L’intervista di un genio

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Il titolo, per una volta, non è ironico. L’intervista rilasciata ieri da Giulio Tremonti al Corriere prova che l’uomo un genio è: della mistificazione. Perché il vero regista di questo governo è lui, BS fa solo la parte più brillante in una trama scritta altrove.

Perché occuparsi

di un’intervista fondamentalmente minore ed in cui l’intervistato non dice

nulla di nuovo? Perché questa intervista è un capolavoro del MinCulPop – che è

ciò che il Corriere è diventato da quando la scommessa su VW è andata buca e i

padroni del vapore hanno ordinato a Mieli di lavorare per la Grosse Koalition e

la stabilità a ogni prezzo – e permette di capire quale sia lo scheletro

ideologico della sequenza di balle su cui le politiche economiche di questo

governo si fondano, e si fonderanno.

L’intervista mi

ha stuzzicato anche per una seconda ragione: sono in Italia da due mesi (non

temete, in meno d’una settimana me ne vado) ed ho letto i giornali con attenzione;

ultimamente ho anche cominciato a guardare le notizie alla televisione. L’impressione

di un regime è fortissima, asfissiante. Questo vale soprattutto per i due

principali canali RAI (con il TG3 che conferma la regola mettendo in onda solo

veline del loft PD) visto che a tutti sembra ovvio che i canali Mediaset

facciano propaganda per il loro proprietario (a Fede ho resistito solo 4 minuti,

poi basta: ma come fate?). La parte piu grave, però, sono i grandi giornali

cosidetti “indipendenti”: Corriere, Stampa e Sole in testa, con dietro

Messaggero, Gazzettino, Mattino di Napoli, eccetera: il coro esegue

polifonicamente lo stesso spartito, quindi meglio dare un’occhiata allo

spartito.

Eccone l’impianto.

Il capitalismo mondiale è in crisi e gli USA ne sono l’epicentro. Le cause

della crisi sono da un lato la globalizzazione e dall’altro la speculazione

mercatista, il libero mercato, la concorrenza. Sta agli stati, ai governi,

rispondere a queste cause di crisi riacquistando un protagonismo fondamentale

nella gestione dell’economia: libero mercato e concorrenza portano alla crisi,

serve altro. Riscopriamo il corporativismo cristiano-europeo, al centro delle

quali stanno governi forti e paternalisti che coordinano associazioni di

produttori nazionali e ne difendono i mercati e le prerogative. Tale politica

oggi non puo essere svolta solo a livello di nazione, va svolta a livello di

Europa continentale (nella perfida Albione hanno sede alcuni dei nemici

peggiori). Per ottenere tale risultato occorre la cooperazione di tutte le

parti sociali e risulta quindi necessario, sulle questioni fondamentali della

politica economica, superare la dicotomia governo/opposizione: esistono supremi

interessi nazionali che vanno difesi dall’aggressione esterna, sia essa

americana, cinese o della speculazione internazionale. In una situazione come

questa, una situazione straordinaria con cause tutte esterne, diventano

secondarie le cause nazionali di divisione. Vanno quindi accantonate la

questione morale, anzitutto, ma anche l’evasione fiscale da un lato e l’oppressione

fiscale dall’altro, la mancanza di crescita nei redditi effettivi di settori estesi della popolazione e della produttivita del lavoro in generale, l’assistenzialismo

meridionale e l’illegalità che governa quella fetta di paese, lo sfasciarsi progressivo dell’apparato dello

stato, l’accelerarsi della decadenza del sistema scolastico ...

Questo copione ha

ovviamente vaste implicazioni che riguardano sia l’ordine pubblico, che il sistema

di valori dominante, che la distribuzione del reddito e del potere politico,

economico e mediatico all’interno del paese - sembrano essersene accorti

persino a Famiglia Cristiana, seppur nel loro stile predicatorio-buonista - ma

discutere questi aspetti ci porterebbe troppo lontano, ed è ancora troppo

presto per dire dove si finirà esattamente. L’asse portante, in ogni caso,

rimane quello economico come articolato nell’intervista in questione.

Il giornalista,

tale Mario Sensini, offre imbeccate servil-strumentali che permettono al signor

Ministro d’esibire la sua enorme sapienza. La quale non si fa desiderare:

linguaggio ampolloso, latinorum a go-go, metafore ardite, affermazoni epocali

sin dalla prima riga. L’intervista non si apre con una domanda ma con una sentenza: agosto, apparentemente, ha scalzato aprile ed è il più crudele dei

mesi, quello nel quale esplodono le crisi. Il nostro ci ricorda che quella dei

mutui si manifestò l’anno scorso di questi giorni ma si scorda di notare che

lui, a quel tempo, prediceva il 1929 e l’imminente fine del mondo, mentre un anno

dopo il mondo gode di decentissima salute. Fa niente.

La parte di

politica internazionale fa tristezza, ed anche la voglia di dire cose troppo cattive,

ma non è questo il punto. Il punto essendo che gli USA sono fuori gioco e sta

alla ritrovata Europa giocare la partita con la ritrovata Russia imperiale: il

quadro di riferimento è quello della seconda metà del XIX secolo.

Poi viene

l’associazione chiave del Tremonti-pensiero a quello di Ratzinger. Di nuovo, tralasciamo

la baggianata sui grandi passaggi epocali che la chiesa sa correttamente interpretare

(il pensiero rinascimentale e poi scientifico, la rivoluzione francese, quella

industriale, l’unità d’Italia, l’avvento dei fascismi europei ...)

accontentiamoci di questa falsità: 

 

«L’aspetto

orrendo della speculazione è sul grano, sul mais, sugli alimenti. Anche sul

petrolio. Nel giro di sei mesi il prezzo è salito vertiginosamente e poi

precipitato. E’ la prova che dietro c’era la speculazione. Da un lato questa ha

divorato se stessa, causando recessione, dall’altro ha subito i colpi

dell’azione forte di molti governi».

 

Sì: dice proprio

così, ed il Sensini-Rigoletto non gli chiede di dare qualche esempio d’azione

“forte” dei “molti governi” ma continua chiedendogli di parlare della crisi

USA. Sì, di quella USA, non di quella italiana! GT racconta una balla grande

come una casa ed il Sensini non riesce nemmeno a chiedergli: scusi, signor

ministro, mi spiega come una variazione di un 20% nello spazio di sei mesi

possa causare una recessione che negli USA ancora non c’è e che invece c’è in

Italia, Germania e Francia dove, grazie all’apprezzamento dell’euro, il prezzo

del petrolio è cresciuto molto meno e la speculazione finanziario-mercatista

non s’è vista, come dice lei?

No, il nostro gli

chiede degli USA, e GT ne approfitta per spiegarci che sono oramai allo

sfascio, tutto per colpa della scienza economica triste fatta con le formule

matematiche. La prova: i giudici hanno ordinato a due banche fraudolente di

ricomprarsi i titoli piazzati con sporchi trucchi. In Italia, quando già governava

lui, le varie Cirio, Parmalat e il sistema bancario nel complesso (buoni

argentini) fregavano i piccoli risparmiatori con titoli di cacca senza che

nessuno ordinasse loro di ricomprarseli. Morale: le crisi epocali si evitano lasciando

che i banchieri nazionali truffino impuniti. Non scherzo: l’ingegneria

finanziaria sporca era una passione del GT prima maniera, nonostante le

prediche odierne.

