Il precedente è abbastanza secondario: tempo fa mi venne proposto di dibattere un signore sul tema "la teoria austriaca non esiste" (affermazione mia). Rifiutai di farlo perché la maniera in cui il dibattito era strutturato ci avrebbe condotti a polemizzare su teorie libertarie, stato minimo, riserva frazionaria ed altre fantasie marginali che alcuni confondono con la realtà, da un lato, e la ricerca nel campo economico, dall'altro. Tempo perso.
Nondimeno, mi colpì quante persone siano assolutamente convinte che esista, nel campo della teoria economica, una "Scuola Austriaca" alternativa a quella "dominante" (il famoso "mainstream"), della quale chi scrive in questo blog, tanto per dire, farebbe parte. Non solo, nel mondo che si autodefinisce "libertario" vi è la diffusa convinzione che il corpo teorico della supposta scuola sia capace di spiegare il mondo in cui viviamo meglio di quanto non lo possa fare, molto poveramente, la "teoria dominante" che costoro, in compagnia di marxisti, strutturalisti ed altri -isti, definiscono allegramente "neoclassica". Un tipico esempio di tale convinzione è sintetizzata in questa citazione che non ricordo da dove ho preso ma che è comunque esemplare del tipo di conclusioni "pratiche" (si fa per dire) a cui gli adepti a tale mitica scuola arrivano:
È la vita reale che dimostra quanto la teoria economica austriaca sia rigorosa e coi piedi ben saldi per terra. Se fossero apoditici ed infallibili i principi dei neoclassici, oppure dei kenesiani, dei chicaghiani o degli econometristi vari, anziché dei "prasseologi", non si capirebbe il perchè un qualsiasi uomo di poca cultura e senza fondamentali economici acquisiti a Chicago piuttosto che alla Bocconi, diventa miliardario, grazie semplicemente alla produzione di un bene o di un servizio che incontra i gusti, o le necessità, di una moltitudine di consumatori. Il tutto, creando ricchezza, benessere e posti di lavoro. Il tutto senza una legge che gli abbia indicato cosa fare. Tutto ciò, insomma, è tanto più vero quanto meno lo Stato, ed i suoi economisti di corte, intralciano il mercato. Per un austriaco fallire fa parte della vita, per gli altri, invece, è un incidente di calcolo che va evitato coi soldi dei contribuenti. Gli economisti austriaci si son posti il problema di non ignorare la realtà, gli altri - da perfetti costruttivisti boriosi - si sono illusi di poterla reinventare o manipolare. Banalizzando, i primi si augurerebbero che tutti gli uomini potessero vivere a Montecarlo. I secondi pretenderebbero di farli vivere tutti in Venezuela.
A fronte di tanta meraviglia, perché mi spingo a sostenere che addirittura nemmeno esista? Lo faccio per due motivi, che illustrerò utilizzando la breve presentazione della "Scuola Austriaca" (SA) su Wikipedia (per i precisini, i miei commenti si rifanno a questa versione, quella più recente al momento in cui scrivo).
(I) Quanto di sensato (o non apertamente contraddetto da logica/dati) la SA sostenga è incorporato da tempo nella "teoria dominante" (TD).
(II) Quanto non incorporato nella TD è o ben aria fresca o ben un non sequitur teorico delle ipotesi dichiarate o non dichiarate.
Il combinato disposto di (I) e (II) porta alla conclusione che la SA "per se" non esiste perché la sua parte interessante è sussunta nella TD e la sua parte erronea è stata, giustamente, espunta. Niente di alternativo, insomma, ma uno dei tanti filoni di ricerca che, epurati di ciò che è palesemente erroneo, fuorviante o scientificamente impotente, contribuisce a definire quel campo di conoscenze in evoluzione che chiamiamo teoria economica contemporanea. La quale non è né dominante né sottomessa, ma semplicemente l'unica che, al momento per lo meno, abbiamo.
Vediamo perché è cosi commentando, paragrafo per paragrafo, il testo menzionato.
La scuola austriaca, conosciuta anche come la scuola di Vienna o la scuola psicologica, è una scuola di pensiero economico eterodosso che proclama una stretta aderenza all'individualismo metodologico.
