Come dilapidare i frutti di una riforma epocale. Condannati a crescere!

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Questo articolo mostra, guardando la riforma pensionistica, come i tagli possano essere neutralizzati da basse crescite del prodotto interno lordo. Dobbiamo tagliare, tagliare ma se non riusciremo a crescere decentemente tutto sarà inutile!

Quasi un anno fa la gentile professoressa Elsa Fornero poteva andare fiera di avere aggiunto al grafico 1 seguente la linea più bassa e; il grafico rappresenta l'incidenza percentuale della spesa pensionistica sul pil tra varie date a ciscuna delle quali si è operato un intervento legislativo in materia di pensioni:

Le varie linee rappresentano:

linea a: situazione prima della legge Maroni (legge 243/2004)

linea b: situazione fra la riforma Dini e la manovrina di maggio 2010 (dl78/2010) che ritardava di un anno la corresponsione dell'assegno pensionistico rispetto alla data di maturazione del diritto..  

linea c: situazione fra la manovrina 2010 e la seconda manovra di Tremonti di agosto 2011 (dl 98/2011) che posticipava il pensionamento per chi avesse 40 anni di contributi, modificava le rivalutazioni automatiche, aumentava l'età pensionabile delle donne 

linea d: situazione fra la manovra di G.T. di agosto 2011 e la riforma Fornero (decreto "Salva Italia" 201/2011 del dicembre 2011)

linea e: situazione vigente dopo la riforma "Fornero" 

Grafico 1

Aveva anche pianto la Fornero, ma certo non poteva immaginare che tutto il suo operato dopo qualche mese sarebbe risultato quasi inutile.

Il grafico 1 infatti è stato realizzato con le previsioni del prodotto interno lordo di fine marzo: purtroppo le cose non sono andate per il verso giusto (situazione internazionale ed effetti recessivi del decreto "SalvaItalia") per cui già a fine maggio il Fondo Monetario Internazionale (I.M.F.), in una diligence sul nostro paese, rivedeva al ribasso le previsioni del pil.

Il grafico 2 seguente riporta il pil previsto dal Documento di Economia e Finanza (D.E.F.) e quello previsto dal Fondo Monetario Internazionale (I.M.F.).

Grafico 2

 

qui il data base del grafico. I dati non coperti dai documenti (2016-2018 per D.E.F. e 2018 per I.M.F.) sono stati calcolati usando i parametri dell'ultimo anno coperto. La previsione I.M.F. non è molto severa in termini di crescita reale ma considera deflatori del pil bassi. Con crescita nel 2012 -2,4% (S&P) invece di -1,9% (I.M.F.) ma con deflatori più probabili la divergenza del pil risulterebbe minore.

Nel grafico 3 seguente sono stata rielaborate le linee "Fornero" e pre-Fornero d del grafico 1 usando la nuova previsione del pil ottenendo rispettivamente le linee e' e d'.

Grafico 3

 

Dal grafico 3 si vede come almeno nel breve periodo (2013 - 2018, prossima legislatura) la situazione, in termini di incidenza sul pil, sia ritornata  a prima della riforma pensionistica (linee d ed e' quasi coincidenti). E' vero che la riforma continuerà comunque a produrre gli stessi risparmi, è vero che con il nuovo pil anche la linea d (pre-riforma) sarebbe peggiorata (linea d') ma, considerando che rapporti e diligences internazionali ragionanano sempre quasi solo in termini di incidenze sul pil, la realtà è che l'incidenza sul pil della spesa pensionistica non è cambiata da agosto dello scorso anno ad oggi, nonostante la riforma di dicembre.

Un'altre lettura puo essere che la riforma Fornero non è stata sufficiente a compensare, in termini di incidenza sul pil della spesa previdenziale, una minore crescita del pil media di 0,87% annuo per sette anni.

Da questo emerge ancora una volta l'estrema importanza della crescita. Solo tagliando, senza una crescita ragionevole, ci si avvita in una spirale più che viziosa, tragica! E' vero che oggi non ci sono risorse per stimolare la crescita ma purtroppo non si sbloccano neppure le risorse "aggratis" ottenibili combattendo: corruzione, burocrazia, incertezza del diritto, piccoli e grandi monopoli, nepotismi, deficit di meritocrazia e mafie; in questa materia purtroppo il governo dei professori ha fatto ben poco. 