Aggiunge poi, il

vostro ministro, che invece in Europa la situazione è più equilibrata. Strano,

oggi lo stesso giornale ci informa in prima pagina che l’area euro è già in

recessione ... Ah le statistiche: prodotti del diavolo matematico e triste. Ma

le perle vengono dopo: le pensioni italiane sono sicure e gli unici settori

dell’industria italiana dove le cose non vanno bene sono quelli delle

privatizzazioni sbagliate (esempi non dà, cosa intenda chi lo sa, ma di certo

le privatizzazioni gli sembrano una jattura), e l’unico punto debole (come lo

imbecca il Mario Rigoletto) sono i conti pubblici che GT ha messo in ordine con

la finanziaria anticipata. E dentro i conti pubblici che lui ha messo in

sicurezza trovano la medesima anche i risparmi delle famiglie. Cosa vuol dire?

Non lo so, ma il giornalista deve aver capito perché non chiede chiarimenti.

Qualcuno mi illumina? Mi illumino da solo: occorre far passare il messaggio che

i conti dello stato e quelli delle famiglie sono la stessa cosa, la corazza

dello stato paterno protegge (non dice “dentro” a caso) i risparmi delle

famiglie. Competitività, produttività, crescita, concorrenza non servono a

nulla, lo stato conta.

Poi viene tutta

una parte in cui GT maramaldeggia spiegando ai sinistri cio che

dovrebbero fare e non fanno. Cosa dovrebbero fare? Glielo suggerisce il

Rigoletto, e lui felice condivide

 

La commissione Attali in

Francia, il ruolo di Giuliano Amato nella consulta per Roma, dimostrano che c’è

terreno per coltivare esperienze bipartisan.

«Ed è la via

giusta. [...]».

 

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Commenti

Ci sono 58 commenti

Avevo notato anch'io l'intervista. Mi e' sembrata cosi' allucinante da farmi venir voglia di leggere il libretto di Tremonti che apparentemente tutti hanno letto questa primavera. Non so se l'hai visto. E' una cosa allucinante. Non e' leggibile (non e' vero che la gente lo ha letto; non puo' essere vero), e' barocco all'inverosimile, ed errato in ogni argomentazione di fondo. Adesso cerchero' ma non credo che abbia ricevuto recensioni oneste nella stampa (a parte Gianluca qui da noi , naturalmente).

 

 

Sulle recensioni, consiglio questo leggendario editoriale di Mieli.

Main highlight:

 

alla sinistra manca un Tremonti, cioè un politico di primo piano che

produca analisi innovative in sintonia con quel che si dibatte nel

resto del pianeta

 

Manca solo...

 

 

Confesso di averlo letto. Me lo mandò un caro lettore del nostro blog e direttore di giornale, chiedendomene una recensione. Non ci son riuscito, sembra scritto da una combinazione convessa di Lacan e Vattimo, con spruzzate di Cacciari. È un libro-buffonata, che prova tra l'altro l'inanità culturale dell'autore: vuole fare il grande uomo politico di centro-destra e scrive con lo stesso stile, lo stesso vocabolario, la stessa superficialità e la stessa logica dei peggiori filosofucci postmoderni comunist-cretinoidi.

Se riesci a farne una recensione comprensibile sei bravo, perché non ha alcun senso. Idem per il precedente, Rischi fatali: avevamo appena iniziato a fare il blog quando lo lessi e credo di avere delle note da qualche parte. Un'altra cosa allucinante, senza capo né coda. Ma La paura e la speranza è peggio, pura impostura pseudo-intellettuale. 

 

P.S. Per ragioni mie questa estate sto leggendo La Stampa oltre al Corriere. Non c'e' confronto in termini di quanto siano distesi. Il Sole non lo leggo e non lo so, ma il Corriere e' cosa allucinante.

 

Pero' forse mi sbaglio. Marco Boleo mi ha gentilmente mandato questa recensione del libro di Tremonti di Luca Rirolfi, apparsa su La Stampa. Mah,...

 

