L'emigrazione come scelta

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Cerco di rispondere, evitando di andare troppo sul personale ma inevitabilmente andandoci, ad una domanda postami da Sergio Beraldo.

Dice Sergio, esprimendo un'opinione che credo comune a molti:

 

Volevo  chiederti:  ma secondo te, in Italia, è tutto da buttare? Che facciamo, ci trasferiamo   in blocco in Spagna (questo per rispondere ad altri tuoi commenti in cui suggerisci di emigrare: e che facciamo, emigriamo tutti? Ti sembra coraggioso o da codardi?)

Non credi che la nostra forza siano i (e il nostro riconoscimento dovrebbe andare ai)  tanti signor Rossi, che nelle condizioni più avverse fanno il loro mestiere e lo fanno bene (mio padre è stato per oltre 30 anni un tecnico FIAT davvero capace (stando ovviamente a quello che mi racconta lui ;-)). Dai tuoi commenti non sembri aver riguardo neppure per loro (ma immagino che non sia così)

 

Anzitutto, togliamo di mezzo gli equivoci.

Io uso spesso l'esempio della Spagna proprio perché è paradossale, non perché io ritenga la Spagna un paradiso! Al contrario, la Spagna ha tanti difetti e patisce una tendenza generale all'italianizzazione, che sinora ha resistito con misto successo. La Spagna è un utile termine di paragone proprio per questo: cultura di base e composizione sociale simili, povertà antica, oscurantismo clerical-fascista sino all'altro giorno, arretratezza economica rispetto non solo all'Europa ma anche a noi sino alla democratizzazione, ... La Spagna era un paese dove, negli anni '70 ed '80, se dicevi che eri italiano la gente ti guardava con invidia, chiedeva consigli, voleva imitarti, ... dicevano "Los italianos arrazan ...". Oggi ha un reddito leggermente superiore al nostro e, a mio avviso, continuerà ad averlo per qualche tempo ancora. Sta facendo (alcune del) le riforme di cui in Italia si parla a vanvera senza farle, la corruzione politica è 1/10 dell'italiana, l'apparato dello stato costa enormemente meno, eccetera. Per questo è utile compararsi alla Spagna: perché fare come in Spagna (quando e dove fanno meglio di noi) è perfettamente possibile, non è chiedere la luna tipo quelli che vorrebbero fossimo la Svezia o la Danimarca, che son assurdità anti-storiche, o gli USA, che oramai secondo me nemmeno conviene più imitare (ma questo è un altro discorso!).

Si dà poi il fatto che io in Spagna ci sia re-emigrato per scelta, nel tentativo di trovare un posto in Europa dove potessi sia vivere che lavorare bene. Tentativo riuscito, grazie. La scelta, ovviamente, non è avvenuta per caso: era ed è un posto dove si può vivere molto all'italiana (in quelle parti che mi piacciono) senza dover soffrire all'italiana. Tanto per dire, l'università spagnola ha iniziato ad offrire (non solo a me, a centinaia di stranieri) ottime posizioni quando l'università italiana nemmeno si sognava di farlo, anzi bocciava i migliori italiani. Mi fermo qui, ma dà l'idea, spero.

Secondo equivoco: io non credo proprio di aver mai "mancato di rispetto" ai vari signor Rossi che fanno il proprio dovere, almeno non ne ho mai avuto l'intenzione. Quale mio commento darebbe quest'impressione? Ovviamente in Italia vi sono milioni di persone che fanno il loro dovere ed anche di più, altrimenti il paese sarebbe affondato da un pezzo visto il grande numero che non fa la propria parte! Ho ancora svariate centinaia di amici in Italia, di tutte le tendenze politiche, età e condizioni sociali: credo che tutti loro facciano abbondantemente il proprio dovere. Sono talmente intollerante - credo che in Italia, nel giro buono, sia questo il termine adeguato - da aver deciso da tempo di tagliare, unilateralmente, ogni relazione di amicizia con quelle persone su cui ho sufficiente evidenza che così non è. Spero di potermi evitare gli esempi con nome e cognome ...

Ho quindi grande rispetto per quelli che fanno il proprio dovere. Ma il fatto che (non è solo un'idea tua, Sergio: è un'idea che in Italia si sente spesso, quindi nulla di personale) in Italia sia necessario riconoscere pubblicamente che X o Y hanno fatto il proprio dovere dovrebbe dar da riflettere. Quanto impazzito deve essere un paese se si tende a riconoscere come fatto straordinario e degno d'encomio che si faccia nient'altro che la propria, regolare e comune, parte?

Credo tutti ricordino l'affermazione (di BB, se non ricordo male) secondo cui è mal ridotto quel paese che ha bisogno d'eroi. Quanto mal ridotto può mai essere, allora, un paese che ha bisogno di trovare eroismo nella conduzione d'una vita professionalmente ed eticamente normale? Riflettere su questo fatto dovrebbe permettere di porre la questione "scelta di emigrare" nei termini che le competono, che sono a mio avviso i seguenti: l'eroismo individuale NON può essere il criterio su cui si basano le scelte di vita personali.

Non è legittimo, né moralmente né politicamente, costruire un paese in cui i migliori debbano porsi la questione del "coraggio" o dell'"eroismo" nel momento in cui scelgono cosa fare della propria vita. Un paese sano è un paese dove tra i 15 ed i 25 anni, nel decidere cosa fare della propria vita, si usano criteri come "quello che mi piace, conviene, attira, gratifica, entusiasma ...". Se parole come "coraggio", "abnegazione", "amor di patria", "dedizione al paese", "eroismo" ... entrano in scena, allora vuol dire che siamo decisamente fuori strada, che siamo proprio nei guai.

