di Riolo sono o poco collegate al problema (che c'entrano gli esami universitari con la natalità?) o vaghe e poco concrete. Non credo osano essere introdotti correttivi, gli asili nidi aiutano, ma prima bisogna farsi gravidanza e svezzamento, e poi dalle 16 in poi i figli sono tutti tuoi, nonni in viaggio, o assenti, etc.

Credo, è scritto nell'articolo e lo ribadisco, le Nazioni più sviluppate stiano entrando in una fase demografica nuova, mai osservata prima, legata a modelli economici post industriali, ad alto e crescente tasso di automazione (pensate quando avremo robot camerieri! Quanto manca?), con crescente proporzione di lavoro intellettuale e sempre minor fabbisogno di manodopera. Serve meno popolazione. Cosa accadrà in situazioni di quel tipo al tasso di fertilità, non so. Magari, con più tempo libero, potrebbe tornare la voglia di far figli, fra qualche decennio. Chissà. Certo non ci estingueremo! Intanto, scusate, speriamo e magari, operiamo per far si che anche le Nazioni meno sviluppate escano dalla fase di transizione demografica.

 

Scenari drammatici poco o nulla motivati.

 

Se vuoi, vivici tu in un paese con un TFT come quello Italiano da decenni. Come saprai, siete sotto, e di molto, quota 1.64 dal 1981, con annate da peste nera come il 1995 (1.18).

Io non lo augurerei al mio peggior nemico.

 

Perchè? Da cosa deriva questa convinzione?

 

Dai 100 miliardi di Euro di buco dell'INPS? Dal fatto che vorreste far pagare minimali di contribuzione altissimi a gente che porta a casa meno di quello che gli serve per sfamarsi? Del fatto che avete milioni di persone che sono costrette a lavorare in nero per sopravvivere? Dal fatto che chi paga i contributi oggi sta pagando delle pensioni retributive ad altri senza avere alcuna certezza che un giorno riceverà una pensione, e se la riceverà non sarà certamente basata su principi attuariali? Del fatto che non vi potete permettere nemmeno un work for dole universale? Del fatto che da decenni non riuscite a fare alcun tipo di trasferimento per investimenti in conto capitale perché siete impegnati a spendere nei capitoli previdenziali anche risorse che non avete e non avrete mai? Del fatto che non ostante un TFT da guerra dei trent'anni o peggio, avete politiche a supporto della famiglia ridicole? Del fatto che i vostri governi fanno i bandi per concedere sussidi o detrazioni che dovrebbero essere universali o non esistere? Del fatto che lo scenario di previsione centrale del vostro istituto nazionale di statistica richiede 16 milioni e mezzo di immigrati nei prossimi 25 anni, e che negli ultimi anni avete dato 15 mila nuovi permessi all'anno, e se il governo sta facendovi i conti di lungo periodo su quello scenario sta chiaramente mettendo in serio pericolo la sopravvivenza del paese, ma tanto che gli frega, mica saranno loro a governare tra 25 anni?

Come dice Lei:

 

Una preoccupazione culturale e sociologica, cui è facile rispondere che questo è un motivo di più per attuare politiche di integrazione.

 

Senz'altro.

 

Credo sia molto più probabile che gli immigrati si occidentalizzino, se ben accolti, che non il contrario. Il nostro modello di vita è molto più divertente.

 

Senz'altro. Ma messa la questione in questi termini, secondo me, la si banalizza un po' troppo. Non si tratta di adottare stili di vita più o meno divertenti, ma di introiettare modi di pensare, sentimenti, concezioni, Valori, Doveri.
Per assimilare tutto questo serve ben altro che indossare una cravatta, ma soprattutto non tutto questo è divertente.
Anzi, la parte più significativa è quella meno divertente.

 

Soprattutto vedo che non si coglie il motivo principale della denatalità, che è culturale e molto legato al nuovo ruolo della donna. E' strutturale signori, non congiunturale.

 

E' quello che dicevo anche io. La ragione del collasso demografico è cultuale e valoriale, non economica o contingente.
Questa ragione è legata anche al "nuovo ruolo della donna" ma non solo. Secondo me sarebbe più esatto dire che il nuovo ruolo della donna è un'altra conseguenza, assieme al collasso demografico, della stessa evoluzione culturale.
Quindi serve a un piffero questa o quella politica governativa. Chi non fa figli perché non ha voglia di fare figli non li farà con nessuna politica.
A meno che non si attui una politica di lunghissimo termine intesa a lavorare nelle concezioni e nei Valori. Ma sono forse cento anni che non si fanno più cose del genere, ammesso che quelle che si fecero prima sostenendo esser tali lo fossero davvero, e concesso che siano mai state efficaci.

 

Certo non ci estingueremo!

 

Ci stiamo già estinguendo.
Noi occidentali, sottinteso, non noi esseri umani.
Sta scritto nei dati che Lei porta qui sopra.

Non seguo troppo la logica dell'articolo, mi pare si passi da un estremo all'altro.

1) si, i tassi di fertilita' del terzo mondo non sono sostenibili e generano un mucchio di problemi. Ma come siamo arrivati al punto che quello italiano sia sostenibile?

2) sara' meschino, ma serve un numero adeguato popolazione in forze per mantenere i bambini e i pensionati. Mi sembra cosi' evidente che ad un certo punto il giochino di rompe che non capisco dove sia la discussione, in un sistema a ripartizione (che sia contributivo o retributivo cambia poco)

3) perche' la demografia abbia una forma come quella della colonna (che a me sembra altro, ma non importa) il tasso di fertilita' deve essere intorno intorno a due. Anche qua, come si puo' immaginare che un tasso ti 1.3 o 1.4 non generi un piramide rovesciata? E' ovvio in ogni generazione ci saranno il 30% in meno di persone della precedente, a meno che non si auspichi di tenere bassa la natalita' per "importare" popolazione dal terzo mondo e limitare la crescita a livello globale. Ma davvero nell'articolo si immagina uno scenario simile? Sostituire progressivamente la popolazione occidentale con quella dei paesi del terzo mondo?

mah...

Tutti le cose che dico sono trattate o nell'articolo o nei commenti.

Poi è questione di priorità: c'è chi preferisce guardare all'hic et nunc del chi ci paga le pensioni, chi vuole invece riflettere sulle prospettive globali, più a lungo termine

passaggio qua:

 

come si puo' immaginare che un tasso di 1.3 o 1.4 non generi un piramide rovesciata?
E' ovvio in ogni generazione ci saranno il 30% in meno di persone della precedente, a meno che non si auspichi di tenere bassa la natalità per "importare" popolazione dal terzo mondo e limitare la crescita a livello globale.
Ma davvero nell'articolo si immagina uno scenario simile?
Sostituire progressivamente la popolazione occidentale con quella dei paesi del terzo mondo?

 

che spiega il senso di disagio che si prova leggendo l'articolo.
Sembra che secondo l'autore lo scenario qui sopra descritto sia desiderabile.
Anzi, dal titolo, "lungimirante" addirittura.

Noi qualche dubbio ce lo abbiamo.