Notiziole storiche a parte, il primo punto degno di nota è quello dell'individualismo metodologico. Ora, che diavolo vuol dire che ogni "azione" (l'autore si è scordato di definire di chi: del mio cane Rocco? Del clima al Polo Nord? Di Topolino nel suo buco nel muro di Disneyland?) è riconducibile ad un'azione individuale? Se stiamo parlando di esseri umani stiamo dicendo una banalità, ben accetta da praticamente tutte le scienze sociali (vedasi, per esempio, Coleman) e senza dubbio alcuno dalla teoria economica che insegno a scuola. Se stiamo invece parlando "in generale" allora siamo di fronte all'ennesima risciaquatura del riduzionismo metodologico che costituisce, nella sua parte comprensibile, il metodo di praticamente tutta la scienza contemporanea (non solo quella sociale) ma che - come ben sappiamo ma non vi voglio tediare - nella sua parte meno comprensibile conduce a problemi epistemologici al momento (ed io credo per sempre) privi di soluzione. Il lettore attento avrà notato che Wikipedia, alla voce "methodological individualism", rinvia a "Occam's razor" e che questa pagina argomenta, a iosa, il punto da me appena sostenuto. In parole povere: o ben l'individualismo metodologico è una ovvietà accettata da chiunque al mondo faccia ricerca o è aria fresca priva di costrutto. Lascio agli adepti alla SA la scelta ma, per quanto mi riguarda, o ben (I) o ben (II). Andiamo avanti.
La scuola austriaca sostiene che l'unica teoria economica valida debba derivare logicamente dai principi basilari dell'azione umana.
Che ogni pretesa "spiegazione" di fenomeni sociali debba fondarsi sui principi di base dell'azione umana è un vuoto gioco di parole. Su cosa si dovrebbe fondare una teoria di ciò che gli esseri umani fanno? Sulle eclissi di luna? Certo, se vogliamo seguire sino in fondo la via del riduzionismo metodologico - arrivando alle questioni irrisolvibili menzionate prima - possiamo sostenere che le azioni umane devono fondarsi su quelle della fisica atomica e queste su quelle della subatomica e via regredendo sino ... sino al nulla. Non so se chi scrive queste cose si rende conto di scrivere affermazioni catalaniche ma temo di no. Ciò che rimane è l'affermazione secondo cui la teoria dell'azione umana deve fondarsi su qualche "principio base" o assioma dell'azione umana: chi non concorda, eccezion fatta per qualche religioso che invochi la beata provvidenza di turno? Siamo seri ed andiamo avanti.
Oltre al suo approccio formale alla teoria, spesso chiamato prasseologia, la scuola ha sempre predicato un approccio interpretativo alla storia. Il metodo prasseologico permette di derivare le leggi dell'economia valide per ogni azione umana, mentre l'approccio interpretativo si occupa di singoli eventi storici.
A questo punto viene menzionata la storia, come se solo gli adepti alla SA se ne preoccupassero. La "storia", essendo la documentazione, più o meno ben fatta, di ciò che è successo a, e fra, gli umani è, ovviamente, il luogo intellettuale dove le teorie si "testano" (virgolette d'obbligo) o, per lo meno, sull'interpretazione della quale pugnano. Conoscete qualche economista fautore di teorie che dovrebbero, esplicitamente, ignorare o financo contraddire i fatti storici? Io no. Siamo quindi di fronte al caso (I): l'affermazione è sensata ma accettata, ben prima che BB (Bohm Bawerk) nascesse, da chiunque si occupi di scienze sociali. Andiamo avanti di nuovo, ma non dopo aver notato che il povero BB (no, non questo, l'economista) non ha colpa alcuna per esser stato tirato in ballo in una discussione insensata.
L'approccio della scuola austriaca è razionalista (...)