Ed infine, davvero la scelta dell'emigrazione è quella facile, quella più semplice? Sento spesso questa affermazione, rivolta in tono di sfida o di rimprovero a quelli che, come me, sono emigrati ed hanno avuto un minimo di fortuna. Il sottinteso è che per noi è stato facile, siamo andati alla 'merika dove scorre il latte ed il miele, abbiamo avuto la grande fortuna di emigrare ed ora diamo facili lezioni dal nostro pulpito dorato. Questo non è quello che Sergio Beraldo afferma, sia chiaro, ma era questo (tanto per non far nomi) quello che Renato Soru chiaramente diceva alcuni mesi fa apostrofandomi in televisione o che il responsabile economico del PD sottintendeva definendo nFA "expatriate upper class" ...

Queste affermazioni sono false, anzi sono ridicole. Per una banale ragione, che un economista capisce al volo: selection bias. Quando si decide di emigrare, l'incertezza è totale ed il rischio è alto. Infatti, emigrano sempre e solo due tipi di persone: quelli i cui meriti vengono sistematicamente negati ed hanno capito, mancando i privilegi di partenza, di non avere una chance e quelli che non hanno nulla da perdere. Perché emigrare è sia rischioso che personalmente costoso: lo si sceglie solo perché costretti e solo come ultima soluzione ad una situazione altrimenti insostenibile. Certo, spesso lo si fa perché non ci si vuole piegare agli abusi del potere, non ci si vuole adattare, ma è comunque costoso. Di nuovo, ogni emigrante che ho conosciuto (non solo e non tanto in accademia) ti racconta la storia dell'amico che è rimasto e si è adattato, della morosa che l'ha mollato perché se ne andava, del padre che cercava di fargli notare che alla fine quel miserabile lavoretto non era così miserabile, eccetera. Insomma, non so se ci vuole "coraggio", so per certo che è la strada più difficile quando viene intrapresa.

Ed a molti va male! Ad alcuni, per carità, va bene, ad alcuni benissimo. Ma a parecchi va male forte. Alcuni di questi tornano con le pive nel sacco, altri rimangono fuori ma malediscono il giorno in cui son partiti. Poiché il giudizio va dato ex ante e non ex post queste cose vanno tenute in conto: l'evidenza suggerisce che emigrare non sia la soluzione facile facile per chi non ha il coraggio di affrontare la realtà. È una maniera, come tante altre sia chiaro, di affrontare la realtà del paese Italia, che è quella che è.

Ed infine, perché io consiglio ai giovani capaci di andarsene? Esattamente per le ragioni svolte sino ad ora.

- Perché nessuno puo' arrogarsi il diritto di chiedere a dei giovani capaci di "sacrificarsi" per la "madre patria".

- Perché ritengo che la vita di ognuno meriti di essere vissuta nella limpida ricerca di soddisfazioni professionali e personali. La felicità e la tranquillità individuale contano, eccome se contano.

- Perché i dati a disposizione mi dicono che, purtroppo, oggi in Italia il potere socio-politico sta nelle mani di chi non fa il proprio dovere, sta nelle mani dei mediocri, dei parassiti, degli approfittatori (ero tentato di dire che tale è la maggioranza degli elettori, ma ammetto di non aver dati per sostenerlo). Costoro si reggono approfittando del lavoro dei normali e dei capaci. Insomma, oggi la "madre patria" coesiste con la parte peggiore della medesima, che se ne è appropriata. Se fosse realistico aspettarsi che la "coalizione dei capaci" potesse prendere la situazione nelle proprie mani ed imporre le proprie regole, forse non sarei così pronto a consigliare l'emigrazione ai giovani capaci e ambiziosi. Ma tutta l'evidenza mi dice che le cose non stanno così, anzi: stanno esattamente al contrario.

Quindi, poiché ritengo moralmente ingiustificato chiedere a dei giovani capaci d'immolarsi per una "patria" saldamente in mano ai mediocri ed agli approfittatori, credo sia legittimo ricordare a ognuno di questi ragazzi che di vita ce n'è una, che è nostra e che la si può vivere bene e con soddisfazione anche lontano da dove si è nati e cresciuti.

Perché, alla fine, se la maniera migliore per ammazzare il parassita per sempre è negargli il sangue di cui si nutre, allora l'emigrazione massiccia dei capaci fa proprio quello: nega la nutrizione ai parassiti che hanno in mano il paese. Insomma, emigrare è non solo individually rational, è anche "patriottico" ...

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Commenti

Ci sono 103 commenti

Grazie,

con il cuore

Chi sostiene che andar via dal proprio paese è una facile soluzione, per sua fortuna non si rende conto di quello che dice. Anche perchè è una brutta sensazione realizzare che nel tuo paese ti trovi solo porte chiuse. E se non lo hai enfatizzato tu, Michele, lo dico io che ci vuole un gran coraggio oltre alla grande fiducia in se stessi. Ho però una posizione piuttosto dure nel senso che i tanti signori Rossi che ad onta di tutto mandano avanti il paese in uno sfacelo che gli farebbe guadagnare la qualifica di eroi, nessuno di loro o troppo pochi decidono di occupoarsi della politica che assassina il paese e danneggia loro stessi. Se la soluzione è cacciare i mediocri ed i peggiori, biogna che i migliori decidano di mettersi in gioco. 

 

Caro Michele, condivido.

In particolare, visto da dentro, penso anch'io che:

 

Se fosse realistico aspettarsi che la "coalizione dei capaci" potesse prendere la situazione nelle proprie mani ed imporre le proprie regole, forse non sarei così pronto a consigliare l'emigrazione ai giovani capaci e ambiziosi. Ma tutta l'evidenza mi dice che le cose non stanno così, anzi: stanno esattamente al contrario.

 

Qualche post fa proprio tu proponevi:

 

Perché non create (NON sto scherzando: se lo fate vi dò tutto l'appoggio possibile e mi faccio in quattro per trovarvi l'appoggio dei vecchi famosi all'estero, in ogni disciplina) il "sindacato dei ricercatori bravi"?

 

Che era un po' come chiedere ai ricercatori di fare gli eroi. Quello che scrivi qui è un po' diverso e secondo me più realistico. Dici che non si deve chiedere ai giovani di fare gli eroi, e che il coraggio lo si mostra emigrando, non facendo gli eroi (combattendo contro i mulini a vento direi io) a casa propria. E io sono d'accordo.

