L'enciclica Caritas in Veritate

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È difficile commentare l'ultima enciclica del papa perché in essa si trovano svariate affermazioni, alcune condivisibili, altre discutibili, altre condivisibili per motivi del tutto diversi da quelli apportati dall'autore. In questo articolo cercherò di riassumere l'enciclica citandone alcune parti e commentandole criticamente. In un articolo di prossima pubblicazione, io e Marco Boninu commenteremo il rapporto fra carità ed economia, uno dei punti centrali dell'enciclica.

Il messaggio principale in Caritas in veritate mi sembra essere questo: "il mercato, o perlomeno la versione di esso oggigiorno esistente nelle economie occidentali, sembra incapace di realizzare la giustizia. È  pertanto necessario un cambiamento nell'agire economico degli individui e nel funzionamento delle istituzionieconomiche ispirato al valore della carità cristiana".

1. La giustizia

Cominciamo dall'idea di giustizia, pilastro di tutta la costruzione logica. Purtroppo (e qui cominciano i problemi) non ci è dato di sapere con esattezza quale essa sia. Sicuramente comprende un'attenzione per il benessere dei più poveri maggiore di quanto il sistema economico globale sia riuscito a realizzare sinora. Il Papa sembra essere consapevole dei notevoli passi avanti fatti negli ultimi decenni sul fronte della lotta alla povertà in alcuni paesi in via di sviluppo, ma sostiene che questo non basti. Cito dall'enciclica (i numeri fra parentesi quadrate che seguono ciascuna citazione corrispondono alla numerazione dei paragrafi del testo originale):

È vero che lo sviluppo c'è stato e continua ad essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone e, ultimamente, ha dato a molti Paesi la possibilità di diventare attori efficaci della politica internazionale. Va tuttavia riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi. [21]

L'affermazione è probabilmente condivisibile da molti, fra i quali il sottoscritto, ma sarebbe stato utile qualche affermazione precisa su quali siano esattamente le distorsioni e i drammatici problemi. Che la povertà prevalga in molte aree del globo è risaputo; che sia aumentata a causa dello sviluppo (per esempio in India e Cina) non è chiaro. Nemmeno chiaro è quale livello di disuguaglianza sia tollerabile, argomentazione cruciale in un documento di carattere normativo.

Propongo di proseguire pretendendo di essersi fatti un'idea, per quanto vaga, dell'idea di giustizia papale. Per esempio, accontentiamoci di aver capito che il papa auspichi meno disuguaglianza e più social insurance.

Prima di continuare però segnalo un tentativo di giustificare efficientisticamente (non so se questa parola esista, ma ci siamo capiti) questo ideale. Il papa sostiene che se c'è troppa disuguaglianza, stiamo peggio tutti.

La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza[...] A ben vedere, ciò è esigito anche dalla « ragione economica ». L'aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali [...] ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del « capitale sociale », ossia di quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile. [...] È sempre la scienza economica a dirci che una strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane [32]

Tutto vero, ne parlavamo anche nei nostri "dialoghi"io e Michele quando nFA aveva duecento lettori. Ripeto, quanta "disuguaglianza" sia inaccettabile è un problema empirico di non poca rilevanza, così come non è chiaro quanta "uguaglianza" imposta attraverso meccanismi redistributivi finisca per produrre comportamenti improduttivi (dannosi per tutti, spesso soprattutto per i più poveri). Anche su questo, nessun lume.

2. Il mercato non basta per realizzare la giustizia

Il messaggio qui è piuttosto chiaro e le citazioni potrebbero essere molte. Ne bastano un paio che ritengo cruciali per capire il pensiero del Papa:

Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà. [20]

oppure

Dal punto di vista sociale, i sistemi di protezione e previdenza [...] faticano e potrebbero faticare ancor più in futuro a perseguire i loro obiettivi di vera giustizia sociale [...]. Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno. Conseguentemente, il mercato ha stimolato forme nuove di competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del mondo del lavoro. Questi processi hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell'uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale [25]

e ancora

La Chiesa ritiene da sempre che l'agire economico non sia da considerare antisociale. Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per sé il luogo della sopraffazione del forte sul debole. La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest'ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso. Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l'economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell'uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale. [36]

Insomma, il mercato e la logica del profitto vanno bene, ma da soli non bastano, anzi, di primo acchito fanno un po' paura al papa. Occorrono soggetti economici che agiscano "eticamente". I motivi per i quali il mercato e il profitto non sono sufficienti non ci vengono chiariti. Non ci viene spiegato perché, per esempio, i considerevoli progressi ottenuti negli scorsi 40 anni nella lotta alla povertà in molti paesi in via di sviluppo non siano frutto dell'espansione del "mercato", grazie al processo di globalizzazione e di riduzione dei costi di trasporto e di trasmissione delle informazioni, mentre si preferisce soffermarsi sulle notevoli disparità ancora esistenti. Insomma non si ammette che è stato il mercato a sollevare molte popolazioni dalla povertà, mentre ci si sofferma sull'idea che sia il mercato a perpetuare situazioni estreme di disuguaglianza. D'altro lato, passaggi come questo:

Alti dazi doganali posti dai Paesi economicamente sviluppati e che ancora impediscono ai prodotti provenienti dai Paesi poveri di raggiungere i mercati dei Paesi ricchi [33]

riconoscono che responsabile della povertà in molti paesi è invece l'assenza di mercato (gli "alti dazi"). Un esplicito riferimento alle folli politiche agricole di UE e USA sarebbe stato utile.