Contrariamente a quanto di solito succede, chiudo con una nota di pessimismo. Disse Larry Summers ad alcuni studenti in visita ad Harvard: «Mettetevelo in testa: qui i ragazzi non vengono per trovare lavoro. Vengono per inventarsene uno». A volte mi viene l'atroce dubbio che, grazie alla politica della scuola degli ultimi decenni, per la ripresa scarseggi anche il potenziale umano capace di inventarsi un lavoro o un'impresa. Alcuni sembra preferiscano piangersi addosso, altri, i più capaci, fanno le valige, e dopo essere costati ai contribuenti centinaia di migliaia di euro, mettono a disposizione di altri paesi, gratis, il capitale di conoscenze e skills accumulati. (sia chiaro che fanno benissimo!). Se così fosse, anche con la disponibilità di capitali, una crescita decente sarebbe molto problematica.

p.s. in tutte le considerazioni precedenti ho trascurato il problema "esodati" che per la risoluzione richiederebbe 0,4- 0,5 punti di pil da distribuire su un arco di tempo che non so stimare.

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Commenti

Ci sono 98 commenti

Nella tua considerazione di chiusura non sono in accordo con te.

io non vedo la tua suddivisione solo in due parti: piangersi addosso o partire

i giovani che ho visto io (coetanei dei miei figli e realta' di FI e NA) si inventano di tutto E' il sistema che paradossalemte li frega e vengono fregati dalla nostra generazione: i giovani di 23-25 anni sono in italia per n ragioni una fra tutte L'ITALIA e' la loro nazione.

Gli adulti non danno loro spazio o li sfruttano grazie alle leggi degli ultimi quindici anni

quindi nella tua chiusura vorrei per favore tre categorie:

chi si piange addosso

i fortunati che se ne vanno

e gli sfigati che si inventano ogni giorno un modo per combattere ad armi impari contro gli adulti italiani di 40-50 anni responsabili di aver creato questo sfacelo

giuliana allen

Hai ragione Giuliana! Ma secondo me è una distribuzione strana! Coloro che si piangono addosso mi pare siano di gran lunga la maggioranza.

A Napoli la cultura dell'arrangiarsi non è figlia di questa situazione, purtroppo, ma qui intorno a Milano sono molto scarsi i giovani nuovi imprenditori.

I vecchi che cercano di fregare i nuovi non è una novità: io ho quasi settant'anni e quando iniziai a lavorare chi mi doveva istruire faceva le cose di nascosto: aveva paura gli rubassi il lavoro e infatti allora si diceva: "il mestire va rubato". Quando a poco più di vent'anni andai in California, Silicon Valley, mi stupì l'apertura dei colleghi anziani a farmi il training. Mentalità credo o sicurezza ispirata da una società aperta e sempre in forte crescita per cui nessuno sprecava energie per difendere la posizione raggiunta ma le usava per migliorarla. Ancora una volta la mitica crescita, oggi proprio mi perseguita! 

Solo una verifica... l'ordinata del grafico 2 è corretta?

Grazie Alessandro, ho corretto.

 

 

Solo tagliando, senza una crescita ragionevole, ci si avvita in una spirale più che viziosa, tragica

 

Veramente fino a pochi mesi fa dall'IMF all'UE passando per la Merkel, si affermava esattamente il contrario.  Oggi pare sia rimasto solo Weidmann a pensarla così e  se ha ragione Munchau, il suo peso si farà sentire .

Non capisco però perchè la riforma sarebbe inutile ("quasi inutile", per essere fedeli con le parole scelte da Aldo :)). 

- A meno che non si dimostri che la mancata crescita sia anche conseguenza della riforma Fornero, il confronto da fare è tra e' e d';

- tu lo riconosci, ma rinvii a problemi di confronti internazionali. Bè, lì contano anche gli scostamenti rispetto alle medie. Se il pil peggiora ovunque ma il rapporto Pensioni/PIL in Italia, GRAZIE alla riforma, peggiora di meno che altrove, allora non siamo messi così male;

- Se vogliamo concentrarci sul denominatore, allora possiamo arrivare a dire che la crescita in sè basta a risolvere il problema delle pensioni: basta che l'economia cresca a ritmi maggiori della spesa, come accade col debito;

- Inoltre, oltre alla sostenibilità macroeconomica la riforma andava fatta per equità intergenerazionale.

Ora, sempre trascurando il tema degli esodati e dei lavoratori anziani - che davvero sono il problema di questa riforma se il mercato non riesce a riassorbirli -, a me devo dire che il tuo articolo rende  la riforma ancora più convincente.

 

il mio scopo non era mostrare l'inutilità della riforma, e mi pare di averlo detto chiaramente, ma di mostrare l'estrema utilità della crescita.