Mi piace di più questa tua versione "piuttosto emigrate" di quella "datevi da fare e salvate la baracca". Appena ci riesco seguirò il tuo consiglio, che comunque non fa che sfondare una porta aperta.

 

Che era un po' come chiedere ai ricercatori di fare gli eroi. Quello che scrivi qui è un po' diverso e secondo me più realistico. Dici che non si deve chiedere ai giovani di fare gli eroi, e che il coraggio lo si mostra emigrando, non facendo gli eroi (combattendo contro i mulini a vento direi io) a casa propria. E io sono d'accordo.

 

Perdonami, ma non ci siamo capiti. Questo post è sulle scelte individuali, quelle che ognuno di noi fa rispetto alla propria vita, tutto solo soletta, al più con il moroso o la morosa ma niente di più.

Quello che invocavo o suggerivo nel commento a cui fai riferimento era una scelta collettiva, e fa tutta la differenza. Tutta.

Mentre non ritengo ragionevole chiedere ad un SINGOLO ricercatore di immolarsi facendo le barricate da solo contro lo sfascio universitario, ritengo ragionevole (anzi, doveroso) chiedere al COLLETTIVO dei ricercatori italiani di assumersi collettivamente le responsabilità che loro competono. Son due cose BEN DIVERSE.

Piaccia o meno esistono meccanismi di decisione collettiva e responsabilità collettive (alcuni le chiamano "politiche"): nella misura in cui i ricercatori italiani sono capaci di organizzarsi ed attivarsi su temi collettivi (preannunciando la paralisi dell'università per l'autunno prossimo venturo) mi sembra legittimo chiedere loro di farlo su obiettivi meritocratici e non corporativi. O no?

Il non fare questo, ossia lo scegliere collettivamente di agire solo a fini corporativi e non meritocratici, è uno dei fattori che poi costringono molti ad emigrare.

Detto altrimenti: chi decide di vivere in una comunità, qualsiasi essa sia, ha a mio avviso l'obbligo morale della partecipazione politica alle decisioni di tale comunità (sempre che di essa intenda far parte in una qualche maniera, traendone benefici: ho totale rispetto per l'eremita-libertario-solipsista-autosufficiente). Se stai in Italia lo fai in Italia, se stai in Francia lo fai in Francia ... se stai un po' ovunque lo fai un po' ovunque. Ma lo fai. L'eroismo non c'entra nulla, in questo caso. C'entra solo il civismo più elementare.

Se poi i ricercatori decidono che tale attivismo collettivo loro lo utilizzano solo per perseguire obiettivi corporativi, ebbene è scelta loro. Scelta legittima, sia chiaro, ma con chiare conseguenze: che non vengano poi a offendersi se qualcuno dice che sono dei corporativi che difendono gli incapaci. Sic et simpliciter.

Il problema non e' chi emigra,

Perche' emigranti erano anche gli esiliati durante il periodo del fascismo: ma nessuno osa dire che quelli erano infami che odiavano la propria nazione. Il problema potrebbe essere dato da quelli che non tornano: ma come si fa a contare coloro i quali non torneranno in patria, visto che se non tornano oggi, i loro figli potrebbero tornare? Se l'Italia offrisse uno straccio di opportunita' le frontiere sarebbero gremite di stranieri pronti ad immigrare - inclusi molti degli italiani emigrati nel '900.

E poi, come pretendere di far nascere una nuova classe dirigente in un sistema che seleziona i peggiori? Non e' forse piu' facile che quella classe dirigente emerga all'estero, nei paesi meritocratici? E non e' forse noisefromamerika un'esempio di eccellenza italiana all'estero che, nel suo piccolo, fa il bene dell'italia e potrebbe realisticamente far parte di quella classe dirigente cosi' dolorosamente inesistente allo stato attuale? 

 

emigranti erano anche gli esiliati durante il periodo del fascismo: ma nessuno osa dire che quelli erano infami che odiavano la propria nazione.

 

Solo oggi non vengono considerati infami: molti che se ne andavano, perche' il regime usava altri mezzi, all'epoca erano considerati proprio cosi'.

Personalmente ho pensato molte volte ad andarmene, e le occasioni serie che ho avuto le ho lasciate per vari motivi, tra cui l'eta non piu' verde e i legami familiari. Non me ne pento, ancora, ma trovo molto triste trovare ogni giorno che qualcosa va peggio - sia perche' sono io a guardarla con occhi diversi o perche' effettivamente e' peggiorata.

Effettivamente, sperare che i giovani se ne vadano mi pare l'ultima speranza per chi crede almeno nella progenie, e anche l'unica via praticabile. Ma deve essere una emigrazione definitiva: lasciare qui le vittime e i complici, senza sensi di colpa.

io vorrei emigrare, ma quando ho scoperto che sarebbe stato bello e necessario, ormai era troppo tardi...

Grazie Michele. You made my day.

Personalmente non ho mai voluto emigrare pur avendone avuto, una volta, la possibilità: ma stò augurando ai mie figli, oggi piccoli, di andarsene il più presto possibile da qui e la cosa, sinceramente, mi mette una tristezza infinita.

davvero, nel 2010 vi e' chi pensa che l'emigrazione sia tanto sofferta?

Non sto facendo del sarcasmo, ma non so bene che cosa sia il problema? gastronomico? familiare?

Pezzo magnifico,

io non sono un cervello in fuga, (sono emigrato per amore) ma posso dire di non essermi pentito, anche professionalmente mi è andata bene, ma è certo che emigrare non è facile e ognuno deve fare le sue scelte calcolando i prons and cons in base alla sua sitazione personale e ai suoi sentimenti verso chi resta.

Solo su una cosa non sono d'accordo con Michele, non credo che l'emigrazione massiccia dei capaci sottragga nutrimento ai parassiti, credo piuttosto il contrario, se i più capaci se ne vanno quelli che restano sono i più facili da "succhiare".