In sintesi, la posizione non sembra completamente coerente. Il papa sembra sposare tout court l'idea che il comportamento egoista del soggetto economico sia dannoso, il che non è per nulla ovvio.

Nessun riferimento poi al fatto che disuguaglianze e situazioni di estrema ingiustizia sono spesso perpetuate dalla presenza di imprese che operano nei paesi in via di sviluppo in una struttura di mercato monopsonistica, e cioé come unici compratori capaci di dettare il prezzo. Se il problema principale, come io credo, è la prevalenza di strutture di mercato monopolistiche nei paesi in via di sviluppo (e cioé l'assenza di mercato), non rischia di essere disinformativo prendersela con il mercato? Si rischia di contribuire alla confusione predicata da certo pensiero no-global. I no-global vogliono togliere il mercato. Il papa vuole aggiungerci la carità. Contro i monopoli invece (senza chiamarli così), solo un brevissimo accenno all'eccessiva protezione della proprietà intellettuale che farà forse felici Michele e David e che non cito, ma se vi interessa sta al paragrafo 22.

3. La carità - Cambiare i soggetti economici

La soluzione invece deve passare per la carità, e cioé occorre convincere i soggetti econoimci ad operare "eticamente". Cos'è la carità?

La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo” [6]

A me questo passaggio, nel contesto di un discorso in cui la carità sembra necessaria a realizzare la giustizia, sembra un po' incoerente, ma passi. Nell'ideale cristiano, l'uomo si realizza nel dono di sé; questo vale anche nell'ambito economico, quindi comportamenti economici "cristiani" vanno pensati con questo ideale in mente. Ma vediamo, concretamente, cosa questo significhi.

La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere. Molte persone, oggi, tendono a coltivare la pretesa di non dover niente a nessuno, tranne che a se stesse. Ritengono di essere titolari solo di diritti e incontrano spesso forti ostacoli a maturare una responsabilità per il proprio e l'altrui sviluppo integrale. Per questo è importante sollecitare una nuova riflessione su come i diritti presuppongano doveri senza i quali si trasformano in arbitrio. Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l'altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell'umanità. Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli [43]

Mi sembra la parte più "in tema" dello scritto, l'invito a chi si riconosca nel messaggio del papa a comparare il proprio "superfluo" con l'altrui miseria (sorvoliamo sulla coerenza nei comportamenti di chi scrive con quanto si invita gli altri a fare). Certo, tutto è superfluo di fronte alla mancanza di acqua potabile. Ma quanto è il superfluo? San Francesco si è spogliato di tutto. Di quanto e cosa si deve spogliare chi si riconosce nel messaggio del papa? Non so se questo sia argomento per nFA ma dovrebbe essere certamente argomento per una enciclica. Putroppo il papa-filosofo sorvola su questi temi certamente interessanti per un cristiano.

L'amore nella verità — caritas in veritate — è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. [...] La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà. [9]

Certamente non criticabile (perché ambito di preferenze personali) è l'auspicio e l'invito ad ispirarsi a questi principi. Tralascio di soffermarmi e riflettere sulle conseguenze di tali comportamenti e rinvio al secondo articolo con Marco, di prossima pubblicazione.

4. Cambiare le istituzioni economiche

Ma se ragionevole (per quanto velleitario) è il tentativo di convincere i ricchi a donare ai poveri, gli imprenditori a trattare meglio gli operai, e così via, non è ragionevole (e ancora più velleitario) pensare che tutti possano essere convinti. Meno ancora ragionevole è imporre legislativamente la carità, ma questo lo dice anche l'enciclica quando critica il comunismo senza nominarlo, in un passaggio che non ho sottomano (esiste, fidatevi sulla parola). Tuttavia, nell'enciclica si auspica che anche le istituzioni vadano cambiate nell'ottica della carità.

A. Banche Etiche e ai negozi/imprese non-profit.

Serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all'impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali [38]

La vittoria sul sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione. Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali, che trovano il loro terreno migliore nella società civile senza ridursi ad essa, creano socialità. Il mercato della gratuità non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco.[39]

Il Papa è consapevole che queste forme di imprenditorialità non vanno imposte per legge, e questo è un bene, quindi la sua sembra essere più che altro un'esortazione ad un aumento/supporto legislativo (magari fiscale?) di queste attività.

