Ma come perdono il loro tempo?

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Ogni tanto leggo il blog di Beppe Grillo; e' schizofrenico (o magari lo sono io), a volte sono d'accordo al 100% altre, spesso, in totale disaccordo. Ma almeno e' divertente. Duecento commenti per ogni post dopo due minuti, la maggioranza completamente irrilevanti rispetto al tema, ma tanto basta partecipare. Ma il titolo dell'articolo non si riferisce a questo.

Mi spiego. Ho trovato divertente l'iniziativa

di Beppe Grillo di partecipare alla prossima assemblea degli azionisti

Telecom invitando i suoi lettori ad inviargli le deleghe di voto (beppegrillo.it ha migliaia di lettori, e' uno dei blog piu' letti al mondo,

non solo in italia). Non ho ancora capito bene cosa voglia fare con

queste deleghe. Mi aspetto il peggio, ma fa lo stesso, faccio il tifo per lui giusto per

farmi quattro risate e vedere cosa succede.

E qualcosa succede, certo che succede... e non siamo nemmeno arrivati

all'assemblea... Succede che Antonio di Pietro decide di aderire

all'iniziativa con tanto di annuncio sul suo sito. Succede che la

CONSOB se ne accorge ed invii una lettera al ministro e lo inviti a

desistere ad aderire ad una attivita' illegale. Cosi', siccome la borsa

in Italia e' un modello di mercato trasparente, alla CONSOB non sanno proprio cosa fare, e siccome devono giustificare lo stipendio, tanto vale che perdano un po' di tempo a

mettere i pali fra le ruote al Don Quixote di turno.

Meglio sorvolare, anche perche' il lettore fedele nel frattempo si e' chiesto: "ma come, e' illegale

chiedere deleghe di rappresentanza alle assemblee degli azionisti?". A

quanto pare si', secondo la lettera inviata dalla CONSOB a Di Pietro.

La sollecitazione di deleghe mica si puo' fare col Blog, puo' farla

solo un intermediario (e neanche uno qualsiasi: "impresa di investimento, banca, societa' di

gestione, ..." approvato dalla CONSOB).

"Domani devo andare dal

Dentista, fammi un favore, ci vai tu all'assemblea?" No, non si puo'

fare. Sarebbe troppo semplice, caro il mio piccolo azionista. Bisogna passare dall'intermediario sotto casa che poi ti manda

dal notaio dietro l'angolo a firmare la delega. Ma quanto costa questo

giochetto? Peggio dei geologi di Alberto, almeno quelli la firma la

mettono! L'intermediario a cosa serve esattamente?

Ma non finisce qui. La lettera dice anche che Pinco Pallino azionista qualsiasi mica

puo' andare dall'intermediario e dirgli "guarda, per favore sollecitami

delle deleghe". No, il committente (dell'intermediario) deve avere

almeno l'1% del capitale. Ma neanche questo basta. Ce ne vogliono cinquanta, di Pinchi Pallini. Dice la legge: "Asua volta la raccolta di deleghe

di voto e' un'attivita' riservata alle associazioni di piccoli

azionisti [...] che non esercitano attivita' di impresa, composte da

almeno 50 persone fisiche ciascuna delle quali e' proprietaria di un

quantitativo di azioni non superiore allo 0.1 per cento del capitale".

Siete in 49? Nisba! Il vostro amico Giuseppe gioca a fare il day trader e si e' per

sbaglio comprato lo 0.11%? Tutti a casa!. E mi raccomando, che non pensiate di svolgere attivita' d'impresa. Partecipare all'assemblea deve essere un'attivita' ludica, altrimenti gli anziani della media borghesia cosa fanno, mica possono fare le gite in pullman.

E ancora una volta mi

chiedo, ma chi le scrive queste leggi? Ma che mente contorta bisogna

avere? Pensavano che Keynes dicesse sul serio quando suggeriva di far

scavare buche per poi riempirle?

