Cattivi maestri. Con una domanda a Gilioli e Civati

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L'insediamento di Mario Draghi a governatore della Banca Centrale Europea è stato accompagnato da almeno due farneticanti interventi sui lati opposti dello schieramento politico, un'intervista di Guido Rossi sul Corriere e un articolo di Marcello Veneziani sul Giornale.

In particolare l'intervista di Rossi è stata ripresa con entusiamo da due dei blog più popolari in Italia, quello di Alessandro Gilioli su l'Espresso e quello di Pippo Civati, detto ''il rottamatore'' (che, giusto per essere chiari, su questo sito è un complimento). A loro faccio una semplice domanda: ma avete veramente capito quello che dice Rossi? Perché l'idea che anche tra le menti suppostamente innovative e brillanti della sinistra ci si trastulli con simili baggianate è veramente deprimente.

Il post sarà dedicato principalmente a discutere l'articolo di Guido Rossi, ma prima di andare alla parte centrale del post voglio discutere l'articolo di Veneziani, dato che mi tornerà utile successivamente.

In breve, Veneziani ha scritto un articolo semplicemente allucinante in cui riesce a battere il record mondiale di cazzate per centimetro quadrato. Riassunto: c'era una volta un paese felice in cui il popolo controllava banche e imprese. Si, va bene, c'era questo cosa del deficit pari al 10% del PIL e del debito che esplodeva, ma queste sono inezie da ragioniere e io sono un grande filosofo. Dicevamo, in questo paese felice tutto stava andando bene. Ma a un certo punto dalla perfida Albione arrivò una barca piena di infidi speculatori che, aiutati dal traditore Drake (un italiano che però era ''inglese dentro''), acquistarono tutto per un boccon di pane, lasciandosi dietro miseria e macerie. E anche un debito più basso, ma come ho detto io non sono un ragioniere e mi occupo di cose più alte. Pochi eroi cercarono di contrastare questo scempio, ma furono sconfitti. Tra essi, il profeta del signoraggio Giacinto Auriti e l'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, che sta ora pagando a caro prezzo la sua ammirabile opposizione ai poteri forti. Fine.

Se pensate che questa sia una caricatura esagerata leggete pure l'articolo originario. Si tratta di fascismo rancido da osteria, di complottismo ignorante per ubriachi. Per fortuna l'ottimo Alessandro d'Amato si è già preso la briga su Giornalettismo di sbugiardare una per una le falsità e le idiozie contenute nell'articolo, risparmiandoci il lavoro. Qua aggiungo solo che Veneziani, purtroppo, non è un qualche esponente minoritario e di frangia della cultura di destra. Al contrario, è uno di quegli intellettuali di regime perfettamente intortati con il potere politico, al punto di essere stato nominato dal centrodestra al consiglio di amministrazione Rai. Collabora con la Rai, è editorialista del Giornale e tante altre cose. Quello che dice è quello che pensa la destra in questo disgraziato paese.

Esauriti i preliminari veniamo al pezzo forte, l'intervista a Guido Rossi. Non starò a commentare parola per parola, dato che alcuni pezzi (come quello sulla ''tassa Berlusconi'') sono condivisibili, ancorché abbastanza ovvi. Altri pezzi sono le solite frasi altisonanti di stile tremontiano che non hanno alcun significato, e di cui gli intellettuali italiani, e i giornalisti che li intervistano, sembrano così innamorati. Si veda per esempio, giusto all'inizio, la frase ''la moneta ha conquistato la politica per farle ridisegnare a suo piacere i mercati. Ma siccome ha promesso ma non consegnato il benessere generale la politica si ribella''. Forse esiste, facendo un grosso sforzo, un qualche modo di assegnare a simile chiacchiericcio un senso compiuto, ma è un compito troppo gravoso e che è improbabile fornisca alcun frutto. Eviterò quindi di perder tempo con simili oniriche fregnacce.

Mi concentro invece sugli errori fattuali e sulle spericolate analisi teoriche. Cominiciamo quindi.

 

Cos'è oggi la disuguaglianza?
«Una differenza insostenibile di redditi e di possibilità di costruirsi il futuro. Gli indignados ci dicono che è esplosa dentro l'Occidente. Ma Branko Milanovic, al recente convegno di Milano, ha documentato come sia ancor più drammatica tra l`Occidente e il resto del mondo. La cittadinanza è oggi la prima rendita di posizione».

 

Branko Milanovic è un economista della Banca Mondiale che si occupa di disuguaglianza, soprattutto a livello mondiale. Una recensione di un suo libro recente può essere trovata sul New York Times. Il punto che la disuguaglianza interna ai paesi occidentali impallidisce quando guardiamo alla disuguaglianza a livello globale è ovvio e ben noto. Milanovic ha approfondito il tema e ha provato a quantificarlo. Per esempio, la recensione ci racconta:

 

He also makes interesting international comparisons. The typical person in the top 5 percent of the Indian population, for example, makes the same as or less than the typical person in the bottom 5 percent of the American population. That’s right: America’s poorest are, on average, richer than India’s richest.

Traduzione: Egli [Milanovic] fa anche delle interessanti comparazioni internazionali. La tipica persona nel top 5% della popolazione indiana, per esempio, guadagna lo stesso o meno della tipica persona appartenente al 5% inferiore  della popolazione americana. Proprio così: gli americani più poveri sono, in media, più ricchi degli indiani più ricchi.

 

Tutto questo è molto interessante e sembra suggerire che il primo compito di chi vuole combattere la disuguaglianza a livello mondiale è quello di ridurre le barriere all'immigrazione. Francamente, a fronte di differenze globali di questa natura, discutere degli spostamenti di reddito tra poveri e ricchi all'interno dei paesi occidentali sembra abbastanza irrilevante. Cosa invece voglia dire Rossi non si capisce. La questione dell'andamento della disuguaglianza a livello globale è ampiamente dibattuta, dato che esistono problemi di misurazione non piccoli. Per chi è interessato consiglio di guardare qui e qui. Una cosa che credo si possa dire con una certa tranquillità è che esiste consenso sul fatto che l'apertura ai mercati internazionali di Cina e India ha indubbiamente ridotto la disuguaglianza a livello globale. Cosa sia successo alla disuguaglianza nel suo complesso è cosa più complicata da stabilire. Il tema ritorna successivamente.

 

Contro questa rendita funziona la concorrenza?
«No. Gli Usa approvarono lo Sherman Act nel 1890, altri tempi. L`Italia vara la legge antitrust un secolo dopo, proprio quando. la concorrenza per la prima volta estesa su scala planetaria comincia a minare i diritti di cittadinanza, come ben descrive Robert Reich nel suo Supercapitalism. E la globalizzazione porta la disuguaglianza media mondiale a livelli mai visti».

 

La tesi secondo cui ''la globalizzazione porta la disuguaglianza media mondiale a livelli mai visti'' andrebbe argomentata, magari evitando di citare Reich che ha più prestigio nei media che nell'accademia (leggete qui cosa ne pensava Krugman di questo signore). Come osservato prima, la questione di cosa sia successo alla disuguaglianza globale resta abbastanza controversa. Ma anche assumendo che la disuguaglianza sia aumentata, è abbastanza ovvio che i paesi che sono rimasti indietro sono principalmente quelli che non sono riusciti a inserirsi nel circuito del commercio internazionale. Chi lo ha fatto, come Cina e India, ha chiaramente contribuito alla riduzione della disuguaglianza globale. L'apertura dei mercati al commercio internazionale è solitamente la forma più importante in cui la concorrenza si dispiega; la legislazione antitrust, pur importante in diversi settori, viene senz'altro dopo. Per cui, da dove arriva il reciso ''no'' che apre la risposta? Non ci è dato sapere.