 

Perché, alla fine, se la maniera migliore per ammazzare il parassita per sempre è negargli il sangue di cui si nutre, allora l'emigrazione massiccia dei capaci fa proprio quello: nega la nutrizione ai parassiti che hanno in mano il paese. Insomma, emigrare è non solo individually rational, è anche "patriottico" ...

 

 

Mi sembra una cura pericolosa. Magari prima ammazza i "parassiti" che NON "hanno in mano il paese" - tipo i pensionati che dipendono dai contributi dei lavoratori dipendenti. O finiscono sul lastrico molti onesti lavoratori non molto intraprendenti che dipendono dai "capaci" per organizzare il proprio lavoro.

Pericolosa per chi? Di nuovo, siamo alla solita questione della responsabilità individuale.

Che dovere ha, il capace che emigra, di rovinarsi la vita rimanendo per farsi succhiare il sangue da un sistema organizzato a farlo? Dovrebbe farlo sperché altrimenti i pensionati che NON hanno in mano il paese non avrebbero di dove trarre contributi che finanzino le loro pensioni? Quale debito ha con costoro? Se i pensionati in questione ritengono loro diritto ricevere quei contributi forse arriveranno a capire che con la continua fuga dei capaci (provocata dai parassiti che HANNO in mano il paese e che LORO votano) le fonti da cui tali contributi dovrebbero fluire finiranno per esaurirsi ... bene, che la smettano di votare per i parassiti che hanno in mano il paese! O no?

Anche il parassita "debole" ha responsabilità politiche: quella di essere in coalizione con il parassita "forte" per fottere chi parassita non è. Bene, sono responsabilità sue, non di chi decide ch'è stanco d'essere taglieggiato da detta coalizione. Alla fin fine l'emigrazione (di molti) dei capaci (neanche lontanamente di tutti, sia chiaro) è ciò che sta creando le contraddizioni più vistose in seno alla coalizione dominante. O mi sbaglio?

P.S. Ovviamente tutto questo è molto schematico e semplicistico. Comprendo benissimo che la semplice dicotomia "parassiti/non" sia falsa ed eccessivamente brutale, eccetera, eccetera. Ma a fare i distinguo ad ogni commento non si finisce più ...

P.P.S. Visto che ci siamo, faccio notare che non c'è alcuna differenza fra il neuroscienziato di fama mondiale che abbandona l'ospedale di XXX e viene alla Medical School di WUStL e la FIAT o la OMSA che trasferiscono in Serbia le loro fabbriche: è LO STESSO FENOMENO! Assolutamente la stessa storia, piaccia o meno. Dal punto di vista economico sono fattori di produzione altamente produttivi e "capaci" che, per scelta o per forza, competono sul mercato mondiale ed ai quali è impedito, nel Bel Paese, lavorare e produrre al livello che ritengono adeguato e che permette a loro di raggiungere le soddisfazioni (i profitti) desiderati. Pagano dei costi e vanno altrove. Prendersela con Marchionne ha la stessa valenza che prendersela con il grande chirurgo italiano che sta a Johns Hopkins e non a Padova, nei cui paraggi è nato.

 

Grazie, davvero!

Vorrei ringraziare a nome di quelli che non sono emigrati,ma sono capaci di guardare in faccia alla realtà. Personalmente ho lavorato per poco tempo all'estero per n motivi e accidenti vari. Posso dire con certezza però che se qualcuno mi avesse parlato chiaro come fa oggi Michele 10 o 15 anni fa mi sarei risparmiato un pò di errori e sicuramente molto tempo. A me tutto sommato è andata bene, non posso dire altrettanto di numerosi amici e conoscenti.

E' semplicemente disgustosto sentire le solite vecchie ciabatte che prendono per il culo i giovani (ma anche i meno giovani) negando l'evidenza che si trova sotto gli occhi di tutti. Così disgustoso che troppi finiscono per crederci.

Grazie per la semplicità e la forza dissacrante con cui Michele e gli altri redattori riescono stupirci ogni giorno col coraggio di ripetere che il re è nudo(e non parlo del nano,non siate ossessionati, il re è tutto il nostro paese). Ne abbiamo un tremendo bisogno.

PS questo sera ho fatto un piccolo versamento a NFA a nome di mia figlia Gaia. Se tutto va bene nascerà in ottobre, mi fa piacere pensare faccia parte da subito dei sostenitori degli Amerikani. Deciderà da sola se emigrare o meno, quello che penso di poter fare è aiutarla a capire come stanno le cose e suggerirle qualche buona lettura.

... a dire "we are all going Galt"?

No, e non farmi dire perché che sennò t'offendi ...

Su questa "mistica dell'eroismo" parlavo proprio poco fa con una amica, che difendeva l'idea dell'insegnamento come missione: quando l'esercizio di una qualunque professione è legata all'adempimento di virtù eroiche si sta parlando di santi e non di persone comuni...e fare affidamento su caratteri non ricorrenti delle persone significa affidarsi a qualcosa di troppo labile per poterci costruire su un paese e le sue istituzioni.

Sull'emigrazione io aggiungerei una cosa. Oggi le cose sono molto cambiate rispetto ai tempi di Michele (ok ok, sei ancora un giovane gagliardo ;) ), ma rispetto a 30 anni fa si viaggia più facilmente, a minori costi, e gli shock culturali probabilmente sono più facili da riassorbire (certo poi se uno emigra in Yemen); quindi direi che anche se oggettivamente difficile, oggi l'immigrazione sia comparativamente più "semplice" che in passato. [In Sardegna, per dire, abbiamo avuto gente che andava a Marcinelle senza aver mai nemmeno conosciuto l'italiano...].

Ps: ma con la costruzione dello spazio comune europeo non dovremmo abituarci ad una mobilità sempre più marcata di persone, oltre che di cose? Quindi perché scandalizzarsi dello spostamento dei cittadini? 

Condivido in pieno questo articolo di Michele Boldrin. Emigrare oggi e' piu' facile di quanto non fosse emigrare 50 anni fa, me e' tuttora molto difficile. Sento molti amici dire che vorrebbero emigrare (spesso per pura fantasia liberatoria) e mi chiedono consiglio e la mia risposta standard e' che e' una scelta molto personale che coinvolge comunque enormi possibili vantaggi ed enormi possibili svantaggi.

