1. La giustizia
Cominciamo dall'idea di giustizia, pilastro di tutta la costruzione logica. Purtroppo (e qui cominciano i problemi) non ci è dato di sapere con esattezza quale essa sia. Sicuramente comprende un'attenzione per il benessere dei più poveri maggiore di quanto il sistema economico globale sia riuscito a realizzare sinora. Il Papa sembra essere consapevole dei notevoli passi avanti fatti negli ultimi decenni sul fronte della lotta alla povertà in alcuni paesi in via di sviluppo, ma sostiene che questo non basti. Cito dall'enciclica (i numeri fra parentesi quadrate che seguono ciascuna citazione corrispondono alla numerazione dei paragrafi del testo originale):
È vero che lo sviluppo c'è stato e continua ad essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone e, ultimamente, ha dato a molti Paesi la possibilità di diventare attori efficaci della politica internazionale. Va tuttavia riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi. [21]
L'affermazione è probabilmente condivisibile da molti, fra i quali il sottoscritto, ma sarebbe stato utile qualche affermazione precisa su quali siano esattamente le distorsioni e i drammatici problemi. Che la povertà prevalga in molte aree del globo è risaputo; che sia aumentata a causa dello sviluppo (per esempio in India e Cina) non è chiaro. Nemmeno chiaro è quale livello di disuguaglianza sia tollerabile, argomentazione cruciale in un documento di carattere normativo.
Propongo di proseguire pretendendo di essersi fatti un'idea, per quanto vaga, dell'idea di giustizia papale. Per esempio, accontentiamoci di aver capito che il papa auspichi meno disuguaglianza e più social insurance.
Prima di continuare però segnalo un tentativo di giustificare efficientisticamente (non so se questa parola esista, ma ci siamo capiti) questo ideale. Il papa sostiene che se c'è troppa disuguaglianza, stiamo peggio tutti.
La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza[...] A ben vedere, ciò è esigito anche dalla « ragione economica ». L'aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali [...] ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del « capitale sociale », ossia di quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile. [...] È sempre la scienza economica a dirci che una strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane [32]
Tutto vero, ne parlavamo anche nei nostri "dialoghi"io e Michele quando nFA aveva duecento lettori. Ripeto, quanta "disuguaglianza" sia inaccettabile è un problema empirico di non poca rilevanza, così come non è chiaro quanta "uguaglianza" imposta attraverso meccanismi redistributivi finisca per produrre comportamenti improduttivi (dannosi per tutti, spesso soprattutto per i più poveri). Anche su questo, nessun lume.
2. Il mercato non basta per realizzare la giustizia
Il messaggio qui è piuttosto chiaro e le citazioni potrebbero essere molte. Ne bastano un paio che ritengo cruciali per capire il pensiero del Papa:
Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà. [20]
oppure
Dal punto di vista sociale, i sistemi di protezione e previdenza [...] faticano e potrebbero faticare ancor più in futuro a perseguire i loro obiettivi di vera giustizia sociale [...]. Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno. Conseguentemente, il mercato ha stimolato forme nuove di competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del mondo del lavoro. Questi processi hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell'uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale [25]
e ancora
La Chiesa ritiene da sempre che l'agire economico non sia da considerare antisociale. Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per sé il luogo della sopraffazione del forte sul debole. La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest'ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso. Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l'economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell'uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale. [36]
Insomma, il mercato e la logica del profitto vanno bene, ma da soli non bastano, anzi, di primo acchito fanno un po' paura al papa. Occorrono soggetti economici che agiscano "eticamente". I motivi per i quali il mercato e il profitto non sono sufficienti non ci vengono chiariti. Non ci viene spiegato perché, per esempio, i considerevoli progressi ottenuti negli scorsi 40 anni nella lotta alla povertà in molti paesi in via di sviluppo non siano frutto dell'espansione del "mercato", grazie al processo di globalizzazione e di riduzione dei costi di trasporto e di trasmissione delle informazioni, mentre si preferisce soffermarsi sulle notevoli disparità ancora esistenti. Insomma non si ammette che è stato il mercato a sollevare molte popolazioni dalla povertà, mentre ci si sofferma sull'idea che sia il mercato a perpetuare situazioni estreme di disuguaglianza. D'altro lato, passaggi come questo:
Alti dazi doganali posti dai Paesi economicamente sviluppati e che ancora impediscono ai prodotti provenienti dai Paesi poveri di raggiungere i mercati dei Paesi ricchi [33]
riconoscono che responsabile della povertà in molti paesi è invece l'assenza di mercato (gli "alti dazi"). Un esplicito riferimento alle folli politiche agricole di UE e USA sarebbe stato utile.