 

II Brasile ora protegge la sua industria dell'auto.
«Senza che Fiat e Volkswagen, colà producenti, se ne lamentino. Lula, un sindacalista, ha fatto crescere il Paese e ha ridotto le disuguaglianze con vasto consenso, anche borghese. La globalizzazione non cancella l`interesse nazionale come dicono i teorici del free trade fermi a quando l`industria stava a Manchester e il cotone in India».

 

Veramente una domanda strana, visto che arriva completamente all'improvviso; fino a quel momento nessuno aveva parlato di protezionismo o di Brasile. Tant'è. La domanda inizia molto male, lasciando intendere che i recenti provvedimenti protezionistici siano una novità.  In realtà il Brasile ha una storia abbastanza lunga di protezione dell'industria dell'auto, che non è diversa da quella di tanti altri paesi: imprese forti e politicamente influenti riescono spesso a ottenere protezione dal governo. Anche le conseguenze sono quelle solite e documentate mille volte. Prezzi più alti per i consumatori e minore innovazione. L'ultimo pacchetto protezionista sembra segnalare una nuova tendenza più protezionista del governo brasiliano, e i suoi effetti si vedranno tra un po'. Nel frattempo, la domanda è: nel processo di espansione del reddito che si è verificato in Brasile, che ruolo ha giocato il commercio internazionale? E qui la risposta è molto facile: l'indice di apertura (import più export diviso PIL) è più che raddoppiato dal 1980, ed è particolarmente accelerato da metà anni 90; si veda questo rapporto dell'OCSE, in particolare pagina 10. Niente di nuovo o sorprendente a dir la verità. La crescita, in Brasile e altrove, è andata di pari passo con l'espansione del commercio internazionale. Come al solito, il protezionismo è un retaggio del passato e un pericolo per il futuro.

Se la domanda è mal posta, la risposta è incommentabile. Che Fiat e Volkswagen, che hanno stabilimenti in Brasile, non si oppongano ai dazi protezionisti sulle auto è il minimo che ci si possa attendere, dato che ne beneficiano direttamente. A Rossi, per qualche strana ragione, questo pare un fatto degno di nota. Poi comincia una serie di non sequitur. È vero che la disuguaglianza in Brasile è calata, e a dir la verità ha iniziato a calare anche prima di Lula. Le cause sono dibattute (sempre nel rapporto OCSE prima citato si veda il Box 7 a pagina 35) ma il messaggio è esattamente l'opposto a quello che Mucchetti e Rossi cercano di far passare in modo subliminale: è perfettamente possibile attuare politiche di riduzione della povertà e della disuguaglianza in un'economia che si apre sempre di più al commercio estero. Lasciamo perdere, per carità di patria, la boiata sui ''teorici del free trade'' fermi al cotone in India. Chissà dove le pescano certe idiozie.

 

II primo diritto di cittadinanza eroso dalla globalizzazione?
«È la possibilità diffusa di avere una vita migliore. Occupy Wall Street nasce dalla percezione che questo diritto, base del sogno americano, è evaporato».

 

Bene, questo Rossi può andarlo a raccontare ai milioni di cinesi e indiani che grazie alla globalizzazione sono usciti dalla miseria. Poi ne riparliamo. Intanto mi compiaccio con lui che ha già capito tutto del movimento Occupy Wall Street.

 

Negli Usa gli studenti si fanno prestare soldi dalle banche.
«E le banche hanno mille miliardi di dollari di crediti inesigibili perché i neolaureati, grazie alla concorrenza globale voluta dal sistema finanziario, non trovano lavoro abbastanza pagato da poter rimborsare il debito».

 

Qui il commentatore Marco Divice mi ha preceduto. I mille miliardi sono il totale dei prestiti, non i ''crediti inesigibili''. Ovviamente la crisi ha aggravato i problemi di solvibilità, in questo e in altri settori, ma dire che il 100% degli student loans sono inesigibili è semplicemente una colossale asinata.

Ma veniamo finalmente alla parte più succosa dell'intervista, il manifesto ideologico per così dire.

 

In verità, Reagan e la Thatcher vinsero libere elezioni: la Golden Age aveva portato inflazione.
«L`inflazione derivò principalmente dalle guerre del Vietnam e del Medio Oriente. Reagan e la Thatcher vinsero perché i ceti medi, ancora forti delle storiche protezioni, credettero di poter tornare al sogno americano della frontiera. Poi, smantellato il welfare, fermati i salari, hanno scoperto la realtà dei debiti. Come ha ben ricordato Lars Osberg, è stata la disuguaglianza crescente dei redditi a generare gli eccessi di debito privato e pubblico.
Ma la disuguaglianza l`ha prodotta la politica che, obbedendo alla finanza, ha creato il mostro che la divora».

 

Sentite, facciamo così. Io mi sono veramente rotto di essere costretto a cercare dati per ribattere a tutte le affermazioni stravaganti che vengono fatte. Quindi rovescio l'onere della prova. Rossi, o i suoi seguaci che si sono entusiasmati per il pezzo, vadano a cercare i dati sulla spesa per pensioni negli USA dal 1980 a oggi. Poi cerchino anche i dati sulla spesa per Medicare, il programma pubblico di assistenza sanitaria agli anziani (qualche dato sulla spesa pubblica per la sanità lo potete trovare in questo post di Andrea Moro). Li presentino e poi discutiamo, e vediamo se c'è stato o meno lo ''smantellamento del welfare''. Sui, salari, chi li avrebbe ''fermati''? I salari più bassi sono cresciuti molto poco (e questo è un problema, beninteso), quelli medio alti sono cresciuti di più e la dispersione salariale è aumentata. Anche qui, un po' di dati please, e poi ne parliamo.

Che cavolo voglia dire che poi si è ''scoperto la realtà dei debiti'' è impossibile capire, è una di quelle frasette demenziali alla Tremonti che non vogliono dire nulla e servono a impressionare i giornalisti con background umanistico. Un po' più chiaro quello che dice dopo: è stata la disuguaglianza crescente dei redditi a generare gli eccessi di debito pubblico e privato. È anche una sonora cazzata. Il debito pubblico negli Stati Uniti ha avuto un andamento altalenante. Il deficit è cresciuto negli anni Ottanta, esattamente perché non ci fu alcun taglio sostanziale al welfare ma ci fu una riduzione della pressione fiscale. Meno tasse senza meno spese generano più debito pubblico, la disuguaglianza non c'entra nulla. In ogni caso, con la sopraggiunta espansione delgli anni Novanta, il bilancio pubblico americano raggiunse un superavit. Ci volle G.W. Bush con i sui rinnovati tagli delle tasse per causare di nuovo il deficit, a cui si è aggiunta l'espansione della spesa per la sanità pubblica, il cosidetto Medicare Part D (yes darling, questo è stato lo smantellamento dello stato sociale), e le guerre in Irak e Afghanistan. Infine, il debito USA è esploso con la crisi, principalmente per cause cicliche. Di nuovo, la disuguaglianza non c'entra nulla.

A meno che, ovviamente, non si voglia raccontare la storiella della ''crisi causata dalla disguaglianza''. Siccome anche qui mi sono rotto di dire sempre le stesse cose, mi limito a qualche link. Qui trovate un blog post di Krugman in cui spiega perché è scettico dell'argomento. Qui trovate uno studio accademico molto dettagliato di Atkinson e Morelli. Qui trovate un blog post con riassunto sulla letteratura. La posizione politica di Krugman è nota. Atkinson è un illustre studioso, coautore insieme a Stiglitz, di un noto manuale di economia pubblica. Gli ignoranti alla Rossi & seguaci che continuano a ripetere che hanno trovato la magica spiegazione di tutto nella disuguaglianza facciano il favore di studiare. Poi ne riparliamo.

