Qualche remoto angolo della mia mente conosceva l'esistenza di una "tassa" speciale sull'acquisto di cd e videocassette, ma il tarlo era stato rimosso, fortunatamente per il mio umore. La consultazione della relativa pagina di Wikipedia rivela che il balzello esiste da tempo. Si chiama, ironicamente, "equo compenso" e viene applicato all'acquisto di ogni supporto e apparecchio teoricamente in grado di riprodurre e conservare opere per le quali esiste il diritto d'autore: CD, DVD, masterizzatori, dischi fissi, chiavette di memoria, smartphones, e così via. Come cercherò di spiegare, non vi è nulla di "equo" in questo "compenso".
Con un blitz legislativo, un'emendamento introdotto la settimana scorsa prevede di aumentare il compenso per attestarlo ad un livello almeno uguale al minimo della media europea calcolata scartando i paesi in cui questo compenso non esiste. Un bel colpo di genio, la cui logica (perversa) non ci sfugge. Il genio in questo caso è di tre giovani e belli membri del PD, più uno meno giovane, a giudicare dalle foto: Magda Culotta, Antonino Moscatt, Lilliana Ventricelli, e Franco Ribaudo. L'età anagrafica del parlamentare non è garanzia di novità nelle pratiche in spregio al consumatore onesto.
Secondo il presidente della SIAE Gino Paoli, non si tratta di una tassa, ma del "giusto compenso di lavoratori, gli autori appunto, e, spesso, la loro unica fonte di reddito. Voglio anche chiarire che la SIAE, anche in considerazione della situazione economica del Paese, è fermamente contraria all'introduzione di nuove tasse o di tasse di scopo, come si sente raccontare in questi giorni". Che si tratti di tassa o meno pare o me questione semantica. È una somma prelevata ai consumatori dallo stato, e automaticamente trasferita ad un ente formalmente di natura pubblica, ma che di fatto è una lobby che persegue interessi privati. Chiamatela come volete.
Tralasciamo la questione della equità ed efficienza del sistema di copyright, e di quale sia il giusto compenso per gli autori, in gran parte comunque trasferito ad intermediari che, ansiosi di mantenere il proprio potere monopolistico, frenano l'innovazione nel settore. L'esistenza della tassa, presumo, nasce dal contrastare gli abusi di copiatura e riproduzione di opere da parte dei consumatori, abusi che il sistema giuridico non riesce a controllare. E qui nasce il primo aspetto di iniquità: si colpiscono persone oneste a causa dell'esistenza di altre (quante?) disoneste. Penalizzare, riducendoli, gli usi legali di una tecnologia (perché questo succede quando si aumenta il suo prezzo), invece di colpire con gli strumenti appropriati eventuali e comprovati usi illegali.
Seconda ingiustizia: come viene determinato l'ammontare? Il ministero, in una relazione del 2009, rivela di aver "richiesto, in sede di consulenza tecnica, alla Siae, una documentata relazione tecnica sullo stato dei mercati, sui più recenti comportamenti dei consumatori in ordine alla realizzazione di copie private, ed una rilevazione delle tariffe medie europee". Il conflitto di interesse è palese, come rivela giustamente Massimo Sideri sul Corriere. Ai consumatori non resta che prendere o ... prendere.
Ma c'è di più (e siamo a tre). Attraverso l'adeguamento alla media europea (non proprio media, se mi cancellate gli zero, ma tralasciamo), la SIAE si rende conto di poter aver chiesto troppo, così l'emendamento propone un contentino: il 50% dell'eventuale aumento può essere destinato a "finanziamenti, borse di studio e altri benefici al fine di promuovere meritevoli iniziative nei settori musica, cinema, opere drammatiche e radiotelevisive, opere letterarie e delle arti visive e lirica". Il tutto ovviamente predisposto in accordo col ministro - giusto per non negare alla casta un surplus di potere discrezionale. Lasciare al libero arbitrio dei cittadini la scelta di come e a chi fare beneficienza è roba da ultraliberisti - è così che nascono le crisi, come continuano a gridare politici e pseudo-economisti in tutti i talk show.
Quarta ingiustizia: a conoscere un po' la materia, si scopre che la SIAE rastrella compensi da tutte le parti. Per esempio, ho scoperto recentemente che nel bilancio delle università italiane esiste un compenso forfettario a favore della SIAE calcolato sulla base del numero degli studenti. Decine di migliaia di euro per ciascuna università. Si dà per scontato che gli studenti, quando vedono un libro, si affrettano a copiarlo. Invece di punire il copiatore, si arruola l'università al compito di poliziotto-esattore, a svantaggio ovviamente di chi i libri li compra di tasca propria. Insomma, si arriva in alcuni casi a tassare anche tre (forse più) volte lo stesso atto di copiatura: lo smartphone, la sua scheda SD, lo studente che copia... e anche quello che non copia e usa smartphone e memoria per gli atti legali che preferisce.
Ma c'è anche la ciliegina sulla torta. Il balzello, che - sia ben chiaro - tassa non è, è soggetto ad IVA, ragion per cui su ogni aumento previsto dall'emendamento va computato un ulteriore incremento del 22% a carico del popolo bue. Il perfido anelito tassatore dell'emendatore PD non finisce mai di stupire.
Ebbene sì, la tassa c'era davvero.
Teoricamente una giustificazione della tassa c' è. Un prodotto intellettuale che circola liberamente sulla rete è un bene pubblico per la cui produzione si propongono tutti i problemi relativi di efficienza (in particolare la sottoproduzione). Ma la tassa della SIAE poi a chi va? Sarebbe in qualche modo equa e relativamente efficiente se i proventi andassero a coloro le cui opere sono gettonate di più sulla rete rimanendo di libero accesso (come ad esempio il blog di NoisefromAmerika). Ma in pratica cosa succede?
Non mi sembra tu abbia ben chiaro il concetto di bene pubblico. Se il bene pubblico è la circolazione (mi pare che la giustificazione sia: ricavo piu' piacere dall'ascoltare una canzone se lo fa anche il mio amico, cosi' poi ne discutiamo ricavandone ulteriore piacere - una specie di network externality, in gergo), allora si deve fare il contrario: sussidiare la circolazione, magari diminuendo la tassazione dei prodotti che la facilitano.
Ma credo tu intenda che sia la produzione a dover essere sussidiata. Qui il dibattito è notevole (ma ti consiglio di leggere il libro di Boldrin e Levine per dettagli), non e' chiaro che il mondo non abbia prodotto musica e arte nei periodi in cui non c'era copyright. Accettando comunque questa tesi, esistono vari modi di farlo (e che si fanno, pensa agli enti lirici) che non colpisono l'uso della tecnologia da parte di persone oneste.