 

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Commenti

Ci sono 34 commenti

A me pare che in questo caso non siamo di fronte a una legge scritta male e arzigogolata ma semplicemente a una legge che ha obiettivi da noi non condivisi. Quando si fanno comparazioni internazionali sulla corporate governance, la facilità di raccogliere deleghe è una delle misure standard del grado di protezione del management esistente. Non stupisce per niente che la legge italiana renda la raccolta delle deleghe così difficile. Non è una misura della stupidità del nostro legislatore. È una misura del suo asservimento a chi controlla (senza necessariamente possedere) le imprese. 

 

 

Oops, Sandro mi ha battuto per 9 minuti.

Grazie del chiararimento, la ratio della legge l'avevo capita, con la chiusa dell'articolo volevo fare una battuta da finto ingenuo che mi e' riuscita male... piuttosto sono ancora stupito della CONSOB, ma possibile che non abbiano altro da fare? Loro sono preposti a tutelare gli investitori, hanno davvero paura che Grillo possa turlupinare i suoi lettori? Forse sono ingenuo davvero.

 

Mi scuso in anticipo per l'ovvieta' del commento che segue. La normativa cui si riferisce Andrea e' strumentale all'obiettivo di assicurare il controllo di imprese quotate ai grandi azionisti, anche in situazioni in cui questi ultimi hanno una quota relativamente bassa di cash-flow rights. E' vero che la normativa e' contorta. Ma non potendosi espressamente scrivere nella legge che "gli azionisti con meno dello 0.1% hanno il ruolo di farsi turlupinare", queste disposizioni astruse sono second best (per i mandatari dei vari De Benedetti, Benetton, Pirelli, Agnelli, e cosi' via). Le stesse norme sono coerenti con altre attivita', quali il continuo opporsi dei vari governi ai progetti di merger & acquisition provenienti dall'estero e la tolleranza delle strutture piramidali di proprieta' che caratterizzano tutte le grandi imprese italiane. Il recente caso dell'interessamento di AT&T a Telecom Italia fa scuola. Probabilmente qualche investment banker ha fatto due conti con Excel e ha constatato che Telecom Italia e' gestita in maniera penosa. Quindi ha fatto un paio di telefonate ad aziende del settore e ha fatto il sale pitch. In una Paese civile, i politici se sarebbero stati zitti, e le autorita' di controllo (CONSOB e Anti-trust) avrebbero semplicemente verificato il rispetto della normativa sull'OPA e analizzato la struttura di mercato post-acquisition. Il tutto, per salvaguardare gli interessi dei piccoli azionisti e dei consumatori. Le dichiarazioni dei politici italiani sono state una pena assoluta. La piu' oscena e' stata quella di quei signori (della maggioranza) che hanno sollecitato Berlusconi a fare una contro-offerta. Ma ci rendiamo conto? E la diatriba sullo scorporo della rete? Perche' non vi si e' pensato al momento della privatizzazione di Telecom? Mi sembra chiaro. Perche' concedere una rendita monopolistica ad un referente "imprenditoriale" italiano assicura ricche prebende ai politicanti. Mentre estrarre le stesse da AT&T o chi per loro sarebbe molto piu' difficile. Le oscenita' continuano.

 

 

Dopo l'indicazione di Andrea sono finito a leggere il post di Grillo sui 'Chinese troubles' a Milano, subito sotto il post su Telecom. Ecco cosa dice il nostro su come risolvere il problema dell'integrazione.

I ghetti sono pericolosi per chi ci vive, odiati da chi li circonda. L’integrazione è l’obiettivo che

abbiamo per chi arriva nel nostro Paese? E allora integriamoli e

proibiamo i ghetti. In un quartiere non deve poter vivere più di una

certa percentuale di nordafricani, di cinesi, di filippini, insieme

agli italiani. Lo stesso nelle scuole.

Capito come si risolve il problema? Si dice a un cinese che vuole affittare una casa: no, qua ci son troppi cinesi, vai altrove. E a un proprietario si dice: tu la casa la puoi affittare solo a persone di una certa etnia.

Lasciamo perdere l'incubo burocratico della cosa (le quote le imponiamo per strada? per quartiere? per comune? Come si fa a controllare che i titolari dei contratti degli affitti non siano prestanome che poi danno le case a quelli delle etnie 'sbagliate', mandiamo continuamente la polizia in casa della gente?). Lasciamo perdere che questo è uno strumento che si può facilmente usare per espellere gli immigrati (basta dire: 'nel nostro comune/quartiere/strada ci deve stare solo un 1% di stranieri', con la scusa che sennó non si integrano). 