Personalmente, non ho niente in contrario con il commercio equo e solidale o con le banche "etiche" che prestano agli agricoltori in Nicaragua i risparmi delle signore della borghesia imprenditorale padovana. Mi limito ad osservare che (1) o sono imprese che, per loro dimensione, o per asimmetria informativa, operano in nicchie ignorate dalle grandi imprese o banche internazionali, e dunque, operano perfettamente nella logica di mercato - ergo: il mercato fa bene (ma allora perché non ammetterlo?); (2) o queste imprese, con l'aiuto dalle signore di Padova, cercano di rompere i monopoli delle multinazionali operanti nei mercati in via di sviluppo - ergo: il mercato fa bene, i monopoli delle multinazionali fanno male (ma allora perché la chiesa con il suo potere mediatico non cerca di proporre qualcosa di più incisivo per rompere questi monopoli?) (3) oppure queste istituzioni non fanno altro che tenere in vita attività inefficienti con metodi di produzione inefficienti; la cosa funziona finché esistono signore a Padova in grado di supportarle con la loro beneficienza mascherata da conto in banca a tasso "eticamente" ridotto e da caffé acquistato a prezzo equo, ma tentare di farne un modello di sviluppo per i paesi poveri è tanto velleitario quanto pretendere di voler coltivare banane in Groenlandia.

Il papa anche cerca di sostenere l'imprenditorialità no-profit e si lancia anche su una disquisizione riguardante il fatto che non sempre non-profit significa yes-ethics [46]. A me la cosa sembra ovvia: esistono molti modi di distribuire le rendite di'impresa: le spa scelgono di farlo tramite profitti e guadagni in conto capitale, le cooperative lo fanno tramite salari ai loro soci, il commercio equo lo fa alzando i prezzi a favore dei contadini, etc... Le rendite esistono ogni volta che si compie un atto economico, e a qualcuno vanno date. Ma perché allora pretendere di dare patenti di eticità ad una forma d'impresa piuttosto che ad un'altra? La forma societaria viene spesso scelta per motivi fiscali e organizzativi, non per un preteso anelito morale. La "banca etica" di etico ha tanto quanto di cattolico aveva la vecchia "Banca Cattolica del Veneto" la cui sede sta a circa 1 km in linea d'aria da dove sto scrivendo. Mah....

B. La gestione dell'impresa e dei capitali.

Anche se le impostazioni etiche che guidano oggi il dibattito sulla responsabilità sociale dell'impresa non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, è un fatto che si va sempre più diffondendo il convincimento in base al quale la gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. [40]

Non c'è motivo per negare che un certo capitale possa fare del bene, se investito all'estero piuttosto che in patria. Devono però essere fatti salvi i vincoli di giustizia, tenendo anche conto di come quel capitale si è formato e dei danni alle persone che comporterà il suo mancato impiego nei luoghi in cui esso è stato generato [41]

Riporto questo paragrafo senza tanti commenti, perché sono perplesso. Fino a che punto è compito dell'imprenditore farsi carico di "tutte le altre categorie?". In un ambiente concorrenziale, cosa succede se invece qualche imprenditore decide di perseguire solo il proprio profitto? Davvero è nostro compito (o di un imprenditore, fa lo stesso) calcolare tutti i costi e benefici per le popolazioni coinvolte quando vendiamo azioni Fiat e compriamo azioni Volkswagen?

D'altro lato, come congegnare meccanismi di diritto internazionale in grado di punire imprenditori che adottano comportamenti "sbagliati" (penso a cose condivisibili dalla stragrande maggioranza: forme più o meno velate di schiavitù, etc...)? È bene o male investire in imprese che impiegando lavoro minorile sollevano tanti bambini dalla fame o dalla prostituzione? Io dal Papa mi aspetterei una riflessione un po' più approfondita su questi temi, invece l'enciclica glissa con dichiarazioni tanto generiche quanto inutili.

C. La globalizzazione.

Anche in questo caso, ottimo materiale per un tema da esame di terza media:

Nonostante alcune sue dimensioni strutturali che non vanno negate ma nemmeno assolutizzate, « la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno » [104]. Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti, procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità. Opporvisi ciecamente sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo contrassegnato anche da aspetti positivi, con il rischio di perdere una grande occasione di inserirsi nelle molteplici opportunità di sviluppo da esso offerte. I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l'intero mondo [42]

D. La cooperazione internazionale, gli aiuti, l'ambiente.

Il papa poi scrive varie cose condivisibili ma abbastanza ovvie sulla necessità di evitare molti sprechi da parte delle organizzazione preposte agli aiuti ai paesi poveri. Sull'ambiente altre cose altrettanto ovvie sorvolando ancora una volta sulle questioni veramente difficili, per esempio:

Anche [sul fronte dell'ambiente] vi è l'urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati. Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico sia perché le attività manifatturiere evolvono, sia perché tra i loro cittadini si diffonde una sensibilità ecologica maggiore. [50]

La questione è difficile perché sono i paesi in via di sviluppo a dover diminuire i livelli di emissione, non quelli industrializzati. Ma fare questo significa negar loro il loro diritto a svilupparsi. I desideri ecologisti dei benestanti occidentali si scontrano con il diritto allo sviluppo dei poveri cinesi. Perché non dirlo? È questo il problema etico rilevante: la sensibilità ecologista qui nell'occidente ce l'abbiamo già: possiamo permettercela!