 

 

 

 

 

tu lo riconosci, ma rinvii a problemi di confronti internazionali. Bè, lì contano anche gli scostamenti rispetto alle medie. Se il pil peggiora ovunque ma il rapporto Pensioni/PIL in Italia, GRAZIE alla riforma, peggiora di meno che altrove, allora non siamo messi così male;

 

Ma indipendentemente dal resto del mondo, se il deficit statale italiano non diminuisce, nonostante lo Tsunami-Monti sul fronte delle tasse e il Tifone-Fornero sulle pensioni, l'Italia va in default prima ancora che riescano ad accorpare la prima provincia, mentre gli altri Paesi con finanze meno compromesse, meno debito/PIL  e piu' crescita sopravvivono senza default.

"Da questo emerge ancora una volta l'estrema importanza della crescita. Solo tagliando, senza una crescita ragionevole, ci si avvita in una spirale più che viziosa, tragica! E' vero che oggi non ci sono risorse per stimolare la crescita...."

La prossima volta che qualcuno scrive che tagliare la spesa è espansivo gli rispondo così.

e magari aggiungi che è certamente espansivo aggredire corruzione, burocrazia, incertezza del diritto, piccoli e grandi monopoli, nepotismi, deficit di meritocrazia e mafie; in questa materia purtroppo il governo dei professori ha fatto ben poco. 

visto che mi sono sempre autodefinito marxista keynesiano e qui sono in partibus infidelium... ma non sono d'accordo: c'è un problema di qualità (va bene che anche la spesa che se ne va in corruzione alla fine diventa domanda aggregata, ma siamo alla Favola delle Api di Mandeville: se fosse spesa in asili nido che permettono a più donne di lavorare, o in credito alle startup sarebbe meglio) e un problema di quantità. Se con tagli e dismissioni  si possono alleggerire le tasse o ridurre gli interessi riducendo il debito, l'effetto potrebbe essere neutrale o anche leggermente espansivo. Non espansivo quanto una bella iniezione di spesa pubblica che diventa subito reddito (sono un nostalgico del New Deal)... ma con i tassi d'interesse che ci ritroviamo non ce lo possiamo permettere (motivo per cui chi ha sprecato anni a bassi tassi d'interesse andrebbe usato per dimostrare praticamente agli studenti alcune delle più creative pratiche giudiziarie pre-Beccaria, cfr. la manzoniana Colonna infame). 

 

Comunque è paradossale che secondo il grafico, riforme o non riforme nel periodo 2045-2060 la spesa per pensioni sul PIL sarà comunque la stessa, c'è qualcosa di più profondo che non va

 

Solo tagliando, senza una crescita ragionevole, ci si avvita in una spirale più che viziosa, tragica!

 

Non mi sembra che sia solo tagliato (meno spese). Anzi in altri interventi si è fatto notare che il governo Monti ha soprattutto agito sulla leva fiscale (nuove entrate). E si è fatto notare che per come eravamo messi non c'erano alternative.  Diverso sarebbe stato se la riduzione dei costi previdenziali ottenuti con la riforma Fornero fossero stati trasformati durante il 2012 in abbassamento delle aliquote contributive (cuneo fiscale). Ma potevamo permettercelo nella situazione 12.2011?

Poi due parole sulla "mitica" crescita. Sta alle imprese realizzarla, sta allo stato predisporre le condizioni quadro perché avvenga, eliminando tutti gli ostacoli inutili (burocrazia, leggi stupide, per non parlare delle malversazioni, clientele, ruberie) ed i vincoli al mercato che ne rallentano lo sviluppo, riducendo la pressione fiscale e facendo gli investimenti necessari.

come puoi vedere dall'ultimo grafico (espansione del primo) la riforma avrebbe liberato risorse per 0,2 punti di pil nel 2012 e 0,3 nel 2013 (e non dovuti alla riforma vera e propria ma alla deindicizzazione delle pensioni esistenti); un punto (scarso) si vede solo nel 2017. 

C'è una cosa che mi lascia perplesso in questa apologia della crescita: mi sembra che si confonda ciò che appare desiderabile con ciò che è possibile, una forma di wishful thinking in sostanza.

 

Certo, se la crescita in termini di PIL potesse continuare all'infinito, senza esternalità negative, avremmo risolto tutti i problemi di debito pubblico, spesa pubblica, ecc.

Ma noi viviamo su un pianeta di dimensioni finite, con risorse naturali limitate, anche l'economia mondiale ha necessariamente una dimensione massima limitata.

Mi sembra abbastanza plausibile che le economie dei paesi sviluppati siano arrivate, o stiano arrivando, al loro massimo. Al meglio possono sperare di oscillare attorno a questo livello, al peggio decresceranno fino a raggiungere un punto di equilibrio con le economie al momento in via di sviluppo.