Da pochi giorni in libreria, il nuovo libro di Tremonti - La paura e la

speranza (Mondadori) - fa già discutere di sé. Ed è logico che sia

così: non solo perché Tremonti ha spesso idee interessanti, ma perché è

l'estensore del programma del Popolo della libertà e sarà il prossimo

ministro dell'Economia se, come probabile, le prossime elezioni le

vincerà il centro-destra. Alcune idee del libro non sono nuove, perché

già esposte in lavori precedenti come Rischi fatali (2005), Il fantasma

della povertà (1995), La riforma fiscale (1995). Tremonti, come la

sinistra antagonista, ha una visione decisamente pessimistica dei

processi di globalizzazione, di cui sottolinea gli effetti negativi

sull'ambiente (a livello planetario), sulle condizioni di lavoro (nei

paesi emergenti), sull'occupazione e il reddito (in Occidente), sullo

stile di vita e la morale (consumismo). Una visione molto vicina a

quella di uno dei più accorati e originali libri antiglobal di questi

anni, il pamphlet dello scrittore Bruno Arpaia Per una sinistra

reazionaria (Luanda 2007). Con l'importante differenza che, per

Tremonti, il male non è il capitalismo in sé ma sono i tempi e i modi

della globalizzazione, ovvero la rinuncia della politica europea a

governare un processo che ha assunto un ritmo troppo rapido e

disordinato.L'aspetto interessante, però, è che molte cose che ora

appaiono evidenti - ad esempio il rischio di impoverimento di ampi

strati delle popolazioni europee - Tremonti le diceva già dieci anni

fa, quando l'euforia della crescita le faceva apparire eterodosse e

stravaganti. Altre idee sono invece relativamente nuove, e stranamente

poco discusse nella raffica di interventi e prese di posizione che si

sono susseguiti in questi giorni, per lo più dominati dalla disputa su

pregi e virtù della globalizzazione. Peccato, perché l'aspetto più

interessante del libro di Tremonti non è la sua analisi dei costi

sociali della globalizzazione, svolta nella prima parte del libro («La

paura»), ma il ragionamento politico che sorregge la pars construens

del suo discorso, svolta nella seconda parte («La speranza»). Ridotto

all'osso il ragionamento di Tremonti mi pare questo. La domanda di

Welfare è destinata a crescere. L'Europa non vuole e non può rinunciare

al suo Welfare, ma per salvare e rafforzare lo Stato sociale ci

vogliono riforme incisive. Le riforme, a loro volta, non possono che

poggiare su due pilastri. Il primo pilastro è «più politica», ossia più

democrazia e più forza dei governi (innanzitutto a livello europeo). Il

secondo pilastro è meno Stato e più sussidiarietà, ossia più terzo

settore, più volontariato, più istituzioni sociali, più comunità. Il

problema è che entrambi i pilastri richiedono un consenso ampio, che

non può che fondarsi su un capovolgimento della cultura del '68, e

quindi sul ripristino di alcuni valori fondamentali: l'autorità, il

senso di responsabilità individuale, la cultura dei doveri, la

solidarietà comunitaria. Senza di essi, o meglio senza il sostegno

convinto della gente a simili valori, anche i sogni del riformismo

liberal sono destinati a infrangersi contro gli egoismi individuali,

contro le resistenze delle corporazioni, contro la forza degli

interessi organizzati. Perché l'intensità dei problemi che l'Europa

continentale deve affrontare è enormemente cresciuta, e

corrispondentemente è cresciuto «il quantum di consenso politico che è

necessario per governare». Insomma Tremonti prova a dirci che la

fiducia nelle virtù del mercato non fa i conti con l'immensa inerzia

che le riforme devono vincere, e che senza un deciso ribaltamento della

cultura dei diritti non andremo da nessuna parte. Perché i grandi

cambiamenti non si fanno dall'alto, come credono i tecnocrati

illuminati, ma richiedono il sostegno e l'adesione dei popoli.

Un'analisi ardita, che susciterà critiche, perplessità e discussioni.

Ma che non si può liquidare con il semplice richiamo ai luoghi comuni

dell'ortodossia liberista.

 

 

l’impressione

di un regime è fortissima, asfissiante

 

 un altro comunista! non è che tu compri famiglia cristiana e la usi per nasconderci il manifesto? :) buone vancanze

 

Molto indicativo l'uso che fai del termine "comunista"...

Tu cosa leggi, "Il Giornale"?

 

 

La scienza economica non è solo "triste", è anche falsa, se non si

sviluppa nelle incertezze tipiche delle scienze sociali e pretende di

modellare la realtà in formule matematiche.

 

Di "incertezze tipiche" ne trovo almeno due nell'intervista. Prima:

 

Nel giro di sei mesi il prezzo [del petrolio] è salito vertiginosamente e poi precipitato. E’ la prova che dietro c’era la speculazione.

 

Dai grafici nell'articolo di Andrea si vede che stiamo parlando di una variazione del 20%. Questo prova che c'e' una speculazione? Proviamo a utilizzare un pretenzioso modello di domanda e offerta, quello che (ricordo bene!) la maestra ci aveva spiegato in quarta o quinta elementare. I Sauditi a luglio hanno aumentato la produzione di greggio di circa il 10% (a circa 10 mln di barili al giorno dai circa 9 mln di fine primavera). E' irrealistico che questo, anche tenendo tutto il resto costante, abbia provocato la riduzione degli ultimi mesi? Dire di no: la domanda di greggio sara' pure un po' elastica. Non ho idea di quali siano i numeri rilevanti, ma di certo si puo' far di meglio che atteggiarsi a ieratici scienziati sociali e procedere a incertezze tipiche.

Seconda:

 

E’ più importante il potere d’acquisto o il posto di lavoro? La

questione dei prezzi è drammatica dappertutto in Europa, ma la

stabilizzazione del sistema è strategica. Questa è la scelta finora

dominante in Europa. Una scelta di sicurezza e non di rischio, di lungo

e non di breve periodo

 

Esiste un tradeoff tra potere d'acquisto e protezione dell'occupazione? Non lo so. Certo che se ci fosse preferirei vedere la mia produttivita' crescere e cambiare lavoro e luogo di residenza di tanto in tanto piuttosto che impoverirmi progressivamente nello stesso posto. Ma ci vogliono modelli per analizzare queste domande. I modelli, almeno, fanno vedere le cose chiaramente. Le incertezze tipiche sono in effetti comode perche' permettono invece di rendere tutto fumoso e dire oggi che f(X) e', ovviamente, crescente per poi dire domani che, ma come non lo vedete?, e' decrescente a scalini.

E una scelta di sicurezza del posto di lavoro sarebbe una scelta di lungo periodo e non di breve? Piuttosto il contrario, direi. Scelta dominante in Europa? E com'e' che il potere d'acquisto in Italia e' ormai sotto la media europea a 27? Mah!

 

 

 

La storia della Russia è una storia imperiale. All’impero dello zar ha fatto seguito il social-imperialismo dell’Urss e ora la Russia, tornata Russia, prosegue con altri mezzi, con il gas e con il petroliola sua eterna politica.

 

Spiegazione: Adesso ci sono le olimpiadi e per fare un dispetto ai cinesi ricordo il compagno Mao con la fregnaccia del social-imperialismo. Poi per far vedere che sono istruito, strizzo l'occhio a von Clausevitz, fa sempre fine. Poi siccome ho incontrato il Papa che usa questa parola (eterno) sia al maschile con la maiuscola, che al femminile con la minuscola, la uso pure io. Al femminile, beninteso, se no appare troppo pretenzioso.

 

Vuole una previsione?

 

 Io qui, a costo di passare per maleducato, l’avrei interrotto e detto garbatamente ma fermamente no.

 

Petrolio per petrolio, il quadrante strategico dell’impero si sposterà da Sud verso i fondali marini e i ghiacci in scioglimento del Nord.

 

Il nostro capitan Nemo: Ancora più a Sud: i fondali marini!e che ti ha fatto il Perito Moreno? Perché escluderlo? Anche lui non se la passa bene.

 

La storia prosegue, l’avventura umana è ancora imperfetta e la pace è ancora "in experimentum".

 

Dai Giulio perché copi senza citare. Forse il tuo addetto stava sotto l'ombrellone, piuttosto che andare a memoria é andato sul sicuro. Sullo stesso giornale che ti intervista due giorni fa il profetico Augé aveva detto, "l’avventura umana è ancora imperfettanon è riuscita a eliminare la violenza, la guerra; non conosce una pace mondiale, meno che mai l'armonia universale, che è rimasta nei libri di filosofia."

 

 

Il vero regista di questo governo è lui, BS fa

solo la parte più brillante in una trama scritta altrove.

 

Non credo proprio che la trama di questo governo sia scritta altrove. Chi ha ricevuto i voti per ora e' in primo luogo Berlusconi, e li ha ricevuti con la forza delle sue TV e della sua organizzazione, non cerrto grazie all'appoggio di Agnelli, De Benedetti, Passera, Profumo, non certo grazie ai giornali (tranne quelli di proprieta' e ben poco altro) e nemmeno grazie della gran maggioranza delle elites culturali e politiche. Tremonti e' un collaboratore di Berlusconi certo piu' subordinato che in posizione relativa di comando. Tremonti e' efficace (come presa sul parco buoi elettorale italiano) sia nei dibattiti TV sia nelle interviste sui giornali come questa, e questo lo pone in posizione preminente sia in FI che nel PDL, ma non c'e' dubbio che chi ha veramente la forza in termini di capacita' di raccogliere e organizzare il consenso e' principalmente Berlusconi

La trama di questo governo pertanto deriva dai piani di Berlusconi con un modesto contributo da parte del suo partito, che rimane ampiamente succube, dai piani dei dirigenti di AN e dai piani dei dirigenti della Lega.  Tremonti da' contributi tecnici e contribuisce ad elaborare la trama, ma comunque in posizione subordinata.  E non vedo proprio nessun grande vecchio "altrove" che stia scrivendo alcunche'.

