Una lettera ai delegati del congresso IdV

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Tra il 5 e il 7 febbraio si tiene a a Roma il congresso nazionale di Italia dei Valori. Si tratta di un partito che finora si è impegnato soprattutto sui temi della giustizia e che spera, anche a fronte della perdurante crisi del Partito Democratico, di aumentare in modo consistente sia il consenso elettorale sia il suo peso nella politica italiana.

Questo richiede al partito di fare scelte chiare di politica economica. L'estate scorsa abbiamo iniziatoun dialogo con Antonio Borghesi sulla politica economica del partito. Da allora abbiamo visto tanta confusione e diversi passi indietro. In questa lettera indirizzata ai congressisti vorremmo dare il nostro contributo (non richiesto) alla discussione. Se IdV vuole avere successo e giocare un ruolo positivo nel paese deve, a nostro avviso, puntare con decisione all'alternativa liberista. In questo post cerchiamo di spiegare come e perché.

La scelta che Italia dei Valori deve fare per quanto riguarda la politica economica può essere messa in termini molto secchi, come segue.

La prima possibilità è che Italia dei Valori si colleghi a una tradizione liberale che, per quanto debole e minoritaria, è sempre esistita all'interno della sinistra italiana. È una tradizione che raccoglie nomi illustri, da Piero Gobetti a Ernesto Rossi, e che ha sempre accompagnato all'attenzione per la questione sociale e le disuguaglianze economiche una profonda fiducia nella capacità di auto-organizzazione della società e un atteggiamento favorevole all'iniziativa individuale, alla concorrenza e al libero mercato. All'interno di questa tradizione si è sempre segnalato come la lotta ai privilegi e ai monopoli in campo economico sia non solo un importante elemento per lo sviluppo e il raggiungimento dell'efficienza economica ma anche, mediante l'espansione delle opportunità e la loro apertura a tutti i cittadini, un essenziale veicolo per la promozione dell'uguaglianza e della giustizia.

La seconda possibilità è quella di ricollegarsi al filone socialista-statalista che da sempre risulta maggioritario nella sinistra. Questa tradizione favorisce l'intervento massiccio dello Stato in economia, sia a fini di politica industriale sia a fini redistributivi, guarda con diffidenza al libero mercato e alla iniziativa privata e ignora i pericoli che derivano dal controllo politico dell'economia e dalla creazione di monopoli pubblici e privati.

La scelta tra le due alternative ha immediate conseguenze in termini della strategia politica del partito e del centrosinistra più in generale. L'adozione di una politica economica liberale va di pari passo con la scelta di espandere il consenso del partito tra i ceti produttivi e nel mondo della piccola impresa, includendo in tale mondo sia imprenditori sia dipendenti. Questi ceti al momento danno il loro consenso in modo maggioritario alle forze di centrodestra, a nostro avviso senza ottenere in cambio alcunché di sostanziale. Gli estenuanti e continui annunci di una futura riduzione delle tasse che si ripetono da sedici anni, accompagnati da continui aumenti della spesa pubblica da parte dei governi di centrodestra, ne sono una dimostrazione evidente. D'altro lato, la scelta socialista-statalista può probabilmente attrarre al partito i rimasugli della sinistra radicale e metterlo in competizione con il centrodestra per la cattura del consenso popolare che assume forme clientelari e di dipendenza dai sussidi pubblici.

Va anche detto che, sul piano della pura strategia politica, la scelta statalista conduce ad un appiattimento sulle posizioni sia del PD sia del PdL, i quali sono oggi entrambi due partiti a forti connotazioni assitenzialiste-stataliste. Una competizione a chi sia più statalista e più anti-liberale non può non essere dannosa per un partito come l'IdV, visto che sia PD che, soprattutto, PdL, hanno non solo una tradizione ideologica forte che li spinge in direzione (rispettivamente) socialista e peronista, ma anche l'accesso alle leve del potere statale e della finanza pubblica per trasformare le proprie promesse stataliste in assistenzialismo e clientelismo effettivi e quotidiani. In sostanza: pensare e sostenere oggi che più stato e più controllo politico siano le soluzioni alla crisi italiana non vuol dire solo far danno all'Italia, vuole anche dire fare il verso a Tremonti e a Bersani e diventarne subalterni.

Noi riteniamo che una scelta liberista sarebbe essenziale e benefica non solo per Italia dei Valori ma per tutto il paese. L'Italia è al momento un paese ingessato, impaurito, incapace di assumere iniziativa e di guardare al futuro. La pervasiva presenza statale in economia permette alla casta politica di esercitare un ferreo controllo su quasi tutti gli aspetti della vita sociale. Così facendo, questo controllo dello stato e della politica sull'economia e la società provoca due danni estremamente gravi: da un lato tarpa l'iniziativa personale, impedisce la concorrenza e demotiva il merito rimpiazzandolo con il servilismo clientelare, dall'altro crea dei costi economici e sociali inutili e aggiuntivi per mantenere l'immane macchina clientelar-burocratica che tale controllo sociale esercita. Le rendite parassitarie, l'inefficienza e l'alta tassazione sono conseguenze dirette e drammatiche di tali scelte politiche.