 

Mi direte che in Italia ci sono un sacco di inefficienze che poco o nulla hanno a che vedere con le risorse naturali: corporazioni, spesa pubblica clientelare, corruzione, evasione fiscale, criminalità organizzata, ecc. Ma riformare qualunque di queste cose ha costi politici considerevoli per qualunque governo, quindi a meno di non cambiare completamente il sistema politico non mi sembra realistico sperare che il prossimo governante più o meno illuminato possa semplicemente fare sparire questi problemi.

 

Quindi realisticamente mi sembra che invece di sperare in una crescita miracolosa del PIL sarebbe meglio pianificare le politiche finanziarie dello stato assumendo uno scenario di stato stazionario o addirittura di decrescita.

Quanti anni hai?

Te lo chiedo perchè, quando ero bambino io, si diceva che al mondo non c'erano risorse per 4 miliardi di persone e che la sovrapopolazione ci avrebbe uccisi e che avremmo mangiato carne umana e che sarebbe finito il petrolio in 30 anni e si facevano libri su "il medioevo prossimo venturo" ecc ecc.

Ero spaventato poi in una puntata dei Bradford, il papà rispose alle accuse di contribuire alla sovrappopolazione (aveva 8 figli) dicendo: "magari uno di loro, crescendo troverà la soluzione al problema". Beh mi ha tranquilizzato.

Oggi siamo 6.973.738.433 non è tutto rose è fiori, ma il sudamerica e l'asia sono diventati "emergenti" mentre una volta erano alla fame. L'Europa per quanto in crisi ha vissuto anni di sviluppo , penso alla Spagna all'Irlanda ed ai paesi dell'Est (forse con l'eccezione dell'Ungheria).

Con uno smartphone posso fare cose che una volta mi sarebbero costate milioni (di lire), al supermercato trovo cibi di tutto il mondo a prezzi ragionevoli, abbiamo confort che solo 100 anni fa erano riservati ai super ricchi.

Tutto questo è stato possibile...crescendo.

Questo pippone per dire che la soluzione al problema della mancanza di risorse sta nello sviluppare nuove tecnologie per sfruttare meglio le risorse, sta nel trovare nuove risorse non nel non sfruttarle o nel limitare lo sviluppo.

Quella non è una soluzione, mi sembra self evident. 

 

Mi direte che in Italia ci sono un sacco di inefficienze che poco o nulla hanno a che vedere con le risorse naturali: corporazioni, spesa pubblica clientelare, corruzione, evasione fiscale, criminalità organizzata, ecc. Ma riformare qualunque di queste cose ha costi politici considerevoli per qualunque governo, quindi a meno di non cambiare completamente il sistema politico non mi sembra realistico sperare che il prossimo governante più o meno illuminato possa semplicemente fare sparire questi problemi.

 

Quindi realisticamente mi sembra che invece di sperare in una crescita miracolosa del PIL sarebbe meglio pianificare le politiche finanziarie dello stato assumendo uno scenario di stato stazionario o addirittura di decrescita.

 

Anche qui, ti rendi conto che stai sostanzialmente dicendo: "abbiamo un problema; è complicato da risolvere; accettiamolo." Perchè ?

Quando hai deciso che siccome le risorse un giorno finiranno la soluzione è iniziare a "soffrire" oggi ?

Tralascio le critiche pratiche, cioè non ti chiedo "come" intendi decrescere perchè (avrai capito) ritengo la cosa inattuabile, una utopia radical chic (stranamente i poveri non ci pensano minimamente a decrescere o non crescere). 

Però mi interessa capire quando e perchè hai iniziato a pensare in questo modo. Su quali evidenze ti sei basato?

Avevo messo il link a facebook su questo pezzo un po' lungo sulla sostenibilità, ma, visto che ci vuole il login l'ho incollato qui. Ci sono alcuni risultati sperimentali recenti e un tentativo di riassumere la situazione del pianeta.

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Nei sistemi isolati, che non scambiano energia con l’esterno, il disordine (entropia) non può mai diminuire. Aumentando il disordine, l’energia tende ad assumere la sua forma più degradata, le temperature tendono ad una distribuzione uniforme, il che non permette più di compiere lavoro con le macchine termiche. Quindi, aumentando il disordine, diminuisce la possibilità di mantenere la vita, che si basa sull’ordine e la possibilità di compiere lavoro. L’ordine è ben rappresentato dalle molecole complesse del DNA (la cui origine è tuttora un mistero)

Sulla terra è possibile mantenere la vita perché siamo in presenza di un sistema aperto, che riceve energia dall’esterno e che crea ordine attraverso una macchina complessa. La sorgente di energia è il sole, e la macchina che crea ordine è la fotosintesi clorofilliana. In parole povere, senza il mondo vegetale, che da molecole semplici, sfruttando l’energia del Sole, crea molecole complesse, la vita sulla terra sarebbe destinata a sparire. Però la macchina Sole-fotosintesi è lenta.