Il Corriere della Sera rimane quello di sempre, e' proprieta' delle elites confindustriali del Nord e degli Agnelli in primo luogo, quindi sostiene in primo luogo il PD (fordista e assistenzialista della grande impresa collusa con lo Stato), in secondo luogo AN e UDC, e avversa meglio che puo' Berlusconi e la Lega, come peraltro Mieli ha onestamente chiarito nel suo noto editoriale. Per il momento e' ancora forte il vento del consenso che ha portato al sucesso la presente maggioranza di centro-destra, e il Corriere della Sera - come sempre ha fatto in passato - china la testa (come raccomanda la nota massima mafiosa). Se ci sara' un accordo con gli Agnelli lo si vedra' se Berlusconi nomina ministro un loro fiduciario (come nel 2001) oppure se il governo approvera' le facilitazioni fiscali per la rottamazione auto (come ha fatto sia Prodi/1996 che Prodi/2006). E la prova di accordo potra' essere confermata solo quando il Corriere fara' campagna elettorale per il CD contro il CS, fatto mai successo e che non mi sembra possibile nel breve-medio periodo. IL Corriere potra' fare propaganda per il CD contro il CS solo se il CD non includesse FI e Lega e quindi fosse solo AN+UDC.

 

 

A volte scrivo anche io come un deconstrutto, e non mi faccio capire. Chiedo scusa e cerco di spiegarmi.

Non ho dubbi che le elezioni le abbia vinte BS, e non ho dubbio che GT sia solo un suo dipendente. E non credo vi sia alcun grande vecchio.

Questo non toglie che, a mio avviso, l'unico piano di BS consista nell'usare il potere politico acquisito per risolvere i propri guai giudiziari, fare qualche ulteriore affare e "godersi" quel tipo di popolarità che a lui piace e riempie la vita: i bagni di folla, le collaboratrici graziose e soprattutto gentili, i paparazzi che lo fotografano per Novella2000 con la famiglia e la signorona, i giornali che parlano di lui, insomma l'osanna mediatico dell'italietta che vede in lui tutto ciò che avrebbe voluto essere. Ora, come nel 1994 e nel 2001, BS non ha nessun altro "piano" in mente, nessuna visione del paese e del suo futuro, nessuna idea di riforma strutturale o roba del genere. Vuole governare, essere osannato, fare affari e far finta di risolvere problemi (e.g. l'immondizia di Napoli, dove l'operazione al momento sembra riuscita, o Alitalia, dove invece sta fallendo miseramente). Per BS l'Italia è un principato che l'osanna e dove lui acquista ville; altri problemi non ne vede.

Il fatto è che un governo deve anche "governare", cioé fare delle cose che vadano aldilà della propaganda populista tipo l'abolizione dell'ICE (guarda caso, giusto oggi han cominciato a rendersi conto del danno che han fatto persino ai loro stessi comuni), la detassazione degli straordinari o i bei soldatini a presidiare i punti più visibili e meno a rischio dei centri città. Questo è particolarmente vero in un paese in grave crisi strutturale come l'Italia, un paese in declino, un paese dove le contraddizioni socio-economiche crescono e continueranno a crescere con l'ulteriore rallentamento dell'economia. Chiunque guardi ad un orizzonte un pelino più lungo di quello di BS (che, nel suo narcisismo, all'orizzonte vede solo il Quirinale) si rende conto di dover fare una politica economico-sociale ed offrire delle risposte a quella parte del paese che non s'accontenta delle imbarazzanti esibizioni del presidente-spazzino. A questa Italia, che alla fine è l'Italia che conta economicamente anche se non necessariamente sul piano elettorale, le risposte le stanno dando solo Tremonti e Maroni. Dato che le relazioni sociali, il livello intellettuale e la capacità di elaborazione del secondo sono quelle che sono, GT emerge come la testa pensante di questo governo. Ruolo che svolge con grande passione ed entusiasmo, da accademico frustrato quale egli è - questa è una cosa che i lettori di nFA dovrebbero apprezzare, visto che esempi ne abbiamo avuti anche qua: l'accademico frustrato è un personaggio pericoloso, che non riesce ad accettare il fatto di "non arrivarci" e ci riprova continuamente, ed a volte anche ossessivamente, ad elaborare grandi teorie sociali alternative a quelle accettate dalla maledetta accademia che non l'ha voluto nelle sue schiere ...

Ma non vi è solo questo. Per le sue origini politico-culturali e (diciamo così) socio-ambientali, all'interno di questo governo il commercialista da Sondrio è l'unico referente credibile per i padroni del vapore che operano sull'asse MITO e per le loro appendici. Non scordiamoci da dove viene il commercialista: anzitutto le relazioni che la sua attività di fiscalista hanno generato nell'arco di trent'anni, la sua lunga collaborazione con il Corriere della Sera, il suo ruolo nei ministeri socialisti degli anni '80 ed inizio anni '90. Anche se l'uomo - a riprova della sua genialità mistificatoria - si vende come la voce delle partite IVA, della piccola e media impresa, dell'imprenditoria artigianale del Nord e Centro, egli è in realtà un punto di riferimento solido (anche se controverso) per la grande industria del Nord, le banche e le fondazioni bancarie (che devono al medesimo la loro attuale esistenza e l'insalubre potere di cui godono). Letta Sr. svolge lo stesso ruolo rispetto agli antichi poteri romani, ma questi non godono di un potere economico autonomo comparabile a quello dei precedenti. Da qui l'allineamento naturale fra il nostro eroe e gli organi d'informazione controllati da questi poteri medesimi.

Su questo aspetto, e sul Corriere in particolare, permettimi Alberto (Lusiani) di criticare la tua analisi che soffre, diciamo così, di staticità. La MITO che conta (quando dico "MITO" includo Treviso, Genova, eccetera, capiamoci) non ha mai avuto nessuna appartenenza ideologica ma ha sempre e solo seguito la saggia regola del

plus ca change, plus c'est la meme chose: i governi sono autobus su cui si sale e si scende, si paga il biglietto, ci si fa trasportare dove si deve; al più, ci si tura il naso se il conduttore puzza. Con il PD di VW hanno fatto una scommessa, che è andata molto buca: poiché sanno di averli in tasca hanno sperato vincessero, chiudendo la partita. Hanno sbagliato, e si son trovati in una brutta situazione che ora devono aggiustare. Non è cosa facile anche perché da quasi due decenni le elites MITO, che in Italia in realtà non vivono, continuano ad ignorare e disprezzare il fenomeno leghista e, soprattutto, l'emergenza di una piccola imprenditoria del centro-nord che è a loro totalmente aliena.