Questo è, a nostro avviso, il principale impedimento a una ripresa della crescita economica in Italia. Porre un termine allo strapotere esercitato da una casta corrotta e incompetente è quindi il primo e più urgente compito che chi ha a cuore i destini del paese deve affrontare. L'unico modo serio ed efficace per ridurre il potere della casta è ridurre la spesa pubblica e l'intervento dello stato nell'economia: cercare di catturare uno ad uno i piranhas diventa compito improbo quando sono troppi. Occorre togliere loro l'acqua stagnante in cui si moltiplicano. La scelta di tipo statalista invece non può che condurre a nuovi disastri. È prima di tutto una scelta che è diventata semplicemente ingestibile dal punto di vista economico, perché richiede livelli ormai divenuti allucinanti di tassazione. Ma è anche una scelta che non può che risultare odiosa a chiunque abbia a cuore l'uguaglianza delle opportunità per i cittadini. L'Italia è diventato il paese in cui la connessione giusta e la vicinanza al potere politico sono vastamente più importanti del merito e del duro lavoro per il successo individuale. Questa situazione non è solo foriera di stagnazione economica e mancato sviluppo. È anche profondamente ingiusta e discriminatoria nei confronti di quei tanti italiani che non hanno avuto la fortuna di nascere nella famiglia ben connessa.

Fare una scelta liberale, di lotta ai monopoli pubblici e privati e di lotta ai privilegi della casta, impone di fare proposte chiare, senza nascondersi dietro frasi allusive e ambigue. Perché è solo dalle proposte concrete che è possibile definire la propria identità politica. Quindi lasciateci fare un paio di esempi concreti, di cose che ci piacerebbe vedere e di cose che abbiamo visto e non ci sono piaciute.

Proposta concreta che vorremmo fosse adottata dall'IdV: spezzare la Rai in tre reti e venderla ai privati. Questo consentirebbe da un lato di abolire il canone Rai, una odiosa tassa regressiva, e dall'altro di aumentare il pluralismo nell'informazione. Le tre reti andrebbero vendute a soggetti diversi e la legislazione antitrust dovrebbe impedire che un singolo soggetto controlli più di una rete nazionale. Al tempo stesso, lo Stato dovrebbe uscire in modo completo dal settore dell'informazione, eliminando tutti i sussidi alla stampa e agli altri media. È solo un esempio di ciò che va fatto e di cosa significa parlare chiaro. È anche un esempio di un provvedimento che godrebbe sicuramente del favore popolare e colpirebbe al cuore la casta, che ha sempre usato la Rai e i sussidi ai media per i propri comodi e per manipolare l'informazione.

Una proposta concreta che non ci è piaciuta per niente: l'emendamento del senatore Lannutti che impone limiti ai salari dei dirigenti delle aziende private. È perfino difficile iniziare a criticare un provvedimento del genere tanto è privo di senso, ma la domanda che facciamo è molto semplice. Veramente crediamo che delegare alla classe politica la determinazione del prezzo del lavoro, sia pure solo il lavoro manageriale, sia una buona idea? Possibile che la storia italiana non abbia insegnato nulla? Se si ritiene che i manager privati (altro discorso vale per quelli pubblici, sui quali è logico che il controllo sui salari venga esercitato politicamente) sfruttino i propri azionisti per ottenere salari esorbitanti, allora occorre intervenire sui meccanismi di controllo societario per dare maggior potere agli azionisti. E poi, possibile che non venga in mente a nessuno che le società potrebbero semplicemente muovere i propri centri direttivi all'estero?

Nel futuro l'IdV dovrà fare questa scelta, che finora non è stata completamente sciolta. Dovrà scegliere se essere un partito che guarda con favore alla concorrenza e alla libera iniziativa, e che intende colpire tutte le posizioni di monopolio pubblico e privato, oppure se essere l'ennesimo partito che a fronte di qualunque problema propone di aumentare il potere dei politici e l'intervento statale.

Chi ha avuto occasione nel passato di leggere questo sito sa che siamo abituati a parlare con molta franchezza. Abbiamo voluto farlo anche in questa occasione, perché a nostro avviso il paese ha disperatamente bisogno di un dibattito concreto sulle scelte economiche che venga fatto con passione e competenza. Il dibattito congressuale di Italia dei Valori si incentrerà probabilmente su temi differenti dalla politica economica. Ma, presto o tardi, le scelte di politica economica andranno fatte e saranno quelle in primo luogo che determineranno il futuro del partito. Possiamo solo chiedere che, quando la discussione ci sarà, essa venga fatta usando i dati e la teoria economica. Che, per l'Italia, sarebbe una bella novità.

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Commenti

Ci sono 69 commenti

Purtroppo più che una scelta tra tradizione liberale e filone socialista, l'unico vero collante di IdV (direi giustificato, anche se modesto nel medio-lungo periodo), rimane l'antiberlusconismo.