E. La tecnologia.

L'enciclica tratta la tecnologia come il mercato: portatrice di benessere e di ricchezza ma solo se ben orientata. Niente di profondo, non vale nemmeno la pena riportare i passaggi che trovate per esempio, nei paragrafi 14 e 71.

Cito invece un messaggio per noi blogger, che mi rifiuto però di commentare

I mezzi di comunicazione sociale non favoriscono la libertà né globalizzano lo sviluppo e la democrazia per tutti, semplicemente perché moltiplicano le possibilità di interconnessione e di circolazione delle idee. Per raggiungere simili obiettivi bisogna che essi siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale. [73]

5. Conclusione

Per concludere, sono piuttosto deluso da questa lettura, anche se mi si può obiettare che mi sbagliavo ad aspettarmi granché. Il Papa ha tutto il diritto di proporre e auspicare comportamenti "etici" da parte dei propri fedeli ed è consapevole che l'imposizione legislativa di tali comportamenti non è desiderabile. Ma che questo basti per il progresso e lo sviluppo dei popoli mi pare ingenuo. Che il mercato da solo non basti è assodato, ma mi sarei aspettato, dal punto di vista di chi dichiara di avere a cuore gli "ultimi", un accenno diretto alla necessità di proteggere la concorrenza ed i mercati, anche internazionali, dai monopoli e dalle concentrazioni, piuttosto che affidarsi ad un vago quanto improbabile afflato etico degli attori economici. Questo produrrebbe, a mio parere, più equità e giustizia di tanti inviti alla Carità.

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Commenti

Ci sono 40 commenti

A Nfa vi leggete le encicliche papali ? Cattocomunisti ! Ed io che pensavo che credevate nel liberismo...

 

A Nfa vi leggete le encicliche papali ? Cattocomunisti ! Ed io che pensavo che credevate nel liberismo...

 

Il fatto è che sono le uniche critiche che possiamo leggere. Non dico "uniche critiche serie", distinguendole da altre "non serie", ... dico proprio uniche dato che anche quelle piu' di sinistra si ispirano allo stesso filone cattolico. Poi è chiaro che mentre a sinistra, salvo qualche eccezione, sono troppo impegnati per sopravvivere e non hanno piu' tempo per scrivere encicliche e non hanno piu' capacità per scrivere "il capitale II, la vendetta" (al massimo si partecipa la Grande Fatello) in Vaticano invece hanno tempo da perdere e qualità a iosa per scrivere in latino.

Condivido le osservazioni del post di apertura e per ora non ho nulla da aggiungere.
Vedrò poi se nel dibattito avro' ulteriori stimoli ma una prima ossevazione mi assale: è molto piu' interessante replicare alle osservazioni papali piuttosto che a quelle di un "sinistro" (o "gruppettaro" come li chiammavamo negli anni 70) anche se si tratta sempre della stessa solfa.

Francesco

 

Alcune note a margine:

1) Giustizia: al paragrafo 6 risulta abbastanza chiaro che il Papa non intende definire il contenuto di quello che chiama "giustizia".  Dice esplicitamente che "Ubi societas ibi ius: ogni società elabora un proprio sistema di giustizia".  Di conseguenza i contenuti di questa giustizia vengono storicizzati.  Cio' che è giusto  oggi in Italia non è detto che sia stato giusto 50 anni fa in Belgio; Benedetto XVI sceglie la strada di dare a Cesare ciò che è di Cesare e di lasciare i contenuti della giustizia alla società.  Mi viene solo da notare l'idea un po' forte (e dal sapore vagamente Hegeliano) che passa anche se non propriamente esplicitata: la giustizia è la giustizia giuridica, ius.  Sottolineo però che l'espressione "ideale di giustizia" non è presente nell'enciclica.