Se l’uomo accelera il consumo delle risorse, in pratica rende la terra un sistema isolato, dove il consumo delle risorse (minerali e biologiche) è superiore alla loro capacità di rinnovamento.

La migliore definizione di sostenibilità è quindi: non aumentare l’entropia del sistema.

Una considerevole numero di ricercatori è da tempo arrivato alla conclusione che la terra, dal punto di vista dello sviluppo umano, è ormai da considerarsi un sistema isolato, perché l’umanità ha raggiunto l’impronta ecologica di 1.4: in altre parole, si richiede alla terra un 40% in più rispetto alla sua capacità di rinnovamento, e l’entropia sta aumentando.

Mentre sull’impronta ecologica mondiale la discussione è aperta, uno studio dettagliato (si vedano le pagine 33-35) della comunità europea calcola che il cittadino europeo consuma l’equivalente di 4,7 ettari di terreno, avendone a disposizione 2,7, pari ad una impronta ecologica di 4,7/2,7=1.7. La maggior parte del deficit è dovuta alla necessità di assorbire, con ettari di foreste, la CO2 prodotta.

Cosa c’entra tutto questo con l’economia? C’entra eccome, perché l’economia di un sistema aperto assume che si possa prelevare dal sistema quello che si vuole e buttare nell’ambiente tutto ciò che si vuole, tanto non ci sarà nessuna conseguenza. L’unica legge valida sarà pertanto quella della convenienza e della domanda e dell’offerta.  Nell’economia di un sistema isolato, invece, occorre regolare il mercato e la produzione con politiche di intervento pubblico per assicurare l’integrità dell’ambiente e la sostenibilità.

Come si vede, il sistema aperto è compatibile con politiche che possiamo definire di destra, quello isolato o chiuso richiede politiche usualmente dette di sinistra. Per questo motivo lo scontro sulla sostenibilità si è fatto subito politico, ed i dati di fatto sono stati spesso forzati, dall’una e dall’altra parte, per motivi ideologici.

Però, dal punto di vista oggettivo, mi sembra corretto dire: se il genere umano sta aumentando l’entropia, l’economia mondiale sta seguendo strade sbagliate. Poiché l’aumento di entropia, misurato ad esempio dall’impronta ecologica, è in gran parte determinato dal problema della CO2, è lecito domandarsi: ma questo problema è veramente importante?

La prova definitiva che il problema esiste viene dai ghiacci dell’Antardide. Questo enorme monumento di ghiaccio, spesso chilometri, patrimonio dell’umanità, in questo momento è studiato da alcune comunità di scienziati avventurosi (ci siamo anche noi, e questo governo ha rinnovato il finanziamento). I ghiacci custodiscono l’aria di centinaia di migliaia e milioni di anni fa, cui si può accedere con carotaggi. Il rapporto isotopico dell’ossigeno permette di misurare la temperatura dell’aria di allora, e si possono determinare con grande accuratezza le concentrazioni di CO2 con la spettrometria di massa. Quello che si è trovato sta nella prima figura di questo  link  (questi sono gli scienziati collegati alla NASA, non ecologisti invasati). Lo strettissimo picco a destra (382 parti per milione di concentrazione di CO2), che si riferisce agli ultimi 150 anni, rappresenta una anomalia assoluta e gli scienziati sono convinti, in base a molti modelli (IPCC e altri), che sia dovuto alle attività umane. La temperatura concorda con l’andamento della CO2, ma non si può dire, su questa scala,  se la CO2 segua o preceda l’aumento di temperatura. Una cosa però è certa: la CO2 non e mai stata così alta da centinaia di migliaia di anni! Questo è un dato sperimentale, indiscutibile e incontrovertibile, le cui conseguenze, nonostante gli studi intensi, sono ancora ignote.

Se questo aumento di CO2 è dovuto alle attività umane, questa è mio parere la prova inconfutabile che l’attuale sviluppo mondiale non è sostenibile.