Viceversa dentro il partito, per quel che ho visto e frequentato negli ultimi 18 mesi, c'è veramente di tutto: "estremisti sociali" come Pancho Pardi e Leoluca Orlando, liberali come Antonio Borghesi che però invita sul suo sito il sig. Tanzi al suicidio (l'istigazione al suicidio non è reato?), difensori del posto di lavoro "qualunque sia" (Di Pietro con i lavoratori dell’Alitalia e Zipponi a difesa degli operai saliti sul tetto di non mi ricordo più quale fabbrica decotta da anni, posizione peraltro giustamente contrastata da Borghesi), la già ricordata geniale trovata del senatore Lannutti con il tetto alla retribuzione dei manager delle società quotate in Borsa (forse puntando ad ottenere il sostegno dei manager ad un ulteriore ritocchino delle retribuzioni degli onorevoli?).

Sulla privatizzazione della RAI, a specifica domanda fatta dal sottoscritto al senatore Orlando a Treviso qualche mese fa, non ho avuto il piacere di una risposta positiva (ma a dire il vero non aveva ancora perso la speranza di poter diventare Presidente della Commissione di Vigilanza RAI). Sulla privatizzazione del Casinò di Venezia, proclamata con forza dall’on. Donadi all’incontro di Vasto a settembre, ho riscontrato ben diverse reazioni tra i consiglieri comunali di IdV di Venezia, e a questo punto la palla è passata a Brunetta, che lo ha ribadito nel suo programma (anche se un consigliere di amministrazione del Casinò rappresentante del centro destra mi aveva detto che non era giuridicamente possibile).

Sulla democrazia interna qualche concreto dubbio lo ha posto Micromega (n. 5 anno 2009, pag. 35 e segg. “c’è del marcio in Danimarca, l’Italia dei Valori Regione per Regione: Deficit di democrazia interna e strapotere in mano di pochi e discussi professionisti della politica. E’ il risultato della passata strategia di corto respiro di IdV imbarcare a destra e a manca, e soprattutto al centro, transfughi di altre formazioni politiche, consegnando loro le chiavi delle federazioni locali) e lo pongo anch’io sulla questione spicciola delle primarie di coalizione per la scelta del candidato sindaco di Venezia. L’Italia dei Valori ha deciso di sostenere uno dei tre candidati: il sottoscritto, che ne sosteneva un altro, è stato, di fatto, espulso dal partito con un meccanismo molto sovietico in cui si è unita la totale indifferenza alle mie richieste di chiarimento (ho chiesto che senso aveva, nelle primarie, che il partito si schierasse per un solo candidato, senza lasciare libertà di scelta: almeno il PD ha avuto il buon gusto di non farlo) al giudizio di “mona” che mi è stato attribuito da un dirigente del partito.

Direi che il tutto mi è parso sufficiente per perdere la fiducia.

 

   

 

Allego una delle  mozioni che ho elaborato e depositato, dopo aver raccolto le firme necessarie. La presenterò domani durante i lavori congressuali e mi auguro che sia votata dai delegati.

Antonio Borghesi

 

MOZIONE

SIA IL CONGRESSO DEI LIBERALI DEMOCRATICI RIFORMATORI ITALIANI

 

 