Sul fatto che si chieda a giovani capaci di fare gli eroi, converrebbe riflettere sul fatto che tra coloro che spesso richiedono questo eroismo sono quelli che poi ammazzano gli eroi invece di aiutarli.

E' un fatto che la maggioranza degli Italiani preferisca un certo modo di fare le cose piuttosto di un altro e allora questi giovani che se ne vanno non sono eroi mancati, sono dei sovversivi che trovano asilo politico altrove.

Il paragone e' un po' forte ma credo/spero renda la mia idea.

Caro Michele, grazie di cuore.

Emigrare è costoso e richiede coraggio. Il coraggio di abbandonare le nostre rassicuranti tiepide case, le nostre consolidate tiepide abitudini. E' molto più consolante immaginarsi una vita fatta di vivacchiamenti nel posto in cui ci è stato dato di venire al mondo.

Ma forse, ciò che discrimina, quel che non è mai consolante, è la prospettiva di chi vuole vivere davvero, emigri oppure no.

Ieri sera ho riflettuto molto sulle tue parole. Ma mentre a cena cercavo una risposta, discutendone  con mia moglie, lei mi ha detto: "lo sai che ha ragione Michele; questa situazione la paghiamo tutti i giorni sulla nostra pelle".

A questo punto ho ceduto.

E' duro l'esercizio delle virtù  nel momento in cui il palcoscenico rappresenta "l'abominio della desolazione". Peraltro concordo: l'intima adesione ai comuni doveri civici non dovrebbe essere vissuta, dalla persona stessa, come eroica; altrimenti, come si dice, avrebbe "già ricevuto la propria ricompensa".

Molto più ragionevole è immaginare la soluzione personale.

Vivo a Napoli. Ho perso la quasi totalità dei miei amici d'infanzia (e parecchi pezzi della mia stessa famiglia). Sono tutti emigrati. Il Mezzogiorno si sta privando dei suoi figli migliori.

Grazie davvero per il tempo che mi hai dedicato. Sergio

 

 

Il Mezzogiorno si sta privando dei suoi figli migliori.

 

Non tutti, non tutti.. -)

Un plauso a Boldrin, questo post mi ha migliorato la giornata.

La cosa che non capisco è come, anche su un tema estremamente personale come questo, ci si debba polarizzare tra emigranti e "rimanenti". E capisco ancora meno la presunzione di eroismo dall'una e dall'altra parte.

La vita è difficile per definizione, quando si entra nell'età adulta, perchè si devono fare scelte e ogni scelta porta su una strada costringendoci ad abbandonarne un'altra

Ho amici che sono andati via dall'italia (USA, UK, Spagna, Olanda, Germania, Austria, Cina, Sud America, Africa) e fanno la loro vita di tutti i giorni alla ricerca di soddisfazione personale e professionale. Io, rimasto in Italia come altri, faccio la stessa cosa: ho un lavoro estremamente soddisfacente, molto stimolante, sicuro... certo, al netto delle tasse, non è pagato bene come potrebbe esserlo da altre parti, ma mi dà sicurezze e prospettive. Stesso discorso posso farlo per amici in gamba che hanno scelto carriere o avviato aziende... stanno faticando, certo, ma stanno anche ottenendo risultati e lavorando con serietà e impegno.

Consigliare di emigrare a prescindere mi pare semplicemente una posizione barricadera, così come mi pare una stupidata dire che gli emigranti tradiscono la patria. Ci sono possibilità anche in Italia, e c'è anche la possibilità di incidere in qualche modo sulla società in cui si vive, non è questione di eroismo. Emigrare va benissimo, ma elevarlo a obbligo morale per un'intera generazione mi pare estremismo.

PS: si tratta di una riflessione generica che prende solo spunto dall'articolo. È un tema che mi trovo spesso a dibattere avendo, appunto, parecchi amici sparsi per il mondo.

 

Veramente quello che dice Michele e' che il costo e' elevato e senza sicurezza di un ritorno.

L'invito, rivolto singolarmente a chi sa fare, di andarsene non e' per spingere ad atti di eroismo o di disprezzo, ma per avere piu' possibilita' di vedere riconosciuto il proprio valore - anche se si tratta di una possibilita', ti puo' comunque andar male.

Io che son rimasto vedo che la possibilita' di incidere e' sempre molto piccola in rapporto allo sforzo necessario, tanto che anche fare il proprio dovere e' vsto come un atto di eroismo - mentre da chi lo dovrebbe vedere come qualcosa di "giusto" e' visto come la meta' di quello che si dovrebbe fare. Insomma, premi e punizioni non sono assolutamente bilanciati e vanno sempre peggio.

 

Consigliare di emigrare a prescindere mi pare semplicemente una posizione barricadera, così come mi pare una stupidata dire che gli emigranti tradiscono la patria. Ci sono possibilità anche in Italia, e c'è anche la possibilità di incidere in qualche modo sulla società in cui si vive, non è questione di eroismo. Emigrare va benissimo, ma elevarlo a obbligo morale per un'intera generazione mi pare estremismo.

 

Non mi pare che Michele qui dica nulla di diverso.

A volte qui si consiglia l'emigrazione senza pensarci troppo perchè si parla di ricercatori ed affini, con forte bias verso gli economisti.

Il post di Michele è molto bello, e chiarisce tanti punti, a chi ne avesse bisogno, sul tema dell'emigrazione dei talenti (la cd. fuga dei cervelli).

L'altro lato della medaglia è che l'Italia non attira immigrazione di qualità (aziende e persone), segno che qualcosa non va proprio.

Sono sempre più convinto che, invece di strillare la propria indignazione, si devono prendere impegni "politici", nel senso indicato da Michele, aggregare persone per fare in modo che certi opportunismi italici cessino del tutto, ovvero botte sui denti delle persone fino a che gli entra in mente che non "è tutto uno schifo", ma è il suo immobilismo a fare schifo.