Molti scienziati stanno cercando di  misurare, l’andamento della temperatura della terra. Dai modelli termodinamici è apparso subito chiaro che quasi tutto il calore in eccesso (più dell'80%) va a finire nelle acque. Mentre la temperatura dell’aria è misurata con accuratezza da vari decenni dai satelliti meteorologici, poco o nulla si sa delle acque. Non sono certo le secchiate d’acqua prese dalle navi (come si faceva in passato) che possono dirci qualcosa di preciso. Inoltre, nell’acqua ci vogliono grandi quantità di calore per spostare di poco la temperatura. Sono quindi necessarie misure sensibili al centesimo di grado!! Per risolvere il problema, all’inizio degli anni 2000 è partito un grande esperimento internazionale, ARGO, per effettuare una impresa mai tentata prima dal genere umano: misurare la temperatura delle acque di tutto il pianeta.

Attualmente ci sono 3500 boe sparse per il mondo, in grado di immergersi fino a 2000 metri, di risalire e trasmettere ai satelliti dati sulla salinità, temperatura e densità dell’acqua. La temperatura è misurata con la sensibilità del centesimo di grado. Gli scienziati sono molto prudenti nel comunicare i loro risultati, le operazioni di misura difficili, ma i primi dati cominciano ad arrivare (vedere il sito), e sono molto preoccupanti. Sembra che, negli ultimi 50 anni, la temperatura degli oceani sia aumentata di circa 6 centesimi di grado, corrispondenti ad un quantità di energia pari a 16 mila volte l’energia prodotta dall’Italia in un anno. Se questa quantità di calore si fosse riversata nell’atmosfera, la temperatura sarebbe cresciuta di 50 (cinquanta) gradi!

Non sono note quali saranno le conseguenze di tutto questo.

In conclusione, i dati attuali provenienti dalle accurate osservazioni satellitari sulla temperatura dell’aria e sul livello dei mari e da ARGO sulla temperatura delle acque sono i seguenti:

- Negli ultimi cento anni la temperatura dell’atmosfera è cresciuta in una finestra di (0.56-0.92) gradi centigradi. La finestra tiene conto delle incertezze di misura. La finestra contiene il dato vero con una probabilità del 95%. Questa convenzione vale anche per i dati seguenti.

- Negli anni 1961-2008 la temperatura degli oceani è cresciuta in una finestra di (5.2-6.8) centesimi di grado.

- Il livello degli oceani è salito di (0.8-2.8) millimetri/anno dal 1961. A partire dal 1993 l’aumento è stato di (1.7-4.5) millimetri/anno.

- Si osserva una sistematica riduzione di copertura nevosa e di ghiacciai nell’emisfero nord. I dati nell’emisfero Sud sono controversi.

I modelli mettono in luce che la terra è un sistema instabile che ha trovato un equilibrio precario negli ultimo 10 mila anni. Ogni perturbazione, naturale o antropica, potrebbe dar luogo a cambiamenti improvvisi. Questi cambiamenti, descrivibili con modelli caotici e non lineari, sono difficili da trattare e quindi da prevedere.

Quando parlo coi colleghi che si occupano di queste cose li trovo molto preoccupati. Quando parlo con gli economisti, ricevo spesso una alzata di spalle e frasi che mi fanno capire che la maggior parte di loro creda ancora ciecamente nel paradigma del sistema aperto.

Trovo che le due comunità dovrebbero trovare un terreno comune e cominciare a parlarsi. In fondo, ciò che accomuna gli scienziati per così dire naturali (fisici, chimici, ingegneri, biologi) e quelli sociali (come gli economisti) dovrebbe essere il metodo scientifico: studiare sistemi complessi (dove non è semplice isolare le relazioni di causa-effetto e vi sono molte retroazioni positive e negative) formulando modelli basati su teorie consolidate e sui dati di fatto e cercare di falsificarli. Seguire comunque le indicazioni dei modelli in assenza di falsificazioni.

In base ai modelli scientifici correnti (IPCC principalmente) lo sviluppo mondiale attuale non è sostenibile, soprattutto per l’aumento della CO2 a livelli mai conosciuti nelle centinaia di migliaia di anni precedenti. Il fatto che non siamo ancora in grado di prevedere con certezza le conseguenze di questo aumento non ci autorizza ad ignorare il problema.

In conclusione, non so se il nuovo modello di sviluppo che molti invocano si debba chiamare decrescita o meno. Mi sembra però un po’ ingenuo pensare di andare verso la sostenibilità con una economia basata solo sulla crescita del PIL e sul postulato che la razionalità dei singoli o dei gruppi, iniettata nel mercato, accoppiata ad un approccio fideistico verso il progresso scientifico (tipico di chi NON è scienziato) generi automaticamente le ricette giuste per risolvere problemi così complessi.