Premessa

Di fronte al fallimento, in alcun modo superabile, dei modelli di socialismo reale ed all’insufficienza del modello liberista (crisi del ’29, risposta del modello keynesiano del “deficit spending”, ecc.) sia i propugnatori dell’uno come dell’altro hanno cercato di percorrere strade nuove, generalmente note sotto il nome di “terza via”.  Ciò ha determinato il convergere verso il medesimo obiettivo da una lato dell’esperienza della socialdemocrazia che cercava di rifondarsi. D’altro lato  nel modello di società che così andava formandosi (variamente definita come “società post-industriale e della conoscenza”,  “società post-moderna”,  “società del rischio” o  “società della modernità riflessiva” ) le istanza di autorealizzazione dei singoli e quindi il valore dell’individuo prevalgono sulle istanze collettive. In tale quadro si capisce perché anche nella cultura socialista si innesta il concetto di “responsabilità individuale”, fissando nel dovere e nel comportamento morale del singolo l’antidoto ai comportamenti devianti. In ciò si delinea la convergenza con la liberaldemocrazia che si fonda sull’idea che i comportamenti collettivi abbiano la loro radice in quelli singoli. In altri termini un sistema socio-politico ben funzionante non può che basarsi su una diffusa moralità che conformi l’aspetto legalitario e quello partecipativo dello stare insieme. “Nessuna delle tre grandi correnti  politiche dell’Occidente( la liberale, la democratica e la socialista)  ha vinto, essendosi imposta una formazione sociale, la liberaldemocrazia, su cui si innesta il socialismo, inteso come una politica volta a dare espressione alle lotte sociali mediante l’allargamento dei diritti.Il socialismo spinge la liberaldemocrazia ad affrontare la questione sociale, per incrementare le opportunità accessibili agli individui. Mentre il socialismo trae alimento dalle lotte sociali specifiche, la liberaldemocrazia effettua l’universalizzazione giuridico-politica dei contenuti espressi da quelle lotte. Molti partiti politici italiani fondano la ragione della loro presenza sulla sintesi tra le grandi correnti di pensiero del Novecento e dunque non può essere questa la base per l’identità, l’identificabilità e la differenziazione  di Italia dei Valori rispetto ad essi. Ancorché anche Italia dei Valori si proponga di raggiungere quell’obiettivo tale identità, identificabilità e differenziazione si dovrà ricercare nelle “parole d’ordine” che Italia dei Valori sente di poter collocare alla base della propria azione. Tali parole d’ordine non possono, a loro volta,  che trarre origine dalla storia del movimento, poi diventato partito, e che non potrà prescindere dal suo fondatore, Antonio Di Pietro, né da ciò che egli rappresenta ed ha rappresentato per il nostro Paese. Per questo suggerisco che queste “parole d’ordine”, che  devono essere chiare, forti e comprensibili da chiunque,  siano: 1. Moralizzazione della vita pubblica, 2. Non candidabilità dei condannati, 3. Rispetto delle regole: no a condoni amnistie indulti, 4. No al conflitto d’interesse ad ogni livello, 5. Riduzione dei costi della politica, 6. Lotta alla corruzione, 7. Si ai principi di meritocrazia, 8. Pari opportunità, 9. Lotta agli sprechi, 10. Sussidiarietà e federalismo, 11. Immigrazione programmata, 12. Certezza delle pene, 13. Lotta all’evasione fiscale, 14. Tutela dei consumatori e dei risparmiatori, 15. Marchio etico e statuto dell’infanzia e dell’adolescenza, 16. Flessibilità, ma non precarietà, del lavoro, 17. No al finanziamento della politica, 18. Codice etico dei partiti. Nella generale crisi che ha investito il mondo globalizzato il modello di capitalismo realizzato nei Paesi scandinavi, in Danimarca ed in Finlandia, sembra quello che, meglio degli altri, ha avuto capacità  di assorbimento degli effetti negativi che si sono prodotti.  Qualcuno parla di “capitalismo democratico”, con ciò intendendo un alto grado di uguaglianza e partecipazione nell’assunzione delle decisioni aziendali. Una delle cause è il profondo senso di egualitarismo , in particolare nel sistema formativo. Uno dei fattori di ciò è l’assenza di classi sociali. “Chiunque può ricevere una buona formazione indipendentemente dalla sua origine”.“Nella maggior parte dei Paesi nordici ci sono piccole differenze salariali. La gente va alle stesse scuole. Non ci sono reali distinzioni di classe.” I manager svedesi – quelli meglio pagati – guadagnano appena un terzo di ciò che percepiscono i loro colleghi tedeschi. La mancanza di gerarchia nelle imprese vale anche verso l’alto.  La partecipazione dei lavoratori alle strategie aziendali  è un fattore importante.  I dipendenti siedono in molti consigli di amministrazione delle società “nordiche”. Management e lavoratori risolvono insieme i problemi! Il modello Nordico non appare facile da emulare e non è facilmente esportabile. Stiamo parlando di Paesi piccoli, egualitari e con buoni sistemi educativi. Così il modello può essere ammirato ma replicarlo appare davvero complesso. “Complesso” non significa tuttavia “impossibile”.

Per questi motivi ho deciso di presentare al Congresso Nazionale del 5-6-7 febbraio 2010 la seguente mozione

 

MOZIONE

LIBERALI DEMOCRATICI RIFORMATORI: IL CONGRESSO OPTI PER  IL MODELLO DEL CAPITALISMO DEMOCRATICO

 

“Il partito, e per esso i suoi organismi dirigenti nazionali, ed in particolare Presidente, Ufficio di Presidenza ed Esecutivo Nazionale, nell’ambito delle loro funzioni, esercitino il loro mandato per perseguire un modello di società definito come “capitalismo democratico”, nel quale si realizzi la sintesi delle tre grandi correnti  politiche dell’Occidente( la liberale, la democratica e la socialista),   coniugando la liberaldemocrazia in campo economico con una politica volta a dare espressione alle lotte sociali mediante l’allargamento dei diritti.  Un “capitalismo democratico”, con elevato grado di uguaglianza e partecipazione nell’assunzione delle decisioni, anche a livello aziendale e dove la ricchezza sia distribuita in larga maggioranza verso la “classe media”, attraverso la formazione di ”veri e propri ascensori sociali”, che renderebbero compiuta la realizzazione dei principi di meritocrazia e pari opportunità.

 

BORGHESI  ANTONIO

Caro Borghesi, io sono sinceramente dispiaciuto di dover dire che ...... siamo alle solite, cioè si vagheggia di socialdemocrazie nord-europee e persino di (sic!) partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.

Tale proposta - che abbiamo discusso qui e di cui un gruppo bipartisan di consiglieri regionali veneti vanta un improbabile effetto rivitalizzante sul sistema imprenditoriale locale, dimostrando un populismo inversamente proporzionale al basso grado di cultura economica ed una scarsissima conoscenza del mondo che li circonda - indica, ancora una volta, quanto poco di liberale si possa trovare nelle attuali formazioni politiche e quale tentativo di accontentare la massa ignorante e forcaiola degli elettori sia sempre presente.

Sebbene la tua mozione sia condivisibile, ad esempio, nel richiamare il rispetto delle regole e nel richiedere una riduzione dei costi della politica - peraltro genericamente, e come oggi molti altri fanno - in realtà  il problema rimane la concezione etica dello Stato e la sostanziale sfiducia nell'agire dell'individuo, la cui libertà di scelta costituisce il cardine dell'idea liberale.