2) Mercato: Benedetto XVI dice che "il mercato non esiste allo stato puro", cosa che ritengo assolutamente falsa, ma altrimenti ha una posizione assolutamente di buon senso quando dice che finanza e mercati sono strumenti (ed e' quindi possibile usarli male).  Non sono daccordo con la prima espressione in quanto le famose "leggi di mercato" non è che vengono implementate dall'uomo: ci sono.  Io poi posso legiferare e agire per favorire certi meccanismi o impedirne altri: un po' come davanti a un fiume io posso costruire una diga per trattenere l'acqua, incanalarla e farci energia elettrica (senza dimenticare il Vajont).  Gli esempi sarebbero molteplici, però il punto è questo: le leggi di mercato ci sono e possono essere usate anche per fare del bene.  Non e' il mercato stesso a fare del bene, è l'uomo che si comporta in maniera efficace rispetto a quelle regole a farlo.

3) Carità: mi sfugge il passo dove si capirebbe che la carità sia necessaria a realizzare la giustizia.  Cosi' come ha definito la giustizia, questa è un fatto umano.  Al massimo io leggo in questi passi il fatto che la giustizia umana non deve essere giustificazione per frenare la carità (che deve andare oltre) e soprattutto la carità non deve essere contro la giustizia (affermazione questa sì da approfondire).   Riguardo al superfluo: mi sembra chiara la contrapposizione fra quanto necessario alla sussistenza e quanto no.  Il confine è effettivamente sfocato e meriterebbe un'analisi approfondita, questo sì.

4a) L'ammissione che "il mercato fa bene" mi sembra un po' forte.  Direi piuttosto "le leggi di mercato sono severe e ineluttabili e bisogna usarle bene, opporcisi è inutile, stupido e controproducente".  Mi sembra che questi passi seguano questo spirito.

4b) SOTTOSCRIVO IN PIENO il rammarico per l'assenza di una riflessione piu' approfondita sul tema della resposabilità personale ed etica nell'ambito degli investimenti finanziari e nella gestione d'impresa.  Tema da sviscerare a fondo, a mio avviso una delle voci della Chiesa a cui viene tolta maggiormente la parola.  Ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente dove di queste cose si parlava quotidianamente e il mio rammarico nel non vedere riconosciuto a questi temi uno spazio adeguato è grande.

Mi fermo qui per motivi di tempo: in ogni caso credo che il giudizio su quanto scritto da Benedetto XVI sia un po' troppo severo.  Il ruolo papale è anche un ruolo politico, e la prudenza nei giudizi su questi temi me la aspettavo.  Sottoscrivo, come ho detto, il rimpianto per la mancanza di approfondimento su alcuni temi, specie alla luce del fatto che da un papa come si preannunciava questo le premesse per avere questi approfondimenti c'erano tutte.

1) Hai ragione, visto che l'espressione da fastidio ad almeno un lettore, ho cambiato il riferimento a "ideale di giustizia" e ho tenuto solo "giustizia" o "idea di giustizia". Non mi pare che il papa voglia lasciare le società completamente libere di definire la giustizia. Dice chiaramente che l'allocazione di risorse attuale delle risorse è "gravata da distorsioni e drammatici problemi". ho argomentato assumendo alcuni criteri minimali di giustizia dedotti dal testo, anche perché senza di essi non si sa nemmeno di cosa si stia parlando. Capisco la necessità di essere vaghi, ma il papa vuole certamente meno povertà e disuguaglianza nel mondo. 

2) Sono sostanzialmente d'accordo. Che il mercato faccia del bene o male mi pare questione di lana caprina perché occorre capire cosa si intenda per mercato. Io cosa si intenda lo leggo dal fatto che l'enciclica calca la mano associando a mercato connotati negativi e ribadendo continuamente la necessità che gli attori del mercato assumano comportamenti etici. Rileggiti per esempio questo passaggio: "L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Questa frase è un'assurdità, dal punto di vista teorico. È semmai vero il contrario. Certo, esistono controesempi teorici, ma si tratta di quello che sono: controesempi che valgono in casi speciali. Secondo me si è persa un'occasione: occorreva ribadire che il mercato concorrenziale va protetto da tendenze monopolistiche che distruggono ricchezza e frenano lo sviluppo. Che questo sia il da farsi, dal punto di vista teorico, è assodato. Esortare all'altruismo, invece, non è per niente detto che funzioni. 

3) Tutta l'enciclica è piena di inviti alla necessità di connotare "eticamente", anziché egoisticamente le azioni economiche. Il titolo dell'enciclica contiene la parola carità. Se con carità intendeva altro, non lo so, a me non pare proprio. 

 

1) Giustizia: al paragrafo 6 risulta abbastanza chiaro che il Papa non intende definire il contenuto di quello che chiama "giustizia".  Dice esplicitamente che "Ubi societas ibi ius: ogni società elabora un proprio sistema di giustizia".  Di conseguenza i contenuti di questa giustizia vengono storicizzati.

 

 

Mah, il papa forse potrà accettare di vedere storicizzati i modi pratici di realizzazione della giustizia, ma stai pur certo che la sua concezione della Giustizia e strettamente legata all'idea di Verità che lui, e lui solo possiede, e che il suo magistero definisce bene...