In fondo, in un mondo dove secondo uno studio del World Institute for Development Economics Research (Istituto Mondiale per la ricerca sull’economia dello sviluppo) la metà inferiore della popolazione mondiale detiene solo circa l’1% della ricchezza globale del pianeta, dovrebbe essere possibile costruire modelli che redistribuiscano la ricchezza anche con metodi diversi dalla crescita continua.

Dal punto di vista entropico, noi ci nutriamo di molecole vegetali (o animali, che comunque derivano da quelle vegetali) complesse e produciamo escrementi (molecole più semplici) aumentando il disordine e l’entropia. Però abbiamo un organo meraviglioso che produce ordine: il cervello e i suoi pensieri. Se all’ordine dei pensieri seguisse anche quello delle azioni, forse ci salveremo.

finalmente leggo un commento intelligente! Grande NV concordo in pieno. Mi sa che qui siamo gli unici 2 cani che usano la parola eretica DECRESCITA. E vedrai che o ignoreranno i nostri commenti (facile) o ci ricopriranno di lectio magistralis bocconiane. Non arriverà una risposta che sia una nel merito. Scommettiamo?

 

Ma anziché obbligare dei poveretti ad andare in pensione quando praticamente sono già morti, con pensioni da fame, ed aumentando i contributi in modo irreggibile,

non basterebbe un semplice incentivo a rimanere:

zero tasse, zero contributi, sospensione assurdità come 13a e tfr.

Praticamente, doppio stipendio

Lo stato ci guadagna? Sì.

I lavoratori? Sì.

I datori? Sì

I contribuenti? Sì.

Quesito: dov'è l'errore?

parlate sempre di crescita e non fate un esempio che sia uno. Reale intendo. Non avete uno straccio di idea, come Monti peraltro! Non metto in dubbio la validità dei calcoli e grafici di Lanfranconi, che rispetto assolutamente. Ma anch'egli si ferma a parlare di necessità di crescita. E allora? Come? In che termini? Proposte?

Mi permetto di consigliare questa lettura

saluti

Giuseppe Dalpasso, Papozze ITALY

Curioso che i decrescisti non si rendano conto che le misure di efficienza energetica (come le efficienze di tutti gli altri tipi) generano crescita, non decrescita.

Se proprio vogliono decrescere, non è complicato: basta smettere di lavorare. O seguire l'esempio dell'Italia, che è un paio d'anni che decresce alla grande (stima OCSE per quest'anno: PIL -2,5%. Vedete come viaggiamo bene?).

Ma immagino sia un filtro del loro cervello che gli impedisce di comprendere questa cose banalissime, pena l'esplosione delle loro scatole craniche.

Anche se questa discussione qui è un po' OT, prendo spunto dal tuo intervento per segnalare che il tuo post è proprio un esempio di come NON si deve parlare di questo problema.

Molti infatti pensano che chi parla di decrescita sia una persona triste (quasi sempre di sinistra), uno sfigato per intenderci, che non è capace di cogliere gli aspetti positivi della vita e che cerca di imporre agli altri questa sua triste visione del mondo. Forse questa componente esiste pure, ma è irrilevante per il problema.

Infatti le persone ragionevoli, come NV credo, sanno che la crescita è un valore positivo, che permette di distribuire reddito, progresso e quindi anche di veicolare meccanismi democratici in società chiuse. Gli economisti hanno speso milioni di pagine per dimostrare che la crescita è il modo migliore per assicurare lo sviluppo equilibrato di una società, ed io, come fisico, non ho motivo di dubitarne.

Ma qui il punto è se oggi la crescita, come si sta realizzando nel mondo, sia compatibile o no con il pianeta in cui viviamo. Come scienziato, trovo anche irrazionale l'atteggiamento di chi dice:"andiamo comunque avanti, tanto il progresso scientifico ci aiuterà". La ragione dovrebbe dirci che prima si dovrebbe raggiungere un progresso tecnologico adeguato (ad esempio una fonte inesauribile e non inquinante di energia, e forse ci arriveremo) e poi si dovrebbero attuare modelli di crescita conseguenti. In altre parole, prima faccio il pieno di benzina, poi schiaccio sull'acceleratore, altrimenti mi troverò fermo in mezzo al deserto.

In un post precedente ho richiamato alcuni dati scondo i quali attualmente stiamo violando la sostenibilità. Le fonti sono quelle della scienza "ufficiale". Sono dati, non opinioni. Mi chiedo chi abbia veramente filtri nel cervello...

Nel documento citato si dice

 

siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia

 

Chi pagherebbe? I privati o lo Stato? Se i privati non lo fanno, come fareste a farglielo fare? (Senza aumentare il debito pubblico, come giustamente dite di volere.)