Anche il consueto accennno alla lotta contro l'evasione fiscale, ma non alla riduzione sostanziale del prelievo e della debordante spesa pubblica, non suscita grandi speranze in un cambio di passo. Per non dire della menzione di un altro mantra del momento, la precarietà, tra l'altro citato in contrapposizione al termire flessibilità, al quale vorresti attribuire un significato diverso, con una sorta di tuffo carpiato e rovesciato dal coefficiente di difficoltà degno del mitico Klaus Dibiasi ......

E non basta dichiararsi a favore della meritocrazia e del federalismo: a parole, quasi tutti oggi si schierano da questo lato della barricata, ma i fatti stentano davvero a seguire con coerenza.

Gli amici amerikani chiedevan conto, poi, dei finanziamenti all'editoria e della vendita del moloch RAI: nel tuo scritto non se ne parla e, dunque, qual è la tua proposta in merito, meglio se in forma di DDL?

Senza offesa, sai, solo con l'abituale trasparenza di chi dice ciò che pensa .....

Secondo me chiedere una svolta "liberale" è troppo e troppo poco.

Troppo perché, realisticamente, nella confusione che regna un partito così poco strutturato e radicato non avrà il coraggio di prendere una decisione precisa. Troppo poco perché "liberalismo", come "liberaldemocrazia" tendono ad essere concetti poco significativi se non accompagnati da riferimenti concreti.

Non serve secondo me tutto quel discorso sulla Rai: basterebbe dire via il canone e via il controllo sulle quote e già sarebbe un bel colpo, anche elettorale.

 

Non serve secondo me tutto quel discorso sulla Rai: basterebbe dire via il canone e via il controllo sulle quote e già sarebbe un bel colpo, anche elettorale.

Al contrario. Il canone e' un problema limitato. E' un balzello regressivo, ma assai poco distorsivo (fa anche rima). Il problema e' l'utilizzo che la classe politica fa della televisione pubblica. In particolare: 1) la coltivazione delle clientele e 2) il controllo dell'informazione. Ecco perche' la privatizzazione e' assolutamente necessaria.

' strano come non si riesca a capire che la moralità pubblica, insieme ad altri apprezzabili obiettivi, si ottenga riducendo il malloppo di risorse pubbliche su cui si esercita il clientelismo predone e dissipatore. E riducendo le tasse. Lascia pensare anche la storia del fallimento sostanziale del liberismo in un paese assassinato da una tale pressione fiscale e da un controllo ossessivo di ogni attività economica da arte dei burosauri che infestano il paese. Liberista l'Italia non lo è non essendolo mai stata. Con tutto il rispetto per l'On. Borghesi, non si capisce di cosa parli.

 

strano come non si riesca a capire che la moralità pubblica, insieme ad altri apprezzabili obiettivi, si ottenga riducendo il malloppo di risorse pubbliche su cui si esercita il clientelismo predone e dissipatore.

 

A me pare che lo capiscano benissimo. Il punto e' che, come tutti gli altri politicanti, vogliono mettere le mani sul malloppo. Non credo che a loro interessi altro.

Sperare che Di Pietro e i suoi diventino liberisti è come sperare che il Papa diventi musulmano.

Possibile che non dica niente la storia delle persone? La loro attività quando erano al governo? I guaii combinati all'iniziativa privata durante gli anni della cosiddetta "mani pulite"?

La vogliamo ricordare la persecuzione verso i nostri stilisti, gli alfieri del "Made in Italy", che furono visti come gli odiati rappresentati della Milano da bere da cancellare e che quindi emigrarono in gran parte?

C'è forse qualcosa di liberista nel Di Pietro ministro? Ancora più burocrazia, come d'altro canto c'è da aspettarsi da un ex burocrate.

Non sognamo ad occhi aperti.

 

I guaii combinati all'iniziativa privata durante gli anni della cosiddetta "mani pulite"?

 

Non é che per caso si dimentica di confrontarli con i guai combinati all'iniziativa privata dalle "mani sporche" dei decenni precedenti (e successivi) ?

La vogliamo ricordare la persecuzione

Io ricordo la persecuzione delle persone oneste da parte delle bande di mariuoloni. Qualunque uso della radice liber- ne e è stata, e continua ad esserne, fortemente danneggiata.

RR

Un giudice che combina guai all'iniziativa privata? E quali sarebbero? averci tolto dai marroni dei ladri e dei predoni? E quella che si abbarbica alla politica è iniziativa privata davvero? Ma per favore

 strano come non si riesca a capire che la moralità pubblica, insieme ad altri apprezzabili obiettivi, si ottenga riducendo il malloppo di risorse pubbliche su cui si esercita il clientelismo predone e dissipatore. E riducendo le tasse.

e la moralità privata si ottiene allora riducendo il malloppo di risorse private su cui si esercita la licenziosità predatrice e dissipatrice?

Forse anche sì, ma non è il punto essenziale.

RR

Caro Renzino, a volte mi pare che ragioni come un parrino. (wow, una rima)

Ridurre il malloppo non incide affatto sulla moralita'. Fa solo in modo che non vi siano i presupposti affinche' gli istinti deteriori di alcune persone procurino danno ad altre.