Proprio per questo la loro posizione attuale è quella di spingere la Grosse Koalition, la cooperazione in nome della governabilità e degli interessi nazonali (loro), il taglio delle ali estreme (nelle quali, sia chiaro, sta anche l'IdV e chiunque chieda il rispetto della legge ed il ripristino della moralità pubblica: avete dato un'occhiata a come Corriere, Stampa e Sole hanno trattato sia i vari lodi pro-BS che il caso Del Turco?), una politica economica attiva a difesa degli interessi "nazionali". A queste elites il programma di politica economica peronista - perché tutti continuano ad associarla a Colbert? Colbert non c'entra nulla con quanto GT dice: quanto GT dice è Peron puro e duro! - che Tremonti va proponendo, elaborando ed eseguendo non può non andare perfettamente bene. Non scordiamoci che queste elites economico-finanziarie si sono sviluppate ed hanno raggiunto lo condizione di supremazia che ancora mantengono durante il ventennio.  

Commento fin troppo lungo, chiedo scusa.  

 

 

 

 

Se ci sara' un accordo con gli Agnelli lo si vedra' se Berlusconi nomina ministro un loro fiduciario (come nel 2001) oppure se il governo approvera' le facilitazioni fiscali per la rottamazione auto (come ha fatto sia Prodi/1996 che Prodi/2006).

 

E puntuale arriva la proposta:

Aiuti al settore auto: mille euro per «rottamare» e niente bollo per 3 anni


Maria Laura Rodota' lancia la sfida dalle pagine del suo forum:

 

Grazia Sabato, 16 Agosto 2008 

Tristezza

Oh, il corriere non si puó più leggere.

 


Rodotà Sabato, 16 Agosto 2008 

Se non vi piace ditelo. Emailate in massa alla direziome. Siate brevissimi, segnalate cose vi fa orrore e cosa vi piacerenne leggere. Sarà un utilissimo miel-a-thon- Poi verrò licenziata.

 

 

 

Per chi ci crede...

 

 

 

Con lo stesso zelo con cui prima diceva che tutto il bene era nell’Urss, adesso dice che tutto il male è nel governo di Silvio Berlusconi. Il governo vara un piano casa? E’ un regalo ai costruttori. Il governo tassa i petrolieri? E’ un danno ai consumatori.

 

Nel 1967 Giulio, allora ventenne, coltivava interessi nazional popolari e non disdegnava il festival di Sanremo. E' di quell'anno la canzone che ne segnò irreversibilmente l'immaginario. Si parla, per i più giovani, dell'indimenticabile Pietre di Pieretti-Gianco, il cui sublime attacco é una vera e propria Weltanschauung che ha lasciato su Giulio indelebili e ben visibili tracce

 

Tu sei buono e ti tirano le pietre.

Sei cattivo e ti tirano le pietre.

Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai,

sempre pietre in faccia prenderai.

 

 

 

 

 

http://www.corriere.it/editoriali/08_agosto_17/giavazzi_dfb797b6-6c0b-11dd-9087-00144f02aabc.shtml

 

Io applaudo per il titolo!  :)

 

 

Io applaudo per il titolo!

 

Ecco, appunto. Perché il contenuto lascia a desiderare. Dopo aver letto l'articolo per due volte credo di poter sostenere che quanto FG vorrebbe argomentare sia condivisibile, ma che il modo in cui lo sostiene e l'argomento logico che svolge ne stravolgano il senso.

In sintesi: FG dice che è necessario tagliare drasticamente sia le tasse sul reddito da lavoro che la spesa pubblica corrente. Questa tesi di fondo - ci mancherebbe altro! - mi sembra perfettamente condivisibile. Ma per articolare questa tesi Francesco sceglie un argomento alquanto opinabile.

Anzi, oserei dire (persino uno sfacciato come me ha una certa riverenza per gli antichi maestri) che FG svolge un argomento poco coerente. Da un lato sembra voler dire che occorre imitare le politiche economiche USA del 2007-08, ossia che occorre attuare politiche fiscali di sostegno dei consumi. Dall'altro lato sembra voler dire che occorre tagliare le tasse sui redditi da lavoro (cosa che ovviamente condivido senza riserve). Io credo che le due cose non siano necessariamente coerenti l'una con l'altra e che, nelle circostanze concrete dell'Italia del 2008-2011 (orizzonte della Legge Finanziaria), esse possano costituire obiettivi fra di loro contradittori.

Cominciamo da un dato apparentemente secondario: l'elenco delle "cause delle crisi" USA che FG offre all'inizio del suo articolo mi sembra molto discutibile. Nel 1974-75 la crisi ebbe poco a che fare con il Watergate e molto con il prezzo del petrolio, prima, e con le politiche inflazionistiche e di "sostegno della domanda" poi. Queste ultime politiche - d'ispirazione "keynesiana" e simili a quelle attuate dalla Fed nel 2001/04 e dalla Fed&Congress nel 2007/08 - generarono quasi un decennio di "stagflazione". Questo è un fatto fuori discussione e di cui molti sembrano già essersi scordati. La crisi del 2002 (ma non era 2000-2001?) oltre che all'esaurimento quasi naturale di un ciclo di crescita, mi sembra chiaramente dovuta alla fine delle follie dot-com supportate dall'allegra (eufemismo) politica monetaria di Greenspan. Insomma, se vi è stata una "causa evitabile" della crisi 2000-2001 essa consiste nella politica monetaria di Greenspan, del tutto identica a quella che poi ha causato anche la crisi attuale. Enron e gli altri scandali finanziari di allora e di oggi furono e sono solo un effetto secondario di tali politiche, oltre che il sintomo di un virus che ancora seriamente infetta Wall Street e paraggi. Certo non causarono la crisi.

FG omette questi evidenti fatti: riconoscerli sarebbe equivalente ad inficiare ex-ante (una parte del)la tesi che intende sostenere, ossia che abbiamo bisogno (non si intende se solo in Italia o nel complesso dell'area Euro) di politiche fiscali (e monetarie?) di sostegno alla domanda di consumi. Evocare per l'Italia le stesse politiche che hanno causato tre delle quattro serie crisi economiche USA (la crisi seria che fa eccezione fu quella del 1982 quando, per bloccare la spirale inflazionistica creata dalle politiche keynesiane precedenti, Volcker generò una stretta creditizia di dimensioni storiche) non sarebbe, evidentemente, un argomento molto convincente. Infatti - fra le altre cose perché i fatti che ho appena ricordato fatti sono - quello che proponi non è un argomento convincente, Francesco.

Cosa dice l'argomento? Sembra dire quattro cose che io non riesco a mettere insieme: (i) che occorre apprendere dalla lezione USA, ossia attuare politiche fiscali di espansioni dei consumi; (ii) che occorre ridurre le tasse sul reddito da lavoro; (iii) che i tagli alla spesa pubblica che Tremonti ha inserito in finanziaria non sono sufficienti e che tagli più drastici sono opportuni; (iv) che occorre non preoccuparsi del pareggio di bilancio.

Di fronte a questi suggerimenti, la mia reazione è la seguente.