OK, fine della grande analisi teorica del nostro. Passiamo quindi alla alle prescrizioni di politica economica.

 

E dunque?
«Dunque si deve ripartire dal contenimento delle disuguaglianze per ricostruire una crescita sostenibile, altrimenti si resta prigionieri di quella veduta corta criticata da Tommaso Padoa Schioppa».
Di crescita parlano Trichet e Draghi al governo italiano.
«Quella lettera segnala il predominio della moneta sulla politica. Ma quando il punto centrale è il riequilibrio dei flussi della ricchezza, la politica non può essere delegata alla Bce, che ha per scopo istituzionale la stabilità dei prezzi e degli intermediari».

 

Come direbbero Cochi e Renato, proprio lì volea volare l'uselin de la comare. La storiella della disuguaglianza che causa la crisi deve essere giusta, a dispetto della analisi teorica raffazzonata e dei dati inesistenti, perché conduce alla conclusione giusta: la disuguaglianza va ridotta perché il questo modo si combatte la crisi e si crea ''crescita sostenibile''. Lì è dove vogliono arrivare Rossi e seguaci. Per questo Civati chiama l'ammasso incoerente di sciocchezze, con opportuno condimento di errori fattuali, contenute in questa intervista addirittura una lezione magistrale. Per questo Gilioli titola ''Da dove parte la crisi''.

Questa è la mia domanda a Civati, Gilioli e agli altri entusiasti del pezzo di Rossi.

Compagni, ma l'ipotesi di dotarsi di un minimo di coraggio? Si fa così fatica a dire che la disuguaglianza va ridotta e basta, senza cercare scuse stralunate? Guardate, l'argomento è molto semplice, e vi imploro di leggere Krugman. La povertà va combattuta perché è brutta e fa viver male, punto. Le persone povere hanno poche opportunità, non riescono a ottenere una educazione decente, sono più soggette a finire ai margini della società e tante altre cose ovvie che non devo stare a spiegare. Non dovete chiedere scusa a nessuno se volete combattere la povertà (che, dicho sea de paso, non è la stessa cosa della disuguaglianza; ma sto divagando). Ma non ci sono solide ragioni teoriche o empiriche per dire che l'aumento della disuguaglianza ha causato la crisi del 2008-2009. Il vostro dovere, se volete veramente combattere la povertà e non raccontarvi storielle autocompiacenti, è di capire come la povertà può essere ridotta. E, per favore, non fermatevi alle abituali cazzate redistributive da modello superfisso. La povertà si riduce principalmente con lo sviluppo economico, e la cosa difficile è assicurarsi che lo sviluppo non venga strangolato quando si cerca di redistribuire il reddito.

Stiamo per arrivare alla fine, ma c'è un pezzo abbastanza succulento.

 

Le banche centrali sono una riserva di classe dirigente.
«Vero. Ma di che tipo? Leggo sul New York Times e su Le Monde dei tre anni di Draghi vicepresidente per l`Europa di Goldman Sachs a ridosso dello swap che la banca americana organizzò per nascondere il debito pubblico greco…».
Il presidente della Bce ha chiarito di essere arrivato dopo.
«E io non mi associo certo al New York Tìmes che si chiede se sia stato sincero, ma osservo che Draghi firmava paper sui derivati con Robert Merton, il Nobel che era già famoso per aver cofondato il Long Term Capital Management, l`hedge fund fallito nel 1998. Voglio dire che gira ancora la cultura di prima. Che negava in radice il problema della disuguaglianza».

 

Questo non lo commento, se non per osservare l'oggettiva affinità intellettuale e culturale del nostro leguleio di sinistra con il fascista rifatto che scrive sul Giornale. A riprova di quale è veramente in Italia il pensiero unico dominante.

Un ultimo commento.

Visto che gli articoli discussi in questo post hanno preso la mossa dal cambio di guardia alla BCE, concludo esprimendo massima solidarietà e massimo rispetto per il compagno Draghi. Il fatto che sia riuscito a diventare governatore, in un posto dove la nazionalità conta e anche tanto, pur provenendo da un paese in cui ci sono così tanti ciarlatani è un imperituro tributo alla sua competenza e al suo carattere.

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Commenti

Ci sono 175 commenti

La frase sulla moneta è abbastanza oscura, ma azzardo un'interpretazione.  Probabilmente Rossi si riferisce (in modo alquanto criptico, ma una frase in un'intervista non è un articolo su una rivista accademica) al fatto che il monetarismo, e la conseguente "riforma" delle politiche monetarie delle maggiori banche centrali, si proponeva di risolvere definitivamente il problema delle recessioni da domanda.  In realtà gli effetti di questa evoluzione sono stati molteplici, e non tutti positivi:

  1. l'inflazione consolidata che era a due cifre è stata portata progressivamente ai valori ottimali di oggi (2%--5% circa, considerando anche paesi come l'Australia), sia pure a prezzo di una pesante recessione, che fu peraltro contrastata efficacemente con la supply-side economics.
  2. le politiche di inflation targeting nel loro complesso si sono rivelate efficaci, generando la cosiddetta "grande moderazione", interrottasi bruscamente con la crisi del 2008.
  3. le banche centrali, stabilizzando l'inflazione, hanno reso di fatto inutile la politica di bilancio per sostenere la domanda. Ciò in quanto la b.c. può controllare l'inflazione solo agendo sulla domanda aggregata (o sulle aspettative della medesima, che ai nostri fini è uguale), e "la banca centrale fa sempre l'ultima mossa".  Quindi se la b.c. non vuole che l'inflazione salga, non c'è fiscal policy che tenga; si avrà rialzo dei tassi, con o senza crowding out.  Una grossa fetta della "politica economica" tradizionale scompare di colpo.  Acquista importanza la supply-side policy, ma Rossi questo non lo sa e diffida perché (a torto) la ritiene ideologica e orientata a interessi particolari.
  4. Il punto precedente implica che se la b.c. sbaglia nel fare la politica monetaria, non c'è possibilità di correttivi di sorta.  Quindi le crisi permangono, e il benessere ne risente.

Naturalmente non è detto che Rossi sarebbe disposto a enunciare quanto scritto qui con la stessa precisione.  Ma può avere avuto una "conoscenza tacita" della questione dall'osservazione della situazione attuale e delle dinamiche economiche e politiche.

Per quanto riguarda il problema della disuguaglianza, concordo con la posizione di Krugman e dell'autore.  Ma faccio notare che un certo tipo di "disuguaglianza delle opportunità" può avere effetti anche pesanti sui fondamentali dello sviluppo e dell'attività economica, p.es. il livello di educazione, l'accesso al credito, l'iniziativa imprenditoriale ecc. Ovviamente i fondamentali in difficoltà impediscono anche di affrontare le crisi.

Spiegazione molto ben documentata. Ma ne posso proporre una molto più becera?

Becero mode on

La monete=le mazzette hanno convinto i politici a coprire i buchi dei banchieri con le tasse dei soliti fessi, e li hanno convinti che era per il loro bene. Ma la politica che non ne ha avuto una fetta si ribella! Ora se convinciamo i soliti fassi che noi siamo in grado di ridistribuire meglio i soldi, ce li daranno senza protestare. Ovviamente ce bisogno di ricordare che chi divide il malloppo tiene la parte migliore per se?

becero mode off.