Poi viene il razionalismo. Qui mi perdo: visti i temi su cui ho fatto ricerca e la "scuola" a cui, secondo gli -isti, appartengo sembra io sia platonico! Chi mi conosce (più o meno biblicamente) ha l'esattamente opposta impressione ma tant'è ... Il punto è che lo stesso paragrafo ammette che, su questo terreno, la SA è come tutti noi, ossia assume che gli esseri umani non siano sistematicamente scemi ... almeno quello. Poi ci sono affermazioni che io ed il buon Palma definiremmo "dadaiste", come quella che contrappone artificialmente Smith (et al) a Cantillon (et al). Non ho voglia d'imbarcarmi in una diatriba di storia del pensiero economico (ai secchioni consiglio d'iniziare qui) ma mi si permetta di far presente che dietro a queste affermazioni dadaiste v'è la nefasta influenza di un megalomane che costoro considerano un guru. Costui, non avendo capito nulla della teoria economica moderna, è riuscito a diventare comunista (senza saperlo) e famoso (nel suo mundillo) a botte di assurdità su economisti che egli non aveva proprio inteso; Adam Smith, per dire. Ma su Murray-the-Guru ritorno alla fine con esempietto della sua ignoranza. Il punto è, di nuovo, che se solo uno riflette un attimo sulla sequenza di parole che sto commentando si rende conto che non vogliono dire assolutamente nulla.
Il filone principale della scuola austriaca include (...) L'elite contemporanea degli austriaci include (...)
Poi troviamo un elenco di geni vivi associati in modo quasi insultante, per i seguenti, a economisti morti e quindi incapaci di sollevare la manina per dire "io non c'entro". Nella mia stupidità ho anche provato recentemente a "studiare" costoro (quelli vivi, quelli morti li avevo studiati durante gli anni di scuola) ed ho scoperto - sghignazzando fra uno sbadiglio e l'altro alla lettura del tomo dello spagnolo - che questi pensano che un modello economico sia una sequenza di conti in partita doppia ... oh well.
Sebbene le sue tesi siano controverse (...) la scuola austriaca ha avuto una certa influenza, a causa della sua enfasi sulla fase creativa (ossia l'elemento 'tempo') della produttività economica e del suo interrogarsi sulle basi della teoria del comportamento connessa con l'economia neoclassica.
Veniamo ora alla prima affermazione "sostanziale", quella secondo cui ciò che differenzia la SA dal resto sarebbe l'attenzione alla fase "creativa" ossia al "tempo" nella determinazione della produttività (il resto del paragrafo è horse manure, un sostituto quasi perfetto di BS). Ora, io mi occupo da sempre di dinamica (quella cosa che succede nel tempo) e, da almeno vent'anni, di produttività, innovazione e progresso tecnologico. Se qualcuno mi cita un contributo uno della SA ai temi di queste aree di ricerca che risulti essere alternativo a quanto la TD è riuscita a capire (poco, non ho tema di ammetterlo) sulle dinamiche economiche e le determinanti della produttività ... lo bacio in bocca indipendentemente dal suo sesso e dal coluttorio che usa. Al momento conosco solo alcune idee degli economisti austriaci morti, alcune accettabili altre molto meno. Fra quelle meno accettabili v'è la cosidetta "teoria austriaca del ciclo economico" sulla quale discutemmo anni fa con Pietro Monsurrò su questo sito, arrivando alla conclusione che non era, appunto, una teoria né tantomeno un modello ma un insieme abbastanza disordinato di affermazioni apodittiche a collegare le quali mancavano, purtroppo, financo nessi causali coerenti per non dire empiricamente corroborati. Fra quelle accettabili vi è l'idea che il "periodo di produzione" non sia una costante ma vari da processo a processo ed a seguito del cambio tecnologico. Per questa ragione la funzione aggregata di produzione è spesso fonte di gravi confusioni e molte questioni possono essere intese solo con l'uso di modelli disaggregati: un tema presente da decenni nella ricerca di svariati esponenti della TD nel campo della dinamica fra i quali, non necessariamente ultimo, yours truly. Amen e procediamo.
I teorici della scuola austriaca raccomandavano piccoli governi, una forte protezione della proprietà privata e il supporto in generale dell'individualismo. Per questo motivo sono spesso citati a sostegno da gruppi liberisti "laissez-faire", "libertarian" e oggettivisti, sebbene economisti di scuola austriaca come Ludwig von Mises insistono sul fatto che la prasseologia deve prescindere dai valori: non rispondere cioè all'ipotetica domanda "è giusto adottare questa politica economica?", ma piuttosto alla domanda, a fondamento dell'eterogenesi dei fini, "se questa politica fosse realizzata, avrebbe gli effetti desiderati?"