L'autoselezione (traduzione letterale di self-selection) e' tale per cui la maggiorparte dei politici scelgono di occuparsi di politica proprio perche' vogliono appropriarsi della cosa pubblica (e perche' comprendono di avere capacita' limitate in altri settori). Hai mai pensato ai compagnetti di scuola che ora sono in politica? Io si'.

 strano come non si riesca a capire che la moralità pubblica, insieme ad altri apprezzabili obiettivi, si ottenga riducendo il malloppo di risorse pubbliche su cui si esercita il clientelismo predone e dissipatore. E riducendo le tasse.

e la moralità privata si ottiene allora riducendo il malloppo di risorse private su cui si esercita la licenziosità predatrice e dissipatrice?

Forse anche sì, ma non è il punto essenziale.

 

Nell'ambito di una visione liberale lo Stato si occupa di scrivere regole decenti e di applicarle con decente efficienza sulle attivita' private. Secondo me solo una mente statalista malata puo' pensare che possa essere utile o anche solo realizzabile ridurre i danni conseguenti a cattivo uso delle risorse private riducendo il totale delle risorse private disponibili.

Se c'e' come in Italia un deficit di moralita' pubblica, e' difficile che pezzi dello Stato riescano efficientemente a controllare e colpire altri pezzi corrotti e inefficienti. E' molto piu' plausibile che, pur in mezzo a molte cortine fumogene, tutti i pezzi dello Stato si muovano d'intesa per arraffare quanto possono cercando di nascondere le ruberie dei colleghi: questa piu' o meno e' la situazione italiana, in cui  ogni settore statale strepita per avere piu' soldi ma tollera allegramente sprechi e inefficienze enormi di tutti i colleghi, cercando di trovare capri espiatori nei privati che per definizione sono anche evasori fiscali. Per questo potrebbe essere invece un'idea migliore ridurre la torta statale complessiva e focalizzare lo Stato nei servizi critici piu' difficilmente affidabili ai privati, come ordine pubblico e giustizia.

Non è che sono piani diversi quello pubblico e quello privato?

Gli autori scrivono:

"Questi ceti al momento danno il loro consenso in modo maggioritario alle forze di centrodestra, a nostro avviso senza ottenere in cambio alcunché di sostanziale."

 

Sbagliate,hanno ottenuto la conferma della libertà di evadere tranquillamente.

Per il resto ottimo post come al solito. Peccato che l'idv non l'accoglierà mai.

  «Quindi lasciateci fare un paio di esempi concreti, di cose che ci piacerebbe vedere ....»

 

D’accordo per spezzare la Rai in tre parti e venderle ai privati.

D’accordo per eliminare tutti i sussidi alla stampa e agli altri media.

Premesso che in economia sono un profano, a me piacerebbe un’altra cosa: lo smantellamento del carattere universalistico del sistema sanitario. La sanità è da tempo la pietra dello scandalo, che divora la maggior parte della spesa pubblica e mantiene la casta.

Istituire un sistema d’assicurazione sanitaria (volontaria od obbligatoria come la RCA) permetterebbe di utilizzare l’Irpef addizionale regionale per ridurre il debito pubblico.

 

me piacerebbe un’altra cosa: lo smantellamento del carattere universalistico del sistema sanitario. La sanità è da tempo la pietra dello scandalo, che divora la maggior parte della spesa pubblica e mantiene la casta.

 

Non simpatizzo particolarmente per il SSN italiano come scritto in altri interventi e articoli, tuttavia non si puo' descriverlo come fai.  La spesa pubblica in sanita' in Italia e' sul 7-8%, una delle piu' basse tra i Paesi avanzati, e la copertura pur scadente e' abbastanza efficace da garantire (assieme a formidabili cure parentali assenti in altri Paesi piu' avanzati) una buona vita media.  Solo a livello regionale la spesa sanitaria domina il bilancio (~80%) ma le spese regionali sono una modesta parte della spesa pubblica italiana.  E' vero peraltro che nel Sud e in parte nel Lazio il potere politico locale e parte significativa della stessa economia privata locale sono legate a doppio filo al SSN, e questo grida vendetta e richiede una soluzione.  Nel centro-nord i politici nominano i primari ma il sistema, pur scadente nel rapporto con gli utenti, piu' o meno funziona, e non e' cosi' determinante per la raccolta del consenso.

 

Risposta ad Alberto Lusiani

Il libro verde sulla spesa pubblica del settembre 2007 http://www.mef.gov.it/doc-finanza-pubblica/documenti/18827/28_libro%20verde.pdf

conferma il tuo dato sulla spesa sanitaria in Italia, che però è inferiore solo a Francia e Regno Unito e comunque maggiore della media nell’Area Euro nel 2004 (vedi tabella 1.2 del pdf a pagina 14). Si vede anche che la spesa sanitaria, in Italia, è inferiore soltanto alla spesa per le pensioni (13,8%) e ai Servizi pubblici generali (8,7%), che comprendono gli interessi sul debito pubblico. La spesa pubblica deriva quasi tutta dal totale delle spese regionali, per cui non mi pare che la spesa sanitaria sia una modesta parte della spesa pubblica italiana. (Altri dati nella tabella 2.11 – stesso pdf a pagina 39 – per i confronti con i paesi Ocse).