 

Riguardo al superfluo: mi sembra chiara la contrapposizione fra quanto necessario alla sussistenza e quanto no.  Il confine è effettivamente sfocato e meriterebbe un'analisi approfondita, questo sì.

 

E dopo che ha fatto questa analisi? Riscrive i dieci comandamenti? Tipo il telefonino è futile, mentre la papamobile mercedes è essenziale? A mio avviso lui non approfondisce le questioni che solleva perchè, nel caso lo facesse, cercando di rimanere logicamente coerente ai principi che dice di professare, ne verrebbero fuori assurdità a metà fra l'irenismo pauperista di un S.Francesco e la follia costruttivista alla Pol Pot. Lui sa bene che gli conviene rimanere nel vago, enunciare principi dire e non dire, del resto si dice che anche Deus est absconditus...e poi, scusa, se il suo dire fosse si si,no no, cosa ci farebbero i preti e i docenti di teologia che ci sono nelle madrase Facoltà di Teologia? A quale mirabile lavoro ermeneutico non libero (perchè vincolato all'obbedienza a chi quelle cose dice) potrebbero votarsi? Dogmatica, Cristologia, Mariologia, e discipline affini, come potrebbero essere oggetto di studio nelle suddette scuole se le cose fossero troppo chiare?

 

"le leggi di mercato sono severe e ineluttabili e bisogna usarle bene, opporcisi è inutile, stupido e controproducente".

 

Ma questo chi lo dice?

 

SOTTOSCRIVO IN PIENO il rammarico per l'assenza di una riflessione piu' approfondita sul tema della resposabilità personale ed etica nell'ambito degli investimenti finanziari e nella gestione d'impresa.  Tema da sviscerare a fondo, a mio avviso una delle voci della Chiesa a cui viene tolta maggiormente la parola.

 

Sono d'accordissimo. Cominciamo col noto Marcinkus come case study? Sai, giusto per quella storia delle travi e delle pagliuzze...

 

Il ruolo papale è anche un ruolo politico, e la prudenza nei giudizi su questi temi me la aspettavo.

 

Ah si...io invece vedendo come entra nelle questioni di bioetica o della sessualità mi aspettavo toni molto più forti.

 

Sullo stesso argomento, Cowen sul WSJ:

http://online.wsj.com/article/SB124719496373221471.html

Occorrono soggetti economici che agiscano "eticamente". I motivi per i quali il mercato e il profitto non sono sufficienti non ci vengono chiariti.

Non ho letto l'Enciclica e non intendo fare l'interprete dell'autore, tuttavia osservo che spesso gli economisti descrivono - o paiono descrivere - i "meccanismi" di mercato e i "comportamenti" dei soggetti economici prendendo a prestito le categorie e i metodi che (noi del)la scienza naturale us(i)a(mo) con successo da qualche secolo. Però lo fa in maniera spesso troppo disinvolta, in pratica promuovendo all'interno delle proprie teorie certe scelte (di valori) che andrebbero come minimo presentate ed esplicitate, anzichè considerate "oggettive" (così "schiacciando" impropriamente certi valori etici sulla realtà naturale). Il libro che sto leggiucchiando, The Skeptical Economist, è correttamente centrato attorno ad un percorso maieutico per cercare di decifrare ed evidenziare il tessuto di valori, di criteri, e quindi di etica, che la "scienza" economica mette spesso sotto il tappeto in maniera disinvolta. Questo per dire che ad un meta-livello di ragionamento c'è sempre spazio per diverse concezioni ed opzioni.

RR

Renzino, a me questi commenti che criticano l'economia ritornando sempre alla filosofia della scienza, mi ricordano molto quelle risse da bettola dove un avventore, non volendo soccombere al più forte, chiede di andare a risolvere la cosa fuori dal locale, magari facendosi aiutare da qualche suo amico o cugino forte abbastanza da ribaltare la situazione :-) . E in questo sito, invariabilmente, la "filosofia della scienza sembra sempre essere il sollievo di chi vuole dimostrare che fisica, economia o chissà cos'altro sono molto meno di quello che ci immaginiamo.

Insomma, fuor di metafora. Siamo ospiti in un sito di economisti, senza piena coscienza e avvertenza dell'economia stessa, lo scrivente incluso? Diciamolo subito dov'è che i modelli economici sono poco credibili, o inverosimili o valutativi e fintamente neutrali e poco scientifici! Non invitiamo gli avventori più forti a confrontarsi fuori dal sito, facendoci scudo di cugini più aitanti (ovvero i libri dove si dimostra che l'economia sarebbe ecc. ecc.).