Anche se non sono così ottimista che sia possibile riuscirci...

Il tema mi è particolarmente caro, in quanto ho pensato numerose volte di emigrare. Tuttora ci penso, ma non riesco a trovare una soluzione che possa conciliare tutto e, probabilmente, non esiste nemmeno (almeno nel mio caso).

Sono appena tornato dall'Olanda per una semplice vacanza. Si vive bene lì, tutto funziona meglio, le opportunità ci sono e si vedono, nessuno ti sbarra la strada, se vali vai avanti (sono discorsi già sentiti, ma assolutamente veri!). Tornato in Italia (appena ieri) ho avuto da subito un senso di tristezza dovuto a diverse situazioni che già in aeroporto mi si sono presentate davanti. E pensare che ci sono solo 1500 km di distanza..

Nella mia vita non mi sono mai posto limiti, da quando ho 18 anni vivo fuori casa, trasferendomi in diverse città italiane, vuoi per motivi di studio, di lavoro o di affetto, per cui non avrei problemi ad adattarmi anche all'estero, anzi.

credo sia legittimo ricordare a ognuno di questi ragazzi che di vita ce n'è una, che è nostra e che la si può vivere bene e con soddisfazione anche lontano da dove si è nati e cresciuti.

L'ho pensato e lo penso sempre, questo è il ragionamento che mi piace. Se devo traslare questo ragionamento alla mia vita in Italia, allora non trovo la soddisfazione che cerco e che vorrei, tuttavia come qualcun altro ha detto nei commenti, è difficile lasciare gli affetti, a mio parere sarebbe da egoisti pensare esclusivamente a se stessi in una situazione simile. Nel mio caso questo mi ha frenato, non si tratta di "coraggio" o "amor di patria", ma si tratta di un'attenta "analisi" benefici-sacrifici...esiste effettivamente un trade-off tra la vita che vorrei all'estero, e la vita che vorrei con gli affetti più cari.

Ciò nonostante non ho ancora chiarito quale sia il giudizio "ex-ante". La speranza di andare via dall'Italia resta sempre intatta, l'effetto trade-off che mi assilla...beh, lo devo ancora risolvere.

 

 

Se non erro il "conto" dice di esser a somma zero. L'ipotesi incestuosa e' assai piu' interessante (i.e. agli italiani, o molti, o a una maggioranza tra loro) piaccion talmente tanto i propri genitori che star li' e' un imperativo categorico.

Erro?

 

Se non erro il "conto" dice di esser a somma zero.

 

Se stai rispondendo a me, credo che espatriando il conto parta in negativo, scommettendo pero' di avere piu' probabilita' di portarlo in positivo.

Restando, il conto tende ad essere a somma zero - tanto erano i tuoi, e tanto resta la tua famiglia. Anche questo e' un segno dell'immobilismo italiano.

Riguardo all'ipotesi incestuosa, non e' solo una questione culturale (la famiglia come centro di gravita' sociale, al posto dello Stato). E' anche in quel caso un conto economico, visto la perdurante influenza dei genitori anche sulle spese dei figli fino ai 30 o, nei casi peggiori, 40 anni.

 

Volevo scriverti proprio in questi giorni per un consiglio. Ma me l'hai dato con questo articolo. Credo che lascerò perdere il lavoretto "che tanto male non è" e farò domanda per il visto in Australia.

Grazie.

Michele prima di tutto grazie. Sono qui da poco ma e' come se fossi qui da sempre...

Sono completamente d'accordo a meta' con il tuo post.

Io facccio ricerca perche' voglio fare ricerca, e non ho nessuna intenzione di fare l'eroe.

Sono d'accordo nel consigliare il giovane capace che si trova sbarrata la strada di emigrare, e non di "fare l'eroe".

Ma consigliare il giovane capace di emigrare a prescindere con la motivazione che sia "patriottico" mi sembra consigliarlo a sua volta di "fare l'eroe" (visti i costi che tu giustamente sottolineavi).

Sicuramente io consiglierei ai giovani capaci di "farsi un giro all'estero" (prima e' piu' facile e') e poi decidere dove vogliono stare. Se tutta la classe dirigente italiana fosse vissuta un anno in un paese estero a caso probabilmente non ragionerebbe come ragiona ora.

 

Nota personale: la mia ragazza è albanese. Ci siamo conosciuti a Vienna due anni fa, dove lei è rimasta dopo che sua madre è stata trasferita (dall'ambasciata a Vienna a quella a Praga).

Faccio questa premessa perchè, attraverso di lei, ho avuto modo di conoscere diversi albanesi, anche in Italia. Qualche mese fa mi è venuta a trovare a Firenze e ha incontrato la cugina di un'amica che ha portato un amico, etc. (gli albanesi sono peggio degli italiani in queste cose, anche se sono - almeno quelli che ho conosciuto io - molto più preparati degli italiani).

Ciò detto, ho iniziato a parlare con questo ragazzo albanese. Vive da dieci anni in Italia. Ha studiato architettura. Dopo 5 minuti: "me ne voglio andare. L'Italia non mi offre niente. Probabilmente riesco ad andare in Danimarca". Due giorni fa, ho incontrato un altro amico della mia ragazza. Ha studiato Scienze Politiche a Milano. Stessa solfa: "l'Italia mi ha stufato, me ne voglio andare. Non ho prospettive".

Sono considerazioni statisticamente non significanti, ma per me rendono l'idea della situazione disastrata del nostro Paese. Persono che vengono da uno dei Paesi più poveri d'Europa, arrivate in Italia, verosimilmente, in situazioni davvero difficili, ora vogliono andarsene. Giavazzi due anni fa sul Corriere notava come oramai a lasciare l'Italia non siano i migliori, ma anche i mediocri. Ora gli stessi immigrati se ne vanno - a ragione. 

 

Questo non mi sembra strano. In un paese come l'Italia gli immigrati hanno ancora meno prospettive dei giovani italiani - per esempio perche' gli mancano gli appoggi di tipo familiare, o anche proprio perche' soggetti a discriminazione. Certo che quelli ambiziosi preferiscono andarsene in un posto dove non serve una telefonata dello zio per avere un colloquio di lavoro.