Il sistema, come dici, più o meno funziona, grazie al fatto che ci sono strutture a livello d’eccellenza e grazie al fatto che gli operatori sanitari sono, quasi sempre, encomiabili. Una volta che sei riuscito ad accedere. E’ l’accesso che è scadente, per non dire pessimo: secondo la mia opinione (basate su esperienze personali) il Servizio non c’è proprio, almeno cambiamo il nome in Sanità Nazionale.

 

«La pervasiva presenza statale in economia permette alla casta politica di esercitare un ferreo controllo su quasi tutti gli aspetti della vita sociale».

Vogliamo fare una scelta liberista? Si può fare senza riformare lo stato sociale?

Per le pensioni si è già provveduto (riforma Dini) e si sta provvedendo (discussione sull’elevamento dell’età pensionabile). E’ tempo di pensare anche alla sanità.

(P.S. Leggo abitualmente nFA, ma commento poco. Scusate, ma non sono ancora riuscito ad usare il blockquote)

 

Penso che sia poco utile confrontare la spesa pubblica per la sanità nei diversi paesi, perchè in alcuni di questi (Italia, UK) costituisce una componente più rilevante della spesa sanitaria totale che in altri (Olanda, Germania e ovviamente US).

Più utile per confrontare sistemi molto diversi prendere in considerazione semplicemente la spesa sanitaria come percentuale del PIL (vedi: ec.europa.eu/health/ph_information/dissemination/echi/echi_25_en.pdf), che in Italia è del 9% quindi direi spannometricamente vicina alla media europea. Notare come in questa classifica il Regno Unito spenda meno e non più di noi (per il discorso di cui sopra).

Ma sulla candidatura di De Luca, sindaco di Salerno, per le regionali in Campania, nessuno dice nulla?

Ma come? Di Pietro che ha fatto il partito legalista e per la giustizia, appoggia uno che è pluriinquisito? E la base lo acclama a furor di popolo, dopo che Di Pietro stesso lo presenta alla sua gente?

Io non capisco davvero, non capisco.

Tra l'altro Di Pietro eletto per acclamazione presidente. Non c'è che dire: una bella craxata!

Io comincio a temere che questo qui sia l'ennesima sceneggiata all'italiana.

De Luca è una personaggio politico di sicura levatura. Come tutte le persone di codesto lignaggio, e segnatamente se operano in un territorio del Meridione d'Italia, si trova ad essere al centro di un sistema di potere ampio ma complesso.

Non sono in grado di giudicare i dettagli delle imputazioni che gli sono rivolte; mi sono sempre sembrate cadere in una categoria non patentemente "decidibile", e pertanto in questo caso mi devo rimettere ad ogni futura conclusione delle autorità giudiziarie.

Sicuramente a Salerno gode di ampio consenso politico nel cittadino "normale". E' dotato di grande oratoria e di propensione all'azione ben maggiore di quella del politico meridionale medio. Per questo appare senz'altro come "risolutivo" su tutta una filiera di problemi tradizionale della politica meridionale, perfino agli occhi di chi eventualmente si barcamena nel sistema tradizionale stesso. Afferma di combattere il malaffare e l'inedia amministrativa, è un decisionista e un promotore di iniziative a vasto raggio.

Veramente magistrale la sua elezione a sindaco nel 2006, quando si presentò in totale opposizione al "centrosinistra ufficiale" che, con la sua pletora di partiti e partitini (si era in pieno tempo di Unione) candidò il pur popolarissimo Andria (di estrazione cattolico-popolare) ed entrò in collisione con gli stessi DS locali e lo stesso sindaco uscente De Biase, che era stato il suo vice al tempo in cui egli era stato sindaco nel decennio precedente. Alla testa di una lista civica di cui possedeva il marchio, usata per le tornate elettorali precenti ("Progressisti per Salerno") e unitamente solo ad una seconda lista, fatta interamente di giovani ("Salerno dei giovani"), ando' al ballottaggio succhiando badilate di voti anche al centro-destra - il cui candidato si fermo' al 20% - e lasciando poi alle spalle Andria e il suo codazzo di nomenclatura "ufficiale" anche lì.

Che De Luca sia sempre stato visto come una persona capace, e potenzialmente in grado di risolvere svariati problemi politici locali - nè più nè meno come i migliori sindaci del Nord e del Centro che in questi anni hanno spesso ottenuto grandi consensi personali - è un fatto innegabile. La sua opposizione al sistema di potere Bassoliniano è stata pure patente e chiara.

Che dire? Si vedrà. Certamente è una candidatura all'insegna del "riformismo forte".

RR

 

 

 

Cari Amici

sono il Responsabile Nazionale del Dipartimento Economia e Finanza di Italia dei Valori e ho scritto la parte economia della Mozione che il presidente Di Pietro ha presentato al Congresso. Chi avesse voglia di sentire il mio intervento può collegarsi al sito di Radio radicale, (ho parlato il primo giorno).

Condivido pienamente la vostra lettera e infatti nel mio intervento ho cercato di sostenere tesi vicine alle vostre.