 

Avevo iniziato a preparare una recensione ma non sarei mai stato efficace come Andrea. Inoltre, i miei tempi sono davvero troppo biblici :-)

Una delle cose che mi hanno rallentato (in aggiunta all'inutile verbosita' del documento) e' stata la difficolta' a digerire la premessa dell'enciclica, senza la quale tutto il resto (o gran parte del resto) non sta in piedi, ossia (mio grassetto):

[la carita'] è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici. [2]

E' utile riportare la definizione di carita', data per la prima volta da Paolo di Tarso (piu' noto come San Paolo) al capitolo 13 della seconda lettera ai Corinzi (2Cor 13,1-13):

La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Ora, questa e', come si dice molto chiaramente nel capitolo 12 della stessa lettera ai Corinzi, una via spirituale cui la comunita' cristiana deve aspirare. In quanto tale costituisce l'ideale della comunita' cristiana (ideale mai raggiunto neppure nel primo secolo del cristianesimo, come documentato negli Atti degli Apostoli in un passaggio che tralascio per brevita'), e quindi sono d'accordo che costituisca il principio, cioe' l'ideale generatore, della stessa.

Dire che la carita' sia (o debba essere) anche il principio dei rapporti sociali, economici e politici, cioe' al di fuori della comunita' cristiana e oltre l'agire personale del cristiano costituisce un'estrapolazione che secondo me non ha fondamento biblico e che e' molto dubbia dal punto di vista teologico.

E la ragione e' questa: se la carita' e' una via spirituale, che uno puo' decidere di percorrere oppure no, come puo' essere fondamento dei rapporti sociali, politici ed economici? Non c'e' dubbio che se cosi' fosse saremmo nel migliore dei mondi possibili: non ci sarebbe poverta', nessuno ammazzerebbe nessun altro, tutti vorrebbero bene a tutti come si vuol bene ai propri amici. Ma poiche' cosi' non puo' essere non ha senso proiettare la carita' fuori dalla comunita' nella speranza che il mondo diventi buono. Nella sfera dei rapporti economici, ad esempio, al di fuori di quelle che l'enciclica chiama "micro-relazioni" vale l'osservazione di Adam Smith:

non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo la cena, ma dalla loro considerazione per il proprio interesse.

Possono certamente esserci macellai, birrai e fornai che percorrono la via della carita' e che agiscono invece per benevolenza. Ma possiamo per questo dire che la carita' e' (o deve essere) il principio dei rapporti economici?

Certo, il papa e i suoi collaboratori conoscono bene, meglio di me, sia la bibbia sia la teologia. Eppure tutto quello che sembrano dire in questa enciclica e' che se tutti fossimo buoni allora il mondo sarebbe un paradiso. Vero. Premesse forti generano conclusioni sorprendenti.

 

Ora, questa e', come si dice molto chiaramente nel capitolo 12 della stessa lettera ai Corinzi, una via spirituale cui la comunita' cristiana deve aspirare.

 

Perdona l'OT ma se interessa la via spirituale la chiesa cattolica is not the way to go. Sono 1500 anni che la chiesa cattolica la stupra, la via spirituale - e non mi sembra intenzionata a cambiare direzione.

E mentre qui si discute, di mercato, etica ecc., ecco cosa sembra proporre il buon GT: www.repubblica.it/2009/07/sezioni/economia/scudo-fiscale/scudo-fiscale/scudo-fiscale.html

Convergenze parallele: Maurizio Lupi e Vannino Chiti plaudono all'enciclica.

Anche Mario Draghi sembra gradire.

Mah lungi da me la tentazione di fare l'esegesi dell'articolo di Draghi ma due commenti non riesco proprio ad astenermi di farli:

1. L'economia neoclassica e' perfettamente in grado di analizzare soggetti che agiscono "eticamente", per usare terminologia altrui, comunque in grado di valutare empaticamente il benessere altrui. Lo si fa da decenni, e lo si fara' per sempre, ho appena partecipato alla conferenza dell'SED a Istanbul dove si e' ritrovato il gotha del neoclassicismo hard-core Chicago/Minnesota-style: cerano almeno 4-5 sessioni di family economics, nelle quali i modelli includevano funzioni di utilita' di questo tipo. Ogni tanto esce qualcuno che sui giornali che si lamenta dell'individualismo metodologico in economia senza capire che nell'utilita' degli individui ci si puo' far rientrare tutto, bisogna farci l'abitudine.

2. Anche per Draghi il mercato non puo' autoregolamentarsi. E chi lo ha mai messo in dubbio? Neanche Friedman & Becker. Cio' che occorrerebbe dubitare e' che bastino i richiami all'"etica" per regolamentarlo. 

Mi permetto di commentare il paragrafo 73.

Mi fa venire in mente quel capitolo dei fratelli Karamazov noto col nome de "Il grande inquisitore": in due parole, quando Gesu' fu tentato dal demonio nel deserto, egli rifiuto' la terza tentazione, in base alla quale grazie all'adorazione del demonio Gesu' avrebbe avuto potere su tutto il mondo e su tutti gli essere viventi. Secondo questa logica, l'"imporre" la volonta' di dio e' quindi "satanico".