Ma come dicevo è solo un'interpretazione personale!

 

 

 

La povertà si riduce principalmente con lo sviluppo economico, e la cosa difficile è assicurarsi che lo sviluppo non venga strangolato quando si cerca di redistribuire il reddito.

 

Io partirei da qui per cercare di capire cosa passa per la mente di chi nega questa evidenza.
Lo sviluppo (simbolo dietro cui sta tutto quello che sappiamo su innovazione, crescita, concorrenza, libertà) riduce la povertà e le disugualianze. Questo malgrado il fatto, incontrovertibile, che contemporaneamente cresce enormemente la popolazione (in 110 anni da 1.5 a 7 miliardi è una crescita enorme, mai vista prima in tutta la storia dell'uomo). Di solito chi è anticapitalista - di destra, di sinistra o clericali di vari colori - non è disposto a riconoscere la diminuzione delle disugualianze. Secondo loro queste diminuzioni possono essere ottenute solo ridistribuendo. Meglio se a farlo sono loro, of course. Alla prima crisi pero' (recessione, quindi calo dello sviluppo) sono pronti ad individuare ogni segnale di incremento della povertà e di crescita della disugualianza. Puntano il dito ed esclama "ecco cosa fa il capitalismo!".

Per non dover accettare la realtà, che lo sviluppo genere benessere per fette sempe piu' larghe della popolazione, invertono il rapporto causa effetto. Non è la crisi che genera povertà e disugualianza, ma è la disugualianza che genera la crisi. Questo mantra serve quindi a distrarre gli adepti - durante le crisi - sulla relazione crescita del benessere, diminuzione della povertà.

Naturalmente si tratta della classica storiella che trova sostegno in chi ci vuole credere; qui è difficile pensare di riuscire a far cambiare idea a chi crede "a prescindere".

È il caso di perderci tempo?

O piuttosto è meglio insistere su esempi concreti e studi di di facile comprensione sulla relazione "sviluppo e crescita del benessere"?

 

 

 

Per non dover accettare la realtà, che lo sviluppo genere benessere per fette sempe piu' larghe della popolazione, invertono il rapporto causa effetto. Non è la crisi che genera povertà e disugualianza, ma è la disugualianza che genera la crisi. Questo mantra serve quindi a distrarre gli adepti - durante le crisi - sulla relazione crescita del benessere, diminuzione della povertà.

 

L' affermazione è in se vera ma troppo generica, come anche la definizione di "benessere" molto variabile ed interpretabile soggettivamente: per esempio lo "sviluppo" economico e il conseguente incremento occupazionale delle aree di Priolo e Taranto, sebbene ora risentano della crisi globale", ha certamente generato un certo tipo di benessere ma anche un grande malessere di tipo sanitario, oltre al fatto di aver annientato altri tipi di potenziale sviluppo (turistico, agro-industriale, artigianale ecc.) e si assiste ad un ritorno di povertà allarmante, se la gente poi è contenta di poter avere un periodo anche molto lungo di elevata occupazione ma con enormi livelli di inquinamento e relative malattie si tratta di scelte rispettabili (che tuttavia ricadono sui costi pubblici) tuttavia altre scelte erano possibili e spesso la valutazione costi/benefici è una questione molto soggettiva dovuta anche al livello di conoscenza delle consegenze che si prospettano: probabilmente se la popolazione fosse stata messa al corrente di tutte le conseguenze e delle possibili alternative avrebbe desiderato scelte diverse; altri esempi sono Seveso in Italia e Bhopal  in India: tanto sviluppo economico e benessere sociale promesso che però di fatto ha causato più disastri che benecfici.

Quindi in linea teorica l' affermazione è vera ma nella pratica reale spesso è solo presunta perchè c'è una sostanziale *diseguaglianza* tra chi decide e chi subisce le decisioni e spesso chi decide è già in una posizione di privilegio economico, politico o entrambe; e anche quando alla popolazione è demandata la legittimazione democratica delle decisioni politiche, quasi sempre si tratta di un "consenso senza adeguata informazione", in presenza della quale magari le scelte effettuate sarebbero potute essere diverse.

La crescita della popolazione avviene spesso anche in condizioni di povertà e miseria, non c'è necessariamente una stretta relazione tra benessere e crecscita della popolazione, ovviemente al di sotto di un livello minimo di sopravvivenza c'è l' annientamento della popolazione ma non è affatto detto che questa cresca solo in condizioni di benessere e di "dignità", se andiamo ad osservare come questa è distribuita: per densità Countries_by_population_density  e in valore assoluto, ecco dove si concentra la popolazione mondiale; si vede bene come vi siano incrementi sia nell' occidente ben sviluppato e pasciuto, (sebbene in questo caso minori e nonostante la crisi attuale) che in paesi orientali dove non si può certo dire che il benessere e un livello minimo di "vita dignitosa" siano diffusi come da noi; interessante notare come Italia, Germania ed Inghilterra siano già ai massimi livelli di densità in europa e nel mondo, superati sia in valore assoluto che per densità da pasi asiatici come l' India dove, soprattutto in India, il livello di benessere medio è tra i più infimi del mondo.

Infine: se la crisi è la causa e la disuguaglianza l' effetto, qual'è, a sua volta, la causa della crisi? Le crisi hanno sostanzialmente 2 cause: una naturale (i disastri che normalmente succedono) e l' altra UMANA, per errori di valutazione o per precisa volontà di chi ha il potere di prendere decisioni. Questo è il punto. Prima però definiamo meglio il significato di "benessere" perchè se si tratta del "livello minimo di sopravvivenza per *fare figli*" questo risulta estremamente diffuso ma definirlo "stato di benessere" è molto opinabile.

 

Domanda: Guido Rossi al posto di Giulio Tremonti farebbe meglio o peggio? Una sorta di track record ce l'ha.

E ha scritto Capitalismo opaco (con il nostro "guru" Federico Rampini), Laterza, 2005, ISBN 88-420-7649-X;

A proposito di globalizzazione,ho maturato via via l'impressione ,discutendo via web con elettori dichiaratamente  social democratici,tendenti al radical-chic, i quali fanno  della riduzione della disuguaglianza,della distribuzione del reddito, del welfare come principio universale da garantire sempre e comunque e che pongono il benessere dell'individuo  al di sopra di qualsiasi altra logica, contrapposti quindi,secondo la loro visione, ai sostenitori del libero mercato, che questi guardino con favore alla globalizzazione solo quando questa significa flusso in entrata di immigrati,  riduzione della povertà da parte della manodopera a basso costo e con basso livello di formazione.Al contrario la globalizzazione non va più bene quando questa produce  acquisto di imprese italiane da parte di capitalisti e gruppi stranieri.Come se in realtà il benessere diffuso, la difesa e la garanzia dei diritti individuali fondamentali, fossero solo una bandiera da agitare come segno di distinzione rispetto alla destra che sostiene solo il profitto e il libero mercato,  una leva per acquisire consenso, e  uno schermo dietro al quale nascondere in realtà la voglia di ostentare  supremazia umana sociale culturale ed economica  rispetto al flusso di immigrati poveri in entrata.Insomma ,la libera circolazione di persone merci e capitali va bene solo se accresce l'ego e il potere sulle classi meno abbienti ,non va più bene se invece gli stranieri che entrano sono più bravi di noi a gestire le nostre aziende a fare profitti e a dirigerci nel lavoro.

Mi piacerebbe sapere da qualche lettore di sinistra se questa mia osservazione descrive più o meno bene la cultura prevalente in quell'area politica-sociale.E se anche le altre socialdemocrazie europee o i liberal in USA presentino questi caratteristiche.