Non è anche questa una proposta per la crescita?

Mi sembra che la discussiona abbia preso una brutta piega del tipo "ho ragione io" e "tu hai torto".

Direi che i numeri hanno "più ragione".

I numeri di Aldo "hanno ragione"; se vogliamo tirarci fuori da questa situazione di c.... ci vuole la crescita.

Ma alla lunga i numeri di Tom Murphy "hanno ragione" (vedi Do the Math citato da NV).

Condividendo in pieno, e come è possibile non farlo alla luce dei dati!, l'articolo e soprattutto il titolo di Aldo, vorrei introdurre un differente punto di vista sul problema crescita: quello della distribuzione del reddito e delle politiche redistributive tramite la leva fiscale.

Lo spunto mi è dato da  un interessante paper appena uscito, censito da Seminerio sul suo Blog (Phastidio).

http://graphics8.nytimes.com/news/business/0915taxesandeconomy.pdf 

Lo studio è fatto sulla realtà USA ed è quindi non pienamente applicabile all'Italia. Però anche da noi la distribuzione del reddito sta andando vs una logica di polarizzazione e di assottigliamento della classe media che, come noto, è il segmento più importante che sostiene la domanda aggregata e la crescita.

Riporto direttamente le conclusioni del saggio tradotte da Seminerio:

"I risultati dell’analisi suggeriscono che, negli ultimi 65 anni, variazioni delle aliquote massime dell’imposta sui redditi e di quella sui capital gain non appaiono correlate con la crescita economica. La riduzione nelle aliquote massime non appare essere correlata con la crescita di risparmio, investimento e produttività. Le aliquote massime appaiono aver poca o nulla relazione con la dimensione della “torta” economica»

«Tuttavia, la riduzione delle aliquote massime appare associata alla crescente concentrazione di reddito al vertice della distribuzione di reddito. Come misurato dai dati dell’IRS [il fisco Usa, ndPh.], la quota di reddito in capo al primo 0,1 per cento delle famiglie statunitensi è aumentata dal 4,2 per cento del 1945 al 12,3 per cento del 2007, prima di scendere al 9,2 per cento a causa della recessione del 2007-2009. Nello stesso periodo, l’aliquota media d’imposta pagata dal primo 0,1 per cento è scesa da oltre il 50 per cento nel 1945 a circa il 25 per cento nel 2009»

«La politica fiscale potrebbe avere una relazione con il modo in cui le fette di torta vengono tagliate: aliquote d’imposta inferiori possono essere associate a maggiori disparità di reddito»"

La riforma Dini è la 335 del 1995. Nell'articolo viene menzionata la cosiddetta legge Maroni (243/2004)

grazie Antonello, correggo subito.

CRESCITA: il problema del limite della crescita me lo sono risolto da ragazzino, dopo aver letto l'esempio dello "spillo" di Adam Smith. Non è questione di risorse né di tecnologia. Solo di "mano invisibile". Quella che la pressione fiscale, la burocrazia, la schizofrenia arbitraria del diritto, della giurisrudenza e dell'intervento pubblico hanno ridotto ad un moncherino

 

TAGLI:  secondo me, prima di chiedersi se tagliare un servizio pubblico, bisogna chiedersi se è proprio necessario che sia lo Stato a doverlo produrre e fornire direttamente. Anche perché, se poi si taglia, a chi si rivolge il cittadino?

E' il caso di porsi questa domanda per le maggiori voci della spesa pubblica: sanità, istruzione, pensioni.

La mia domanda è: ma per garantire questi servizi, è proprio necessario che sia lo Stato a fornirli direttamente, o può semplicemente agevolare l'accesso dei cittadini ad un mercato concorrenziale privato dello stesso servizio?

In altri termini: per lo Stato, è meglio pagare un valore X per un servizio di bassa qualità (pubblico), oppure molto meno di X per un servizio della migliore qualità (mercato concorrenziale) lasciando il compito al settore pubblico solo la gestione dei finanziamenti (in base al reddito, ad esempio) e la sorveglianza (sul mercato, sui propri amministarori, etc)?

Sembrerebbe una domanda retorica. In realtà è una domanda ideologica.

Ma soprattutto, quella che sembra la risposta ovvia non si udirà mai dalla bocca della classe politica.

 

NOTE: una proposta sull'istruzione l'ho formulata nel recente articolo sui redditi delle famiglie degli universitari (ma quasi nessuno mi ha risposto).  Una sulle pensioni (piccolissima, ma si potrebbe dire molto di più)  l'ho proposta tra questi commenti (ma ancora, nessuno mi ha risposto).