(iv) è irrilevante, quindi scordiamocelo. Il problema non è proprio se c'è o non c'è pareggio di bilancio quest'anno o il prossimo. L'unico problema è quello della sostenibilità del rapporto debito/PIL e del fatto che questo venga o non venga percepito dai mercati come rischioso. Su questo parametro economico fondamentale, e non sugli artificiali ed insensati numeretti di Maastricht- Bruxelles, vanno misurate le politiche fiscali.

(i) è erroneo, quindi scordiamocelo per davvero. Tutta l'evidenza storica indica che queste politiche fanno danno. Quella recente degli USA mostra che o fanno danno o servono a nulla. Perdippiù, punto FONDAMENTALE, la recessione italiana c'entra pochissimo con quella USA (non ancora avvenuta) o con quelle di Francia e Germania. La recessione italiana non è altro che la continuazione della stagnazione italiana che dura da un decennio e che il piccolo blip del 2006-07 non ha certo modificato: meno 0.3% o più 0.5%, che differenza fa? Il problema italiano è tutto fuorché un problema di scarsa domanda interna, come andiamo predicando e dimostrando da sempre. Come tutti continuano a ripetere, incluso FG, il problema italiano è un problema STRUTTURALE, quindi scordiamoci le oscillazioni cicliche dei consumi, che sono minime, e concentriamoci sul problema di fondo, per favore.

(ii) e (iii) sono le cose da fare, ma non CONGIUNTURALMENTE, come FG sembra suggerire, ma STRUTTURALMENTE. Occorre radicalmente tagliare tasse e spesa pubblica corrente, anno dopo anno, sistematicamente ed incessantemente. Per quanto tempo? Sino a che non abbiamo limato 10 punti percentuali di PIL di spesa ed 8 punti percentuali di PIL di tasse (cosicché il bilancio pubblico sia in pareggio nel lungo periodo). Questo governo non lo sta facendo né ha alcuna intenzione di farlo, cosa ch'era d'altra parte vera anche per il precedente.

Ho la quasi certezza che FG condivida quanto sta scritto nell'ultimo paragrafo, anzi sono certo che sia quanto il suo editoriale vuole sostenere. Ma allora, mi chiedo, perché non lo dici esplicitamente ed in questi termini, Francesco, invece di fare degli strani giri logici attorno al sostegno dei consumi e della domanda, Herbert Hoover e l'Amerika dalle politiche economiche della quale, per una volta, non abbiamo nulla da imparare?

Ora che ci penso, ho sbagliato io all'inizio di questo commento. È il titolo dell'articolo di FG che è sbagliato: non vi è nessuna lezione amerikana da apprendere in questo momento.

Il titolo avrebbe dovuto essere: Tagliare le spese correnti. Ridurre le tasse sul reddito da lavoro.

 

 

bel titolo, ma perché rinvigorire il keynesiano sogno che i consumi in america tengono perché c'è stato il (o la?) tax rebate, e che il pareggio di bilancio non è un obiettivo da perseguire, perché senza la discrezionalità dell'azione governativa nel rilanciare la crescita durante la crisi, i paesi, poveracci, affogherebbero senza speranze ....visto che di SOGNO si tratta?

The Tax rebate was a flop

www.wsj.com/article/SB121798022246515105.html

"The evidence is now in and that optimism was unwarranted. Recent

government statistics show that only between 10% and 20% of the rebate

dollars were spent. The rebates added nearly $80 billion to the

permanent national debt but less than $20 billion to consumer spending.

This experience confirms earlier studies showing that one-time tax

rebates are not a cost-effective way to increase economic activity."

(e mica lo dico io!).

 

 

Alberto, la tua analisi è corretta ma un poco datata.

Infatti è sicuramente vero che la grande impresa abbia un'affinità con quel PD che - lo ricordo - ha puntato su Colaninno jr. (ovvero, il figlio del finanziere - non imprenditore, è diverso - preferito di Massimino, inviso alla quasi totalità delle PMI) e sull'arrivista veneto legato al mondo Fiat (Calearo doveva servire alla disperata - impossibile per chi conosce la zona - impresa di sottrarre voti alla Lega in quel diffuso tessuto produttivo che compete sui mercati).

Il fatto nuovo, che tende a sparigliar le carte, sta nel cambiamento che sta avvenendo in Confindustria, all'interno della quale gli equlibri tradizionali sono in discussione. Non ho certezza, ovviamente, che la rivoluzione si compia, ma la tendenza - valutando composizione dei nuovi organismi direttivi e prese di posizione, pur tra alti e bassi - sembra interessante. Non sto sostenendo che le grandi imprese non abbiano più alcun peso, né che i mutamenti avverranno in tempi rapidissimi, tuttavia è visibile una maggiore attenzione al manifatturiero ed alla piccola-media dimensione, con le sue istanze di semplificazione, deconcertazione, liberalizzazione.

Se posso, però, allargare il discorso a partire dalla considerazione che la Lega rappresenti la piccola-media impresa transpadana (FI meno, a mio avviso), un ostacolo importante al cambiamento credo stia nell'attuale snaturamento della Lega "originaria", con l'evidente tendenza alla trasformazione in una specie di DC su scala locale, dovuto al mancato ricambio ai vertici con una nuova dirigenza dotata di capacità di visione, a dispetto della crescita di alcune individualità amministrativamente capaci ma, spesso, culturalmente deboli. A questa formazione politica sarebbe invece stato necessario un salto di qualità, basato sulla comprensione dei veri problemi di un nordest proteso verso il mondo, che le consentirebbe di presentarsi quale interlocutore credibile - per un'azione comune con la locale dinamica imprenditorialità, che dovrebbe fungere da esempio per tutto il Paese - anziché come fedele alleato del Premier in cambio di fettine di potere.

P.S. Modifica successiva: scusate la collocazione errata del commento, che avrebbe dovuto comparire come risposta all'intervento di Alberto Lusiani, pubblicato in contradditorio con Michele Boldrin.

 

 

 

Il fatto nuovo, che tende a sparigliar le carte, sta nel cambiamento

che sta avvenendo in Confindustria, all'interno della quale gli

equlibri tradizionali sono in discussione.

 

La presidenza D'Amato aveva dato l'impressione che Agnelli & Co. fossero stati sconfitti, invece sono riusciti subito a riprendere il timone con Montezemolo. Marcegaglia e' probabilmente meno legata di Montezemolo ai vecchi notabili confindustriali, ma in una certa misura e' stata cooptata. La sua elezione e' stata ben diversa da quella di D'Amato, non preventivata. Certamente i notabili sono fortemente minoritari e non da oggi, tuttavia sono un'elite organizzata, con i giornali e con forti legami con lo Stato. I piccoli e medi imprenditori sono la netta maggioranza degli associati, ma hanno due problemi. Il primo problema e' che rispetto ai notabili sono disorganizzati, scoordinati, non hanno un gruppo coeso che pensa ed elabora una strategia sensata, almeno questo e' quanto vedo io dall'esterno. Il secondo problema, che e' poi la maledizione di tutta l'Italia, e' che tendono a imitare i notabili (e' un fenomeno universale: la massa cerca sempre di imitare le elites che ha vicino). Cosi' succede che Benetton si mette a fare il casellante e collude con lo Stato per non fare investimenti e avere gli incrementi tariffari. Era un imprenditore valido e di successo ed e' finito ad imitare Agnelli e De Benedetti. Per fortuna almeno Del Vecchio e' rimasto a fare l'imprenditore, e con successo. La strategia delle PMI, che in netta maggioranza sono vincenti sul mercato, dovrebbe essere liberista, pro l'anti-trust, pro-ricerca, contro l'intervento dello Stato nell'economia, ma non vedo venir fuori nulla del genere.