P.S.Spero di aver reso l'idea.Ho riversato di fretta ciò che avevo in mente e non ho fatto nemmeno colazione :-)

  

 

Scusate, io "sarei" un elettore di sinistra, quasi completamente ignorante in economia ma sinceramente intollerante alle posizioni che prevedono un aumento del controllo statale sull'economia e sulla politica monetaria ( forse solo perchè rimasi felicemente impressionato da alcune parti di "Stato e rivoluzione" di Lenin ).

Un dubbio sulla globalizzazione però ce l'ho e riguarda la "differenza" di modalità di spostamento del capitale. Sulla superficie globale i capitali fisici e monetari si spostano in un modo che, il capitale umano non può eguagliare ? Si può delocalizzare un'azienda ma è difficile farlo per i lavoratori, si può spostare il credito in no time ma io devo pagare biglietti aerei e abbandonare figli e famiglia.

Senza alcua supponenza vorrei capire se questo è un problema rilevato, se è forse un falso problema, p se la radice forse non è nella globalizzazione in sè, ma forse in altro??

Vi sarei grato se mi rispondeste, anche se non sono un commentatore "noto":D

Insomma ,la libera circolazione di persone merci e capitali va bene solo se accresce l'ego e il potere sulle classi meno abbienti ,non va più bene se invece gli stranieri che entrano sono più bravi di noi a gestire le nostre aziende a fare profitti e a dirigerci nel lavoro.

Mi sembra che l'articolo di Veneziani sia l'esempio piu' vicino di quanto questa non sia affatto un istinto solo della sinistra (l'inglese invasore che si compra le aziende). Si veda anche il caso alitalia e malpensa.

Dato che adesso avrai anche pranzato, riscrivi i termini della tua questione, perché veramente non c'ho capito un granché.

Capisco che dall'esterno le cose possano sembrare così ma quello che avviene nella testa del socialista radical-chic è un po' diverso (e lo so bene perché fino a qualche anno fa, prima di incontrare nFA, rientravo perfettamente nel target descritto).

Non è proprio vero che pongono il benessere dell'individuo sopra a tutto, direi che il bene ultimo è il benessere della collettività, per cui la libertà del singolo può essere limitata (e quindi anche il benessere del singolo è subordinato). Il punto è che effettivamente il libero mercato è visto come un nemico di questo benessere. Per esempio, pur essendo giovane ho visto in tv le repliche di Pasolini quando, intervistato da Biagi, distingueva fra sviluppo e progresso; ecco, i miei genitori non solo se lo ricordano ancora, ma pensano che avesse ragione su tutta la linea.

È vero che la globalizzazione, nel complesso, non è né positiva né negativa. Ci sono diversi aspetti, alcuni valutati positivamente ed altri negativamente (individuati correttamente da te). Ma questo non dipende dalla voglia di distinguersi dalla destra: dipende solo dal presupposto che se i poveri guadagnano libertà allora è bene perché possono accrescere il proprio benessere, se i ricchi guadagnano libertà allora è male perché possono arricchirsi a spese degli altri, magari truffando direttamente le masse o comunque concentrando capitali a spese di tutti (il modello superfisso...).

Il discorso sull'"acquisire consenso" non appartiene sicuramente alla massa, chi abbocca a queste teorie lo fa in buona fede. Magari descrive bene gli obiettivi dei "capi" che queste politiche lo propongono, ma stiamo parlando di un numero ridottissimo di persone rispetto alla massa, e non spiega perchè tali idee abbiano così tanto successo. È poi è un discorso che vale per tutti: qualunque partito persegue la politica che di fatto permette di accrescere il proprio potere, ed i pretesti ideologici si creano ad hoc. Non c'è nulla di speciale col socialismo.

Ancora con queste ossessioni: prima Fassina, ora Civati, Rossi e company (chissá se compagni).

Caro Brusco,

noto con interesse che le sue invettive verso alcuni personaggi stanno aumentando prepotentemente in questo periodo; posso anche capire il perché. Uno pensa, poi questi dovranno governare e faranno danni; ma secondo me lei continua a dare troppo peso a persone che non capisco perché lei ritiene fantomatici "guru" della sinistra.

Nella sostanza, devo notare peró che queste invettive mi sembra iniziano ad assomigliare a vere e proprie ossessioni, che le fanno perdere di luciditá e la inducono a commettere quelli che secondo me inziano a diventare errori grossolani. Altrove ho avuto modo di leggere suoi pezzi ficcanti e lucidi sul ruolo dela distribuzione. Ultimamente mi sembra che nel tentativo di screditare alcune posizioni, e accreditarne altre (e per favore non mi dica che gli economisti seri sono apolitici, bla bla, perché é palesemente impossibile), si sta perdendo tanti pezzi di letteratura economica che sicuramente conoscerá, anche molto meglio del sottoscritto.

Accetto quando sostiene che

Ma non ci sono solide ragioni teoriche o empiriche per dire che l'aumento della disuguaglianza ha causato la crisi del 2008-2009.

Di per se, non esistono studi che trovino un effetto causale dell'ineguaglianza sulla crisi attuale.

Peró lei sostiene anche

Non dovete chiedere scusa a nessuno se volete combattere la povertà (che, dicho sea de paso, non è la stessa cosa della disuguaglianza; ma sto divagando). Il vostro dovere, se volete veramente combattere la povertà e non raccontarvi storielle autocompiacenti, è di capire come la povertà può essere ridotta. E, per favore, non fermatevi alle abituali cazzate redistributive da modello superfisso. La povertà si riduce principalmente con lo sviluppo economico, e la cosa difficile è assicurarsi che lo sviluppo non venga strangolato quando si cerca di redistribuire il reddito.

Ma come, e tutta la letteratura su market imperfections, heterogeneity e via dicendo e poverty traps? Ormai é quasi common knowledge (teorico) che in presenza di questi elementi la distribuzione ha un ruolo rilevante nel determinare il sentiero di crescita/sviluppo e quindi di riduzione della povertá. Su questo punto anche nel pezzo su Fassina, mi sembra che lei sorvolava troppo allegramente. Mi sembra, quindi, incredibile ridurre, ancora oggi, le questioni redistributive a semplici elementi etici, come se non avessero un ruolo economico effettivo. Quindi non é necessario ritornare a sto cavolo di superfisso per giustificare la rilevanza della distribuzione nel processo di crescita e sviluppo economico.

Vorrei aggiungere un elemento al dibattito; anche in uno dei lavori da lei citato (Atkinson e Morelli), si accenna alla possibilità teorica che status motives, o meglio positional concerns, diano alla distribuzione un ruolo rilevante nell'influenzare le scelte individuali (es. keeping up with joneses, habits e cosí via) e tramite queste influenzare le grandezze aggregate, com PIL, tassi di povertà e via dicendo. Iniziamo a ragionare se questi elementi possano aver indotto o stimolato ad esempio l'eccessiva "necessità" di comprare villette nei USA; se cosí fosse, e dati é vero ce ne sono pochi (quindi non assumo una posizione certa), una delle possibili spiegazioni della crisi potrebbe ritrovarsi nei comportamenti e nelle scelte indotte da questi positional concerns associati a eccessiva ineguaglianza.

mi scuso per la lungaggine, avrei altri punti da sottolineare (soprattutto su educazione e prestiti) ma non voglio esagerare. eventualmente le propongo un altro commento su education come positional concerns e prestiti.

 

Ma come, e tutta la letteratura su market imperfections, heterogeneity e via dicendo e poverty traps? Ormai é quasi common knowledge (teorico) che in presenza di questi elementi la distribuzione ha un ruolo rilevante nel determinare il sentiero di crescita/sviluppo e quindi di riduzione della povertá.