Il paragrafo seguente conferma che quel poco di originale che la SA (quella dei morti) ha prodotto è incorporato nella TD e lo è fin troppo. Gli economisti sono spesso accusati di cinismo amorale perché guardano solo ai risultati ed insistono che de gustibus non disputandum est (dove, ovviamente, gustibus include valori et similia). Scopriamo ora (si fa per dire) che quelli della SA son d'accordo. Muy bien y adelante Pedro, con juicio cha siamo sempre in (II).
Sulla sezione "storica" che racconta le avventure della supposta scuola non mi ci metto. Le notizie sono più o meno corrette e l'unico tema di rilievo mi sembra essere quello del rifiuto del "calcolo economico" che ha portato costoro a rifiutare l'uso della matematica nell'analisi economica. Il tema è di apparente interesse "epistemologico"; in realtà è una boiata pazzesca dovuta al semplice fatto che coloro i quali sostengono 'la matematica fa male" (semplifico) normalmente non la sanno ed ancor meno ne capiscono la natura e la funzione. Son certo che qualcuno arriverà, nei commenti, a spiegarmi che l'azione umana non è "quantificabile" o "formalizzabile" ed allora ci divertiremo. Per il momento mantengo la posizione fantozziana: trattasi di pazzesca boiata.
Veniamo ora alla sezione "Contributi" che esamino uno per uno.
- Nel primo c'è un errore, volevano credo scrivere "crescita" e non nascita. Se qualcuno mi spiega dove la teoria della crescita "austriaca" sia ortogonale a ciò che molti di noi fanno ripeto di nuovo l'offerta del bacio in bocca. Per parte mia le idee buone di Schumpeter (soprattutto) e Hayek (meno, faceva un casino tremendo perché non sapeva nemmeno l'algebra, purtroppo) sono parte integrante degli strumenti che uso ogni giorno, e non solo io!
- Conoscete qualche economista dominante che sostenga gli agenti economici tendono a fare scelte sconvenienti? O hanno in mente la proibizione degli atti osceni in luogo pubblico?
- Matematica: boiata pazzesca.
- BB contra Marx: sicuramente. Ma sta tutta, molto meglio articolata, in un qualsiasi modello lineare di equilibrio generale con produzione. Ossia, caso (I).
- Dimostrazione è un'esagerazione ma, visto che tutti siam d'accordo ad usare l'ipotesi di concavità della funzione d'utilità (senza renderci la vita difficile con ordini astratti di preferenze) ritorniamo al caso (I).
- Opportunity cost: spero scherzino. Se questa è alternativa alla TD allora sono alternativi anche gli studenti che fanno Econ 101. Idem per l'offerta, che Lionel mi si rivolta nella tomba a sentirsi dire che lui non aveva capito o non condivideva il "non-substitution theorem"!
- La teoria "austriaca" del ciclo economico: già detto sopra. Non esiste. Nel senso che NON è una teoria formalmente coerente, per non parlare della sua rilevanza empirica che nessuno è mai riuscito neanche a provare a considerare per la semplice ragione che, se non hai un modello coerente che diavolo testi sui dati?
- Equilibrio intertemporale: spero sia noto che l'idea, che era anche di Hicks e tanti altri, è stata chiarita, elaborata ed incorporata da almeno mezzo secolo nella teoria dell'equilibrio generale dinamico. Sempre (I).
- Il prezzo di cos'altro è indice se non della scarsità (relativa) di un bene e degli inputs che lo producono (vedi sopra, non-substitution theorem)? Ma vale la pena notare che questa idea è tutt'altro che originariamente "austriaca" ... evitiamo di brevettare l'inbrevettabile, please!
- Preferenze temporali, vedi sopra equilibrio temporale. Ed il povero Ramsey, per dirne uno, che si rivolta anche lui nella tomba.