 

Un ostacolo importante al cambiamento credo stia nell'attuale

snaturamento della Lega "originaria", con l'evidente tendenza alla

trasformazione in una specie di DC su scala locale

 

Un partito italiano, anche padano, non potra' che essere una specie di DC, o meglio avere alcune delle sue caratteristiche, non e' realistico sperare in un partito liberale di massa in Italia, tantopiu' se osteggiato a tutta birra proprio da Confindustria. Siamo in Italia, appendice meridionale dell'Europa continentale, probabilmente il meglio che possiamo sperare e' qualcosa di paragonabile alla CSU-CDU tedesca. I partiti liberali di massa possono esistere a mio parere solo in Paesi dove il potere e' (da secoli) saldamente in mano a elites che derivano la loro forza da attivita' economiche private, e che pertanto costruiscono e amministrano lo Stato al servizio delle imprese. Non sono molti i Paesi di questo genere, Inghilterra, USA, Olanda e pochi altri, lo era la Repubblica di Venezia. In Italia come in Francia e in Germania in potere e' in mano ad elites che traggono il loro potere e ricchezza non da attivita' economiche private ma dallo Stato stesso, inclusi i notabili Confindustriali, o direttamente con indennita' e prebende, o indirettamente con sussidi e istitituzioni statali come gli ordini professionali, le Universita'.

La Lega delle origini aveva attirato pezzi marginali di elites anti-conformiste (penso a Pagliarini, in parte anche Gnutti) che avevano avuto qualche spazio e modo di proporre modelli liberali distinti dallo statalismo cattocomunista tipico del Belpaese. Ma la Lega non e' mai stato un partito a predominanza liberale. Espulsi alcuni elementi eccentrici, e' diventato un partito vicino alla mentalita' mediana degli elettori padani. Ci vorrebbe un miracolo, un leader che sia estremamente carismatico e allo stesso tempo abbia una visione e una strategia fortemente anticonformista rispetto all'ambiente culturale di cui fa parte e di cui fanno parte militanti ed elettori: realisticamente non lo si puo' nemmeno sperare.

Chi dovrebbe proporre una strategia liberale sono le PMI, come ho scritto, e potrebbero fare probabilmente un partito di minoranza, con l'asset non trascurabile di poter sostenere veritieramente di essere quelli che tengono su in fin dei conti tutto il resto della Repubblica bananifera.

 

 

Dicevo nell'articolo dell'orrendo regime mediatico televisivo. A volte, dopo aver scritto una frase, mi viene timore sia esagerata, quindi cerco di ricontrollare i dati. In questo caso ho guardato piu' attentamente la TV.

Mi son sforzato di seguire attentamente i notiziari delle tre reti RAI: sono degni di Orwell! Il più patetico, in un certo senso, è quello di RAI 3 che letteralmente legge le veline che arrivano dal loft di VW. Gli altri due, almeno, cercano di inventarsi servizi nazional-popolari e vagamente relazionati a quanto sta avvenendo nel mondo (dalla Georgia alle olimpiadi in Cina o alla rinata Napoli). Su Rai 3, invece, leggono direttamente la velina con la dichiarazione di VW che ci fa sapere che lui sta con Chiamparino nella baruffa interna alla DC (oops, PD) piemontese. E sta anche con la Bresso, ha detto VW. Ma, dico io, CHICAZZOSENEFOTTE di chiamparino, la bresso e delle opinioni d'un fesso?

 

Ammetto che informarsi correttamente in italia è faticoso , ma non impossibile . Prima di capire cosa era successo in Georgia ho impiegato un giorno, poi mi sono visto sul satellite l'intervista della bbc al prenier georgiano in diretta ( ovviamente in lingua inglese ). Esiste anche euronews ed esiste anche internet. La migliore difesa contro fede ed il tg3 è non guardarli. Le contromisure quindi esistono e sono alla portata di tutti quelli che hanno voglia di utilizzarle. Certo non si può obbligare gli italiani a guardare in faccia alla realta e forse è questa la chiave di tutto.

 

Corriere ed. Roma citato da Dagospia:

 

Prende corpo la commissione Attali alla romana. Nel giro di consultazioni, hanno dato la loro disponibilità a collaborare col Comune una quarantina di persone, dal produttore AurelioDe Laurentiis al medievalista Franco Cardini


C'è dentro di tutto, ma c'è anche un particolare che balza subito agli occhi: nei contatti avuti dal Campidoglio per comporre la «commissione Amato», scarseggiano le donne. Anzi, a dir la verità, nella lista della quale è venuto a conoscenza il Corriere, di rappresentanti dell'universo femminile non ce n'è neppure una.


È un elenco parziale, e suscettibile di ulteriori modifiche. Perchè, oltre ai nomi indicati dal sindaco Alemanno, ci sono poi le personalità selezionate da Gian Maria Fara, il presidente dell'Eurispes incaricato inizialmente di dirigere i lavori della commissione. E ci saranno, anche, i «suggerimenti» di GiulianoAmato, che secondo le parole di Alemanno «ha piena autonomia nella scelta degli uomini».

Nel primo giro di sondaggi, sono stati una quarantina quelli che hanno dato la loro disponibilità. I nomi più da copertina sono quelli legati al mondo dello spettacolo: il produttore AurelioDe Laurentiis, proprietario del Napoli calcio, Franco Zeffirelli, l'altro regista Gabriele Muccino, autore dell'Ultimo bacio. Con loro, è stato sentito anche Federico Moccia, lo scrittore cult dei ventenni, l'uomo dei lucchetti di Ponte Milvio e di «Tre metri sopra il cielo».

Ma nella squadra ipotizzata dal Campidoglio, non c'è solo il cult movie. C'è Innocenzo Cipolletta, presidente delle Ferrovie dello stato, coinvolto da Francesco Rutelli nel «manifesto dei coraggiosi» a sostegno della candidatura di Walter Veltroni a leader del Pd.

E poi il presidente di Sviluppo Lazio Giancarlo Elia Valori, il direttore generale della Luiss Pierluigi Celli, il vice preside di Economia della stessa università Matteo Giuliano Caroli, uno dei manager più quotati della City di Londra come Panfilo Tarantelli, il presidente dell'Enea Luigi Paganetto.