 

 

Già che ci sei riesci a darmi un po' di references?  E' un'area di macro in cui non ho mai letto in maniera sistematica e ho ancora le idee poco chiare. Grazie.

 

 


Ti dispiacerebbe fare due cose:

Ma come, e tutta la letteratura su market imperfections, heterogeneity e via dicendo e poverty traps? Ormai é quasi common knowledge (teorico) che in presenza di questi elementi la distribuzione ha un ruolo rilevante nel determinare il sentiero di crescita/sviluppo e quindi di riduzione della povertá. Su questo punto anche nel pezzo su Fassina, mi sembra che lei sorvolava troppo allegramente. Mi sembra, quindi, incredibile ridurre, ancora oggi, le questioni redistributive a semplici elementi etici, come se non avessero un ruolo economico effettivo. Quindi non é necessario ritornare a sto cavolo di superfisso per giustificare la rilevanza della distribuzione nel processo di crescita e sviluppo economico.

 

Ti dispiacerebbe (son certo che no) farci due favori:

1) references che PROVINO quanto sostieni;
2) il tuo nome e cognome.

So you can put your money where your mouth has gone.

Grazie.

Compagni, ma l'ipotesi di dotarsi di un minimo di coraggio? Si fa così fatica a dire che la disuguaglianza va ridotta e basta, senza cercare scuse stralunate?

lNon sono nè Rossi, nè Civati, ma provo a rispondere lo stesso.

Caro Prof. Brusco, compagno sarà lei, noi siamo "intellettuale di sinistra con preferenze verso i posti pubblici di dirigente lautamente pagato, nonchè interisti che hanno attribuito uno scudetto immeritato alla suddetta squadra" e "rottamatore" che non significa un piffero, ma fa molto operaio dell'auto.

Stabiliti i ruoli le ricordiamo che noi delle differenze salariali ce ne freghiamo altamente, visto che siamo ai top level del sistema, ben inclusi in quella "casta" che dice agli italiani che devono fare sacrifici, ma non vuole saperne di farne, ma se non diciamo qualcosa a quella gente che ci dovrebbe votare pima, dare laute consulenze poi, noi che fine facciamo ?

Allora, quando la "ggente" si sente più povera c'è un solo modo per non farle capire che siamo incapaci di avere un progetto serio, così come lo siamo stati nel passato: le diciamo che il problema è un altro. Il problema è quel grasso banchiere (negli anni '30 del secolo scorso era ebreo, ma oggi non conviene, pare che Israele abbia l'atomica), che schiaccia un tasto e guadagna un fantastilione, mentre tu alla catena di montaggio ti fai un mazzo così. E poco importa che se la Borsa cala, i titoli di Stato di alcuni paesi somigliano alla carta igienica, chi ci perde sono proprio i "grassi banchieri", poco importa che fare l'imprenditore in Italia assomiglia al giocare al Superenalotto: chi guadagna è solo il Banco, l'importante è che tu creda che il problema è un altro, oggi lo chiamiamo "diseguaglianza salariale", ma domani useremmo gli stessi stupidi argomenti per un problema che chiameremo "pippo", va bene uguale.

E non ci chiami mai più compagni.

 

... l'importante è che tu creda che il problema è un altro ...

 

E che la soluzione, qualunque sia, la debba pagare un altro ...

Scusate la mia ignoranza, ma il Guido Rossi che ha rilasciato quell'intervista e' questo? http://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Rossi

qunado ero piccolo, nel secolo scorso il 'drake' era  Ferrari Enzo (lui, non la macchina) adesso e' Draghi. Ambedue mostrano che senza star tanto a pestar acqua nel mortaio, la "nazionalita'" (qualsiasi cosa essa sia) conta meno di zero, di fronte a competenza.

Per Rossi, poco da dire, per i "rottamatori" ho il dubbio lancinante che siano un club di stronzetti cresciuti alla scuola dello "spettacolo della realta'" (come avete tradotto reality show?). Si accollano qualsiasi imbelle scemenza. 

Un'ideuzza banale per chi vuol dire qualcosa al "partito democratico" (sic), se davvero questi pensano che vi siano ragioni  per cui l'autoevidente ascesa di una massa di due miliardi di persone (indiani e cinesi da soli sono piu' di due miliardi) vada schiacciata e ostacolata da les opinions des fumiers, lo dicano chiaro e tondo, almeno si sa per chi gl italiani verranno chiamati a votare.

Se invece pensano che l'uguaglianza, in se e per se direbbero i begriffi di Napoli, sia un valore che va incentivato, lo dicano senza mascherarsi con le divise da marinaretti del Britannia che hanno ascoltato dal maggiordomo che i potenti ... cospirano...

 

 

Compagno renzi, e.. crescere? per la crescita siam tutti a parole, io mi preoccupo del passaggio all'eta' adulta.......

 

Maledetto, tu e gli hegeliani napoletani che meritarono tale soprannome...-). certo che dare del parolaio con un concetto di appartenenza filosofico... 

Ho sentito spesso questa storia del Britannia. Solo una domanda, per chi lo sa. Quali aziende pubbliche sono state vendute agli stranieri per effetto di questo incontro? Negli articoli che ho trovato un pò in giro non c'è nessuna lista.

ma qui non c'è un elenco. O ci vedo male?

Elenco breve qui; elenco dettagliato qui.

 

Su "La Repubblica" di oggi, a pagina 33, c'è un articolo a firma di Jean-Paul Fitoussi:

 

La disuguaglianza e il suo aumento inarrestabile sono al tempo stesso causa ed effetto della crisi. Perché si è arrivati a questo punto?
Nei Paesi industrializzati veniamo da trent’anni di crescita della disuguaglianza di pari passo con la dottrina dominante, che dalla rivoluzione conservatrice dell’inizio degli anni Ottanta ha generato una conversione al liberalismo, al free trade, alla
deregolamentazione. Il fenomeno è caricaturale negli Stati Uniti, dove il 10% più ricco ha visto la quota di reddito nazionale aumentare del 15% mentre il salario medio dell’altro 90% conosceva una stagnazione.
Oggi la disuguaglianza è più forte che alla vigilia della crisi, e la ragione è la seguente: se c’è una stagnazione del reddito della grande maggioranza della popolazione, la domanda globale è bassa. Per contrastare quest’insufficienza la politica monetaria diventa espansionista. La gente che aveva difficoltà ad arrivare alla fine del mese ha fatto prestiti, e così il debito privato è aumentato. Dall’altra
parte ci sono quelli che hanno avuto benefici dall’aumento della disuguaglianza, cioè i ricchi, che hanno visto la loro quota di reddito aumentare in modo enorme.
Si sono ritrovati con un mucchio di soldi da spendere e hanno comprato case, titoli, azioni. Il che spiega la bolla speculativa,  aggravata dal ritardo con cui ci si è accorti che questa accumulazione di ricchezza era illusoria, perché i mercati stavano sopravalutando il valore degli asset.
Mentre accumulavano ricchezza i ricchi accendevano prestiti, che sono andati a sommarsi ai debiti di necessità del resto della popolazione. Quando le bolle speculative sono esplose, tutte le economie del mondo si sono trovate davanti a un eccesso di debito privato che ha fatto crollare le economie. Questo crollo ha fatto diminuire le entrate fiscali e quindi aumentare il disavanzo pubblico. I governi hanno provato a contrastare l’effetto della crisi con piani di rilancio finanziati con risorse pubbliche: c’è stata una sostituzione fra debito privato e debito pubblico.
Ha contribuito all’aumento della disuguaglianza la diffusa fede che per guadagnare in competitività in un’epoca di globalizzazione le cose più importanti fossero diminuire lo stato di protezione sociale, ridurre il costo del lavoro, non tassare i ricchi per evitare che cambiassero Paese. Si è diminuita la progressività dell’imposta e si sono alleggerite le tasse solo sulle imprese. È urgente invece rendersi conto che il sistema capitalista non può sopravvivere che in un contesto dove la disuguaglianza è tenuta sotto controllo.
Va ripristinato il principio-base della democrazia, che è «una persona un voto», e non come indica il mercato «un euro un voto».  Servono compromessi tra principi contraddittori, il capitalismo ha conosciuto i suoi periodi di gloria quando è riuscito in questo compromesso,  aumentando per esempio la protezione sociale, fattore cruciale di stabilizzazione. Serve insomma la consapevolezza che se la disuguaglianza è troppo elevata si pone un serio problema politico di regressione della democrazia.
("testo raccolto da Eugenio Occorsio")