A me pare che questo sia esattamente cio' che succede se si vuole dettare il contenuto dei mezzi di comunicazione, cio' che la comunicazione "deve" o "non deve" contenere... 

Cio' che prescrive il paragrafo 73 mi fa letteralmente gelare il sangue, perche' mi sembra talmente lontano dalla cristianita'. Il cristianesimo, pare sia un particolare che spesso sfugge,  "dovrebbe" essere basato su un concetto noto come "libero arbitrio"...

Ma forse in realta' sono io che non capisco, del resto il Papa credo facesse il teologo prima di fare il papa mentre io ho solo letto qualche libro qua e la' e sto ancora lottando per finire il mio dottorato, avra' ragione lui.

Buona giornata e grazie per l'impegno di questo blog.

Alessandro Tampieri

E' che dovevi leggere l'enciclica in latino. Fa tutto un altro effetto!!!

 

Più seriamente, non volendo perdere comunque troppo tempo dietro al papa, chè ho di meglio da fare: in generale, ritengo le encicliche di una noia e banalità mortali per un semplice fatto. Ormai la filosofia vaticana o comunque dei vertici cattolici è una filosofia del minestrone (in questo devono aver imparato dal tanto vituperato postmodernismo): un po' di tomismo, un po' di pauperismo, due mezze idee pseudo-marxiste (nel senso che prendono qualcosina -ina -ina del marxismo lo disinfettano con l'acqua santa e poi te lo ripropongono: totalmente insapore), senso comune quanto basta e tanti, tanti, tanti, troppi tentativi di mediare per raggiungere un equilibrio moderato che in realtà non vuol dire nulla (o vuol dire troppo, perchè diventa troppo generale e vago).

Comunque io non faccio testo, dato che la filosofia vaticano-cattolica, salvo rarissime eccezioni, è quella di cui ho la peggior considerazione.

Ci sarebbero diverse cose da osservare rispetto all'enciclica Caritas in veritate.

MI soffermerò qui soltanto su alcuni punti.

Innanzi tutto bisogna partire dai commenti che sono stati fatti, o per il momento da una parte di essi.

Per primo è insensata l'affermazione del sig. Zamagni che si deve  dire "economia civile" e non "economia politica".

L'aggettivo "civile", associato a economia, deriva dal latino "civis", cittadino; dall'aggettivo deriva poi la parola "civitas", città.

L'aggettivo "politica" deriva dal greco "polis", città.

Quindi dire "economia civile" o "economia politica" si dice la stessa cosa; quindi il nuovo termine introdotto "economia civile" è una semplice tautologia.

Un altro commento che bisognerebbe citare è quello della sig.ra Zamagni. Secondo lei l'economia è iniziata nel medioevo con San Benedetto, che praticava il motto: "Ora et labora".

Senza nulla togliere ai meriti di San Benedetto, bisogna ricordare i precetti della Torah dettati a Mosè, quanto meno più di tremila anni fa. Fra questi bisogna ricordare il terzo che così recita: "Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno..." (Deut, 5, 13-14). Quindi il principio dell' "ora et labora" era già presente agli Ebrei. I Cristiani semplicemente lo hanno ereditato da essi.

Non è vero poi che l'economia inizia nel medioevo, ma già ai tempi dell'impero romano. Tanto per fare un esempio: la velocità di rifornimento di qualsiasi merce era già stata attuata da Romani con circa 100.000 km di strade. In considerazione dei mezzi a loro disposizione era una scoperta avveniristica. Ciò che i Romani non avevano scoperto è un mezzo che si può muovere da solo, e quindi ogni mezzo di locomozione doveva venire trainato. Ma la moltiplicazione delle strade è stato ciò che ha consentito all'impero di durare più di 500 anni.

A scuola ci hanno insegnato che c'erano soltanto guerre o combattimenti vari. Ma non ci hanno mai detto che uno dei principi cha ha retto l'economia del'impero è stata la fissazione della parità monetaria:

1 g Au = 13,5 g Ag

Ciò consentiva a tutte le monete dell'impero una piena convertibilità.

Ci sono però ancora moltissime cose che maturarono già ai tempi dell'impero romano e che merita studiarle (urbanistica, acquedotti, commercio interno e internazionale, ecc.).

Ho ritenuto opportuno ricordare sommariamente questi principi, perché sono la base di ogni ulteriore ragionamento economico .

Inoltre, se opportunamente approfonditi, aiutano a capire che se l'Occidente è arrivato a determinati traguardi economici e di civiltà, non ci è arrivato per caso, ma soltanto dopo che duemila anni fa la civiltà ebraica si è innestata nella civiltà romana, tramite il cristianesimo, ed insieme sono diventate il motore del progresso del'umanità.

Saluti

Dario Bazec