Un elenco variegato, che passa per l'ex craxiano Massimo Pini, per l'economista Oscar Giannino, il medievalista Franco Cardini, il direttore dell'Adn Kronos (e consigliere della Roma) Pippo Marra, l'architetto Gianni Ascarelli. C'è poi l'immancabile Vittorio Sgarbi, e settori importanti del volontariato come monsignor Guerino Di Tora, direttore della Caritas, e come il già annunciato Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio. Un tentativo, per la verità, è stato fatto anche con Mario Monti, che aveva partecipato alla Attali francese: ma l'ex commissario europeo, come Luca di Montezemolo, ha qualche riserva.

E le donne? Arriveranno, forse.

 

Dio ce ne scampi...:)

 

Mi pare un magnifico esempio di consociativismo, nella migliore tradizione democristiana.

Del resto, da fiero oppositore del liberismo, il social-fascista Alalà-manno non poteva certo far diversamente ....

Ma ....... che cosa ci sta a fare, tra monsignori e cinematografari, Oscar Giannino ??????

 

 

"Riassumendo , un sindaco che è arrivato alla carica grazie alla propaganda mediatica sulla sicurezza, quasi sempre montata ad arte dai media del suo presidente del Consiglio, arruola nel suo pensatoio bipartisan proprio colui che nella terribile insicurezza preelettorale faceva il ministro degli interni. Bizzarrissimo testacoda, per cui si vince a sorpresa, quasi inaspettatamente, gridando che la città non è sicura, che la delinquenza impera, che il governo non ci difende. E poi si affida il disegno di rilancio della città proprio al ministro che, dalla poltrona del Viminale, avrebbe dovuto garantire quella sicurezza".

"Amato, il dottor Sottile che "lascia la politica" ma non molla la poltrona"

 

La ragione per cui i ragionamenti un po' arzigogolati come quelli di FG sul Corriere del 17 Agosto, di cui si discute sopra, non andrebbero fatti è perché spalancano le porte a ragionamenti come questo, sulla Stampa di oggi.

Qui non c'è niente di arzigogolato, solo cattivi consigli e pessima lettura di quanto sta accadendo e, soprattutto, di quanto accadde trent'anni e passa fa. L'ineffabile Deaglio suggerisce di evitare la stagflazione ripetendo esattamente, quasi letteralmente, le politiche che la produssero ed alimentarono tra l'inizio degli anni '70 e la prima metà degli anni '80.

Da cosa egli deduca e come egli possa affermare che l'economia (nel senso, credo, di quella parte del sistema economico che non è già controllato dallo stato) non è in grado di tornare da sola sul sentiero della crescita, non ci è dato sapere. Ma non importa, dall'apodittica affermazione segue la richiesta di deficit spending e di interventi statali.

Sia chiaro, siccome poi alla fine chiede una piccola riduzione della tassazione (ma solo sui redditi più bassi) non sarò io ad oppormi ad una riduzione delle tasse. Ma è importante notare che NON suggerisce di tagliare (più che proporzionalmente) le spese (com invece fa FG), ma semplicemente di continuare a spendere facendo ulteriore deficit. La qual cosa è insensata alla luce delle sue stesse affermazioni in altre parti dell'editoriale.

Deaglio, da quanto si evince, ritiene che le cause della crisi siano il rialzo dei prezzi delle materie prime e la restrizione di credito che ha fatto seguito alla crisi delle ipoteche USA. Il primo, e lo dice, è un fenomeno strutturale e di lungo periodo; la seconda è dovuta al fatto che svariate banche hanno pessimi stati patrimoniali e che esiste una forte incertezza su quali investimenti siano "buoni" e quali no.

Ora: i deficit spending sono, per natura, temporanei oltre che incapaci di modificare i prezzi relativi di petrolio ed alimentari. Ovviamente non hanno nessun effetto sugli stati patrimoniali delle banche e di certo non creano nuovi e sicuri investimenti. Idem per la detassazione dei redditi più deboli la quale, se dovesse far qualcosa, farebbe quello che ha fatto il regalino fiscale di Bush: far aumentare leggermente e temporaneamente i consumi più ovvii. Di certo non aggiusta il dissesto delle ipoteche o riduce la domanda di petrolio da parte delle nostre economie! Insomma, non servono dichiaratamente a nulla, e l'articolista stesso offre gli argomenti per arrivare a questa conclusione!

Il Giappone, tra il 1994 ed il 2002, è andato avanti con deficit di bilancio mostruosi facendo salire il proprio debt/GNP ratio al 160% in meno di un decennio: dalla recessione, che aveva cause molto simili alla presente, ne uscì solo quando abbandonò quella politica e lasciò che un certo numero delle sue banche ed altre grandi aziende fallissero. Ma al Deaglio, come alle decine di altri "keynesiani-pavloviani" che scrivono editoriali sui giornali in questi giorni, tutto questo non risulta o non importa. Hanno imparato una-regoletta-una a scuola 40 anni, e la ripetono pavlovianamente ogni volta che qualcuno chiede loro un'opinione. Perché non considerano mai l'altra opzione: ossia stare zitti?

La teoria soggiacente sembra una versione economica della pedagogia del ciuccio: appena il bambino frigna, lo si accontenta. Ci dice, il Deaglio, che i governi USA ed UK sono stati "forzati" a salvare le varie banche, come se non vi fosse stata la saggia alternativa di lasciarle fallire. Dice che ora dovranno salvare Fannie&Freddie, ma non ci dice che F&F sono di fatto pubbliche e se sono nei casini che sono è per colpa del sostegno pubblico, come dozzine di commentatori andavano alertando da anni.

L'uomo si spinge sino a suggerire la dimensione del deficit (0.5-0.7% del PIL: misurato come ed in aggiunta a quanto deficit già esistente, in Italia per esempio?) che

 

sarebbe sufficiente a tener lontana la recessione senza suscitare particolari stimoli inflazionistici. 

 

Dove lo abbia scoperto e come lo abbia calcolato, non si sa. Salvo poi aggiungere che 

 

Si tratta sicuramente di un’azione dal risultato incerto

 

Ecco, appunto ... molto incerto. Adottarla non implicherebbe coraggio ma diabolica stupidità, perché errare è umano mentre perseverare ... 

 

Non credo che questa propensione per la finanza allegra sia

un'opionione isolata.

Qualche volta ascolto "focus economia", la trasmissione

di radio24 a cui lo stesso Deaglio ed altri economisti vengono chiamati

regolarmente a contribuire: in quella sede si chiede spesso che lo

stato faccia qualcosa e si mette regolarmente sotto accusa la

politica monetaria BCE come troppo rigorosa.

Gli ho scritto qualche SMS evidenziando la contraddizione fra lo

stracciarsi le vesti per le crisi finanziarie ed il propendere per la

moneta o la spesa allegra, ma fanno solo qualche blanda ammissione.

La mia sensazione è che la propensione all'interventismo,

monetario e fiscale, propria di molte frange del potere economico,

non trovi alcun freno, visto che l'informazione è completamente

asservita. Allo stesso tempo credo che l'informazione economica dica spesso delle cose talmente ridicole che non sarà difficile creare un'informazione alternativa più seria, di cui la gente sente il bisogno.