 

 

Dato che l'articolo è pieno di fesserie, e considerata la scritta in calce, ho fatto una breve ricerca per trovare la fonte, ma non ho avuto molto successo. Credo che il tutto sia vagamente ispirato a questo discorso di Fitoussi, anche se come fonte risulta un po' datata. (C'è anche il video, in cui sostanzialmente legge quello che c'è scritto nel primo link - saltare al min 5 e 45'')

Sta dicendo che (per esempio) la bolla dei sub-prime deriva dal fatto che i super-ricchi hanno comprato tante "case, titoli, azioni"?

E poi "Mentre accumulavano ricchezza i ricchi accendevano prestiti", quindi in pratica i ricchi sono andati in default. Questo avrebbe almeno dovuto diminuire la disugualianza no?

 

 

Sei in forma smagliante, Sandro.

quello di Pippo Civati, detto ''il rottamatore'' (che, giusto per essere chiari, su questo sito è un complimento)

Allora ti suggerisco un aggiornamento: di "rottamatore" c'è rimasto solo Renzi, perchè da molti mesi Civati ha divorziato e si è messo in proprio (con la Serracchiani), e preferisce il termine "innovatore" (cioè ha rottamato il vecchio impeto eccessivamente rivoluzionario e, forse, un po' qualunquista).

A dire il vero non mi pare che neanche Renzi abbia usato granchè il termine "rottamatore" quest'anno - non sta bene e non è bello, comunque Bersani gli ha detto lo stesso che è un asino che scalcia.

RR

Un asino che scalcia? Tra ulivisti dovrebbe essere un complimento!
È una ben strana gaffe, visto che tra le varie confuenze del PD si sono quelli dell'asinello, "i Democratici" che allora vedevano insieme Parisi, Prodi, Di Pietro e Rutelli. Vedendo il simbolo, mi pare che sia proprio un asino che scalcia... :-) Mi pare che sia anche il simbolo dei Democrats americani.

Proprio a Bersani le battute non vengono bene.

 

Guido Rossi è stato mio professore di diritto commerciale e di diritto industriale a Pavia negli anni '60. Era un docente simpatico, interessato alla legislazione commerciale americana, critico delle pratiche seguite nelle società italiane, controllate da ristretti gruppi di azionisti (a suo dire). Ha contribuito in qualche misura alla modernizzazione del diritto commerciale italiano, anche se il merito maggiore, a mio parere, va riconosciuto alle politiche comunitarie.

La sua involuzione intellettuale non sembra avere sinora intaccato il suo prestigio nell'establishment. Da quando Roberto Napoletano ha assunto la direzione del Sole 24 Ore, è diventato collaboratore fisso che ogni domenica sforna un articolo, collocato come editoriale, per lo più di tenore paragonabile all'intervista data a Mucchetti. Quando li leggo, sento un po' di nostalgia per la rubrica di Giuliano Amato (lettera dall'Europa) che almeno si esprimeva in termini composti e senza la hubris che ormai connota il primo. Allora mi chiedo: qual'è il segnale che ci manda il quotidiano di Confindustria? forse si stanno alinenando allo schieramento politico che, nelle loro previsioni, governerà prossimamente il Paese?    

 

Esatto. E Guido Rossi vuole essere della partita, invece di godersi la vita come ricco pensionato.

La sua involuzione intellettuale non sembra avere sinora intaccato il suo prestigio nell'establishment.


Sembra evidente, anche sulla base dell'esempio che tu porti un attimo dopo, che l'involuzione intellettuale l'abbia infatti aumentato (il prestigio di costui nell'establishment).

Il che altro non fa che confermare ciò che quei pochi come me pensano dell'establishment imprenditoriale italiano.

Solitamente evito di scrivere repliche di pura approvazione, ma per una volta voglio sottolineare la mia vivissima approssimazione per due passi dell'articolo:

 

Compagni, ma l'ipotesi di dotarsi di un minimo di coraggio? Si fa così fatica a dire che la disuguaglianza va ridotta e basta, senza cercare scuse stralunate? Guardate, l'argomento è molto semplice, e vi imploro di leggere Krugman. La povertà va combattuta perché è brutta e fa viver male, punto. Le persone povere hanno poche opportunità, non riescono a ottenere una educazione decente, sono più soggette a finire ai margini della società e tante altre cose ovvie che non devo stare a spiegare. Non dovete chiedere scusa a nessuno se volete combattere la povertà (che, dicho sea de paso, non è la stessa cosa della disuguaglianza; ma sto divagando). Ma non ci sono solide ragioni teoriche o empiriche per dire che l'aumento della disuguaglianza ha causato la crisi del 2008-2009. Il vostro dovere, se volete veramente combattere la povertà e non raccontarvi storielle autocompiacenti, è di capire come la povertà può essere ridotta.

 

Sara' un bel giorno quando gli appartenenti alla subcultura rossa italiana iniziaranno ad imparare questa lezione.

 

concludo esprimendo massima solidarietà e massimo rispetto per il compagno Draghi. Il fatto che sia riuscito a diventare governatore, in un posto dove la nazionalità conta e anche tanto, pur provenendo da un paese in cui ci sono così tanti ciarlatani è un imperituro tributo alla sua competenza e al suo carattere.

 

E anche su questo sono d'accordo al 100% con Sandro.

 

Scusi ma forse ho frainteso la frase che lei commentava era questa:

''la moneta ha conquistato la politica per farle ridisegnare a suo piacere i mercati. Ma siccome ha promesso ma non consegnato il benessere generale la politica si ribella''

Per la mia risposta "becera" Scusi ma in un paese liberista come l'America com'è stato possibile che delle banche, aziende private, sull'orlo del precipizio hanno ottenuto una marea di soldi pubblici senza che i politici implicati non abbiano ottenuto dei "benefici". Mi sembra arduo pensarlo.  

BCE è chi ha parlato di BCE? Io ho parlato di una politica che vuole vendersi come ripartitore equo. Sbaglio o è la posizione politica del soggetto in questione?

 

Scusi ma in un paese liberista come l'America com'è stato possibile che delle banche, aziende private, sull'orlo del precipizio hanno ottenuto una marea di soldi pubblici senza che i politici implicati non abbiano ottenuto dei "benefici". Mi sembra arduo pensarlo.