Quello che veramente disturba è l'istinto dirigista che tanta gente di buona volontà in Italia manifesta in così tante occasioni. Nessun ragionamento sugli incentivi, su perché mai gli immigrati tendono a concentrarsi. Nessun ragionamento sui costi di enforcement. La soluzione proposta è sempre ed esclusivamente la soluzione burocratica di comando.

È particolarmente triste perché questa non è  la soluzione proposta da un burocrate o un politico che cerca di espandere il proprio potere. È invece la spia di un problema culturale grave. Beppe Grillo, e tanta altre gente sostanzialmente di buona volontà e senza particolari interessi, pensa veramente che imponendo quote e dirigendo tutto dall'alto si risolvano i problemi. Ripeto, è terribilmente triste ed è un segnale tremendo di quanto il paese sia accartocciato.

 

 

Beppe Grillo, e tanta altre gente sostanzialmente di buona volontà e

senza particolari interessi, pensa veramente che imponendo quote e

dirigendo tutto dall'alto si risolvano i problemi.

 

Mah, uno che dice "dovevate venire in 80.000 A manifestare perchè se arriva il messicano vi manda a casa in 30.000" a me non sembra un onesto difensore ne' degli azionisti ne' dei consumatori: e' un populista che richiede interventi politici per bloccare la disciplina del mercato, l'unica in grado di migliorare il rapporto prestazioni/prezzo del servizio e remunerare i capitali investiti.

E' vero, il paese e' accartocciato, ma non da oggi: e non e' nemmeno disallineato da una Francia che teme gli idraulici polacchi o da una Polonia che teme i capitalistri stranieri. L'eurosclerosi e' un male diffuso.

La posizione di Grillo e altri sui cinesi, in questo contesto, non sorprende, e quel che hai scritto non e' affatto fuori tema: siccome quella cinese e' una minoranza che non chiede elemosine e non ha paura di competere, non riceve particolari simpatie ne' dalla destra corporativa ne' dalla sinistra assistenzialista. Non a caso le accuse piu' comuni ad essa mosse sono quelle di "non volersi integrare" e di "rovinare l'economia del paese", le stesse che in passato supportarono pogrom e persecuzioni verso un'altra etnia di successo, quella Ebraica.

 


Se guardi un po' in giro per quel sito, e' pieno di cose del genere. Sono d'accordo che la cosa intristisce assai.     

 

Beppe Grillo scrive:

 

I ghetti sono pericolosi per chi ci vive, odiati da chi li circonda. L’integrazione è l’obiettivo che

abbiamo per chi arriva nel nostro Paese? E allora integriamoli e

proibiamo i ghetti. In un quartiere non deve poter vivere più di una

certa percentuale di nordafricani, di cinesi, di filippini, insieme

agli italiani. Lo stesso nelle scuole.

 

Concordo: B.Grillo e' un populista che propone soluzioni tristemente dirigiste. Ma cosa puo' inventarsi una persona che vive nel Belpaese dove tutto procede a mezzo di grida manzoniane? E poi, esistono soluzioni sperimentate con successo, che magari non si basino su discriminazioni immigrato / cittadino o addirittura su base di nazionalita' e/o religione? Mi sembra sia troppo comodo criticare senza fornire la soluzione "corretta" o quantomeno ridiscutere l'obiettivo proposto.

Per quanto mi riguarda, concordo con B.Grillo sul fatto che l'integrazione (non l'assimilazione) deve essere l'obiettivo di una societa' civile nei confronti degli immigrati. E concordo sul fatto che la concentrazione degli immigrati crea problemi di integrazione, anche se non si tratta dell'unico elemento problematico. Ancora piu' importante e' evitare la concentrazione nelle classi scolastiche. E naturalmente gli incompetenti che si occupano di Scuola in Italia hanno gia' pensato a consentire che si formino classi con l'80-100% di immigrati, che non potranno che essere futuri emarginati.