 

Ho l'impressione che una cosa del genere succeda anche altrove. Molti dei francesi che lavorano nella City sono di origine araba, e non conoscendo bene la Francia pensavo questo fosse un segno di integrazione. Quando sono scoppiati i tumulti a Parigi sono rimasto sorpreso e ne ho parlato con un mio collega franco-maghrebino. Secondo lui e' proprio il contrario, vengono in Inghilterra perche' gli e' piu' difficile fare carriera in Francia.

Ma e' ovvio. Se sei italiano puoi decidere di "compensare" gli stipendi piu' bassi e la minore possibilita' di carriera con vantaggi di carattere affettivo (famiglia, relazioni sociali, lingua, cultura, luoghi amati), ma se sei straniero chi te lo fa fare?

I post doc banditi su fondi italiani, ad esempio, pagano tra i 1230 ed i 1400 euro netti per 12 mesi (con la contribuzione farlocca dei cococo), che straniero vuoi che sia cosi' scemo da spostarsi in Italia su queste cifre?

 

In vita mia ho conosciuto solo un albanese:

Dopo esser cresciuto in Italia si è trasferito in America, ma mi ha detto che suo fratello è ancora a Roma, e che dopo essersi laureato in economia non riesce a trovare lavoro... Capisco che senza statistiche non si va da nessuna parte, però mi chiedo: gli albanesi sfigati li incontriamo tutti noi? :)

 

Pure io son emigrato, ma molto nitidamente non appartengo alla congrega dei migliori; piuttosto il contrario. Son emigrato perché in Italia bisogna impiegare troppa intelligenza, o meglio, risorse cognitive per vivere normalmente. Nell'ambiente universitario devi calcolare, parlare con le persone giuste, stare attento a come parli. Io tutta questa tattica non l'ho e la mia intelligenza sociale è assai ridotta. Per questo ho deciso di emigrare in un paese dove le regole scritte sono quelle che valgono e una volta che sai quelle stai tranquillo. I costi dell'emigrazione sono molti: la lingua soprattutto. Non essendo davvero brillante, fino ad ora non la parlo ancora fluidamente. Non conoscendo la lingua la vita sociale ne risente molto (un altro costo) e vivo isolato (che non è un problema) ma a volte è noioso.

Coloro che son rimasti in Italia, non so se sono sfruttatori o meno, ma ho il presentimento che lo siano. In Italia si dice furbizia e lo si utilizza come sinonimo di intelligenza: essere furbo (ovvero sfruttare l'altro a proprio vantaggio) è parte integrante della cosiddetta intelligenza. Nella lingua che sto provando ad apprendere, non ci sono queste sfumature di significato. Un furbo è un furbo e un intelligente è un intelligente. Se guardo il fenomeno con la selezione naturale in testa non riesco a non pensare che chi è rimasto in Italia (e rimasto con profitto) è stato più "intelligente" (furbo) all'adattasi all'ambiente. Gli ambienti (e i sistemi sociali) evolvono e muoiono grazie all'azione anonima di milioni di persone. Ecco, loro sono stati bravi ad adattarsi al loro ambiente, almeno questo dobbiamo riconoscerglielo. Che poi l'ambiente sia marcio e forse non ha le basi per durare a lungo, questo è un altro discorso.

Quindi non si può dire cosa sia l'emigrazione a prescindere dall'azione singola. Fate troppo i macroeconomisti voi. Non si può aggregare il dato. Emigrare può essere facile, difficile, coraggioso, pavido e non si potrà arrivare a una considerazione etica più generale, definitiva.

ciao, ora provo ad imparare i verbi.

Per esperienza personale ho visto anche il caso di un rumeno (un artigiano) che scappa dall'Italia: per lui ora troppo simile alla Romania da cui è scappato tempo fa.

Ma tralasciando le esperienze altrui, io sono emigrato 22 anni fa, com moglie e figlio, e non ce ne pentiamo. Non è stato tuttavia un atto eroico o difficile. Avevo già una doppia nazionalità e quindi ero agevolato a tornare nel paese dell'altro passaporto. Inoltre si trattava di un viaggio breve (80 km circa a nord di Milano) dove per giunta si parla italiano e quindi è come stare in casa ma con leggi diverse e tutto un contesto economico e sociale (scuola, sanità, lavoro) migliore. Non è che le autorità italiane poi facciano a gara per agevolare il mio rientro, anzi saputo del mio doppio passaporto e del mio trasferimento hanno sfoderato una vecchia legge del regno per annunciarmi che mi era stata tolta la nazionalità italiana. Questo anche se la legge in questione era già stata abrogata! Ma è ancora in vigore, dice il Consolato, per quelli che sono incorsi nella sua applicabilità prima dell'abrogazione. Situazione kafkiana ma mi sono consolato (in questo caso con la c minuscola) e francamente mi chiedo: "ma in fin dei conti, chi se ne frega?"

A parte queste considerazioni, dove vivo ci sono circa mezzo milione di persone che parlano italiano, tra svizzeri italiani e italiani immigrati. Questi ultimi sono i piu' feroci critici della realtà italiana ed ogni volta che tornano al "paesello" per natale o d'estate poi mi riferiscono di furibonde litigate con gli esponenti della mentalità assistenziale (soprattutto al Sud) e del dolce far niente aspettando aiuti, favori, sfruttando clientele, pretendendo diritti seduti al bar aspettando che arrivino (i diritti e le bibite).Tanto che qualcuno mi diceva "io làggiù non ci torno più, che altrimenti mi incazzo e mi rovino le vacanze".

Un solo appunto a Michele: si', probabilmente non a tutti va bene ma credo siano pochi. Io non ne ho ancora incontrato uno.

Francesco

 

 

 

Vabbé, dai, ma in Canton Ticino non vale :D

Concordo e segnalo altri due articoli sul tema. Sul Sole e sull'Unità.