 

La regulatory capture può avere diverse cause, non implica che siano circolate mazzette tra banche e politica.  Inoltre in piena crisi finanziaria era considerato prioritario salvare le banche "troppo grandi" per ripristinare la credibilità e il funzionamento del sistema finanziario.  Mi risulta poi che negli Stati Uniti si siano "salvate" ogni sorta di industrie con prestiti pubblici, ad esempio nell'ultima crisi quella dell'auto.  Furono istituiti anche gli incentivi alla rottamazione, soprannominati "cash for clunkers" e duramente criticati da molti economisti.

 

BCE è chi ha parlato di BCE? Io ho parlato di una politica che vuole vendersi come ripartitore equo. Sbaglio o è la posizione politica del soggetto in questione?

 

Rossi nell'intervista (più avanti rispetto alla citazione che lei riporta) dice che la lettera Trichet-Draghi "segnala il predominio della moneta sulla politica."  Quindi afferma che "la politica non può essere delegata alla Bce" in quanto è importante il riequilibrio dei flussi di ricchezza.

In definitiva, Rossi se la prende proprio con le autorità monetarie che a suo dire non fanno l'interesse generale, quindi le ritiene poco credibili in fatto di proposte politiche al governo italiano.

Ora, non c'è dubbio che Rossi persegua una linea politica precisa, e dire che le disuguaglianze di ricchezza o di reddito hanno causato la crisi è una boiata.  Ma se si vuole risolvere costruttivamente una situazione complessa come quella attuale, occorre fare i conti con le questioni così come si presentano.  Anche solo per quanto riguarda la banale redistribuzione dei redditi, c'è modo e modo di redistribuire.  Sarebbe bene studiare i paesi scandinavi, che tassano e redistribuiscono più di tutti ma su tutto il resto hanno fatto politiche di sviluppo e libertà economica[1], così che la loro economia tutto sommato resta in piedi.  Noi invece ci ritroveremo (alla prossima legge di austerità) tasse al livello della Svezia e servizi pubblici al livello della Grecia.

[1] Ad esempio, si veda Bergh (2006), Explaining Welfare State Survival: The Role of Economic Freedom and Globalisation.

Nel post, affiancate alle argomentazioni, vedo indicazioni di diversi paper che segnalano la difficoltà degli argomenti e la necessità di studi specifici. Allora, a parte Veneziani che mi pare davvero un caso umano, mi chiedo come mai Rossi o altri che pure hano esperienza accademica si addentrino a trattare temi su cui non hanno competenza abbandonando la metodologia scientifica sostituita da pregiudizio ed ideologia. Ed ancora, trovo strano che questo accada per l'economia molto, ma molto più che per altre scienze. Che poi costoro vengano pubblicati, rappresenta un ulteriore aspetto assai discutibile.

Qui l'articolo originale, da cui traggo una citazione:

 

Un po' perché l'ultima ideologia, quella liberista  -  peraltro in una versione bastarda, visto che gli interventi pubblici ci sono e come  -  non riesce a morire.

 

Adesso alcune notazioni tratte da una conversazione pubblica su FB con Fabio Scacciavillani: il nostro (nostro perchè è usualmente presente alle giornate nFA e gli ho anche offerto un caffè) confonde Giakarta con Bangkok e la Thailandia con l'Indonesia (sarà un esperto di Asia ?), riguardo l'Islanda dice una sonora sciocchezza, poichè l'Islanda ha avuto il supporto dell'FMI fino ad Agosto scorso.

Per il resto nulla di nuovo, è sempre colpa del selvaggio mercato che non redistribuisce...

IO apprezzo particolarmente il fatto che comunque, anche con gli interventi pubblici che lui stesso dice di esistere, e' comunque una ideologia liberista ad essere colpevole.

Nel mio modo di pensarem se ci sono degli interventi pubblici e non funzionano come previsto, la colpa la si da' agli interventi pubblici, non ad altro. ma io non sono un filosofo e non scrivo su "la Repubblica" e non riesco ad apprezzare queste finezze della "neolingua" .

 

Esposito, ho sbattuto in una svista scambiando il paese (i 500 morti comunque furono a Giacarta), ma basare su questo la critica al pezzo mi ricorda il vecchio detto del dito e della luna. L'Islanda ha dapprima accettato la tutela Fmi, ma poi l'ha mandato via, no?

Qui ce n'e' un'altra, come dire, economically challenged: Michaela Biancofiore, deputata del PdL, che si esibisce nell'ennesima riedizione del complotto demoplutogiudomassonico. Su segnalazione di Libertiamo:

"Vi è un disegno internazionale che sta dietro la speculazione sui nostri titoli, il Presidente del Consiglio non c’entra! Anzi c’entra nel senso che è di ostacolo a coloro che vogliono impoverire gli Italiani. Stanno attaccando l’Italia perché è un paese ricco sia di mezzi finanziari privati, che di ottime aziende. Paesi che non hanno più tessuto industriale (vedi Inghilterra) ed altri (vedi Francia) che hanno perso montagne di denaro, stanno cercando di rifarsi a spese nostre. Svegliamoci tutti è l’appello accorato che rivolgo soprattutto agli eletti sotto il simbolo Pdl Berlusconi Presidente e che hanno a cuore davvero la Patria e i cittadini: Le banche sono affamate di utili e fanno trading dove c’è più da guadagnare.
Spillare interessi più alti ad un paese ricco è un gioco molto proficuo, specie se si e’ perso tanto su paesi poveri. Qualcuno può davvero pensare  che ci sia qualcuno nel mercato che crede in un default di un paese ricco, come l’Italia? Io credo di no, anzi. Vogliono solo togliere quattrini agli Italiani (risparmiatori) e magari comprare aziende for a song (come dicono gli Inglesi). In poche parole, paesi con scarsa propensione al risparmio, grosso indebitamento bancario e privato, vogliono spartirsi la ricchezza degli Italiani. Tutto qui. Spesso le grandi verità, si nascondono dietro le risposte più semplici, che pochi vedono o fingono di non vedere. Mi auguro che i media che non sono strumentalmente avversi al Presidente del Consiglio lo dicano forte e chiaro, gli Italiani devono sapere che senza Berlusconi l’Italia verrà depauperata come in una guerra fredda e strisciante."

nooooooo! mi ha fregato il commento!

la biancofiore è sempre una miniera inesauribile di boiate. è la stessa che, all'indomani della morte di bin laden, aveva interpretato l'evento come un miracolo del papa polacco, fresco di beatificazione (o di canonizzazione, non ricordo...)

Rispondo con Foa sul suo blog sul sito del Giornale

http://blog.ilgiornale.it/foa/2011/11/03/crisi-le-verita-che-non-vi-dicono/

Non capite cosa sta accadendo? Siete smarriti dai continui sbalzi dei mercati, che un giorno crollano del 5% e due giorni dopo crescono del 4%, per poi ricorllare e ricrescere? Limitandosi ad osservare non si capisce nulla, se però si conoscno alcuni retroscena il quadro appare meno confuso di quanto appaia.

Papandreou c'ha la mamma 'merikana, Draghi gollmansax, la Grecia fa il referendum invece l'Europa sopra le teste dei cittadini, l'establishment europeo vuole far cadere Berlusconi ad ogni costo e via delirando....

Il meglio sono i commenti

 


la trovate qui. qualche passaggio (anzi no, non ho tempo... scusate, ci torno asap...)

certo, cita tra gli altri fitoussi e rampini. ovvio che non è un affezionato di nFA.

Il link corretto è questo (era un po' difficile trovarlo, nascosto in fondo al post).

E poi temo che un pezzo di sinistra vada a finire nel populismo dei complotti, della congiura massonico, plutocratica, globale, eccetera. Se si confrontassero un’élite tecnocratica da una parte e un tumulto di populismi confusi e carichi di risentimento, dall’altra, sarebbe davvero Weimar.