Penso anche che ogni Stato sovrano abbia ancora piena sovranita' nell'accettare o respingere l'immigrazione e personalmente fisserei una quota massima di incremento netto del numero di immigrati all'anno pari al 10% dei numero di nuovi nati, quindi circa 50mila immigrati / anno per l'Italia. E per tutti i residenti regolari nei 10 anni prima della cittadinanza adotterei restrizioni sulla residenza a livello di comune (o circoscrizione nei grandi comuni) per impedire concentrazioni oltre il 10% rispetto ai residenti con cittadinanza. E' ovvio che il provvedimento non potrebbe avere completo successo, soprattuto in un paese ad illegalita' diffusa e giustizia non funzionante come l'Italia, ma almeno mostrerebbe un minimo di buona volonta'. Per quanto riguarda le classi scolastiche, non mi sembra che sia possibile regolare la materia con una semplice legge, ma adotterei ogni ragionevole provvedimento per tenere gli alunni immigrati sotto il 15% per classe.

Va aggiunto che anche con i provvedimenti elencati l'immigrazione di massa in Italia rimarra' un problema grave, perche' lo Stato italiano e' esattamente il contrario della Open Society di Popper che la teoria vuole adatta ad integrare immigrati: lo Stato e' pesante e intrusivo e non leggero e trasparente, la legge e' complicata e non semplice, e non viene assolutamente applicata in modo efficace ne' equo, la mobilita' sociale e' infima, le relazioni parentali, di fazione e tribali prevalgono sulla meritocrazia.

 

Come almeno un post precedente

mostra, la mia analisi del processo immigrazione e di come gestirlo non

si discosta molto da quella di Alberto Lusiani. I fatti che evidenzia,

con riferimento agli USA, sono cogenti ed utili a capire perche' il

processo di immigrazione abbia qui dato, nel complesso, risultati

positivi anche se con eccezioni. La visione romantica delle porte spalancate e dell'ognuno fa quel che si vuole non corrisponde al vero nemmeno negli Stati Uniti del 1800, che erano un paese vuoto: non capisco perche' tale mito debba continuare ad essere avocato come modello per i paesi europei che vuoti non sono di certo. Questo pero' non implica, tanto per fare un esempio, che sia una

politica intelligente "proibire" i ghetti via leggi o anche solo

regolamentazioni amministrative locali: quale sarebbe la logica? La

tendenza spontanea di qualsiasi gruppo di immigranti e' l'auto-difesa

ed il supporto reciproco, quindi si cerca di vivere assieme: quindi il

ghetto. Idem per i negozi dove si vendono i propri cibi e financo i propri vestiti, le associazioni per i legami con i paesi di origine, le feste rionali tradizionali, eccetera. Poi, al crescere del reddito e dell'integrazione economica la

gente si muove e la natura 'ghettosa' del ghetto evapora, altre etnie arrivano, eccetera. 

La domanda da farsi, ovviamente, e' come si facilita e si rende spontanea la crescita del reddito e l'integrazione economica (e.g. la scuola,  il che non raccomanda classi piene di immigrati) e come si ottiene l'adozione da parte del gruppo immmigrante dei valori fondamentali della cultura che accoglie (e.g. come si fa la salsa che lega tutto nel melting pot: qui i puritani ci sono riusciti, nel bene e nel male, in Italia in cosa consiste la salsa?). Insomma, credo occorra andarci cauti, lasciando stare riflessi ideologici troppo rapidi e rendendosi conto che di un problema completamente nuovo si tratta. A me non sembra nemmeno chiaro quale sia la funzione che tale processo dovrebbe massimizzare: qualcuno ce l'ha chiara? Lo dica. Dobbiamo prefiggerci di far "italianizzare" i cinesi o dobbiamo guardare solo alla crescita del reddito e lasciare che l'Italia si "cinesizzi" o ""indianizzi" se questo e' necessario? Vogliamo che certe tradizioni culinarie e regole di comportamento vengano adottate o ci va bene che il paese si riempia di orrendi ristoranti cinesi? (Parentesi anti-mito: i ristoranti cinesi all'estero fanno in media schifo, quelli in Cina sono buoni solo se siete ricchi e disposti a spendere ... ora lo so che Enzo mi spieghera' che lui ad Hong Kong conosce un posto ecc. ecc., ma io in Cina ho mangiato bene solo con amici disposti a spendere parecchio). Si possono fare mille di queste domande, su alcune ho opinioni, su altre no, ma il tutto e' basato su istinto e preferenze completamente soggettive, quindi credo sia il caso di discutere della funzione obiettivo prima di tutto.