Italia dei Valori è in trasformazione. La mia battaglia è quella per assicurare che le posizioni liberali siano predominanti e che non ci sia il rischio che IdV diventi un raggruppamento della sinistra estrema e ambientalista.

E' una grande sfida. Però se leggete la Mozione Di Pietro troverete molti passaggi di chiaro stampo liberale.

"Il mercato è lo strumento con cui si può sconfiggere Berlusconi".

Vorrei fare un appello alle forze intellettuali migliori (e voi siete tra queste) affinchè considerino IdV come il loro interlocutore per un progetto di cambiamento del nostro Paese.

Siamo in una fase molto delicata della storia recente dell'Italia repubblicana. Il berlusconismo ha usurpato i termini "liberale" e "mercato", ma come alcuni di voi hanno dimostrato nel loro recente volume su Tremonti è facile smascherare la truffa. La destra berlusconiana è un minestrone di statalismo e di demagogia.

Ma ci sono elementi di preoccupazione anche sotto il profilo della tenuta delle regole democratiche. La maggioranza ha ingaggiato una guerra contro la magistratura, con attacchi alla Corte Costituzionale, sta stravolgendo la certezza del diritto introducendo norme che cancellano il principio di parità davanti alla legge, controlla la stampa, minaccia mutamenti unilaterali del trattato costituzionale. E nel frattempo si assiste a un pericoloso immobilismo sul fronte della politica economica.

Grave è il fatto che le forze del centrosinistra abbiano sottovalutato i rischi per la democrazia italiana derivanti dal berlusconismo. Per ben due volte il centrosinistra è stato al governo nelle scorse legislature e non ha saputo consolidare i principi elementari della democrazia liberale adottatando una legge sul conflitto di interessi.

Personalmente ho ritenuto necessario prendere posizione e dare un contributo per costruire un progetto di alternativa liberale e riformista.

I vostri contributi, le vostre idee sono preziosi contributi per aiutare anche IdV nel suo processo di maturazione.

grazie e un caro saluto

 

 

Grave è il fatto che le forze del centrosinistra abbiano sottovalutato i rischi per la democrazia italiana derivanti dal berlusconismo. Per ben due volte il centrosinistra è stato al governo nelle scorse legislature e non ha saputo consolidare i principi elementari della democrazia liberale adottatando una legge sul conflitto di interessi.

 

No, quest'affermazione è semplicemente ridicola. Tradotta in italiano corrente, significa - ancora e sempre - che Berlusconi è il padre di tutti i mali e la sinistra ha appena il torto di non essersene accorta, il che equivale a non conoscere la storia d'Italia, oppure - più probabilmente, data l'incredibile enormità di una tale valutazione - a volerla strumentalmente travisare, in un insano impeto di disonestà intellettuale. Le responsabilità della sinistra - compresa quella democristiana - hanno grandissima rilevanza, e sarebbe davvero ora di prenderne atto invece di attribuire le colpe, in toto, all'avversario politico del momento, esattamente come fanno "dall'altra parte".

Fuori dai denti, la dovete smettere di cavalcare l'antoberlusconismo in funzione elettorale ed incominciare a lavorare su programmi credibili ed a comportarvi coerentemente con essi. La credibilità non si dichiara, va guadagnata.

 

"Il mercato è lo strumento con cui si può sconfiggere Berlusconi".

 

Per nulla. Berlusconi verra' sconfitto da chi 1) e' capace di convincere gli elettori di essere piu' capace a governare e meno ladro e imbroglione 2) quando ha il potere sara' capace di migliorare le condizioni di vita in Italia, che sono abbastanza miserevoli al di fuori dei circoli della Casta.

Mercati trasparenti ed efficienti creano buone condizioni per una migliore crescita economica e quindi miglior benessere. E' inutile cercare di convincere gli italiani di questo, manca l'istruzione a livello delle masse e gravano secoli di oscurantismo cattolico completati da decenni di esiziale supremazia culturale comunista. Pensate piuttosto a migliorare trasparenza ed efficienza dei mercati quandi avete il potere, e il miglioramento del benessere vi potra' fare vincere. Riflettete sul fatto che aumentare le tasse e la spesa statale significa sottrarre risorse al mercato a favore di una gestione statale, come quella italiana, particolarmente opaca e corrotta.

 

La destra berlusconiana è un minestrone di statalismo e di demagogia.

 

Esattamente come la sinistra, inclusa IdV. L'Udc e' se possibile ancora peggio.

 

Grave è il fatto che le forze del centrosinistra abbiano sottovalutato i rischi per la democrazia italiana derivanti dal berlusconismo. Per ben due volte il centrosinistra è stato al governo nelle scorse legislature e non ha saputo consolidare i principi elementari della democrazia liberale adottatando una legge sul conflitto di interessi.

 

Una buona legislazione anti-trust va fatta perche' migliora il mercato e le condizioni per una migliore crescita economica, e non per nuocere a Berlusconi o per paura del "berlusconismo". Il centrosinistra ha preferito occupare la RAI TV piuttosto che fare una legge anti-trust, mostrando di non non avere a cuore mercati trasparenti ed efficienti e di ritenere di poter comperare il consenso asservendo i mezzi di comunicazione statali.