In sintesi, la posizione non sembra completamente coerente. Il papa sembra sposare tout court l'idea che il comportamento egoista del soggetto economico sia dannoso, il che non è per nulla ovvio.
Nessun riferimento poi al fatto che disuguaglianze e situazioni di estrema ingiustizia sono spesso perpetuate dalla presenza di imprese che operano nei paesi in via di sviluppo in una struttura di mercato monopsonistica, e cioé come unici compratori capaci di dettare il prezzo. Se il problema principale, come io credo, è la prevalenza di strutture di mercato monopolistiche nei paesi in via di sviluppo (e cioé l'assenza di mercato), non rischia di essere disinformativo prendersela con il mercato? Si rischia di contribuire alla confusione predicata da certo pensiero no-global. I no-global vogliono togliere il mercato. Il papa vuole aggiungerci la carità. Contro i monopoli invece (senza chiamarli così), solo un brevissimo accenno all'eccessiva protezione della proprietà intellettuale che farà forse felici Michele e David e che non cito, ma se vi interessa sta al paragrafo 22.
3. La carità - Cambiare i soggetti economici
La soluzione invece deve passare per la carità, e cioé occorre convincere i soggetti econoimci ad operare "eticamente". Cos'è la carità?
La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo” [6]
A me questo passaggio, nel contesto di un discorso in cui la carità sembra necessaria a realizzare la giustizia, sembra un po' incoerente, ma passi. Nell'ideale cristiano, l'uomo si realizza nel dono di sé; questo vale anche nell'ambito economico, quindi comportamenti economici "cristiani" vanno pensati con questo ideale in mente. Ma vediamo, concretamente, cosa questo significhi.
La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere. Molte persone, oggi, tendono a coltivare la pretesa di non dover niente a nessuno, tranne che a se stesse. Ritengono di essere titolari solo di diritti e incontrano spesso forti ostacoli a maturare una responsabilità per il proprio e l'altrui sviluppo integrale. Per questo è importante sollecitare una nuova riflessione su come i diritti presuppongano doveri senza i quali si trasformano in arbitrio. Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l'altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell'umanità. Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli [43]
Mi sembra la parte più "in tema" dello scritto, l'invito a chi si riconosca nel messaggio del papa a comparare il proprio "superfluo" con l'altrui miseria (sorvoliamo sulla coerenza nei comportamenti di chi scrive con quanto si invita gli altri a fare). Certo, tutto è superfluo di fronte alla mancanza di acqua potabile. Ma quanto è il superfluo? San Francesco si è spogliato di tutto. Di quanto e cosa si deve spogliare chi si riconosce nel messaggio del papa? Non so se questo sia argomento per nFA ma dovrebbe essere certamente argomento per una enciclica. Putroppo il papa-filosofo sorvola su questi temi certamente interessanti per un cristiano.
L'amore nella verità — caritas in veritate — è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. [...] La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà. [9]
Certamente non criticabile (perché ambito di preferenze personali) è l'auspicio e l'invito ad ispirarsi a questi principi. Tralascio di soffermarmi e riflettere sulle conseguenze di tali comportamenti e rinvio al secondo articolo con Marco, di prossima pubblicazione.
4. Cambiare le istituzioni economiche
Ma se ragionevole (per quanto velleitario) è il tentativo di convincere i ricchi a donare ai poveri, gli imprenditori a trattare meglio gli operai, e così via, non è ragionevole (e ancora più velleitario) pensare che tutti possano essere convinti. Meno ancora ragionevole è imporre legislativamente la carità, ma questo lo dice anche l'enciclica quando critica il comunismo senza nominarlo, in un passaggio che non ho sottomano (esiste, fidatevi sulla parola). Tuttavia, nell'enciclica si auspica che anche le istituzioni vadano cambiate nell'ottica della carità.