In ogni caso - ed assumendo la mia funzione obiettivo che si riassume in "allegro non troppo" - mi sembra ovvio che se ne arrivano tantissimi (> .25M all'anno) il processo di assorbimento si rende

impossibile, ed e' per questa ragione che occorre limitare i flussi in

entrata e, soprattutto, garantirsi che ci sia un "mix" appropriato sia di paesi d'origine che di capitale umano. La

libera immigrazione e' una follia, perche' vi sono grandi esternalita'

sia positive che negative generate dal processo d'immigrazione, ed

occorre gestirle. La domanda importante credo sia "come" gestire l'immigrazione, argomento su

cui in Italia (ma anche fuori) si discute poco e si fa ancora meno.

Credo sia tecnicamente complicato gestire bene i flussi in entrata,

perche' mancano dati, conoscenze e teorie. Per esempio, Sandro ed io,

nella discussione

che ispiro' il mio post citato all'inizio, abbiamo stime chiaramente divergenti di quanto

tempo ci voglia per integrare decentemente un etiope in Italia ...

credo che di questo sarebbe il caso di discutere, lasciando stare vaghe

accuse di razzismo a chi propone di limitare e controllare i flussi. Ripeto, si fa ovunque ed e' la cosa piu' ovvia: dobbiamo forse lasciare che tutti coloro che vogliono sbarcare affamati ed incontrollati a Lampedusa lo facciano, altrimenti veniamo accusati della violazione di qualche diritto umano? 

Se l'immigrazione extra-EU e' buona medicina per l'anemia

socio-demografica italiana posso assicurarvi, per esperienza diretta,

che, anche se le cure di ferro fanno bene, occorre regolarle e gestirle

attentamente, pena severa diarrea ancor piu' dannosa e molesta

dell'anemia ...

Vorrei anche capire una cosa che non mi risulta chiara nel discorso di Lusiani: in che senso le due parole

"assimilazione" ed "integrazione" denotano due "obiettivi" differenti?

Faccio due esempi: gli irlandesi mi sembrano perfettamente sia

integrati che assimilati nella societa' USA, pero' continuano ad avere

St. Patrick's Day, con la parade, la birra verde e tutto il resto; a

New Orleans e St. Louis si celebra allegramente e massivamente Mardi

Gras, eccetera. Insomma, l'integrazione porta all'assimilazione e

quest'ultima permette di trasformare in patrimonio di tutti alcune

importanti e specifiche connotazioni culturali del gruppo assimilato, accrescendo la ricchezza e vivacita' culturale della societa' globale.

Che differenza ci vedi tu e perche' una sembra desiderabile mentre

l'altra no? 

 

 

 

 

Dobbiamo prefiggerci di far "italianizzare" i cinesi o dobbiamo

guardare solo alla crescita del reddito e lasciare che l'Italia si

"cinesizzi" o ""indianizzi" se questo e' necessario?

 

Il mio punto di vista e' probabilmente reso implicito dalle mie scelte di vita, ma a me pare che se l'Italia si cinesizzasse e/o indianizzasse avrebbe tutto da guadagnarne... E magari l'economia comincerebbe a crescere invece di stagnare.

Per i ristoranti cinesi, se essi si diffondono e sottraggono mercato alle trattorie convenzionali evidentemente una ragione c'e': il rapporto prestazioni/prezzo che offrono e' migliore. Dopotutto gli avventori non sono mica forzati a entrarci a colpi di kung-fu... I piagnistei dei proprietari di ristoranti italiani mi ricordano quelli dei cinematografari europei sull'"egemonia culturale" americana (da risolvere, you guessed it, con quote d'accesso e altre restrizioni). A nessun fornitore piace avere concorrenza, ma come Adam Smith ritengo che "[c]onsumption is the sole end and purpose of all production; and the interest of the producer ought to be attended to, only so far as it may be necessary for promoting that of the consumer".