Bell'articolo, mi ha spinto a registrarmi per poter dire la mia. Commento solo ora perché nelle scorse settimane ero in ferie in Namibia, Africa. Durante questo soggiorno di vacanza in Namibia mi è stato proposto di lavorare lì dall'agenzia namibiana che mi aveva organizzato un po' di servizi utili in quel paese, di formazione sono una traduttrice e interprete (laurea all'Univ.di Bologna) e ancora adesso mi chiedo se non sia conveniente fare un'esperienza del genere. Pensare che anche un paese come la Namibia possa essere allettante mi fa riflettere sulla condizione disperata e piatta che la mia generazione vive in questo paese (ho 33 anni). I ragazzi che hanno fondato l'agenzia in Namibia sono italiani in gamba che se ne sono andati dall'Italia e dalla sua condizione miserabile, con bravura hanno messo in piedi un'attività che funziona e che avrebbe pure bisogno di personale per essere ampliata. Anche paesi apparentemente meno sviluppati del nostro hanno opportunità da offrire e nuovi orizzonti. A volte penso: e se andassi? Ogni giorno sarebbe un giorno nuovo, con tante cose da imparare e nuovi stimoli. La realtà italiana offre pochissimi stimoli ai suoi giovani laureati (ed io vivo in Emilia!Tanto per dire: nell'azienda in cui lavoro la mia responsabile non è laureata e tanto meno il padrone dell'azienda...), emigrare è tutto sommato una buona idea e un'opportunità, non mi sembra affatto un cattivo consiglio.

mi contatti a palma@ukzn.ac.za

le dico subito se val la pena

Ci sono alcune cose che non mi convincono.

Si suggerisce ai giovani capaci, ma incapaci di realizzare ed imporre le proprie regole in Italia, di sfuggire agli approfittatori e ai mediocri incapaci perchè non conviene stare in Italia. E chi non è d'accordo? E' difficile trovare una persona che si reputa capace e che desidera sottostare ad un mediocre approfittatore.

Il punto è capire se l'Italia coltiva sia mediocri che capaci per poi far fiorire sopprattutto i secondi a scapito dei primi, che ovviamente non si può negare esistano.

Innanzitutto ribadisco che l' "italianità" così come è pensata nel post non ha molto senso quando si pensa che moltissimi italiani, e sono numerosissimi, semplicemente non hanno una visione organica, complessiva e tendenzialmente negativa dell' italianità come può averla Michele, in constrasto con realtà diverse che si trovano all'estero. E ciò non ha a che vedere con la preparazione o l'istruzione: semplicemente molti italiani non conoscono questa cosa chiamata "italianità" o "italianizzazione" che mette in fuga i cervelli. Buona parte delle persone che fanno la scelta di dove voglion vivere e star bene non si pongono il problema dell'italianità o dell' inglesità o della germanità. Se si trovano bene ci stanno, ubi bene ibi patria. Proprio perchè le persone cercano la felicità e di persone felici l'Italia ne ha molte, in Italia e all'estero, non è il caso di ragionare per categorie sistemiche come l' "italianità" o l' "amoralità" generalizzata, perchè queste macro-considerazioni non rientrano nel computo dei costi e benefici di chi orienta le proprie scelte individuali per vivere tranquillo.

Da questo punto di vista ha ragione Renato Soru, nel senso che l'analisi dell' italianità fatta da Michele invita i giovani di belle speranze a lasciare che in Italia i morti seppelliscano i morti, in un cimitero di disoccupati e pensionati governati da affaristi e mediocri e intrattenuti alla sera dalle trasmissioni di Floris, Santoro e Vespa.

Secondo me anche all'estero è strapieno di vili bastardi e cani esecrabili, italiani o "italianizzati", che sfruttano i dipendenti, si tengono le mance dei camerieri se hanno un ristorante, fanno lavorare i dipendenti senza assicurazione per un numero di ore spropositato, o passano sul cadavere della madre pur di schiacciare il prossimo.

Inoltre va sottolineato con più forza che in Italia la fuga di braccia e gambe è pari a quella dei cervelli. Quanta gente apostrofata dal post come "incapace" se ne va all'estero a lavorare? Tantissimi. Alcuni son felici altri meno, alcuni ritornano senza rimpianti altri con nostalgie, e si muovono non solo per disperazione e necessità, ma anche per spirito d'avventura.

Insomma molti italiani, con o senza cervello, non fanno la valigia pensando all' italianità, anche se questo è l'invito del post.

 

 

 

Secondo me anche all'estero è strapieno di vili bastardi e cani esecrabili, italiani o "italianizzati", che sfruttano i dipendenti, si tengono le mance dei camerieri se hanno un ristorante, fanno lavorare i dipendenti senza assicurazione per un numero di ore spropositato, o passano sul cadavere della madre pur di schiacciare il prossimo.

 

Quello che per l'Italia e' la norma perche' approfitta di un sistema (legislativo, esecutivo, giudiziario) che glielo permette, in certi Paesi esteri puo' essere l'eccezione. E comunque aumentando il bacino di offerta aumentano le possibilita' di trovare un lavoro confacente alle proprie necessita' o aspirazioni.

Se poi un italiano emigra e apre un ristorante tenendosi le mance, o facendo lavorare troppo le persone senza dargli riconoscimenti, si ritrovera' piu' facilmente con persone meno affidabili - perche' saranno costrette a lavorare per lui per qualche motivio, mentre i migliori andranno dove le loro qualita' vengono riconosciute.

 

Insomma molti italiani, con o senza cervello, non fanno la valigia pensando all' italianità, anche se questo è l'invito del post.

 

Il problema non e' l'italianita' in quanto tale, ma il fatto che se sei moderatamente bravo o anche solo volenteroso emergere in questo Paese e' difficile, e sempre con maggiori sforzi che da altre parti. Visto che arrivare a certi livelli di istruzione e capacita' costa (per accumulare esperienza e studio "paghi" con il tuo tempo), si puo' tranquillamente invitare a sprecare meno risorse cercando altrove.