- Calcolo impossibile in "socialismo". Oh well, altra boiata pazzesca. In che senso? Non nel senso che il socialismo funziona ma nel senso che, se vogliamo capire come funzionano i sistemi socialisti reali, il "calcolo economico" (costo opportunità, utilità individuale, incentivi, eccetera) è strumento utile lì come nella selva dell'Amazzonia. La questione, come posta da Hayek, era corretta ma ha poco a che fare con il calcolo ha a che fare con incentivi e distribuzione (produzione e trasmissione) dell'informazione. Tema principe, da Hayek&Co e poi Hurwicz e tanti altri, da almeno 80 anni in teoria economica. Con svariati premi Nobel a provarlo. Insomma, (I) di nuovo.
In conclusione: esiste una SA qua tale, indipendente ed alternativa alla TD? NO, NON ESISTE. Esistono contributi alla TD, alcuni dubbi ed alcuni accettati, di economisti austriaci del passato, contributi di cui siamo fieri. I loro epigoni contemporanei sono solo, e mi dispiace, dei mediocri e confusi personaggi che cercano di ricavarsi un posto al sole piantando polemiche prive di fondamento e predicando contro il sistema bancario a riserva frazionaria e contro le banche centrali. Entrambi, sistema bancario e banche centrali, hanno mille difetti ma quello che NON hanno è di "creare moneta by fiat". Questa è funzione socialmente utile (ho perso il tempo per dimostrarlo qualche anno fa, ma non credo di essere particolarmente originale in questo) ed il fatto che costoro non lo intendano è solo misura della loro ...
P.S. Avevo promesso sopra una noterella finale sull'ignoranza del Guru Rothbard. Mi pento della promessa, ma non la cancello. Magari metto qualcosa nei commenti perché questo post è già lungo abbastanza. Ma tanto per dire: in un libretto pubblicato in italiano da IBL (ma hanno altro da pubblicare?) ed intitolato "Contro Adam Smith" la perla delle perle (che di cazzate ne contiene a iosa) è un'affermazione sulla divisione del lavoro. Il guru MR sostiene che AS era un povero cretino ad argomentare che la divisione del lavoro è determinata dalla dimensione del mercato e dallo stato della tecnologia. Perché, dice, è ovvio a tutti (?) che la divisione del lavoro è determinata dall'eterogeneità psicologica ed attitudinale degli esseri umani. Ah si? E com'è che cambia di secolo in secolo, di decennio in decennio, di anno in anno, di mese in mese e financo di giorno in giorno se guardi attentamente? Forse che mutazioni genetiche e psicologiche avvengono in massa ad altissima frequenza? Mi fermo qui, l'uomo non riesce a capire che un esito di equilibrio ("equilibrium outcome") può avere più di un fattore che lo determina. E nemmeno riesce a capire che, nell'analisi dinamica e storica, occorre chiedersi a che frequenza i fattori determinanti mutano per capire la frequenza e le modalità con cui l'equilibrium outcome che si vuole spiegare (divisione del lavoro, in questo caso) muta nel tempo. Penoso, semplicemente penoso.
"o ben l'individualismo metodologico è una ovvietà accettata da chiunque al mondo faccia ricerca o è aria fresca priva di costrutto"
perfetto, al 100%.
quello che l'individualismo metodologico va predicando, è messo in pratica da chi fa Ricerca ( provando a costruire modelli e a metterli a disposizione della comunità scientifica perchè vengano eventualmente smentiti).
ed è proprio per questo che vale la pena studiarlo secondo me. o meglio leggere e studiare gli autori che lo hanno "fondato". e non limitarsi solo a wikipedia professore.
vale la pena magari leggere weber, popper, von hayek, e prima ancora von mises e menger.
in quanto filosofi, non economisti. filosofi però che hanno contribuito a chiarire cosa è RICERCA e cosa è ideologia; quando conviene ascoltare ( come ascolto sempre per imparare lei prof. e il resto di noisefromamerika, per esempio) e quando no ( come mi è capitato con il prof. bellofiore ultimamente: ideologia presupponente, filosofia politica militante, e poca logica economica).
grazie e buona sera
Forse ho capito male ma ... parli con me? Ossia è rivolto a me l'invito?