Per quel che riguarda i fatti citati da Alberto L., e' verissimo che nella storia americana il nativismo alla Bill 'The Butcher' Cutting ha spesso giocato un ruolo importante, ma lo stesso puo' dirsi del protezionismo economico: il successo degli Stati Uniti e' avvenuto perche' la concorrenza promossa da immigrazione e free trade c'e' stata nonostante l'opposizione che si esprimeva attraverso essi. All'epoca la xenofobia nativista proveniva soprattutto da "sinistra", dalla working class che si sentiva minacciata dall'afflusso di manodopera a basso prezzo e non sindacalizzata (vedi i tumulti anti-cinesi in California successivi alla costruzione della ferrovia Central-Pacific, e le posizioni di gente come Jack "first of all a white man and only then a socialist" London).

 

 

 

Vorrei anche capire una cosa che non mi risulta chiara nel discorso di Lusiani: in che senso le due parole

"assimilazione" ed "integrazione" denotano due "obiettivi" differenti?

Faccio due esempi: gli irlandesi mi sembrano perfettamente sia

integrati che assimilati nella societa' USA, pero' continuano ad avere

St. Patrick's Day, con la parade, la birra verde e tutto il resto;

 

Ritengo che lo Stato che accoglie immigrati debba avere un ruolo attivo perche' siano integrati nella societa' e nell'economia, con l'obiettivo che abbiano stessi diritti e doveri dei residenti, stesso rispetto della legge senza essere discriminati nella sua applicazione, stesse opportunita' nell'educazione e nell'economia senza essere discriminati. Invece ritengo che lo Stato dovrebbe astenersi dall'agire sia per promuovere una loro assimilazione culturale, sia per mantenere una loro diversita' sempre culturale, per esempio mettendo a libro paga statale gli imam musulmani, una delle nuove teorie in voga in Francia e Italia.

L'assimilazione in realta' e' auspicabile, ma credo debba avvenire in maniera naturale senza azione dello Stato.

 

 

Questo pero' non implica, tanto per fare un esempio, che sia una

politica intelligente "proibire" i ghetti via leggi o anche solo

regolamentazioni amministrative locali: quale sarebbe la logica? La

tendenza spontanea di qualsiasi gruppo di immigranti e' l'auto-difesa

ed il supporto reciproco, quindi si cerca di vivere assieme: quindi il

ghetto. Idem per i negozi dove si vendono i propri cibi e financo i

propri vestiti, le associazioni per i legami con i paesi di origine, le

feste rionali tradizionali, eccetera. Poi, al crescere del reddito e

dell'integrazione economica la

gente si muove e la natura 'ghettosa' del ghetto evapora, altre etnie

arrivano, eccetera

 

Avevo gia' scritto che non mi aspetto che i provvedimenti che suggerivo sarebbero stati necessariamente efficaci, specie in Italia, ma li consideravo quantomeno un atto nella giusta direzione. La logica e' che l'immigrazione sparsa e in misura limitata rispetto alla popolazione residente viene accettata meglio e da' piu' stimoli e possibilita' agli immigrati di integrarsi. Se invece si creano i ghetti, e l'immigrazione e' massiccia, iniziano i problemi, come le frizioni tra italiani e cinesi in via Sarpi, o tra italiani e immigrati in via Anelli a Padova, e nelle scuole compaiono le classi con l'80-100% di imigrati, che sono gia' fatti reali in molte province, sicura anticipazione di disastri futuri.

 

A me non sembra nemmeno chiaro quale sia la funzione che tale processo

dovrebbe massimizzare: qualcuno ce l'ha chiara? Lo dica. Dobbiamo

prefiggerci di far "italianizzare" i cinesi o dobbiamo guardare solo

alla crescita del reddito e lasciare che l'Italia si "cinesizzi" o

""indianizzi" se questo e' necessario? Vogliamo che certe tradizioni

culinarie e regole di comportamento vengano adottate o ci va bene che

il paese si riempia di orrendi ristoranti cinesi?