A. Banche Etiche e ai negozi/imprese non-profit.
Serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all'impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali [38]
La vittoria sul sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione. Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali, che trovano il loro terreno migliore nella società civile senza ridursi ad essa, creano socialità. Il mercato della gratuità non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco.[39]
Il Papa è consapevole che queste forme di imprenditorialità non vanno imposte per legge, e questo è un bene, quindi la sua sembra essere più che altro un'esortazione ad un aumento/supporto legislativo (magari fiscale?) di queste attività.
Personalmente, non ho niente in contrario con il commercio equo e solidale o con le banche "etiche" che prestano agli agricoltori in Nicaragua i risparmi delle signore della borghesia imprenditorale padovana. Mi limito ad osservare che (1) o sono imprese che, per loro dimensione, o per asimmetria informativa, operano in nicchie ignorate dalle grandi imprese o banche internazionali, e dunque, operano perfettamente nella logica di mercato - ergo: il mercato fa bene (ma allora perché non ammetterlo?); (2) o queste imprese, con l'aiuto dalle signore di Padova, cercano di rompere i monopoli delle multinazionali operanti nei mercati in via di sviluppo - ergo: il mercato fa bene, i monopoli delle multinazionali fanno male (ma allora perché la chiesa con il suo potere mediatico non cerca di proporre qualcosa di più incisivo per rompere questi monopoli?) (3) oppure queste istituzioni non fanno altro che tenere in vita attività inefficienti con metodi di produzione inefficienti; la cosa funziona finché esistono signore a Padova in grado di supportarle con la loro beneficienza mascherata da conto in banca a tasso "eticamente" ridotto e da caffé acquistato a prezzo equo, ma tentare di farne un modello di sviluppo per i paesi poveri è tanto velleitario quanto pretendere di voler coltivare banane in Groenlandia.
Il papa anche cerca di sostenere l'imprenditorialità no-profit e si lancia anche su una disquisizione riguardante il fatto che non sempre non-profit significa yes-ethics [46]. A me la cosa sembra ovvia: esistono molti modi di distribuire le rendite di'impresa: le spa scelgono di farlo tramite profitti e guadagni in conto capitale, le cooperative lo fanno tramite salari ai loro soci, il commercio equo lo fa alzando i prezzi a favore dei contadini, etc... Le rendite esistono ogni volta che si compie un atto economico, e a qualcuno vanno date. Ma perché allora pretendere di dare patenti di eticità ad una forma d'impresa piuttosto che ad un'altra? La forma societaria viene spesso scelta per motivi fiscali e organizzativi, non per un preteso anelito morale. La "banca etica" di etico ha tanto quanto di cattolico aveva la vecchia "Banca Cattolica del Veneto" la cui sede sta a circa 1 km in linea d'aria da dove sto scrivendo. Mah....
B. La gestione dell'impresa e dei capitali.
Anche se le impostazioni etiche che guidano oggi il dibattito sulla responsabilità sociale dell'impresa non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, è un fatto che si va sempre più diffondendo il convincimento in base al quale la gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. [40]
Non c'è motivo per negare che un certo capitale possa fare del bene, se investito all'estero piuttosto che in patria. Devono però essere fatti salvi i vincoli di giustizia, tenendo anche conto di come quel capitale si è formato e dei danni alle persone che comporterà il suo mancato impiego nei luoghi in cui esso è stato generato [41]
Riporto questo paragrafo senza tanti commenti, perché sono perplesso. Fino a che punto è compito dell'imprenditore farsi carico di "tutte le altre categorie?". In un ambiente concorrenziale, cosa succede se invece qualche imprenditore decide di perseguire solo il proprio profitto? Davvero è nostro compito (o di un imprenditore, fa lo stesso) calcolare tutti i costi e benefici per le popolazioni coinvolte quando vendiamo azioni Fiat e compriamo azioni Volkswagen?
D'altro lato, come congegnare meccanismi di diritto internazionale in grado di punire imprenditori che adottano comportamenti "sbagliati" (penso a cose condivisibili dalla stragrande maggioranza: forme più o meno velate di schiavitù, etc...)? È bene o male investire in imprese che impiegando lavoro minorile sollevano tanti bambini dalla fame o dalla prostituzione? Io dal Papa mi aspetterei una riflessione un po' più approfondita su questi temi, invece l'enciclica glissa con dichiarazioni tanto generiche quanto inutili.