 

Per quanto mi riguarda i cittadini di uno Stato dovrebbero prima decidere quanti immigrati ammettere (e sottolineo che considero questo un diritto sovrano non espropriabile), contemporaneamente avendo ben chiaro che dovranno essere integrati economicamente al loro ingresso, e diventeranno cittadini dopo 10 anni di residenza regolare, se rinunciano alla loro precedente cittadinanza e mostrano di essere ragionevolmente informati e compatibili rispetto alla societa' ospite. Da quel momento in poi cittadini e neo-cittadini contribuiranno insieme a determinare l'identita' culturale dello Stato. La scelta primaria deve essere fatta al momento dell'accettazione regolare dell'immigrato nello Stato. In seguito ritengo sbagliato che lo Stato intervenga sulla cultura dell'immigrato, deve invece intervenire per la sua integrazione nell'economia e nelle leggi del paese ospite, deve fornire l'educazione che viene fornita agli altri cittadini. Dovrebbe anche essere ben chiaro a chi decide che l'identita' culturale futura dello Stato non potra' che cambiare proporzionalmente al numero e alla distanza culturale degli immigrati accettati.

 

 

... vorrei free-ride questa accesa discussione ed attirare la vostra attenzione su questa proposta di regolamento per i concorsi universitari:

http://www.universitas.bo.it:80/stato2007.htm

Il succo è all'art.4 Cosa ne pensate? Quali sono i pregi e difetti?

Aspetto vostri commenti (e forse la notizia merita un articolo a sé).

Scusate l'intromissione.

 

L' ANSA alle 19.37 del 19 Aprile 2007 riporta la seguente notizia colta a Firenze in occasione dell'ultimo congresso dei DS. ''All'interno del mercato le regole le stabiliscono gli operatori in piena autonomia, responsabilita' e liberta'. I governi e le authority possono solo intervenire per verificare se le regole vengono rispettate o meno''. Lo afferma il ministro delle Riforme Vannino Chiti, dopo la disponibilita' mostrata da Mediaset di far parte della cordata di imprenditori italiani per Telecom.''Se nel mercato - aggiunge Chiti a margine dei lavori del congresso DS - emerge una soluzione positiva per Telecom, nell'imprenditoria italiana, credo non possa dispiacere a nessuno''. Chiti é persona autorevole avveduta e ragionevole. Se ci dice che le regole le stabiliscono gli operatori ci dice qualcosa che in molti sospettavamo e che però un poco ci sorprende. Mi permetto però di osservare che se le cose vanno in questo modo forse non c'é autonomia, nel senso che gli operatori (quando l'assetto non é monopolistico) si mettono d'accordo fra loro per fissare congiuntamente le regole. Dal che discende che la responsabilità alla quale allude non può che avere come destinatari, come é giusto che sia, gli azionisti delle imprese. Quanto poi alla libertà é giusto che non sia condizionata, perché se uno mette insieme i due termini (ovvero libertà condizionata) rischia di essere frainteso. Se poi questo é solo un lapsus, beh allora senza scomodare il dottore viennese, questa dichiarazione ci dice ancora più cose. Un grazie di cuore a Chiti.

 

Ottimo punto, davvero. A ulteriore prova che, come sosteniamo da tempo, questi di come funziona una societa' liberale e di mercato non hanno la piu' vaga alba.

Quando vogliono fare i liberali, come nel caso che riporti, finiscono per dire che gli insiders ad un certo mercato/settore possono, mettendosi d'accordo fra loro, fare e disfare le regole come meglio a loro aggrada ...

Fa sorridere anche l'affermazione secondo cui i governi e le autorithies intervengono per verificare che le regole (fissate dagli insiders) vengano rispettate ... chi era quello che parlava negativamente dei governi parlamentari come "comitati d'affari della borghesia capitalista"? Ah, ma ora hanno fatto il PD, quindi certa zavorra ideologica alle spalle se la son lasciata. Ora teorizzano che i governi devono essere i comitati d'affari della borghesia capitalista ...

Hai ragione, il caro Chiti dice di piu' di quanto credo volesse dire.