C. La globalizzazione.
Anche in questo caso, ottimo materiale per un tema da esame di terza media:
Nonostante alcune sue dimensioni strutturali che non vanno negate ma nemmeno assolutizzate, « la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno » [104]. Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti, procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità. Opporvisi ciecamente sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo contrassegnato anche da aspetti positivi, con il rischio di perdere una grande occasione di inserirsi nelle molteplici opportunità di sviluppo da esso offerte. I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l'intero mondo [42]
D. La cooperazione internazionale, gli aiuti, l'ambiente.
Il papa poi scrive varie cose condivisibili ma abbastanza ovvie sulla necessità di evitare molti sprechi da parte delle organizzazione preposte agli aiuti ai paesi poveri. Sull'ambiente altre cose altrettanto ovvie sorvolando ancora una volta sulle questioni veramente difficili, per esempio:
Anche [sul fronte dell'ambiente] vi è l'urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati. Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico sia perché le attività manifatturiere evolvono, sia perché tra i loro cittadini si diffonde una sensibilità ecologica maggiore. [50]
La questione è difficile perché sono i paesi in via di sviluppo a dover diminuire i livelli di emissione, non quelli industrializzati. Ma fare questo significa negar loro il loro diritto a svilupparsi. I desideri ecologisti dei benestanti occidentali si scontrano con il diritto allo sviluppo dei poveri cinesi. Perché non dirlo? È questo il problema etico rilevante: la sensibilità ecologista qui nell'occidente ce l'abbiamo già: possiamo permettercela!
E. La tecnologia.
L'enciclica tratta la tecnologia come il mercato: portatrice di benessere e di ricchezza ma solo se ben orientata. Niente di profondo, non vale nemmeno la pena riportare i passaggi che trovate per esempio, nei paragrafi 14 e 71.
Cito invece un messaggio per noi blogger, che mi rifiuto però di commentare
I mezzi di comunicazione sociale non favoriscono la libertà né globalizzano lo sviluppo e la democrazia per tutti, semplicemente perché moltiplicano le possibilità di interconnessione e di circolazione delle idee. Per raggiungere simili obiettivi bisogna che essi siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale. [73]
5. Conclusione
Per concludere, sono piuttosto deluso da questa lettura, anche se mi si può obiettare che mi sbagliavo ad aspettarmi granché. Il Papa ha tutto il diritto di proporre e auspicare comportamenti "etici" da parte dei propri fedeli ed è consapevole che l'imposizione legislativa di tali comportamenti non è desiderabile. Ma che questo basti per il progresso e lo sviluppo dei popoli mi pare ingenuo. Che il mercato da solo non basti è assodato, ma mi sarei aspettato, dal punto di vista di chi dichiara di avere a cuore gli "ultimi", un accenno diretto alla necessità di proteggere la concorrenza ed i mercati, anche internazionali, dai monopoli e dalle concentrazioni, piuttosto che affidarsi ad un vago quanto improbabile afflato etico degli attori economici. Questo produrrebbe, a mio parere, più equità e giustizia di tanti inviti alla Carità.
A Nfa vi leggete le encicliche papali ? Cattocomunisti ! Ed io che pensavo che credevate nel liberismo...
Il fatto è che sono le uniche critiche che possiamo leggere. Non dico "uniche critiche serie", distinguendole da altre "non serie", ... dico proprio uniche dato che anche quelle piu' di sinistra si ispirano allo stesso filone cattolico. Poi è chiaro che mentre a sinistra, salvo qualche eccezione, sono troppo impegnati per sopravvivere e non hanno piu' tempo per scrivere encicliche e non hanno piu' capacità per scrivere "il capitale II, la vendetta" (al massimo si partecipa la Grande Fatello) in Vaticano invece hanno tempo da perdere e qualità a iosa per scrivere in latino.
Condivido le osservazioni del post di apertura e per ora non ho nulla da aggiungere.
Vedrò poi se nel dibattito avro' ulteriori stimoli ma una prima ossevazione mi assale: è molto piu' interessante replicare alle osservazioni papali piuttosto che a quelle di un "sinistro" (o "gruppettaro" come li chiammavamo negli anni 70) anche se si tratta sempre della stessa solfa.
Francesco